Murakami: «un grande quadro surrealista»

db alle prese con «L’uccello che girava le viti del mondo». Con un PS musicale.

«Abbiamo avuto rapporti sessuali dentro la mia mente» dice Okada Toru. «Mentre proferivo quelle parole mi sembrava di appendere su un muro bianco un grande quadro surrealista. Ripetei la frase una seconda volta, come se verificassi da una certa distanza se il quadro era dritto o no».

Siamo a circa metà delle 800 pagine di «L’uccello che girava le viti del mondo» partorito da Haruki Murakami nel 1994 (traduzione italiana di Antonietta Pastore): «una faccenda sempre più intricata, come un puzzle a tre dimensioni. Nel quale la verità non era sempre reale e la realtà non era sempre vera».

Come ho più volte scritto (*) mi sono preso una tardiva cotta per Murakami, così ho letto – negli ultimi 18 mesi circa – tutti i suoi libri tradotti in italiano: con questo romanzo e poi con gli 8 racconti di «Prima persona singolare» (**) ho esaurito le scorte. E mannaggia, già “sto a rota”.

Anche «L’uccello che girava le viti del mondo» incrocia e frulla – come la maggior parte dei suoi scritti – realtà e irrealtà: roba dunque da “Marte-dì” di codesta bottega (giorno in cui più spesso il fantastico prende il sopravvento). Forse se questo uccello smettesse di stringere le viti l’intero mondo smetterebbe di funzionare; «però non lo sa nessuno. Tutti pensano che ci sia qualcosa di più grande, più complicato a far girare il mondo. Invece lo fa girare lui, si sposta da un posto all’altro […] stringendo le viti».

Sulla trama poco posso dire; per le solite due ragioni: non è giusto togliere la sorpresa a chi legge e con Murakami poi sarebbe difficile inseguire i fili che si dipanano e sembrano perdersi fra i mondi per poi magicamente ricongiungersi (quasi sempre) in uno stesso gomitolo.

Si parte con una misteriosa telefonata. Lo “spirito guida” è forse un gatto. E dunque “raspando” – rubo l’espressione a un’amica – fra le pagine del libro chi legge incrocerà: le viti del mondo e quelle del corpo; le differenze fra prostituta fisica e mentale; le buone notizie, di solito «riferite a bassa voce»; la necessità a volte di non immaginare (specie se si è russi?); le persone che hanno 6 dita; «per la prima volta da quando mi ero sposato sentii intensamente di far parte della specie umana che viveva sulla Terra, il terzo pianeta del sistema solare»; la stanza 208; «da quando ero disoccupato mi ricordavo a memoria i nomi dei fratelli Karamazov. Ma erano tutte cose che da fuori non si vedevano». Occhio alla voglia sulla guancia («una specie di macchia scura»), alle mazze da baseball e al livello dell’acqua.

Dovremo inoltrarci nell’orrore della guerra in Manciuria con le stragi a Nanchino (fino a pochi anni fa un tabù assoluto in Giappone). C’è anche un terribile scuoiamento con troppi particolari; consiglio le persone sensibili di saltare qualche pagina quando arrivano all’ultimo capitolo della prima parte e al 17esimo della seconda parte. Invece quando il vostro occhio troverà «prugno, bambù, pino» preparatevi a un lungo sorridere (Murakami è anche maestro d’ironia).

Si potrebbe fare un articolo – o più – sui «come» di Murakami. In questo libro ne ho beccati a decine, particolarmente belli. Tipo: «come per afferrare per la coda il tempo che fuggiva». Il silenzio che dilaga come fumo. «Quel raggio di luce aveva leccato tutta la stanza da un angolo all’altro come la lingua di un serpente». A volte tutto «sfuma in un baleno come fiato sui vetri». Nella sala d’aspetto «la gente aveva un’aria greve e preoccupata, qualcosa come un libro di Kafka illustrato da Munch». Oppure l’auto-ironico: «come fossi diventato il personaggio di un brutto libro che avevo scritto io stesso. Come se qualcuno mi stesse rinfacciando di non essere abbastanza reale».

Una frase conclusiva? «Come potrei spiegarti? Tra ciò che io penso sia la realtà e la realtà vera c’è un piccolo sfasamento». O se preferite: «la realtà è formata da diversi strati […] penso che il problema si riduca a quale realtà scegli tu e quale scelgo io». Oppure: «il mondo era come una porta girevole» e per questo non si può vedere «la linea di demarcazione tra un mondo e l’altro».

UN PS MUSICALE

Il libro è diviso in tre parti con titoli che rimandano alla grande musica: «La gazza ladra» (ovviamente di Gioacchino Rossini), «L’uccello profeta» (di Robert Schumann) e «Il flauto magico» (di Wolfgang Amadeus Mozart). Qua e là affiorano anche Bach, i Beatles, Haydin, Handel e molto altro.

Ma il jazz, così amato da chi scrive e da Murakami? Quasi subito ci imbattiamo nello splendido «Sketches of Spain» di Miles Davis, E leggete qui: «era come se Dolphy con le note del suo clarinetto avesse cercato di spiegare al Dalai Lama sul letto di morte l’importanza della scelta di un olio nel motore»). Oppure qui: «chissà se era concepibile che gli appassionati del jazz di Albert Ayler, Don Cherry o Cecil Taylor diventassero gestori di una tintoria». E qui: «gli altoparlanti neri incassati nel soffitto diffondevano a basso volume uno di quei piano solo errabondi di Keith Jarrett».

UN PS AL PS

E’ un autore così jazzistico Murakami che ho deciso di ripescare (quasi nota per nota) ciò che si trova nei suoi romanzi e racconti. Il testo è quasi finito: una lunga – e a me pare “ricca” – cavalcata. La proporrò al mensile «Musica Jazz» [altrimenti dove?] e spero che la leggerete lì.

(*) In “bottega” cfr i miei «1Q84»: un (doppio) libro imperdibile e Come il romanzo «Kafka sulla spiaggia»… e «L’assassinio del commendatore» ma consiglio anche Le strane strade che portano fra le pagine (di Bianca Menichelli), Kafka sulla spiaggia – Haruki Murakami (di Francesco Masala) e il jazzistico MIA IDEA DI BAKER scritto proprio da… Murakami. In giapponese usa scrivere prima il cognome e poi il nome (Haruki): l’editore italiano si è adattato; io mi permetto di non farlo – ognuno ha le sue fobie – perchè così mi sembrerebbe di lavorare all’anagrafe o di scrivere un verbale dei carabinieri.

(**) cfr Murakami: reale e irreale spesso…

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

3 commenti

  • Ah, come vorrei non avere ancora letto tutta quella meraviglia mentale di Haruki! Fortunato Daniele!
    Questo che hai ora letto è per me uno dei più belli. Dopo Kafka.

  • CLAUDIO MAZZOLANI

    Stesse tue impressioni.
    Gli orientali sono una sorpresa continua. Cinesi e giapponesi.
    Cito solo, come inizio, STORIA DI GENJI il principe splendente [GENJI MONOGATARI] di MURASAKI (era una donna) e fu scritto 1100 anni fa.
    Sono circa 1300 pagine, nella versione tradotta in italiano dal giapponese, un po’ meno nella traduzione in italiano dall’inglese. Si! Le ho lette entrambe e presto rileggerò la versione giapponese-italiano. È una lenta onda che ti trascina piano piano. Un capolavoro.
    Non sono assolutamente da dimenticare i classici cinesi:

    # IL ROMANZO DEI TRE REGNI
    # CHIN P’ING MEI
    # I BRIGANTI
    # IL SOGNO DELLA CAMERA ROSSA

    Poi arrivano i contemporanei e qui si apre un nuovo mondo.

    La trilogia di fantascienza scritta da CIXIN LIU, per me, è stato come e si aprissero gli infiniti orizzonti di Giacomino Leopardi.

  • Vado controcorrente: vedo in Murakami un furbo e modesto epigono del c.d “realismo magico”, un abile miscelatore/frullatore di generi letterari a fini emozionali e, soprattutto, di marketing, in sintesi l’ennesimo rappresentante di quelle “opere mondo” (figlie di Bolzano, Foster Wallace o Cartarescu, solo per fare qualche nome tra gli “intoccabili”) così tanto in voga oggi e osannate dai più, ma, in realtà, pietra tombale del Romanzo. Ovviamente, il tutto a mio (im)modesto parere

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