Nao Performing Festival

susanna sinigaglia

Nao Performing Festival

XIII edizione

Materia comune

16-18 dicembre 2022
Milano Fabbrica del Vapore

Il festival è rivolto a sperimentare nuovi terreni di ricerca nella danza contemporanea, col tentativo d’inglobare nelle coreografie sia gli strumenti elettronici sia i temi sollevati dalla contemporaneità, come la continuità fra materia vivente e inerte, l’indefinitezza dei generi, la vicinanza del mondo animale e vegetale con quello umano. Il progetto della rassegna, intitolato “Materia comune”, era a cura di Claudio Prati e Maria Paola Zedda del DiDstudio, spazio che si trova all’interno della Fabbrica del vapore. Avendo potuto vedere solo due performance, ho raccolto i miei due scritti sotto un cappello dal titolo

Fuggevoli impressioni

NeverStopScrollingBaby[1]

Progetto di
Vitamina

ovvero

Alessandra Ferreri, Matteo Sedda e Joshua Vanhaverbeke
Performer
Matteo Sedda

Nella semioscurità, contro la parete di fondo nello spazio bianco del DiDstudio, si muove impercettibilmente, quasi per inerzia, la figura del performer attraversata da fasci di luce e accompagnata da un suono che sembra più, in questa fase, una vibrazione di fondo.

La performance procede in crescendo, con l’interprete che avanza acquistando lentamente ma progressivamente velocità. È guidato dal suono, che a tratti s’arresta e ora assomiglia sempre più a una sirena che lo muove e spinge nella nebbia azzurrina tutt’intorno.

 

 

 

 

 

 

Se all’inizio il performer sembrava smarrito, perso in un ambiente sconosciuto, man mano che il suono si definisce anche i suoi movimenti si fanno più sicuri e precisi; fende lo spazio con il proprio corpo mentre le luci lo seguono, si alzano, e i suoni lo incalzano determinando il contesto. I gesti sono ripetitivi, a lungo interrotti; poi riprendono, sono provocatori, a volte stereotipati, sembrano voler rifare il verso ai tipi umani che possiamo osservare agli happy hours, per esempio, che vorrebbero fungere da modello di comportamento in alcuni settori della società.

Adesso il performer si trova in piena luce e si muove freneticamente con gesti scanditi da ritmi martellanti, che rivolti al pubblico diventano sinuosi o vagamente minacciosi. Infine, mentre il suono è sempre più intenso e rafforzato dalla batteria i cui piatti si sono già fatti sentire in precedenza – percussioni virtuali ricavate da un kit della giapponese Taiko –, il performer si ferma di nuovo, scruta il pubblico per lunghi minuti e infine estrae dai pantaloncini con cui ha interpretato la performance un piccolo involucro che scarta e il cui contenuto si mette in bocca: è una caramella o un chewing-gum, forse. Buio.

Una curiosità: l’abbigliamento indossato da Matteo, la classica canottiera e pantaloncino al ginocchio, ricorda molto quello adottato nei film muti dagli attori che interpretavano atleti di vario tipo.

In questo lavoro estremamente minimale sembrerebbe che nel passaggio dall’incertezza dei gesti, dall’indeterminatezza della semioscurità alla luce avvenga una metamorfosi. Allora i movimenti del performer si fanno sicuri e irriverenti; sembrano voler denunciare come il corpo rischi di diventare schiavo dei modelli imperanti sul web, dei suoni delle sue “appendici” elettroniche, le luci riflettenti dei loro ipnotici schermi[2]. Il suono e le luci sono importanti coprotagonisti della performance.

[1] Il titolo rinvia al movimento del cursore sullo schermo entrato a far parte del quotidiano di chi usa regolarmente il computer. Bisogna tuttavia osservare che per esempio, in Italia, secondo i dati Ocse il 64% della popolazione fra i 15 e i 65 anni è da considerarsi analfabeta informatica.

[2] In realtà Joshua Vanhaverbeke, il creatore del progetto sonoro, mi ha riferito che il lavoro non ha nessun intento metaforico specifico. L’idea che ha guidato la composizione, e la performance in generale, è stata quella di esplorare le dinamiche fra momenti continui, spesso concomitanti, di eccitazione/frustrazione; un elemento strutturale basilare nella costruzione del progetto e quindi della coreografia.

Mi ha spiegato che tutta la composizione è stata creata in digitale, con diversi plugin/strumenti virtuali. Il sound principale è ordinato su circa 20 livelli, tutte variazioni differenti ottenute da un unico sintetizzatore con oscillatore Serum. Il sound fondamentale di questi livelli è del tutto simile, segue lo stesso arpeggio che rappresenta la modulazione caratteristica del pezzo musicale. Ogni livello è formato da un’unica nota che attraversa tutta la composizione, di modo che ogni variazione, melodia e testura presenti nei livelli principali sono state create solo con effetti e parametri di modulazione.

My Lonely Lovely Tale

Nicola Simone Cisternino

Molto diverso è il lavoro di Nicola Cisternino, che si affida a brani musicali classici e nello stesso tempo mostra nella danza una preparazione altrettanto classica.

La coreografia si sviluppa per capitoli corredati da altrettanti titoli e immagini ma, purtroppo, non ne è disponibile un numero sufficiente a illustrare compiutamente lo svolgimento del lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

Il quale mi è sembrato di particolare interesse anche perché all’inizio le immagini sembrano tutte ritrarre paesaggi idilliaci mentre alla fine arriva, improvvisa e spiazzante, la cesura. E quella che sembrava una sequenza di quadri armoniosi, precipita nella catastrofe annunciata dell’oggi.

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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