Narrator in Fabula – 20

dove Vincent Spasaro incontra Michele Tetro (*)

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E’ un nome in cui s’imbatte prima o poi chiunque voglia affrontare lo studio del cinema, della letteratura di genere e del fumetto. Michele Tetro è stato probabilmente il più giovane autore di fantascienza a essere pubblicato su rivista professionale. E’ un grande esperto di weird, fantasy e horror. Non potevamo farcelo sfuggire per un’intervista approfondita sulle sue passioni e le sue tante attività.

In primo luogo mi piacerebbe conoscere l’infanzia e l’adolescenza di Michele. Il tuo Piemonte, le leggende, quanto ti abbia influenzato l’atmosfera dei tuoi luoghi.

«Infanzia e adolescenza… subito nello spazio, sin dal 1969, anno di nascita. Vedo ancora il modellino dell’Apollo 11 costruito da mio padre appeso sul soffitto della cameretta, il pupazzetto tipo Big Jim dell’astronauta David Bowman da “2001: odissea nello spazio” (che non so cosa darei per riavere), film visto a quattro anni e fonte di tutto il mio percorso esistenziale, i fotoromanzi di “UFO” e i libri di “Spazio: 1999”, i fumetti della Marvel-Corno, i disegni “spaziali” che facevo ad asilo ed elementari… tutto ha concorso per fondare la mia passione per la fantascienza prima e per il fantastico più in generale poi. I luoghi dove sono nato hanno avuto anche loro un’importanza specifica, ma in tempi più recenti rispetto all’infanzia. Il castello di Novara, in particolare, un tempo un rudere misterioso agli occhi di un ragazzino (ora una becera ristrutturazione) che si sentiva attirato a esplorare i suoi anfratti, cosa che poi feci, anche irresponsabilmente, con gli amici di sempre, calandomi nel fossato e poi dentro le mura e i bastioni pericolanti, per cunicoli bui e passaggi silenziosi. Ho fantasticato molto su quel castello, disegnato mappe in base a quel che potevo esplorare, e poi l’ho utilizzato per una serie di racconti fantasy che avevo scritto».

Sei stato molto precoce nella lettura e nella scrittura. Puoi raccontarci come è andata?

«Se ho imparato a leggere è stato solo perché avevo fretta di affrontare, appunto, il libro di “2001: odissea nello spazio” che vedevo alto nella libreria di casa e per troppo tempo avevo potuto solo accontentarmi di contemplare la copertina. Sin dall’inizio ho avuto scrittori cui mi sono affezionato subito: Emilio Salgari, Jack London, Jules Verne e soprattutto Herbert G. Wells. Poi Arthur Clarke e Isaac Asimov hanno aperto la via alla fantascienza narrativa, che per me ha avuto l’apoteosi con la scoperta di H. P. Lovecraft e Stanislaw Lem, ancora tra i miei preferiti in assoluto, perché sulla base dei loro testi andava delineandosi la mia stessa forma mentis. Adoro tra l’altro gli autori classici del weird, da William Hope Hogdson ad Arthur Machen. All’inizio, pensavo che disegnare fumetti fosse la mia via preferenziale per raccontare storie, poi ho scoperto la macchina da scrivere, la vecchia Olivetti Lettera 22 color verde oliva, e allora ho optato per la narrativa».

Sei un gran conoscitore di cinema e serie televisive, soprattutto in ambito fantastico. Parlaci di questa tua passione.

«L’ho sempre avuta e coltivata, forse anche perché ho dovuto lottare duro per poter vedere certi film, magari giudicati non adatti a un bambino (penso solo ad “Alien”, visto a nove anni, una faticaccia convincere i miei a portarmi, dopo aver letto il libro, nascosto in un armadio, acquistato con la complicità di mia zia). C’è stato un periodo, corrispondente all’uscita della rivista “Ciak” in edicola, in cui davvero potevo vantare di conoscere tutto quel che usciva in campo cinematografico, poi mi sono ridimensionato su generi preferenziali. Avevo iniziato a compilare un quaderno a quadretti con giudizi sui film di fantascienza, horror e fantasy che vedevo; un lavorone che ho portato avanti sino a neppure tanto tempo fa, e che è stato tra le mani di registi come Dario Argento, Wes Craven, Brian Yuzna e attori come Lance Henriksen e Robert Englund, per avere i loro autografi. Oggi tendo a interessarmi più di cinema che di televisione, poiché non mi ritrovo nella rivoluzione che i nuovi format TV hanno portato avanti, con stagioni infinite che poi vengono troncate dalle produzioni e cose del genere».

Il tuo amore per la fantascienza è pari a quello per l’heroic fantasy e il weird. Vuoi raccontarci qualcosa e presentarci i tuoi numi tutelari?

«Anche in questo caso, un tempo amavo indiscriminatamente questi tre generi del fantastico, sui quali avevo studiato tutto quel che potevo, prevalentemente dalla “Grande enciclopedia della fantascienza”, uscita nel 1980; oggi invece la passione è scemata alquanto. Con l’avvento del cyberpunk, nei primi anni Ottanta, ho avuto una battuta d’arresto nella lettura della fantascienza, limitandomi nel recupero dei classici che mi mancavano. Per la fantasy, mi ero accorto che mi piacevano solo autori come Robert Howard, Fritz Leiber, Poul Anderson, insomma, la vecchia se non vecchissima guardia, e non mi sentivo attirato dalle ultime leve in questo campo. Idem per l’horror, che ho continuato a coltivare solo nello studio dei grandi maestri del passato. Praticamente ho continuato a dedicarmi, in modo più completo possibile, nella lettura di quelli che erano i miei scrittori preferiti di sempre, i già citati Clarke, Lem, Wells, Dick, Lovecraft, giungendo a laurearmi sull’opera fantastica di Robert E. Howard».

Il Tetro autore. Hai sceneggiato e realizzato film, scritto racconti e romanzi. Vorremmo sapere più della tua multiforme attività creativa, sia a livello di opere che di modalità di composizione.

«Lasciato perdere il disegno e i fumetti (e me ne pento pure, oggi) mi sono dedicato alla scrittura, dai tredici anni in avanti: Sono stato il più giovane scrittore di fantascienza italiano, pubblicato sulla rivista “OMNI” (il mio primo racconto accanto a uno di Lem, non potrò più avere maggiori soddisfazioni e motivi di orgoglio). In riviste, antologie e libri sono apparsi altri racconti, ma non posso dire di essere stato in questo ambito autore prolifico. Attualmente, l’unico mio romanzo pubblicato è stato un omaggio al serial TV “Spazio 1999”, uscito per il Trentennale della serie. L’interesse per il cinema aveva assorbito ogni mio neurone, cercai di imparare tutto su tecniche e utilizzo di telecamera, scrissi diverse sceneggiature e poi realizzai prima un cortometraggio, “Voci dalle Driadi”, nel 1985, con superotto e montaggio in moviola portatile della pellicola, in seguito un lungometraggio video nel 1989, “Il Nardoschio”, poi sviluppato in una trilogia di racconti. Ero la disperazione dei miei amici che riuscivo a coinvolgere in queste titaniche imprese, quando ancora non esisteva una tecnologia facilitante e alla portata di tutti come quella di oggi, e tutto doveva essere fatto “a mano” e sul posto… però posso dire che ci siamo divertiti (tranne quando i contadini impauriti vedevano strani tizi vestiti da straccioni combattere con spade e fuciloni finti nei loro campi e chiamavano le Guardie Forestali per pronto intervento)».

Sei anche un saggista di livello. Vuoi parlarci di questa tua attività e spiegarci come si è evoluta fino alle ultime guide per Odoya, lavoro piuttosto complesso e difficile?

«Quando nel 2000 Gian Filippo Pizzo mi propose di fare squadra con lui e Roberto Chiavini per scrivere libri di saggistica cinematografica colsi la palla al balzo e questo mise momentaneamente uno stop alla mia attività narrativa. In 15 anni abbiamo pubblicato più di una decina di libri sul cinema di fantascienza, fantasy, horror, in media uno all’anno, prima con Gremese, poi con Tedeschi e Della Vigna. Attualmente, con la squadra incrementata di un quarto elemento, Walter Catalano, abbiamo pubblicato per Odoya tre grosse e impegnative guide, prima quella sul cinema di fantascienza, poi sulla letteratura horror e infine sul cinema horror. Esperienze interessanti, complesse senz’altro, perché bisognava far funzionare armoniosamente quattro teste dalla cultura, sensibilità e background differenti. Possiamo senz’altro dire di aver ottenuto un buon risultato, che consente al lettore un approccio differenziato e sfaccettato sulle materie trattate».

I progetti per il futuro di Michele Tetro.

«Prepararmi per andare su Marte, ovviamente. Nell’attesa, una guida sul cinema western, che adoro, in compagnia dell’amico e collega Stefano Di Marino, poi il ritorno alla narrativa, con una serie di racconti weird-western. Ripartirò da dove avevo cominciato».

(*) In un primo ciclo di «Narrator in Fabula» – 14 settimane – Vincent Spasaro ha intervistato per codesto blog/bottega autori&autrici, editor, traduttori, editori dalle parti del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che si trova in “qualche altra realtà”… alla ricerca di profili, gusti, regole-eccezioni, modo di lavorare, misteri e se possibile anche del loro mondo interiore. I nomi? Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani, Massimo Soumaré, Sandro Pergameno, Maurizio Cometto, Lorenza Ghinelli, Massimo Citi, Gordiano Lupi, Silvia Castoldi, Lorenzo Mazzoni, Giuseppe Lippi e Cristiana Astori. «Non finisce lì» aveva giurato Spasaro. Ed ecco il secondo ciclo: dopo Angelo Marenzana, Gian Filippo Pizzo, Edoardo Rosati, Luca Barbieri, Giulio Leoni e oggi Michele Tetro, toccherà fra 7 giorni (non ci sono feste che tengano… per Thor, Shiva e Zeus) a Massimo Maugeri. Poi, in disordine alfabetico e comunque non in quest’ordine, ad Alberto Panicucci, Sergio Altieri, Sabina Guidotti, Stefano Di Marino, Francesco Troccoli, Silvio Sosio ma anche giovanissim* e “mostri sacri”. Così mi sono seduto qui – e lo stesso spero per tutte/i voi – sulla riva del blog, sgranocchiando arachidi, per leggermi altre 14 puntate… almeno: anzi se fate bene i conti già vedete che andremo oltre. D’altronde quando Vincent era piccolo ed era sull’uscio, sua mamma non gli diceva – come da copione – «sei qui intorno a giocare?» oppure «torni presto?» ma «vai oltre anche oggi?». Un destino da oltrista per la fortuna di chi legge queste bellissime interviste. (db)

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