Morte di un amico (che era anche…

… un bravo giornalista): Daniele Barbieri e Maria Paola Masala ricordano Mauro Manunza

Mauro Manunza è morto pochi giorni fa. E’ stato il mio “capo” prima – al quotidiano «L’Unione sarda» – e poi un amico.

Sono arrivato all’«Unione» nell’ottobre 1988, chiamato da Massimo Loche, il nuovo direttore. Un sardo, ma continentalizzato, di grande esperienza (era stato anche in Vietnam durante la guerra): Loche avrebbe dovuto portare avanti il progetto di svecchiamento che era nella testa di Nicola Grauso, il nuovo padrone dell’«Unione».

Grauso aveva alcune idee molte avanzate su tecnologia e comunicazione dentro una visione del mondo che sempre più si rivelava politicamente ottocentesca, incluse le relazioni con giornaliste/i che oscillavano fra amicizia («chiamatemi Nicki») e fedeltà assoluta. Lo accenno solo per chiarire il quadro in cui mi trovai a lavorare.

A me piaceva fare giornalismo d’inchiesta (soprattutto sociale) e quello da «terza pagina» cioè che si muoveva fra le due – anzi mille – culture. Ma a Cagliari ero nuovo, ignoravo quasi tutto e dunque dovevo partire dalla “gavetta”. Cosa di meglio per imparare che lavorare in cronaca cittadina?

Come molti intuiscono le cronache (non solo la «nera») locali sono il luogo in cui si possono scatenare i peggiori istinti forcaioli. E fra i tanti problemi uno dei più spinosi è il rapporto con la polizia: uno sguardo troppo critico sul loro lavoro significa che le fonti (notizie e indiscrezioni sotto banco) si inaridiscono: nessun giornale (o quasi?) può permettterselo.

Dunque la sfida era assai difficile per me. Oltre a non conosere il territorio avevo due handicap (o pregi, a seconda di chi li vede): ero di estrema sinistra e cercavo di essere molto onesto.

Ho chiarito rapidamente il quadro d’insieme perchè in questa mia difficoltà ho conosciuto il miglior Mauro Manunza che appunto dirigeva la cronaca di Cagliari: molto onesto e bravo, dunque mi ha insegnato un sacco di cose (forse presuntuoso ogni tanto lo sono ma scemo no e dunque se trovo da imparare non chiudo il cervellino).

In quanto “capo” della cronaca era quasi sempre Mauro che si trovava ad affrontare il maggior numero di rogne quotidiane. Sapeva cavarsela sempre, senza chinare la schiena.

Lavorando con lui un paio di volte mi sono “imbizzarrito” – cioè non mi sono mosso come il giornalista tipico – su questioni delicate. Mauro mi ha lasciato le briglie sciolte per un motivo banale: andando a fondo delle questioni specifice ha capito che (quasi sicuramentne) avevo ragione. Non smetterò di essergli grato per questo ma anche per avermi tirato le orecchie quell’altro paio – o forse trentacinquina – di volte che volevo strafare. Più o meno mi diceva: «Barbieri, hai fatto un bel lavoro e dunque non rovinarlo con una notizia non certa» (o in altri casi: «con una battuta magari carina ma superflua» oppure «con un pizzico di ideologia fuori luogo»). E aveva ragione lui.

Quando sono stato censurato all’»Unione» non accadde per decisione di Mauro ma per altri meccanismi che adesso non sto a spiegare.

In un quotidiano – come forse ovunque – ti devi muovere fra brave persone (non tantissime) e qualche mascalzone ma soprattutto dentro una maggioranza di “zona grigia” cioè di chi non è cattivo ma si fa gli affari propri, in stile “tre scimmiette”. Io non sarei stato – e non sarei – capace di giostrarmi; Mauro Manunza sì, era quasi un mago, tirava fuori il “meglio” da tutti (mascalzoni esclusi, ovviamente).

Un bravo giornalista dunque. Ma con il tempo anche un amico. Attento e affettuoso: il primo a piombarmi a casa per festeggiare la nascita di Jan. E persino, un paio di volte, a chiedermi «perchè quella faccia triste?».

Dopo 5 anni ho lasciato la Sardegna ma lì ho conservato – e sono passati oltre due decenni – grandi, belle amicizie e fra queste c’era Mauro … che dal 2000 in poi si ribattezzava “Meuro” per parodiare la moneta unica.

Come tutti aveva difetti. Ma come pochissimi era capace col tempo di ammetterli e ragionare dei suoi sbagli.

Siccome io non ho avuto un padre (all’anagrafe sì ma nel mondo reale no) Mauro è diventato uno dei 4-5 “supplenti” che ho scelto… un “vecchio saggio” anche se aveva soltanto 7 anni più di me. Forse non gliel’ho mai detto così chiaramente ma lui lo sapeva. Era più che stima e amicizia. Gli ho proprio voluto bene. Mi mancherà.

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Questo è il «mio» Mauro ma siccome della sua storia qui mancano tantissimi pezzi (5 anni sono tanti ma anche pochissimi) importanti ho chiesto a Maria Paola Masala – un’amica e collega all’«Unione Sarda» – di raccontare altro.

Più gentile di Vittorino Fiori, più disinvolto di Tarquinio Sini, e non meno severo di entrambi. Chi credeva di scamparsela, mettendo nelle sue mani l’articolo che aveva faticosamente composto, restava deluso. Mauro Manunza era il meno temuto dei cerberi della gloriosa cronaca di Cagliari dell’Unione Sarda, ma non faceva sconti a nessuno. Penna in mano, correggeva, sottolineava, toglieva virgole, aggiungeva punti. E dava suggerimenti preziosi. Non urlava, questo no, ma ogni sua lettura era un esame, ogni sua puntualizzazione una lezione di giornalismo. La sua scrittura era morbida, acuta, scorrevole come lui. Per una battuta di spirito era disposto a tutto. Rideva degli altri, e rideva soprattutto di sé stesso. Sempre pronto a darti una mano. Non ha mai dato alle stampe un libro ma ne leggeva tanti. E di questi scriveva, quando – dopo decenni di cronaca, giudiziaria, nera, bianca, inchieste e trasferte – è finito a dirigere le pagine culturali dell’Unione Sarda, e poi – dopo la pensione – a collaborare con il suo giornale. L’unico nel quale abbia lavorato, seguendo un percorso che lo ha portato a diventare vicedirettore, occupandosi di qualunque argomento con la competenza professionale e la grazia umana che lo caratterizzava.

Mauro era un uomo che si faceva amare. Non era un prevaricatore, né si nutriva di invidie o gelosie. Si potevano non condividere alcune sue scelte ma poi la sua grande umanità prendeva il sopravvento. Per lui ero una sorta di sorella minore, l’unica donna – negli anni Ottanta – di quel giornale, la prima a mettere piede stabilmente in quella cronacaccia dove si viveva in trincea, terrorizzati (e magistralmente addestrati) dal “Professore” (sì, Vittorino). Sorella minore lo sono rimasta negli anni successivi, anche quando ci siamo ritrovati, entrambi fuori dai giochi, a collaborare con le pagine culturali. Lui scriveva spesso di arte. Dopo una vita trascorsa a occuparsi di argomenti scomodi, provava un enorme piacere nel dedicarsi al bello, ed era orgoglioso del suo ruolo di presidente del Teatro Civico di Sinnai. Dei suoi impegni con l’Unicef e col Rotary.

Presidente per quindici anni dell’Ordine regionale dei giornalisti, dopo Alberto Aime (che per una beffa del destino se n’è andato poco più di un mese prima di lui), ha avuto una vita piena e legami familiari più forti di tutto. Una moglie più giovane, Mariangela, che per lui era la roccia alla quale restare ben saldo, due figli amatissimi (Andrea, giornalista anche lui e Michele, che gli ha dato due nipotini), una famiglia d’origine amorevole e sempre presente.

Mauro, che rideva di tutto, sapeva essere maledettamente serio. E severo, con sé stesso e con gli altri. A chi gli chiedeva di non dare una notizia, diceva che a lui – giornalista conosciuto (e potente) – nulla era stato risparmiato, quando dolorose vicende familiari, più grandi di lui ma da lui condivise e accolte con amore, lo avevano portato suo malgrado alla ribalta della cronaca. Negli anni aveva ritrovata intatta la sua voglia di ridere, di scherzare anche sulla morte, di guardare in faccia tutto e tutti. Nelle ultime estati era una gioia ritrovarsi nel giardino della sua bella casa di Sinnai, piena di luce, di amici e di musica. Per andarsene, dopo una malattia subdola che non gli ha concesso scampo, ha scelto un giorno perfetto, e curioso come lui: 02022020. Una data palindroma sulla quale avrebbe disquisito chissà per quanto, essendo un giocherellone. E non soltanto perché dall’entrata in vigore della moneta unica europea il suo nome era diventato Meuro (Meu nei messaggi frettolosi). Ogni cartolina (amava molto mandarne, dai luoghi dei suoi viaggi, scritte con quella sua grafia elegante), ogni data, era un’occasione buona. Tipo quel “Buona Pas qua, buona pas là” che mi ritrovo tra i suoi messaggi telefonici.

Amava fare scherzi e ne restava vittima. Accadde anni fa, quando si trovò a “passare” una pagina leggera ed estiva di Piera Serusi dedicata all’uomo ideale. Trovandosi di fronte, oltre all’articolo della collega, uno spazietto ancora vuoto nel quale sicuramente Piera avrebbe dovuto elencare i pregi del marito desiderabile, si divertì a scriverli lui, quei pregi, e a comporre un autoritratto con tanto di firma finale. Doveva essere una spiritosaggine, un testo che Piera avrebbe letto, “salvato”, e poi naturalmente buttato, per sostituirlo col suo. Ebbene, per misteri tipografici che solo chi lavora in un giornale può (in parte) capire, l’indomani quel pezzo scherzoso e impubblicabile finì sul giornale. Con grande imbarazzo dei due e con grande spasso di tutta la redazione. Non ricordiamo – forse è stata rimossa – la reazione di direttore ed editore.

Mauro era questo, un eterno boy -scout, un fratellone divertente, talvolta burbero, e molto, molto tenero. «Siamo legati tutti da un filo invisibile» mi scrisse ai primi di settembre di due anni fa, quando gli diedi la notizia della morte improvvisa e prematura del collega Marco Mostallino. «Quanti anni abbiamo trascorso in viale Regina Elena?» commentò con tristezza. Ecco, Viale Regina Elena, il nostro bel Terrapieno, quello nel quale abbiamo passato una lunga indimenticabile stagione. Nel bene (e anche nel male). Daniele Barbieri, che ora ospita questo mio ricordo nella sua “bottega delle meraviglie”, ne ha condiviso un pezzetto, avendo tra gli amici più cari Mauro-Meuro, e anche me. Poi si è licenziato, senza rete, facendo una scelta di libertà che ha accresciuto la nostra stima nei suoi confronti. Mauro ha lasciato il giornale nel 2003, per coltivare finalmente la sua Indian Summer, ma ha continuato a scriverci, con l’acutezza di sempre, fino allo scorso settembre, per pura passione. Quella era stata la sua seconda, amatissima casa. Gli echi del giornale gli arrivavano dai colleghi curiosi e chiacchieroni come lui. Meno dal figlio Andrea, che da anni è cronista giudiziario del giornale (come fu il padre, tanti anni fa). Bravo, affidabile, serissimo nel suo lavoro, e di poche parole. Forse era questo l’unico cruccio di Mauro («questo Andrea non ci racconta mai niente»), che del figlio giornalista andava fiero. Come andava fiero di Michele e di tutta la sua bella, solidale famiglia allargata. Ciao Meuro. Che quella preghiera buddista registrata sul tuo telefonino, perché ti aiutasse nelle ultime ore a distaccarti senza troppo dolore da questa terra, continui a farti compagnia.

Redazione
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Un commento

  • Ringrazio di cuore, sinceramente, Daniele e Maria Paola per questo splendido affresco della loro esperienza umana e professionale con Mauro, indimenticabile Mauro.
    Ricordo perfettamente quando Mauro, che non avevo ancora avuto il piacere di conoscere, mi accolse all’Unione Sarda, con il mio floppy disk che conteneva il mio primo pezzo, pubblicato dal giornale qualche giorno dopo. Quella volta, come tutte le altre volte, anche anni dopo che siamo diventati amici, si dimostrò sempre gentile e disponibile, ma senza eccessi. Dotato di un raffinato senso dell’umorismo e di una spiccata capacità di leggere le cose e interpretarle in maniera mai banale, sapeva sorridere anche di fronte alle avversità, come da vecchio scout era capace di fare in ogni circostanza.
    Più recentemente Mauro immortalò me e Daniele, era il 2016, quando portammo in scena, nel teatro dell’ExMà di Cagliari, in occasione del Cagliari FestivalScienza, un nostro spettacolo sul tempo: https://linguaggio-macchina.blogspot.com/2016/11/prima-che-il-tempo-finisca-spunti-di.html
    E anche quella volta ci fece ridere, con qualcuna delle sue battute simpaticamente velenose.
    Ciao, indimenticabile Mauro

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