Morte “Bianca”

di Michele Zizzari (*) con una nota della “bottega”

Si svegliò all’alba, e come al solito

si recò al cantiere d’un centro commerciale

da poco aperto al pubblico

ma con un’ala ancora in costruzione.

Freddo scheletro di ferro e di cemento

a disturbare l’ordine conforme

d’una mesta periferia residenziale

avvolta nella nebbia dell’umida Padania.

Raggiunse il posto del lavoro clandestino

con meridionali a cottimo, romeni e altri neri

sul furgone arrugginito d’un caporale italico.

Uno di quelli (senza scrupoli) che ti prende i documenti

con la pistola in faccia: zitto, cresta bassa e badilare.

Per pasto una razione di riso e di sudore

e grasso di pollo in cloruro di vinile

che a lui pareva fosse anatra all’arancia

da consumare in fretta nella pausa pranzo

seduto sulle assi instabili delle risulte edili.

Salì col suo dinoccolato incedere

per la scalcinata nuda scalinata

che portava all’ultimo solaio.

E come quei pronipoti pellerossa

che hanno edificato i grattacieli

in acrobazia sulle scivolose travi

senza casco, guanti e imbracatura

prese a lavorare all’impalcatura.

E mentre sgobbava, meditava e si chiedeva

chi glielo faceva fare per un euro all’ora,

pensò alla famiglia in Africa,

ai figli e alla sua donna

che aveva salutato al buio senza far rumore

nell’angusto sottoscala d’un lotto popolare.

Uno squallido abituro sgarrupato,

di quelli in fitto agl’immigrati,

che vanno, disperati, a rischio della vita

per mari, per monti e per deserti

fuggendo tirannie, guerre e carestie.

Continuò allora a martellare,

a piegare l’anima del ferro,

a sagomare camice di cemento.

E mentre malediva quella mala sorte

senza avviso l’inghiottì la bruma dell’aurora.

Cadde in volo come un piccione impallinato

e si schiantò sul marciapiede come un fagotto sfatto

in un cozzo sordo e un grido rattrappito

proprio all’entrata principale dell’ipermercato

sul lato del fabbricato appena inaugurato.

Crepò di botto tra la gente attonita

accorsa per il sacro rito della spesa

e le allettanti promozioni tre per due

profanando il nuovo tempio del commercio,

costringendo agli straordinari

il Pronto Soccorso e la Municipale.

Per gestori, appaltatori, clienti e caporali,

quella morte, bianca per caustica ironia,

fu solo un fastidioso contrattempo .

Il giorno dopo un trafiletto sulla cronaca locale

e lo sdegno d’occasione d’un sindacalista,

d’un prelato e del politico di turno,

per poi tornare alla normalità d’una assuefatta inerzia

fino all’altro morto di cui si avrà notizia;

stando alle statistiche, ogni giorno… ogni ora… ogni minuto

(*) inedito, ma contenuto nello spettacolo di musica e poesia dedicato alle “morti bianche” intitolato «Moto Neo Poetico Sonoro: la Poesia che nutre l’Utopia».

 

UNA NOTA DELLA “BOTTEGA”

«Morte bianca per caustica ironia» scrive Michele Zizzari. E’ un gioco tanto raffinato quanto ignobile “sbiancare” le morti e il peggior giornalismo (cioè quasi tutto) da noi lo esercita ogni giorno, salvo quando c’è appunto «lo sdegno d’occasione» che però viene dimenticato tre secondi dopo, invocando «snellimento delle procedure» (cioè meno controlli) per aiutare le aziende, la “crescita”, il Pil e via con le marchette. Una fase del gioco è sbiancare i morti sul lavoro non dicendo che sono migranti (“neri” quelli africani certo, ma anche gli indiani, i cinesi o gli slavi perchè il colore lo decide il potere non qualche scala cromatica) perchè altrimenti si darebbe di loro una visione positiva e/o si farebbe capire quaaaaaaaanto l’economia italiana deve al lavoro “nero” soprattutto dei migranti. Un’altra fase del gioco è nominare invece sempre il colore (l’etnia o la nazionalità) se invece i migranti sono accusati – talvolta a ragione, spesso a casaccio – di qualunque piccolo crimine.

Parlando di chi crepa sul lavoro il termine “morti bianche” è molto usato: ma è insensato e nasce da un’altra manipolazione. In passato si era diffusa un’espressione pericolosa: «omicidi bianchi» intendendo che di lavoro si muore per colpa di delinquenti in guanti bianchi cioè padroni e istituzioni che non si macchiano di sangue ma consentono – anzi tutelano – una organizzazione assassina che riduce la vita umana a un piccolo fastidio sulla strada del profitto assoluto. Ma cambiando «omicidi» in «morti» quel color bianco più NULLA significa: come a niente serve «lo sdegno d’occasione», il pianto delle iene e dei coccodrilli.

Le immagini sono scelte dalla “bottega”: la seconda è di Enzo Apicella.

Redazione
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