Morire per Kiev? O per la Nato?

articoli di Pasquale Pugliese, Elisabetta Grande, Oleksiy Bondarenko, Federico Petroni, Marinella Mondaini, Giulio Chinappi più due link e un video (ripresi da lavaligiablu.it, volerelaluna.it, Limes, pasqualepugliese.wordpress.com, cumpanis.net, kulturjam.it e ogzero.org)

Quando arrivano “i nostri”… Note per chi volesse capire le ragioni della crisi ucraina (e non volesse fare la fine dei nativi americani) – Pasquale Pugliese

La verità deve prevalere

senza violenza

Lev Tolstoj, Guerra e pace

Ad un giovane che volesse capire quali sono le ragioni dei venti di guerra che – pericolosamente e arcaicamente – soffiano di nuovo nell’Europa dell’est, suggerisco di prenderla apparentemente alla lontana leggendo, tra le altre cose, qualche pagina del racconto del lungo viaggio di Alexis de Tocqueville negli Stati Uniti nel 1826 (La democrazia in America), nelle quali descrive così il modo in cui il governo degli Stati Uniti ingannava regolarmente i nativi americani: “Quando la popolazione europea comincia ad avvicinarsi al deserto occupato da una nazione selvaggia, il governo degli Stati Uniti invia regolarmente a quest’ultima un’ambasciata solenne; i bianchi radunano gli indiani in una grande pianura e, dopo aver mangiato e bevuto con loro, dicono: <<In che cosa la contrada in cui abitate vale più di un’altra? Al di là di queste montagne che vedete all’orizzonte, al di là di questo lago che delimita ad ovest il vostro territorio, vi sono vaste contrade, in cui si trovano ancora bestie selvagge in abbondanza; vendete le vostre terre e andate a vivere felici in quei luoghi!>> Dopo aver tenuto questo discorso, mostrano agli indiani armi da fuoco, indumenti di lana, barili di acquavite… Se, alla vista di tutte queste ricchezze, esitano ancora, si fa loro capire che non possono rifiutare il consenso che viene loro richiesto (…). Per metà convinti, per metà costretti, gli indiani si allontanano; vanno ad abitare nuovi luoghi disabitati dove i bianchi non li lasceranno in pace nemmeno per dieci anni. E’ così che gli americani acquistano a vile prezzo province intere che i più ricchi sovrani d’Europa non potrebbero pagare”. Oggi sappiamo com’è andata tragicamente a finire per i nativi americani: il più grave genocidio della storia dell’umanità, nonostante l’epopea del “selvaggio west” abbia per decenni narrato e fatto entrare nell’immaginario di tutti una storia completamente diversa.

Dopodiché, facendo un salto storico, inviterei quel giovane ad informarsi su che cosa accadde il 2 e 3 dicembre del 1989 sull’isola di Malta, dove subito dopo l’abbattimento del muro di Berlino si incontrarono Michail Gorbačëv, segretario generale del partito comunista sovietico, e George Bush, presidente in carica degli USA, e mutatis mutandis si realizzò un analogo inganno che è all’origine della pericolosa crisi bellica in corso dentro e intorno all’Ucraina e alla Russia. Gorbačëv, a quel tempo, aveva già proceduto unilateralmente allo smantellamento delle strutture militari della guerra fredda “avviando una sensibile riduzione delle truppe sovietiche in Europa centrorientale, il ritiro delle sue truppe dall’Afghanistan e dai territori dell’Asia centrale confinanti con la Cina. Egli creava così le condizioni perché anche Reagan mutasse la sua agenda politica e militare. Ma il suo obiettivo non si realizzò” (Giuseppe Vacca, La sfida di Gorbaciov. Guerra e pace nell’era globale). All’incontro di Malta, il presidente USA successore di Reagan, sembrò concordare con Gorbačëv “sul fatto che l’Unione Sovietica dovesse rinunciare a ogni intervento per sostenere gli agonizzanti sistemi comunisti dell’Est, mentre gli Stati Uniti s’impegnavano a non ricavare alcun vantaggio strategico dagli sviluppi politici conseguenti alla decisione del Cremlino”, ossia a non estendere la Nato nell’Europa ad Est (come ricorda, tra gli altri, Eugenio Di Rienzo, recensendo il libro di Vacca su Nuova rivista storica, con il titolo significativo Le lacrime amare di Michail Gorbaciov). Di questo accordo non c’è una formalizzazione scritta ma “fu poi confermato dalle dichiarazioni del Primo ministro inglese,Margaret Thatcher, del Cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, del Presidente francese,François Mitterrand, e dalla testimonianza dell’allora ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock”. Oltre che successivamente dallo stesso Gorbačëv – il quale ormai escluso dalla vita politica russa – si rammaricava del fatto di essere stato “sprovveduto” nel non aver preteso di mettere nero su bianco le assicurazioni di Bush e prima di lui del segretario di stato USA James Baker che, dopo l’abbattimento del muro di Berlino, lo rassicurava sul fatto che se anche la Germania si fosse riunita “la giurisdizione della Nato non si sarebbe allargata di un pollice verso Oriente”. Anzi, come ricostruisce Giuseppe Vacca, “il muro di Berlino venne abbattuto con il consenso di Mosca. Dopo l’incontro fra Helmut Kohl e Gorbaciov, il quale accoglieva la richiesta che la Germania unita facesse parte della Nato, purché sul suo territorio non venissero installate testate nucleari, il processo di riunificazione della Germania era avviato”.

Fatta questa breve ricognizione storica, oggi quel giovane può costatare che non solo la Nato non si è sciolta – al contrario di quanto è avvenuto per l’antagonista Patto di Varsavia – ma non ha rispettato neanche le rassicurazioni fornite a suo tempo a Gorbačëv: anzi anno dopo anno ha proceduto ad espandersi nell’Europa dell’Est con l’inglobamento progressivo di Albania, Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del nord, Montenegro, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, ossia costruendo una nuova “cortina di ferro” intorno alla Russia. Come se non bastasse, almeno 150 testate nucleari statunitensi sono presenti sul territorio europeo e di queste un numero imprecisato si trovano nella base di Buchel in Germania (le altre nelle basi di Kleine Brogel in Belgio, Aviano e Ghedi-Torre in Italia, Voikel in Olanda e Incirlik in Turchia), tutte puntate verso la Russia. All’origine della crisi in Ucraina, dunque – che non nasce oggi, ma con il colpo di stato del 2014, a cui seguirono il referendum pro russo in Crimea, con la relativa annessione da parte di Mosca, e poi il conflitto in corso nella regione russofona indipendentista del Donbass – ci sono esattamente i contraccolpi di questa espansione ad Est della Nato, che ha come prossimo obiettivo proprio l’ingresso dell’Ucraina, con la prospettiva dei missili nucleari statunitensi alle porte di Mosca.

Personalmente – rassicuro il giovane che avrà avuto la pazienza di seguire fin qui l’evoluzione delle cose – non ho nessuna simpatia per Vladimir Putin e il suo regime autocratico, ma credo che l’Europa (piuttosto che che fare da scendiletto per le mire espansionistiche di Washington) dovrebbe promuovere quella che Rete Italiana Pace e Disarmo ha chiamato neutralità attiva, che per me significa avere un proprio ruolo politico strategico, ossia sottrarsi all’abbraccio mortale della Nato, far lavorare la diplomazia con equidistanza, pretendere il disarmo sul suo territorio a cominciare da quello nucleare, inviare un corpo civile di pace sul campo per fare interposizione, sostenere i movimenti pacifisti in Ucraina e in Russia, promuovere l’ingresso sia dell’Ucraina che della Russia nell’Unione Europea. Invece il nostro Paese – solerte come sempre nell’ubbidienza atlantica – è già presente ai confini della Russia con armi e armati per 78 milioni di euro, come documenta l’Osservatorio sulle spese militari italiane. Neanche il tempo di dismettere lo sciagurato impegno militare in Afghanistan e non resistiamo al richiamo della foresta. Con il rischio – per tutti, istantaneamente – di fare la fine dei nativi americani, magari mentre guardiamo, con i popcorn in mano qualche film western, nel quale aspettiamo che arrivino “i nostri” a salvarci dai…cattivi.

da qui

 

Crisi Ucraina, l’incredibile guerra di propaganda contro la Russia – Giulio Chinappi

Le guerre del XXI secolo hanno a disposizione un’arma potentissima, quella dei mass media. Sebbene la propaganda esistesse già nel secolo scorso, i social network e la rete Internet, che sono andati ad aggiungersi ai mezzi di informazione più tradizionali, hanno amplificando a dismisura le potenzialità di quest’arma, che quasi sempre viene rivolta contro i Paesi non allineati con il progetto di ordine mondiale a guida egemonica statunitense.

Una delle principali vittime di questa guerra della disinformazione è certamente la Russia, contro la quale vengono continuamente diffuse notizie totalmente false o per lo meno non verificate, con l’unico fine di alimentare un’opinione pubblica negativa nei riguardi di quel Paese.

Lo stesso è stato fatto in passato nei confronti di Paesi contro i quali poi è stata dichiarata guerra (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria), giustificando in questo modo l’intervento armato agli occhi dell’opinione pubblica occidentale.

Con questo non stiamo dicendo che presto le potenze NATO dichiareranno con certezza guerra alla Russia, ma sicuramente questi elementi forniranno una giustificazione qualora questo dovesse avvenire.

Nelle ultime settimane, i media al servizio dell’imperialismo hanno bombardato i propri ascoltatori e lettori con notizie totalmente infondate circa la volontà della Russia di invadere l’Ucraina.

Questo è avvenuto quando la Russia, in risposta alle continue provocazioni occidentali e alle minacce di Kiev di invadere il territorio delle repubbliche popolari del Donbass in violazione degli accordi di Minsk, ha schierato le proprie truppe lungo il confine occidentale, senza però mai varcare i confini della Federazione.

I media e i governi occidentali, soprattutto quello degli Stati Uniti, hanno affermato di avere informazioni “certe” circa la volontà della Russia di passare all’attacco. Dopo aver annunciato l’attacco (sempre dato per “certo”) prima a dicembre e poi a gennaio, Washington ha dichiarato di avere gli elementi per affermare che Mosca pianificasse di passare all’offensiva a metà febbraio, in corrispondenza dei Giochi Olimpici di Pechino 2022.

Questo nonostante il governo russo abbia smentito tutto a più riprese, e nonostante addirittura il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj abbia dichiarato apertamente che non ci fosse nessuna minaccia imminente da parte della Russia contro il suo Paese!

Gli USA ed i loro fidi vassalli europei, invece, hanno tutto l’interesse a far credere al mondo che la Russia rappresenti una minaccia imminente, e questo per diversi motivi: innanzi tutto, in questo modo possono facilmente giustificare l’ingente flusso di armi che continua a verificarsi con destinazione Kiev; in secondo luogo, possono giustificare le continue sanzioni imposte unilateralmente contro Mosca, che altrimenti non avrebbero nessuna ragione di essere; infine, nel caso in cui dovesse malauguratamente scoppiare un conflitto armato diretto, l’opinione pubblica sarebbe già preparata ad accettarlo come un fatto inevitabile e giustificato.

I mass media occidentali si stanno facendo prendere la mano dal gusto di attaccare la Russia, a tal punto che qualcuno ha deciso di annunciare l’inizio della guerra. Nel pomeriggio di venerdì 4 febbraio, il sito web di Bloomberg, una delle massime multinazionali dell’informazione mondiale, ha pubblicato una presunta “diretta” dell’invasione russa dell’Ucraina.

La fake news, il cui link rimandava ad una pagina vuota, è rimasta online per circa mezz’ora, e certamente è stata letta da migliaia di persone, considerando anche l’orario pomeridiano.

Bloomberg, in risposta, ha affermato che si è trattato solo di un “errore”. Come può trattarsi di un errore? Errore può essere scrivere una parola in luogo di un’altra, non pubblicare un titolo privo di ogni fondamento, oltretutto lasciandolo online così a lungo.

La giustificazione ufficiale afferma anche la testata “prepara titoli per ogni scenario possibile, e uno di questi è stato inavvertitamente pubblicato”. Ma un titolo banale come “Russia invades Ukraine” può essere scritto in un paio di secondi, senza bisogno di “prepararlo” in anticipo.

Dobbiamo quindi dedurne due opzioni, che non si escludono a vicenda. La prima è che il titolo sia stato pubblicato volontariamente per sondare l’opinione pubblica, analizzando le reazioni sui social o su altri mass media.

Non dimentichiamo, infatti, che spesso Bloomberg è una fonte d’informazione primaria, e che testate di portata mondiale come il New York Times o USA Today riprendono con frequenza le notizie di Bloomberg.

La seconda è che i media al servizio dell’imperialismo nordamericano abbiano già confezionato non solo il titolo, bensì un’intera storia prefabbricata da vendere all’opinione pubblica qualora dovesse scoppiare un conflitto lungo il confine russo-ucraino – addossando naturalmente tutte le colpe alla Russia.

Alcune testate, come il Washington Post e il New York Times, hanno diffuso anche la fake news secondo cui la Russia starebbe preparando dei video falsi per dimostrare un attacco ucraino contro la popolazione civile del Donbass – sempre al fine di dare luogo ad una guerra.

Nel giro di poche ore, attraverso i social, la notizia falsa si è trasformata, e ora molte persone credono che la Russia non solo abbia preparato, ma abbia effettivamente diffuso tale video, che però nessuno ha mai visto. Alla fake news è stato dato un risalto tale che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, è dovuto intervenire in prima persona per smentire il tutto.

Nel frattempo, sempre nell’ambito di questa guerra dei mass media, la Germania ha deciso di bandire la televisione RT DE, la versione tedesca di un network televisivo di proprietà del governo russo.

Ciò, naturalmente, al fine di non permettere la diffusione di versioni dei fatti diverse da quelle propinate dagli altri mass media, indipendentemente dalle ragioni ufficiali che sono state presentate.

In risposta, la Russia ha deciso di chiudere la sede moscovita della testata tedesca Deutsche Welle, come confermato dalla portavoce del ministero degli Esteri, Marija Zacharova.

https://www.kulturjam.it/politica-e-attualita/crisi-ucraina-propagnda-anti-russia/

 

L’Ucraina, gli Stati Uniti e l’industria bellica – Elisabetta Grande

Recentemente Tucker Carlson, popolarissimo conduttore del canale di destra Fox News e fiero sostenitore di Trump, nel dialogare con Mike Turner – il più importante repubblicano all’interno dello House Intelligence Committee, nonché uno dei 15 firmatari della lettera indirizzata a Joe Biden con cui si richiede un’immediata azione a sostegno dell’Ucraina contro la Russia – ha preso una netta posizione contro lo sbandierato necessario intervento militare degli Stati Uniti in Ucraina (https://www.mediaite.com/tv/tucker-carlson-mike-turner-argue-over-ukraine/). Perché mai dovremmo impegnare i nostri ragazzi in un’operazione di difesa di un territorio che la stragrande maggioranza degli americani neppure sa identificare su Google maps? Non ci è bastata la recente vergognosa ritirata dall’Afghanistan? Per quale ragione dovremmo stare dalla parte dell’Ucraina e non della Russia, giacché avere dalla propria parte la Russia significa avere un possibile alleato contro la vera minaccia per gli Stati Uniti, rappresentata dalla Cina?

Si tratta di domande di buon senso, che riflettono una visione della geopolitica appartenente all’“uomo di strada”, lontana da quelle convenienze che muovono una guerra che nulla hanno a che vedere con gli interessi dei popoli. «L’Ucraina è una democrazia. La Russia, invece, è un regime autoritario che sta cercando di imporre il suo volere su una democrazia validamente eletta in Ucraina e noi siamo dalla parte della democrazia», risponde Turner, riesumando la solita vecchia retorica degli Stati Uniti investiti del compito di tutori dell’ordine democratico mondiale, che dall’Afghanistan, alla Libia e all’Iraq ha giustificato le ultime guerre statunitensi rivelatesi palesemente insulse. Carlson lo incalza: «Quindi la lezione impartita dai 20 anni in Afghanistan e dalla tragica, vigliacca e controproducente ritirata da lì è che abbiamo bisogno di più truppe in Ucraina?». Successivamente intervistato circa la ragione per la quale secondo lui i falchi del GOP in Parlamento vogliono la guerra, sosterrà: «Io non credo che siano tutti a libro paga di Raytheon, sono solo in pilota automatico. Sono vittime di idee zombie che non hanno mai saputo rivedere» (https://www.nytimes.com/2022/01/26/us/politics/tucker-carlson-russia-ukraine.html ).

Tucker Carlson non vuole insomma dire ciò che pubblicamente è inopportuno, anche se vi fa espressamente cenno. Sia pure non tutti direttamente a libro paga di Raytheon Technologies o di Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman e General Dynamics – ossia delle poche società che monopolizzano il mercato delle armi e della tecnologia militare per la difesa – la verità è, infatti, proprio che i parlamentari statunitensi non fanno ormai più da tempo gli interessi dei loro elettori, ossia degli uomini e delle donne di strada, ma solo e sempre quelli delle grandi multinazionali, che in un sistema di potere a scatole cinesi ne determinano la riuscita elettorale, di destra o di sinistra che essi siano. Non c’è pertanto Congressperson che risponda davvero alle esigenze dei cittadini statunitensi. Essi rispondono a quelle dei loro big donors, che devono rincorrere senza sosta, soprattutto se deputati nella House of Representatives, dato il ridottissimo scarto temporale della loro possibile rielezione (due anni). Da quando la Corte Suprema, con il famoso caso Citizen United del 2010, ha inoltre stabilito che le persone giuridiche, che si esprimono attraverso il denaro, esercitano il loro free speech attraverso i soldi e hanno quindi il diritto di immetterne illimitatamente nelle campagne elettorali, il peso dei corporate donors è divenuto esagerato. È per questo che la prospettiva dei parlamentari e della gente comune (ossia quella nelle cui scarpe Tucker Carlson si è messo per un momento, anche se a sua volta per tornaconti politici come si dirà) divergono enormemente ed è per questo che, per convincere la seconda della bontà delle loro scellerate decisioni di guerra, i primi devono mettere in piedi retoriche di buonismo internazionale sempre più spinte insieme ad allarmi di aggressioni russe chimiche o addirittura nucleari a Kiev, in modo da persuadere altrimenti recalcitranti uomini e donne di strada che si tratta di una scelta obbligata. Certo dopo le armi di distruzione di massa rivelatesi inesistenti in Iraq, il disastro civile libico seguito all’assassinio di Gheddafi e la mancata esportazione della fantomatica democrazia in Afghanistan, si tratta di un’impresa che potrebbe rivelarsi non facile. Tanto più che non più tardi di cinque mesi fa, a seguito della débacle afgana, il presidente Biden aveva categoricamente dichiarato finita l’era dell’uso del potere militare statunitense per ricostruire gli altri paesi (“to remake other countries”) (https://www.nytimes.com/2021/08/31/us/politics/biden-defends-afghanistan-withdrawal.html).

Gli interessi della potentissima industria bellica chiamano però a raccolta i loro debitori in Parlamento, diretti o indiretti che siano, democratici e repubblicani, ed essi rispondono tendenzialmente compatti. Joe Biden, che finora non è riuscito a fare nulla perché quegli stessi interessi non glielo hanno consentito (si pensi a Joe Manchin che, al servizio dei grandi donors, ha bloccato ogni iniziativa del programma Build Back Better che andasse a favore dei più deboli della società https://www.commondreams.org/news/2022/01/29/manchin-gets-thousands-gop-megadonor-after-tanking-bbb) ne ricava l’immagine di chi porta finalmente avanti una politica condivisa e di successo, che supera le polarizzazioni che la affliggono come mai prima d’ora.

Che questo fosse il destino era d’altronde evidente già nel momento in cui, nel dicembre dello scorso anno, il Congresso votava un budget militare, ad avventura in Afghanistan ormai conclusa, di ben 768.2 miliardi: una cifra assai superiore non solo rispetto all’anno precedente (ammontante a 705.4 miliardi), ma addirittura più alta rispetto ai circa 740 miliardi richiesti dallo stesso Biden. I voti accordati a quello stanziamento la dicono lunga sull’accordo bipartisan circa le future guerre a vantaggio dell’industria bellica: se alla Camera i voti erano stati 363 contro 70, in Senato i favorevoli erano addirittura stati 89 contro 10. Il solito meccanismo della riconoscenza verso i big donors, che come mai prima hanno contribuito nel 2020 alla riuscita di Biden (con i Super PAC’s, ma anche con le cosiddette dark money https://www.nytimes.com/2022/01/29/us/politics/democrats-dark-money-donors.html ), aveva peraltro già da subito portato alla segreteria di Stato, al vertice della National Intelligence e al Pentagono, uomini e donne legati all’industria bellica per via di quel gioco delle revolving door fra Governo e grandi corporation, che consente ai poteri economici di dominare la politica. Si pensi a Tony Blinken, scelto da Biden come segretario di Stato, noto per aver sempre abbracciato la linea interventista più dura possibile in materia di politica estera, dalle invasioni in Afghani­stan e in Iraq all’operazione in Libia, fino alla richiesta di pesanti interventi militari contro la Siria. Uscito dall’amministrazione Obama, forte della sua esperienza governativa, nel 2018 aveva co-fondato una società di consulenza, la WestExec Advisors, che offre i propri servizi alle più importanti società di high tech, aerospaziali e in generale del settore militare privato, fra cui (se­condo un’indagine di The American Prospect) la Winward, socie­tà israeliana di elevata tecnologia di guerra. Dello staff della socie­tà di “informata” consulenza faceva parte anche Avril Haines, nominata da Biden a capo della National Intelligence (prima don­na a ricoprire tale carica) e nota non solo per il suo ruolo nella strategia di guerra con i droni inaugurata da Obama, ma anche per aver coperto le torture dei prigionieri perpetrate durante la presi­denza di George W. Bush (cfr. Jacobin, 23 novembre 2020, bit.ly/3aL7vVM). Anche il primo uomo nero mai nominato a capo del Pentagono, l’ex generale Lloyd Austin, oltre ad avere fortissimi legami col mondo militare da cui si era troppo recentemente congedato, ha ampiamente partecipato al sistema di revolving door fra pubblico e privato. Era stato, infatti, nei consigli di amministrazione delle più disparate società, ma soprattutto in quello della Raytheon Technologies, leader nella costruzione di armamenti per il Penta­gono stesso (nyti.ms/3rr9WDV).

Difficile non vedere il legame che intercorre fra queste nomine, l’aumento del budget per la difesa e l’annuncio di una possibile nuova guerra in Ucraina, che all’industria bellica sta già fruttando molto. Un esempio fra tutti: il recente acquisto di 64 caccia F-35A ad attacco nucleare della Lockheed Martin da parte della Finlandia, membro della UE e attivo partner NATO contro la Russia, al prezzo di 8,4 miliardi di euro che, comprese le infrastrutture, salgono a 10 miliardi, a cui occorrerà aggiungere altri 10 miliardi di euro per il loro mantenimento e ammodernamento (cfr. Manlio Dinucci, https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-manlio_dinucci__la_polveriera_ucraina_e_gli_usa_non_escludono_lazione_nucleare_di_primo_uso/39602_44367/). Non più tardi di una settimana fa il segretario della difesa Lloyd Austin ha messo 8.500 soldati in stato di “massima allerta”, pronti per essere inviati in Europa nel giro di cinque giorni (https://www.nytimes.com/2022/01/24/us/politics/russia-ukraine-us-troops.html?searchResultPosition=39), da mesi però gli Stati Uniti sono attivi nel sostegno della guerra. Hanno già dato a Kiev 2,5 miliardi di dollari, oltre a 88 tonnellate di munizioni nel quadro di un “pacchetto” da 60 milioni di dollari, comprendente anche missili Javelin già schierati contro i russi del Donbass, e a 150 consiglieri militari che ‒ affiancati da quelli di una dozzina di alleati Nato ‒ dirigono di fatto le operazioni, ci raccontava già a dicembre Manlio Dinucci (supra).

Se questo è il quadro, l’unica speranza per evitare un’ennesima guerra, questa volta nel cuore dell’Europa – per quanto possa apparire una bestemmia – sembra da riporre in Donald Trump, il rottamatore. Nel tentativo di riprendersi a breve il Congresso e poi la presidenza, dando seguito al suo portavoce mediatico di Fox news, il presidente più anti istituzionale che gli Stati Uniti abbiano mai avuto si è, infatti, opposto con determinazione a ogni intervento militare statunitense, facendo appello al buon senso della persona della strada che, lontana dalle logiche corrotte e perverse dei parlamentari, segue facilmente il ragionamento di Tucker Carlson (https://www.businessinsider.com/donald-trump-says-ukraine-russia-crisis-is-a-european-problem-2022-1?r=US&IR=T). E che si sia al punto di dover riporre fiducia in Donald Trump per la pace in Europa la dice davvero lunga sul drammatico stato della situazione in cui ci troviamo!

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Crisi Russia e Ucraina, cosa sta succedendo al di là delle semplificazioni – Oleksiy Bondarenko

Di Russia si parla spesso per stereotipi con immancabile focus sul suo presidente, Vladimir Putin, o lo ‘zar’ come viene spesso definito dalla stampa. Immancabile anche il riferimento alle sue presunte intenzioni (ricostituire l’Unione Sovietica), alla sua nostalgia per il passato imperiale e al suo essere un ex agente dei servizi segreti come segno distintivo della sua intrinseca malevolenza. Il difetto di molte analisi della politica estera russa è anche frutto di questa semplificazione di dinamiche complesse e spesso contraddittorie, oltre all’inevitabile pregiudizio cognitivo di chi scrive. Le ultime settimane sono state caratterizzate infatti da una crescente serie di speculazioni circa l’imminente invasione russa dell’Ucraina, fatte filtrare spesso da fonti vicine all’amministrazione americana e basate su dati di dubbia natura, che hanno alimentato un clima di tensione spesso irrazionale. Ieri, ad esempio, il Regno Unito ha fatto filtrare la notizia che la Russia starebbe tramando per mettere in Ucraina un presidente pro-Russia, ma senza fornire evidenze. La notizia è stata smentita dal Cremlino e bollata come disinformazione. Questa visione stereotipata e semplificata restituisce un’immagine parziale e distorta non solo dei fatti che caratterizzano l’acutizzarsi della crisi tra Russia e Ucraina, quanto delle origini, complessità e problematiche delle quali l’attuale conflitto è sintomo.

Cosa sta succedendo?

L’acutizzarsi della crisi tra Russia e Ucraina e la postura di Mosca che appare sempre più minacciosa, è solo l’episodio più recente di un conflitto, quello in Donbass (regione nella parte orientale dell’Ucraina) che va avanti da quasi otto anni, ma che affonda le proprie radici nel più ampio quadro di relazioni tra Mosca e Washington. Secondo le fonti provenienti inizialmente dall’intelligence americana e poi confermate dalle immagini satellitari a partire da fine ottobre la Russia avrebbe mobilitato circa 100.000 soldati, dislocati, insieme ad armamenti di vario tipo, lungo i confini con l’Ucraina. Le continue voci di una possibile invasione, fatte circolare dagli stessi servizi americani, non hanno per ora avuto riscontro ma hanno contribuito ad innalzare ulteriormente la tensione tra Mosca, Kiev e gli alleati occidentali. Mentre l’Ucraina ha mobilitato sin da subito nuove truppe lungo il confine con la Bielorussia, la Russia dal canto suo ha condotto una serie di esercitazioni militari nel Mar Nero, pianificandone altre per febbraio congiuntamente alla Bielorussia, paese che non confina solo con l’Ucraina, ma anche con Polonia, Lituania e Lettonia, quest’ultimi membri della NATO.

Il Cremlino ha continuato a giustificare il riorientamento di truppe e mezzi verso il suo confine occidentale come una mossa difensiva, la risposta all’avvicinamento dell’Alleanza Atlantica verso i propri confini e il crescente sostegno politico e militare da parte degli Stati Uniti e partner europei nei confronti di Kiev. Infatti, la nuova amministrazione Biden (a giugno) aveva autorizzato un nuovo pacchetto di aiuti pari a 150 milioni di dollari che comprende, tra le altre cose, il dispiegamento di personale militare per l’addestramento delle truppe ucraine. Durante la visita del Ministro della Difesa americano a Kiev in ottobre, invece, Washington aveva rimarcato il fermo sostegno all’ingresso dell’Ucraina nelle strutture della NATO, un tasto da sempre dolente per Mosca. Non a caso, proprio a ottobre la Russia aveva già sospeso la sua missione di rappresentanza presso la NATO, ultimo canale di dialogo rimasto in piedi dopo la sospensione della cooperazione nel 2014 in seguito all’annessione della Crimea. Con il recente innalzamento della temperatura, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno solo accelerato la loro fornitura di armi e mezzi all’Ucraina, promettendo al contempo dure sanzioni in caso di invasione.

Le cause di quello che sembra un circolo vizioso fatto di accuse e di minacce reciproche sono molteplici e intrecciate tra loro. Da una parte vi è lo stallo del processo negoziale volto a risolvere l’attuale conflitto in Donbass, mentre dall’altra nel mirino ci sono le relazioni tra Russia e Stati Uniti e una più ampia riconfigurazione del ruolo della NATO sul continente europeo. Il tutto inserito in una spirale di crescente sfiducia nella quale i negoziati stanno andando avanti senza portare, per ora, risultati tangibili.

Il problema del conflitto in Donbass

Una delle cause della crescente tensione tra Russia e Ucraina va ricercata nello stallo che ha caratterizzato il processo negoziale relativo al conflitto nella regione orientale dell’Ucraina, il Donbass. Anche se la Russia ha sempre negato il proprio coinvolgimento e, ufficialmente, non è una delle parti belligeranti, il suo intervento e il sostegno militare ed economico alle autoproclamante repubbliche separatiste è stata una variabile fondamentale nel conflitto in atto dal 2014. Mosca, inoltre, insieme a Kiev, Berlino e Parigi, rimane il principale attore sul tavolo negoziale (il cosiddetto processo di Minsk) nonché il ‘rappresentante’ delle regioni separatiste. La finestra di opportunità che sembrava aprirsi dopo l’elezione di Volodymyr Zelensky come nuovo presidente ucraino, considerato dal Cremlino come una figura più malleabile, si è però ben presto chiusa. La Russia continua a insistere su un rigoroso rispetto degli accordi di Minsk siglati nel 2015 che prevedono la concessione di uno status speciale alle regioni separatiste, le elezioni locali e, solo dopo, il ritorno del controllo di Kiev sul confine tra Ucraina e Russia. Posizione questa che appare inaccettabile per il presidente ucraino che ha vincolato ogni apertura al ristabilimento del controllo sul confine.

A scompigliare le carte sul tavolo ci hanno pensato anche le mutevoli dinamiche della politica ucraina. In due anni da presidente Zelensky ha dissipato buona parte del suo capitale politico, finendo per distanziarsi dalla parziale apertura nei confronti di Mosca sulla quale aveva impostato la campagna elettorale nel 2019. Ripercorrendo le orme del suo predecessore, per recuperare consensi interni Zelensky ha così virato sul fronte nazionalista interno e sul consueto sostegno delle potenze occidentali. La nuova dottrina strategica, approvata a inizio 2021, infatti, si focalizza “sull’aggressione russa” riproponendo le aspirazioni dell’ingresso nella NATO come il perno centrale della politica estera e militare. Un cambio di strategia piuttosto evidente per il presidente ucraino che della pace in Donbass – anche a costo di rinunce dolorose – aveva fatto inizialmente il perno programmatico del suo mandato.

La questione NATO e i rapporti USA-Russia

Più in generale però, l’attuale crisi è anche il sintomo della globale instabilità del sistema internazionale causato dal lento declino del momento unipolare guidato dagli Stati Uniti. Potrebbe essere proprio questa una delle possibili chiavi di lettura per interpretare l’attuale assertività di Mosca lungo il confine ucraino. A metà dicembre, infatti, il Cremlino ha pubblicato una serie di richieste indirizzate a Stati Uniti e NATO. Si parla, tra le altre cose, del ritiro delle truppe NATO dai paesi che si sono uniti all’alleanza dopo il 1997 (leggasi Europa dell’est) e di una rinuncia ufficiale a ogni ulteriore espansione (leggasi Ucraina e Georgia). Richieste che a prima vista possono sembrare irrazionali, provocatorie e inaccettabili, ma che in verità affondano le radici in tre decenni di errori e malintesi nei rapporti tra Stati Uniti e Russia.

Come sottolineato dalla storica americana Mary Elise Sarotte in un suo recente libro (“Not One Inch: America, Russia, and the Making of the Cold War Stalemate”), sin dalla seconda metà degli anni ‘90 l’élite politica russa ha condiviso un senso di ‘tradimento’ da parte degli Stati Uniti. Il motivo è da ricercare nelle promesse fatte all’alba della fine della guerra fredda, volte a rassicurare la leadership russa e sovietica che il crollo della cortina di ferro non avrebbe portato all’espansione della NATO verso est. Promesse che non sono mai state messe per iscritto, quindi ufficialmente mai esistite, ma il retaggio delle quali ha contribuito ad accrescere, anche se spesso in maniera irrazionale, il senso di minaccia e accerchiamento da parte della leadership russa. Sul tavolo oggi non c’è quindi solo la situazione lungo il confine tra Russia e Ucraina, ma anche le numerose divergenze sull’asse Mosca-Washington. La Russia, infatti, porta in dote un senso di esclusione dovuto al fatto che i contorni della sicurezza europea e del ruolo della NATO sul continente dopo la fine della guerra fredda siano stati definiti senza la sua partecipazione e, come dicono al Cremlino, senza tenere in considerazione i suoi interessi strategici.

Diplomazia coercitiva e il “trilemma” impossibile

Quello che vediamo oggi è quindi un esercizio di ‘diplomazia coercitiva’ da parte di Mosca, con l’utilizzo della pressione militare per costringere gli americani al dialogo e per poter alzare la posta al tavolo negoziale. Una tattica non nuova, visto che già lo scorso aprile le truppe russe lungo il confine con l’Ucraina avevano costretto il presidente americano, Joe Biden, a organizzare un incontro ufficiale con la controparte russa, aprendo uno spiraglio di dialogo su temi come cybersecurity, rapporti strategici e il conflitto in Donbass. Questa volta però la posta in gioco sembra molto più alta, visto che le richieste di Mosca puntano a una revisione massiccia dell’architettura europea in materia di sicurezza.

Non a caso, quelle appena trascorse sono state un paio di settimane diplomatiche molto intense. Una partita difficile resa ancora più complessa dal fatto che Mosca giochi tenendo una pistola in mano. Nel giro di pochi giorni i rappresentanti di Stati Uniti e Russia si sono prima incontrati a Ginevra, tenendo poi il vertice Russia-NATO a Vienna. Il tutto è finito con il meeting del 21 gennaio tra Sergei Lavrov – il ministro degli esteri russo – e Antony Blinken – la controparte americana – che entrambi hanno definito come un incontro ‘franco’ ma che non ha portato a nessun reale passo avanti. La Russia continua ad aspettare una risposta ufficiale da parte della NATO alle proposte avanzate lo scorso dicembre, mentre i vertici dell’Alleanza hanno più volte ripetuto che né il ritorno alla realtà pre-1997, né uno stop ufficiale ad un futuro allargamento sono punti sui quali ci sia margine di dialogo. La situazione di stallo sembra infatti la riproposizione del classico ‘trilemma impossibile’. Una situazione in cui il successo negoziale non può essere raggiunto soddisfacendo gli interessi minimi di tutte e tre parti coinvolte, la Russia, Stati Uniti (e alleati europei) e l’Ucraina.

Per tutta una serie di motivi e fatti oggettivi, quindi, l’invasione dell’Ucraina per ora non sembra tra le reali intenzioni del Cremlino. La strategia della ‘diplomazia coercitiva’ non può però funzionare ancora a lungo. Il rischio è quello di alzare la tensione oltre al punto di rottura, alimentando scelte non razionali da ambo le parti e trasformando una crisi in un vero e proprio conflitto. La soluzione diplomatica rimane ancora un’opzione possibile e di certo auspicabile, magari virando il dialogo su punti a prima vista secondari, come un accordo per limitare le esercitazioni militari condotte da ambo le parti in Europa dell’est o la limitazione del dispiegamento di missili a breve e media gittata sul continente. Il tempo però comincia a stringere, anche se molte cose saranno presto più chiare. Fonti del Dipartimento di Stato statunitense avrebbero raccomandato di ridurre il personale non essenziale dell’ambasciata a Kiev. Anche il Regno Unito ha comunicato il ritiro dei diplomatici e delle loro famiglie da Kiev. L’UE non sta seguendo USA e UK perché “non c’è motivo di drammatizzare la situazione mentre i colloqui con la Russia sono ancora in corso”. La risposta ufficiale della NATO è attesa nei prossimi giorni e da essa si potrà forse capire quali carte sono ancora rimaste da giocare.

https://www.valigiablu.it/russia-ucraina-usa-crisi

 

USA, Russia, Ucraina – Marinella Mondaini

Il grande il compito della Russia oggi è quello di fermare la guerra che gli statunitensi stanno scatenando.

Stati Uniti e Nato hanno consegnato la risposta alla Russia, non hanno alcuna intenzione di retrocedere dalla politica delle “porte aperte”, ci hanno messo un mese e mezzo per rispondere “no” alle richieste più importanti. Sulle questioni minori hanno lanciato un segnale positivo di dialogo e collaborazione. Ma non è questo che interessa la Russia, ciò che importa è che l’Occidente non ha alcuna intenzione di parlare di garanzie di sicurezza per la Russia. Oggi Putin nella conversazione telefonica che ha tenuto con il presidente francese Macron, ha dichiarato che la Russia studierà attentamente le risposte ricevute, dopodiché prenderà la decisione sulle azioni concrete da intraprendere. Putin ha detto che non hanno tenuto conto delle preoccupazioni più importanti della Russia, come il non allargamento della Nato, non installare sistemi offensivi sulle frontiere russe e il ritorno al potenziale militare e alle infrastrutture della Nato in Europa alle posizioni del 1997; inoltre, Putin ha sottolineato che è stato ignorato il punto chiave e cioè come sono intenzionati a seguire il principio, fissato nei documenti basilari dell’OSCE e dell’accordo fra Russia e Nato, sulla indivisibilità della sicurezza, cioè nessuno deve rafforzare la propria sicurezza a spese degli altri.

I media occidentali ieri hanno riportato i particolari della risposta degli Stati Uniti e della Nato alle richieste della Russia, ma i rappresentanti dell’Alleanza Atlantica e i funzionari dell’Amministrazione americana gli hanno notevolmente alleggerito il compito: funzionari non ufficiali hanno organizzato la fuga di notizie, mentre ufficialmente sono intervenuti per avanzare pretese alla Russia. Il solito gioco. Però adesso siamo entrati in una partita lunga, perché non si tratta dell’Ucraina, ma di disegnare un nuovo ordine mondiale, dove, nel caso gli Stati Uniti non se ne siano accorti, non sono più loro a dare le carte, a dettare il gioco e regole. Il mondo unipolare è finito ma gli statunitensi non vogliono accettarlo. I mass media occidentali sostengono tale linea e continuano a mentire scrivendo che le trattative tra Russia-Nato-Usa sono imperniate sulla questione ucraina. Ieri, per illustrare la risposta, il Segretario di Stato americano Anton Blinken all’incontro coi giornalisti ha detto cose insignificanti: “nel documento non ci sono proposte dirette, ma solo alcuni pensieri, alla cui stesura ha preso parte il presidente Biden, ma se la Russia è intenzionata sul serio, possiamo rafforzare la sicurezza collettiva”.

Oggi ha commentato il ministro degli esteri russo Lavrov. Alla domanda del Capo redattore di Russia Today, Margarita Simonyan, se ci sarà o no la guerra, ha così risposto: “Se dipendesse dalla Russia, le guerre non ci sarebbero, noi non vogliamo la guerra, però non permettiamo di ignorare, né calpestare rozzamente i nostri interessi. Le trattative non sono finite, abbiamo ricevuto solo l’altro ieri la risposta, che è redatta nello “stile occidentale”, su molte cose c’è il tentativo di ingarbugliare la matassa, ma ci sono anche semi razionali ma solo su questioni di secondaria importanza. Di fronte alla risposta della Nato, quella degli Stati Uniti appare un modello di decenza diplomatica! La risposta della Nato è così ideologizzata che trasuda tracotanza da tutti i pori: “esclusività dell’Alleanza Atlantica”, “la Nato possiede un destino speciale, una missione ineguagliabile”. “Nel leggerla, io stesso, – continua Lavrov –, ho provato un po’ di vergogna per chi ha scritto quel testo!”. Mentre pronunciava queste parole, a Lavrov si muovevano le mani come per rappresentare tale “eccezionalità” della Nato. Poi ha aggiunto: “La ‘costruttività’ che c’è nel testo di risposta della Nato – per chiamare le cose col loro nome – è stata presa in prestito dalle iniziative della Russia negli ultimi tempi, ma almeno, come si dice, è già qualcosa. Ma la cosa, principale, essenziale per la Russia, è venire a capo dei fondamenti concettuali sui quali si regge la sicurezza europea. Purtroppo gli Stati Uniti e la Nato cercano di sbarazzarsi delle loro responsabilità”.

Non si tratta solo di irresponsabilità, ma anche di follia della menzogna e idiozia patologica. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha scritto oggi di aver avuto “una conversazione proficua con il ministro degli Esteri britannico, Liz Truss, e hanno stabilito l’importanza di coordinare una risposta all’aggressione della Russia sui suoi confini con l’Ucraina”. La portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova ha risposto sarcasticamente. Sarebbe a dire che la Russia ha aggredito, invaso se stessa?
La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki :“Per prima cosa dico che l’aggressore è la Russia e per quanto riguarda le minacce dei russi rispondo con la dichiarazione di Blinken che mi è piaciuta: la situazione assomiglia a quella della volpe che minaccia di attaccare le galline nel pollaio perché sente venire da loro la minaccia”.
Che dire della metafora del funzionario Blinken? Gli statunitensi si identificano con i padroni di un pollaio di galline? Una cosa è certa, negli ultimi anni le dichiarazioni dei rappresentanti del potere statunitense sono scese a un livello infimo, dando la cifra del degrado morale dell’Occidente. Oggi Viktoria Nuland ha proposto di far defluire nel gasdotto “vodka” e lo ha definito “un mucchio di metallo sui fondali dell’Oceano”.  Negli USA la Germania viene bollata di essere un “partner inaffidabile”, la “scontentezza” riguarda il non voler stoppare il gasdotto North Stream 2”, nonostante le minacce e la pressione, ma gli alti interessi economici valgono la pena di persistere.

Oggi il presidente ucraino Zelenskij ha ricevuto la tanto attesa telefonata da Biden, ma il risultato del colloquio non è buono. La CNN ha rivelato dei particolari e cioè che Biden sarebbe andato letteralmente su tutte le furie quando ha appreso dal presidente ucraino che questi non crede nell’aggressione di Putin. Biden ha avvisato Zelenskij che “l’invasione è inevitabile e la città di Kiev verrà saccheggiata dai russi”.
Gli statunitensi provano grande delusione per la guerra annunciata che non arriva! Oggi lo speaker del Pentagono, Kirby ha dichiarato che gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per rilevare tutti i segnali dell’inevitabile escalation in Ucraina, insomma stanno implorando la guerra, ma Putin non si muove e tace. La Casa Bianca cova chiaramente il piano della guerra e nella spasmodica voglia manda ingenti nuovi aiuti militari, perché – come dicono – “l’Ucraina è la vittima”. Mandare le armi in Ucraina è però prerogativa solo dell’Occidente.

Il primo vice presidente del Consiglio della Federazione Russa, nonché segretario del Consiglio del Partito “Russia Unita”, ieri ha fatto una dichiarazione importante: “Siamo estremamente preoccupati del fatto che l’Ucraina viene continuamente imbottita di armi letali dall’Occidente, quasi tutti i maggiori paesi Nato lo fanno e in enormi quantità: quest’anno, solo dagli Stati Uniti e Gran Bretagna sono stati compiuti decine e decine di voli in Ucraina, dove sono stati portati complessi missilistici, lanciagranate, armi portatili, mine e molto, molto altro. Ritengo che in tali condizioni, la Russia deve dare aiuto alle due repubbliche di Lugansk e Donetsk, fornendo loro determinati tipi di armi che aumentino la loro capacità di difesa militare, per contenere l’aggressione militare che Kiev ha preparato per il Donbass. Bisogna fermare il regime di Kiev!”.  La reazione degli Stati Uniti è stata molto negativa, hanno dichiarato che la Russia per mandare gli aiuti militari al Donbass, deve prima concordarlo col Consiglio di Sicurezza dell’ONU, altrimenti questo è una violazione del diritto internazionale.

Il Donbass ovviamente non può che gioire dell’aiuto militare: “accetteremo con riconoscenza dalla Federazione Russa qualsiasi aiuto che possa servire a minimizzare i possibili rischi e perdite umane”. Secondo le parole del ministro Lavrov, “Washington usa l’Ucraina, fornendo le armi a Kiev cerca di accendere il conflitto aumentando costantemente la tensione. Gli Stati Uniti, sempre più apertamente e cinicamente, usano a tal punto l’Ucraina contro la Russia che lo stesso regime di Kiev si è spaventato e prova ad abbassare la retorica, e dice di non accendere così la discussione, ancora non c’è bisogno di evacuare le ambasciate; ma chi ha evacuato il personale dalle ambasciate? – dice Lavrov, – gli americani e gli altri, anglosassoni, canadesi e britannici, ciò significa che costoro sanno qualcosa, sanno qualcosa che gli altri non sanno, ne consegue che dobbiamo pensare che anche contro di noi hanno ordito delle provocazioni, sarà il caso che anche noi prendiamo le nostre misure preventive?”.

In pratica, l’enorme compito della pacifica Russia adesso è prevenire la guerra che gli Stati Uniti stanno scatenando in Europa e in Ucraina.

da qui

VEDI ANCHE QUESTI LINK

Italia-Russia, gli interessi economici prima di tutto

di Simone Ogno

è qui: https://www.recommon.org/italia-russia-gli-interessi-economici-prima-di-tutto

 

«Che ci fa la Turchia in Ucraina?»: un’utile analisi di Murat Cinar sull’espansionismo militare di Erdogan si può leggere qui ogzero.org/che-ci-fa-la-turchia-in-ucraina/

 

E sempre su ogzero-org cfr gli interventi di Yurii Colombo sulla situazione ucraina; qui l’ultimo: https://ogzero.org/russia-ucraina-la-possibile-guerra-del-dottor-stranamore/

 

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

10 commenti

  • Aggiungo alcuni articoli di Peacelink:
    https://www.peacelink.it/editoriale/a/48971.html – Loro preparano la guerra, noi prepariamo la pace
    https://www.peacelink.it/conflitti/a/48980.html – Ucraina: quali sono le proposte della diplomazia russa considerate “irricevibili” da Biden?
    https://www.peacelink.it/conflitti/a/48979.html – Ucraina nella NATO? Solo con l’unanimità

  • domenico stimolo

    Sono vicinissimi gli orrori della guerra in Europa

    In questo momento, dove richiamati ossessivamente, risuonano forte i rumori della guerra in EUROPA, trascorsi 77 anni dal 1945, dalla fine degli gli orrori di guerra totale seminati dal nazifascismo, in Italia tutto tace!
    Che fine ha fatto il grande Movimento per la Pace che ha caratterizzato la storia recente del nostro Paese?
    Perché le grandi organizzazione della Memoria democratica, della Resistenza, della Deportazione ( Anpi, Aned……..) sono silenti?
    Dovrebbero essere alla testa del Movimento per la Pace contro la guerra manifestante, senza tregua, nelle città!
    Ciò vale per tutti coloro che da sempre sono impegnati per la Pace, cattolici, laici e sinistra culturale ed organizzata.
    Siamo tutti diventati robots nelle mani dei criminali fautori della Guerra?

    Questo Mi chiedo e chiedo.
    domenico stimolo

  • Su “ODISSEA” di oggi tre interessanti interventi di Antonia Sani, Silvana Barbieri e Giuseppe Bruzzone: libertariam.blogspot.com/2022/02/crisi-ucraina-saraguerra-la-voce-dei.html

  • NO ALLA GUERRA IN UCRAINA, NO ALL’ESPANSIONISMO DELLA NATO
    MOBILITIAMOCI PER UNA SOLUZIONE DI PACE
    Sabato 19 e domenica 20 febbraio iniziative in tutta Italia

    L’ulteriore tentativo di allargamento della NATO fino ai confini della Russia è alla base dell’escalation guerrafondaia in Ucraina. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno sponsorizzato le forze etno-nazionaliste che hanno riabilitato come eroi nazionali i collaborazionisti col nazismo come Bandera e portato avanti politiche discriminatorie verso la popolazione di lingua russa.

    Non bisogna essere dei sostenitori di Putin per comprendere che la Russia non può accettare di ritrovarsi missili e basi NATO ai suoi confini, né può voltare le spalle alle popolazioni del Donbass a cui l’Ucraina nega persino l’autonomia prevista negli accordi di Minsk che erano stati condivisi dal consiglio di sicurezza dell’ONU.
    L’Ucraina si rifiuta di riconoscere l’autonomia permanente del Donbass anche perché la regione potrebbe sfruttare la sua posizione costituzionale all’interno dell’Ucraina per bloccare l’adesione all’UE e alla NATO.

    È evidente che la neutralità dell’Ucraina e il riconoscimento dei diritti delle popolazioni delle regioni di lingua russa in uno Stato plurinazionale sono l’unica via di uscita dalla crisi. Durante la guerra fredda la neutralità di Finlandia, Svezia e Austria ha costituito un’esperienza sicuramente positiva sotto ogni punto di vista, mentre Unione Europea, NATO e Stati Uniti continuano a fomentare da anni una guerra a bassa intensità dell’Ucraina contro le repubbliche autonome del Donbass.

    È l’Ucraina, con la copertura occidentale, a violare costantemente gli accordi di Minsk.

    Andrebbe ricordato il ruolo svolto da UE, compresi gli europarlamentari del PD, nel sostegno a Euromaidan presentata come una rivoluzione democratica. Nonostante il palese coinvolgimento di forze neonaziste nel processo avviato con l’Euromaidan, l’Ue dal 2014 ha avviato un accordo di associazione con l’Ucraina, finanziato prestiti, sottoscritto nel 2016 accordi di libero scambio commerciale, liberalizzato i visti.

    È ipocrita l’accusa alla Russia di difendere le repubbliche autonome del Donbass visto che la NATO ha fatto una guerra per consentire al Kossovo di dichiararsi indipendente dalla Serbia.

    Dallo scioglimento dell’URSS, gli USA e la NATO hanno violato gli impegni assunti con Gorbaciov assorbendo i Paesi dell’Europa orientale e non è un caso che l’ex-presidente si sia schierato dalla parte di Putin, come la stessa opposizione comunista.

    È interesse del nostro Paese la risoluzione pacifica della crisi e la ripresa della cooperazione con la Russia. Il Ministro degli Esteri italiano ha invece “brillato” per subalternità agli Usa ritirando parte del personale diplomatico dall’Ambasciata di Kiev, a differenza di quanto hanno fatto altri paesi europei e la stessa diplomazia Ue. Ed il “ministro della guerra”, Guerini getta benzina sul fuoco con lo spiegamento di Alpini e mezzi corazzati nei paesi baltici, aerei da combattimento eurofighter in Romania, le navi della marina militare nel mar nero, e l’arrivo previsto della portaerei Cavour con i suoi F35 a decollo verticale.

    Proprio l’Italia dovrebbe invece continuare a chiedere quella verità e giustizia finora negata su Andrea Rocchelli, assassinato il 24 maggio 2014, vicino alla città di Sloviansk, in Ucraina, mentre documentava le condizioni dei civili intrappolati nel conflitto del Donbass.

    Nessun partito nel parlamento italiano ha il coraggio di dire apertamente che la prepotenza degli Stati Uniti e della NATO anche nel caso ucraino rappresenta una minaccia per la pace.

    L’escalation in corso vede USA e NATO fare pressione su paesi europei che hanno invece interesse alla cooperazione e a rapporti costruttivi con la Russia.

    I folli piani di destabilizzazione statunitensi hanno già prodotto una guerra di bassa intensità tra Ucraina e repubbliche autonome che dal 2014 ha causato secondo alcune stime 14.000 vittime.

    L’atlantismo – divenuto ideologia ufficiale del PD e di gran parte delle forze politiche – si dimostra ancora una volta il peggiore nemico della pace. L’Italia deve smettere di esserne complice andando contro i suoi stessi interessi.

    Rifondazione Comunista invita alla mobilitazione contro i rischi di guerra e per una soluzione positiva della crisi ucraina e aderisce alla mobilitazione proposta da Peacelink per il prossimo 26 febbraio.

    In considerazione dell’escalation in atto proponiamo di dare vita già sabato 19 e domenica 20 febbraio a iniziative per la pace in tutti i territori del nostro paese coinvolgendo partiti, associazioni, sindacati, movimenti, anche per dare più forza alla mobilitazione già lanciata per la settimana successiva.

    Ordine del giorno approvato all’unanimità dalla direzione nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

  • domenico stimolo

    FIRMA L’APPELLO . Loro preparano la guerra, noi prepariamo la pace
    Campagna: Campagna Ucraina

    Promossa da: PeaceLink

    Campagna di mobilitazione contro le minacce di guerra in Ucraina e per la costituzione di comitati per la pace a livello locale.

    La crisi in Ucraina e le tensioni fra Russia e Nato rischiano di sfociare in una guerra dagli esiti imprevedibili, che potrebbe degenerare in un confronto nucleare.

    Contro l’escalation militare è importante mobilitarsi perché l’Italia e l’ONU svolgano un ruolo di distensione in questo difficile momento.

    Voglio sostenere le iniziative di pace che facciano sentire la voce di chi ripudia la guerra, così come recita l’articolo 11 della Costituzione Italiana.

    Con questa adesione esprimo la volontà di collaborare alle attività contro la guerra e di partecipare alla costituzione di un comitato per la pace a livello locale.

    Hanno già aderito: Rete Radiè Resch Associazione di solidarietà inter , Legambiente Versilia , Rete Donne in Nero – Italia , COMITATO RICONVERSIONE RWM , Punto Pace Napoli Pax Christi , Pax Christi Salerno , Il femminile è politico: potere alle donne , Rifondazione Comunista – Sinistra Europea , Anpi 7 martiri di Venezia , Sezione Anpi Erminio Ferretto di Mestre , Esodo associazione , Il richiamo del Jobél odv , Comitato Pace e Cooprezione Internazionale Comune , Arcisolidarieta’ Siracusa , Stonewall , Pax Christi Venezia Mestre , Gruppo Educhiamoci alla Pace – ODV , Centro di Pastorale Sociale e del Lavoro diocesi M , Casa degli Italiani , Sindacato Europeo dei Lavoratori , Mir Palermo , Donne per la Solidarietà , Gruppo di Democrazia Partecipata , Stella Maris Apostolato del mare , Associazione Genitori tarantini , Costruttori di Pace odv , Amici Silvestro Montanaro , Comitato Fermiamo la Guerra firenze , Rete Radie’Resch gruppo di Salerno , Associazione kyrios , Ennio Cabiddu, Comitato Ass. per la Pace Diritti Umani Rovereto , Associazione per la Pace , ASSOCIAZIONE CULTURA DELLA PACE , Francesco Lo Cascio, Centro Gandhi , Libera Taranto , Agenzia per la pace , Casa per la pace Grottaglie , Associazione Umanista Culture in Movimento onlus , PeaceLink , Comitato Intercomunale per la Pace del magentino , Adriana De Mitri, Alberto Cacopardo, Alessandra Mecozzi, alessandro capuzzo, Alessandro Marescotti, Angelo Baracca, Angelo Cifatte, Anna Ferruzzo , Annamaria Bonifazi, Annamaria Moschetti, Antonello Rustico, antonio bruno, Antonio Ghibellini, Antonio Mazzeo, Cinzia Zaninelli, Dale Zaccaria, Domenico Gallo, Domenico Palermo, don Antonio Panico, don Marco Tenderini, Elio Pagani, Emanuele De Gasperis, Enrico Peyretti, Francesco Iannuzzelli, Fulvia Gravame, Gaia Pedrolli, Gianni Alioti, Giovanni Matichecchia, Giovanni Pugliese, giovanni scotto, Giuliana Dettori, Giustino Melchionne, gregorio piccin, Jason Nardi, Laura Tussi, loredana Flore, Luisa Morgantini, Marco Dalbosco, Marco D’Auria, Marco Trotta, Mariaclaudia Salvaggio , Massimo Wertmuller , Massimo Castellana, Mauro Biani, Michele Boato, nanè giuseppina, paolo candelari, Paolo Crosignani , Paolo Moro, paxchristi_paronetto@yahoo.com , Pierangelo Monti, Raffaello Zordan, Riccardo Iacona, rossana de simone, Suor patrizia Pasini, tiziano cardosi, turi palidda, Vittorio Agnoletto
    ADERISCI:

    Come persona

    Come associazione

    http://www.peacelink.it/campagnaucraina

  • domenico stimolo

    PETIZIONE:Ucraina. La guerra è una follia!

    Proponenti:
    Tavola della pace
    Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova

    PER FIRMARE: https://www.change.org/p/ucraina-la-guerra-%C3%A8-una-follia

  • CONFLITTO NATO/RUSSIA/UCRAINA: MOBILITIAMOCI PER LA PACE
    La presa di posizione approvata dal Comitato Nazionale di Un Ponte Per

    “La guerra che verrà non è la prima.
    Prima ci sono state altre guerre.
    Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
    Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
    Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.”
    Bertolt Brecht

    Un Ponte Per parteciperà a tutte le mobilitazioni per la pace e contro la guerra tra la Nato, la Russia e l’Ucraina previste nei prossimi giorni. Vi parteciperemo indipendentemente dalle piattaforme di convocazione perché riteniamo importante che in queste ore si alzi forte la voce dalla società civile per impedire nel nostro continente una nuova ed insensata carneficina.

    Abbiamo già manifestato la nostra idea di “neutralità attiva” e di non allineamento a cui dovrebbe attenersi il nostro Governo e la stessa Unione Europea. Neutralità attiva non significa stare fermi o in disparte in attesa che gli eventi si compiano, ma operare fattivamente per far abbassare la tensione, creare canali di dialogo, assumere iniziative forti che avvicinino i popoli e consentano una soluzione negoziata e giusta della crisi. Neutralità attiva significa che il nostro Governo deve:
    a) Dichiarare l’indisponibilità dell’Italia alla partecipazione al conflitto ritirando i militari oggi schierati nell’Europa orientale.
    b) Formalizzare la propria contrarietà all’ulteriore estensione ad Est della Nato.
    c) Avviare una nuova politica estera basata sul multilateralismo.
    Ai sindaci e alle sindache delle nostre città chiediamo di convocare in Italia i loro colleghi delle città delle zone contese in Ucraina e in Russia e di chiedere ai sindaci e alle sindache delle altre città europee di convocare un summit di pace e di dialogo tra quei popoli. Solo costruendo ponti, mobilitando le coscienze ed unendo i popoli, i signori della guerra potranno essere fermati.
    La nostra idea è quella di chi si batte per un continente, dall’Atlantico agli Urali, libero da armi nucleari, in cui ogni muro, confine e barriera siano abbattuti, in cui tutti i popoli siano ugualmente liberi. Un continente unito e solidale in cui ognuno possa parlare la propria lingua e in cui tutte le lingue possono essere insegnate nelle proprie scuole perché il pluralismo linguistico è un patrimonio dell’umanità a cui nessun popolo deve dover rinunciare.
    Ci battiamo affinché tutte le risorse naturali e le ricchezze di questo continente siano messe a disposizione di tutti e di tutte per sostenere il benessere delle popolazioni, sottraendole alla logica del profitto e della distruzione della natura, riconvertendo l’attuale sistema economico con uno diverso basato sulla giustizia sociale e veramente ecosostenibile.
    Riteniamo i Patti militari, la loro stessa esistenza ed ulteriore estensione, una minaccia alla sicurezza dei popoli. Già oggi il clima di guerra fredda imposta nel nostro continente dalla contrapposizione NATO/Russia ha fatto raddoppiare la spesa per armamenti sottraendo preziose risorse alla lotta alle diseguaglianze, alle malattie, alla povertà e ad una vera conversione ecologica dell’economia. Alla logica di potenza dei blocchi vogliamo che si sostituisca il concetto della sicurezza condivisa, con un rilancio delle Nazioni Unite e dell’OSCE come fautori principali della sicurezza e della cooperazione comune.
    I nazionalismi hanno già in passato portato alla tragedia l’Europa, mettendo i popoli l’un contro l’altro armati. Dietro ogni nazionalismo prospera l’estrema destra xenofoba e razzista e l’Europa che ha conosciuto l’orrore del nazifascismo non può permettere che questo avvenga impunemente.
    Noi vogliamo per il nostro continente il multilateralismo, la convivenza pacifica, i diritti di cittadinanza per tutti/e coloro che lo abitano senza discriminazione alcuna.
    Non è vero che l’Europa è stato territorio di pace dalla fine della Guerra mondiale ad oggi. Nord Irlanda, Alto Adige-Sud Tirol, Cipro, Paesi Baschi, Cecenia, ex Jugoslavia sono lì a ricordarci che la pace deve essere sempre inclusiva e non può basarsi sulla spartizione etnica o il dominio militare.
    La guerra che spira ad oriente è figlia diretta di chi ha distrutto le aspirazioni di pace dei popoli dopo la caduta del muro di Berlino e di chi ha dimenticato la lezione delle guerre globali del secolo scorso.
    La prima e la seconda Guerra del Golfo, quelle in Afghanistan, in Siria, in Libia, in Abkazia o in Nagorno Kharabak, ci raccontano del fallimento dei governi che hanno sdoganato la guerra come sistema di risoluzione delle controversie internazionali, in violazione della Carta dell’ONU e per noi italiani dell’art.11 della Costituzione. Dalle macerie di quelle guerre il mondo si è trovato più insicuro ed ingiusto.
    Dalla provetta delle armi di sterminio di massa in Iraq mostrata da Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, abbiamo imparato a non fidarci dei rapporti dei servizi segreti, della propaganda bellicista, del tentativo di militarizzare le coscienze dell’opinione pubblica per renderle accondiscendenti all’uso della forza.
    Chi pubblica i documenti delle stragi, dei crimini perpetrati contro inermi come ha fatto il giornalista Julian Assange, è messo agli arresti e rischia di essere estradato e consegnato a chi ha interesse a che l’informazione non sia veramente libera.
    Noi che siamo abituati a guardare le guerre con gli occhi delle vittime, da chi riceve sulla propria testa le bombe, da chi soffre i lutti, le deportazioni, gli stupri, la riduzione in schiavitù, non tifiamo né per Mosca né per Washington ma ci battiamo per la pace.
    Perché solo la pace crea futuro e sicurezza.

  • domenico stimolo

    E’ certamente utile rilanciare l’APPELLO promosso da Peacelink: ” CAMPAGNA UCRAINA – Loro preparano la guerra noi prepariamo la pace”.
    PER FIRMARE:
    https://www.peacelink.it/campagne/index.php?id=104&id_topic=3

  • domenico stimolo

    APPELLO DELL’ANPI NAZIONALE

    “Ucraina: TORNI UN GRANDE MOVIMENTO PER LA PACE”

    22 Febbraio 2022

    Appello della Segreteria nazionale ANPI

    L’UMANITÀ AL POTERE

    Siamo a un passo dal baratro. A chi governa la Russia, gli Stati Uniti, l’Ucraina, i Paesi dell’Unione Europea, il nostro stesso Paese, chiediamo un atto di responsabilità e di saggezza. Prima che sia troppo tardi. Il delirio bellicista va sconfitto dalla forza tranquilla di Paesi e popoli che sanno che la guerra, oltre a lacrime, sangue e devastazioni, oggi porta solo alla sconfitta di tutti; basti pensare all’Iraq, alla Libia, all’Afghanistan.

    LANCIAMO UN APPELLO PERCHE’ IN TUTTA ITALIA AL PIU’ PRESTO SI DIA VITA A INIZIATIVE, PRESIDI, MANIFESTAZIONI UNITARIE PER LA PACE. TORNI UN GRANDE E DIFFUSO MOVIMENTO PER LA PACE, OGGI TIMIDO, E CONTRO L’IRRESPONSABILE CORSA AL RIARMO.

    Il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass da parte della Russia può portare il mondo a un passo dalla guerra ed è l’ultimo, drammatico atto di una sequenza di eventi innescata dal continuo allargamento della NATO ad est vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia.

    Auspichiamo che si avvii perciò una trattativa generale sotto l’egida dell’ONU per ottenere questi obiettivi:

    • Contestualmente, l’Ucraina riconosca l’autonomia del Donbass prevista dagli accordi di Minsk, ma mai attuata dal governo di Kiev, rispetti la sua popolazione russofona, cessi i bombardamenti in Donbass confermati dalla fuga di decine di migliaia di civili di quella regione in Russia, sciolga le milizie naziste, oggi in prima fila nell’attacco al Donbass, e Putin revochi il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass, perché viola l’integrità territoriale di un Paese sovrano e scatena una serie di reazioni e controreazioni che possono portare in brevissimo tempo alla guerra.

    • L’Unione Europea, nel condannare il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass da parte della Russia, avanzi una proposta di composizione pacifica del conflitto al fine dell’attuazione integrale degli accordi di Minsk e avvii finalmente una politica di cooperazione e non di continua ostilità nei confronti della Russia. La vera forza dell’Europa unita è nella sua capacità di proporsi come messaggero di amicizia fra i popoli.

    • Biden cessi immediatamente sia le clamorose ingerenze nella vita interna dell’Ucraina iniziate fin dai tempi di Maidan, quando nel governo ucraino entrò la statunitense Natalia Jaresco, sia le sue dichiarazioni belliciste e le sue ininterrotte minacce nei confronti della Russia.

    • La NATO non può e non deve intervenire in caso di precipitazione bellica, perché ciò avverrebbe in violazione dei suoi compiti, che sono limitati alla difesa dei soli Paesi membri dell’Alleanza. In sostanza va profondamente ridiscusso il ruolo della NATO, che non può essere al servizio di una politica di potenza, e vanno avviate trattative per un sistema di reciproca sicurezza che garantisca sia l’UE che la Federazione russa.

    Auspichiamo in particolare che il governo italiano rispetti un inviolabile obbligo costituzionale: l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

    L’Italia può svolgere un ruolo di raffreddamento delle tensioni e di pacificazione attraverso gli strumenti della diplomazia e del negoziato. Così rafforza il suo prestigio internazionale e il suo ruolo di ambasciatrice di pace nel mondo.

    CONTRO IL POTERE DELLA GUERRA E CONTRO OGNI LOGICA IMPERIALE, DIAMO VOCE ALLA PACE PER L’UMANITÀ AL POTERE!

    LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

    22 febbraio 2022

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    «Ricordando Andrea Rocchelli, assassinato perchè documentava gli eccidi ucraini nel Donbass»
    potete leggerlo qui:
    https://www.kulturjam.it/news/ricordando-andrea-rocchelli-assassinato/

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