Napoli: figli, aborto, un…

maledetto ascensore e la società devastata (*)

Ho scoperto di essere incinta.

Una bellissima notizia. Anche se abbiamo un lavoro precario e abbiamo le ansie di tutta la nostra generazione addosso… come faremo? Siamo pazzi a farlo? Riusciremo a mantenerci? Ad assicurargli il giusto?

I miei genitori prima di concepirmi avevano conquistato il “posto”, due stipendi dignitosi. Forse per quella generazione avere un figlio era considerata in qualche misura una normalizzazione. Sono stato giovane, adesso lavoro, mi sistemo e metto su famiglia. 

La scelta di fare un figlio per la nostra generazione è invece un NO. Molti ci arrivano tardissimo, altri frustrati dalla mancanza di un posto sicuro si sono sentiti responsabilmente di non scegliere di farlo. Per noi che a 25 anni iniziamo a rigirarci nel letto, in ansia, guardandoci nella nostra stanza presa in affitto cercandoci di immaginare di lì a dieci, quindici anni, dove saremo… un figlio!?

Noi abbiamo pensato che non è giusto che questo mondo che ha incominciato a far girare indietro le lancette della storia ci tolga anche questa gioia e lo abbiamo voluto tenere. A Napoli anche le famiglie più popolari con mille sacrifici cercano di essere seguiti da ginecologi privati e partorire in una “villa”, una clinica privata.

Chiacchiere in sala d’aspetto e forum online ci parlano di un mercato: 150 euro a visita, 100 euro per le ecografie, anche 3.500 per il parto con il “tuo dottore”.

Quando abbiamo detto alle nostre famiglie che saremmo andati all’ospedale pubblico c’era una certa apprensione, sempre a fare “i comunisti”, riusciamo ad andare dal ginecologo privato, non preoccupatevi…

Noi scegliamo l’ospedale, più sicuro, è pubblico.

Il primo giorno tra code per pagare e code all’ambulatorio aspettiamo quattro ore.

Uno spaccato di società devastata. Un solo esempio: c’è una ragazzina di 17 anni alla seconda gravidanza. ha contratto la toxoplasmosi, una malattia molto pericolosa in gravidanza… ma a 17 anni, già  mamma, come si fa a portare avanti una gravidanza in maniera responsabile? si vede che ha lasciato la scuola, è accompagnata da un’amichetta più piccola di lei.

E col cazzo che si può dire che «se l’è cercata».

Una ragazzina con zero strumenti, culturali, economici, sociali è una sconfitta di tutta questa società.

Chiacchieriamo con un’operatrice di Emergency che accompagna una donna immigrata con una gravidanza a rischio. Lei non è di Napoli ed è sconvolta che qui non si sia seguiti dai consultori territoriali e si ingolfi coì l’ospedale (al consultorio io ci sono andata ma purtroppo non c’è l’opportunità di fare alcune analisi fondamentali, quindi alla fine scegli di iniziare e finire il percorso in un’altra struttura).

In sala d’aspetto una ragazza racconta che deve fare controlli approfonditi perchè nella sua famiglia ci sono malattie genetiche gravi, una signora dice che in tv si vedono tanti down che lavorano e sono felici, nel caso dovrebbe tenerlo, che una vita è un dono di dio. La ragazza sa cosa significa dover crescere con un handicap grave in questa società e la manda prontamente a fare in culo.

Ogni tanto passa una donna in lacrime, sorretta da un compagno o sola. Più su, nello stesso edificio, si fanno le interruzioni volontarie di gravidanza e gli aborti terapeutici.

Mentre tra di noi ci diciamo che è davvero un po’ sadico che chi ha scelto o è stata costretto a interrompere la gravidanza debba passare in mezzo a donne incinte e felici, si apre l’ascensore.

Sullo specchio c’è una scritta enorme, ingiuriosa e fanatica.

In quel momento non penso più a me e a quello che devo fare ma penso che nessuna, nemmeno una sola donna che vuole o deve interrompere la gravidanza deve essere costretta a leggere quella cattiveria. Non siamo dei campioni di altruismo, dei supereroi, ma gli anni di militanza ci hanno abituato a far scattare un automatismo: dove c’è un’ingiustizia, anche piccola, una sofferenza inferta da un meccanismo di potere, dobbiamo cercare sempre di fare qualcosa.

Sono abbastanza certa che l’abbia scritto qualcuno che lavora qui.

La percentuale di medici obiettori in Campania è altissima. E il fastidio che creo quando vado a dire all’addetto alle pulizie e al personale nel gabbiotto all’ingresso che quella scritta va cancellata conferma quest’impressione.

Mi dicono che un’altra ragazza quella mattina l’ha segnalata, mi dicono che non si cancella, che ci hanno già provato, che tanto la riscrivono, che ci sono scritte del genere dappertutto, che «non lo sapete come vanno le cose» e poi iniziano… ci sono quelle che abortiscono 4-5 volte. insomma giustificano la scritta.

Insisto, dico che è un ospedale pubblico e che non è accettabile ed è grave anche se loro non se ne vogliono accorgere, anche se per loro è “normale”.

Dicono che scriveranno alla direzione generale per farlo presente…

E allora proviamo col vecchio trucco: gli dico di non preoccuparsi che farò una foto e avvertirò una mia amica che scrive su La repubblica (in realtà penso di andarla a cancellare io e di scriverlo alla pagina dell’ Ex Opg).

Ci credono, evidentemente, perchè appena mi giro li vedo correre a cancellarla.

Alla seconda e alla terza visita, subito dopo aver preso il mio numero, vado a dare un’occhiata in ascensore. Quello specchio pulito mi strappa un sorriso.

(*) testo ripreso dalla pagina dell’ex Opg di Napoli

Redazione
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