Narrator in Fabula – 31

      dove Vincent Spasaro incontra Riccardo Dal Ferro (*)

RikDuFer

Riccardo Dal Ferro, conosciuto dai più come Rick DuFer, è ben noto a questo blog. È soprattutto una delle voci più interessanti della nuova generazione di speculatori filosofici, investigatori dell’etica e della società nell’era del web. Ma – udite udite – è anche uno scrittore di fantascienza, genere declinato in maniera molto personale: una qualità che distingue sempre i migliori. Chiacchierare con lui significa prima di tutto ragionare e riflettere sul nostro mondo schizoide. Vi invito a farvi un giro sul suo sito, http://riccardodalferro.com e ora la parola a Rick.

Sei conosciuto come il filosofo di Youtube. Come ti è venuto in mente di utilizzare questo mezzo di comunicazione per diffondere una disciplina considerata da molti piuttosto ostica?

«In realtà è stata la naturale conseguenza della mia attività di insegnante di scrittura creativa. Ai miei corsi tratto molta filosofia, essendo laureatomi in questa materia, e a un certo punto una persona a me vicina mi ha detto: “Visto che i tuoi corsi sono così stimolanti, perché non li porti anche sul web?”. YouTube mi è parso il non-luogo più adatto, visto che amo parlare e metterci la faccia. La mia passione per la cultura pop ha fatto il resto».

Com’è nato il tuo amore per le materie umanistiche e per la filosofia in particolare?

«Credo sia praticamente impossibile datare la nascita di una passione così forte. Diciamo che sono sempre stato una persona curiosa, soprattutto sul funzionamento di me stesso: perché sento questo, penso questo, sono questo? Filosofia e letteratura sono i due linguaggi che ho trovato più utili a ricercare una risposta, sapendo perfettamente che la risposta non esiste».

Quali sono state le tue prime letture?

«Ho iniziato a leggere all’età di 9 anni, partendo per caso dalla collana dei “Piccoli Brividi”. Da lì non ho più smesso. I primi due amori veri sono stati Tolkien e Lovecraft, ma anche Gulliver e Lem. Da lì ha avuto inizio una ricerca infinita, che tutt’oggi mi trova alla deriva. Ma è una deriva felice».

Hai dimostrato interesse anche per la narrativa. Quali sono gli autori che preferivi da giovane e quali quelli che ti piacciono ora?

«I miei “preferiti”, se si può usare questo orribile termine, non sono cambiati, rispetto a quelli che ho detto sopra. Ci aggiungo gli amori più maturi: David Foster Wallace, William Faulkner e Borges. Ho scoperto anche Antonio Moresco che ha scombussolato alcune domande e risposte che mi ero dato, come solo un grande autore sa fare. Adoro la letteratura americana del secondo Novecento, in particolare McCarthy».

Se ci accompagnassi in libreria, cosa ci consiglieresti di acquistare?

«Il romanzo che ho regalato di più nella mia vita è “Solaris” di Lem. Il secondo è “Mentre Morivo” di Faulkner. Poi vi getterei addosso un sacco di filosofia come si deve: Spinoza, con la sua “Etica” e il “Trattato Teologico-Politico” o “Il Castello” di Kafka (che è filosofia, per quanto mi riguarda)».

Com’è stata la tua carriera scolastica? Allievo nerd e secchione o geniale ma non s’impegna?

«A scuola ero un pazzoide fin troppo esuberante che doveva sempre alzare l’asticella della follia. Direi che sono stato un adolescente a due facce: molto riflessivo, lettore attento, curioso nel privato; furibondo assassino del silenzio, casinista a livelli insopportabili nella vita sociale. A scuola ero poco attento allo studio perché ero davvero troppo preso dalle cose che mi interessavano sul serio (e che a scuola non si facevano). Nonostante questo avevo buoni voti e nessuno si è mai lamentato del rendimento (a differenza del comportamento)».

Ultimamente il tuo lavoro nel campo dei social media è riuscito a catalizzare l’interesse dei media tradizionali (pochi giorni fa un articolo dedicato su «Repubblica»). Cosa pensi di questa notorietà e come ti sei attrezzato per affrontarla? Rilanci? Scappi?

«Penso che questo carichi me (e gli altri che sul web si occupano di cultura) di una responsabilità: non permettere che questa notorietà si trasformi in una moda passeggera, come tutto ciò che finisce nel “mainstream” dell’informazione italiana. Sono convinto che i miei contenuti portino grande valore a chi mi segue (questo non è un mio pregiudizio, ma mi viene dimostrato dalle decine di messaggi che ricevo ogni giorno da parte di gente che mi segue assiduamente) e devo “rilanciare”, senza perdere qualità, affinché la gente cominci ad accorgersi che su internet esiste la possibilità di accedere a contenuti “alti”».

Cosa pensi della tecnologia dei social media e quali sono i tuoi consigli per comprenderla?

«Credo non sia diversa da qualsiasi altro mezzo che l’umanità abbia sviluppato per comunicare nel corso della propria storia: serve a conoscere noi stessi. Il mondo social ci fornisce strumenti per rimettere in discussione moltissime cose che nei decenni scorsi abbiamo dato per scontato e che hanno a che fare con la nostra vita, con la nostra intimità: il rapporto interpersonale, il linguaggio, l’immagine, il gesto. Approcciare in maniera utile i social media significa sentire quanto intimamente siano collegati con la vita di tutti i giorni. Anche chi legge libri può farlo nella maniera sbagliata, magari solo per “evadere” un po’, senza farsi toccare nell’intimità da ciò che quei libri comunicano. Questo accade anche oggi con i social».

Quali sono i temi che ti stanno maggiormente a cuore nell’attività di filosofo (virtuale o meno)?

«Il tema che mi sta più a cuore è la creatività, intesa come possibilità di creare mondi. Il desiderio, che non ha nulla a che vedere con il “volere qualcosa”, ma ha a che fare con il “produrre” qualcosa. Di conseguenza, la narrazione, che è la concretizzazione di qualsiasi desiderio. Quando racconto una storia, sto mettendo in discussione il modo con cui mi rapporto con me stesso e con il mondo. La filosofia, in questo, condivide la radice profonda con la letteratura e l’arte. Ogni altro tema (etica e bioetica, politica, tecnica), per come la vivo io, è conseguenza di questa riflessione».

Parlaci del contest di filosofia oratoria che hai organizzato sul tuo canale.

«Si tratta di qualcosa che ai miei corsi e negli incontri che dedico ai miei seguaci propongo spesso: la costruzione consapevole di una struttura argomentativa. Otto partecipanti si sono scontrati, dai quarti di finale e due a due, in contest di argomentazione su temi estratti a caso e posizioni ancora più casuali. Il punto è questo: se sai argomentare qualcosa in cui non credi veramente, quando parlerai delle tue idee lo farai in maniera ancora più efficace e convinta, perché avrai conosciuto a fondo le tesi contrarie e di conseguenza le implicazioni della tua stessa idea. Un’esperienza davvero divertente e stimolante che a inizio marzo verrà replicata, sempre sul mio canale».

Mi pare che tu abbia sempre presente la società e i suoi squilibri. Vuoi parlarcene?

«Bisognerebbe scriverci un libro, altroché. Diciamo che sono un vitalista, quindi cerco sempre di vedere lo slancio creativo che sta dietro ogni cosa, anche la più abietta. Per me vale sempre la considerazione di Spinoza: non esiste un male assoluto contrapposto a un bene assoluto, esiste solo chi dispiega in maniera infima la propria potenza. In questo, esercitare un potere è il contrario del dispiegare la propria potenza (creativa, espressiva, esistenziale). Credo che oggi viviamo un momento storico in cui la potenza di tutti noi viene svalutata perché tutti vogliono invece “esercitare un potere”, seppur stupido e ridicolo. Questo è il grave squilibrio del nostro tempo».

Veniamo alla narrativa. Hai pubblicato un lavoro di fantascienza pura. Ce ne parli?

«“I pianeti impossibili” (Tragopano, 2014) inizialmente non doveva essere un romanzo. Era una serie di esercizi di scrittura che avevo iniziato a sperimentare dopo mesi di aridità narrativa. A un certo punto, durante le settimane di esercizi, questi mondi improbabili e paradossali cominciavano a emergere in gran numero e mi sono detto: “Non sarà mica una storia, questa?” Ecco, il mio romanzo emerge così, in maniera libera e spontanea. Inoltre, ha rappresentato per me l’uscita da un periodo molto difficile. Un viaggio, non solo per il lettore, ma prima e soprattutto per me. Un viaggio per ritrovare alcune cose di me stesso che avevo perduto. Ecco: questo significa “dispiegare la propria potenza”, quel che dicevo nella risposta precedente».

Mi pare che «I pianeti impossibili» sia quasi una riscrittura per il lettore del futuro di «Le città invisibili» di Calvino. Sei d’accordo?

«Sicuramente è una delle influenze più forti. Una recensione ha definito il mio romanzo “Le Città Invisibili ai tempi di Interstellar” e la definizione mi è piaciuta, al di là della sparata di marketing. Ma non solo. All’interno del romanzo ci potreste trovare il già citato Solaris, Frankenstein e Nietzsche. Ma anche l’horror di Clive Barker e la prosa di Borges. Si tratta di un compendio di moltissime delle influenze che ho avuto nei miei precedenti 20 anni e alle quali sono eternamente grato. Il romanzo potrebbe essere persino un tributo a tutti loro».

Nel libro si parla molto di eguaglianza sociale. Nel finale il protagonista sceglie con fatica la strada più difficile anche eticamente, quella della libertà rispetto alla stabilità. C’è sotto un pensiero molto robusto. Vuoi sviscerarlo?

«Quando mio padre lesse il romanzo mi disse: “Ma il tuo protagonista è un cattivo!” e io non ho avuto cuore di rispondergli: “Allora io sono un cattivo”. Durante la stesura ho capito che quella parte di me stava emergendo e non mi piaceva. Ma il romanzo mi ha aiutato a fare pace con questo fatto: dentro di noi abbiamo aspetti che non ci piacciono ma che dobbiamo accettare. Smussare, per quanto possibile, ma non reprimere. La scelta di libertà del protagonista è anche una scelta inaccettabilmente egoista: quella di Narciso che metterebbe a ferro e fuoco l’intero universo per potersi contemplare in un’immagine. Ed è esattamente ciò che accade al protagonista del romanzo. Credo che l’eguaglianza sociale, ma forse è meglio la parola “equilibrio”, abbia a che fare con questo: riconoscere le parti inaccettabili che abbiamo dentro di noi e farci pace, usandole nel modo giusto. Ogni squilibrio nasce dal nascondere ai propri occhi le parti di noi che non accettiamo (o che gli altri non accettano)».

Quali sono i progetti di Riccardo per quel che riguarda la scrittura e la narrativa in particolare?

«Attualmente sto scrivendo poco perché sono molto assorbito dall’attività di YouTube. Ma ho almeno tre romanzi nel cassetto, idee che mi porto dietro da molto tempo e prima o poi troveranno il giusto spazio. Sto collaborando anche per la creazione di storie illustrate e altre produzioni narrative tra diversi linguaggi. Staremo a vedere: narrativamente è tutto molto in fase di cantiere, ma non finirò mai di raccontare storie, questo è certo».

E, ovviamente, il futuro di Dal Ferro.

«redo sia imperscrutabile soprattutto da me. Voglio solo guardarmi indietro, tra molti anni, e poter dire serenamente: “Ho fatto del mio meglio, ho offerto tutto quello che potevo”. Ecco: “offrirmi” è la parola che mi piace affiancare alle parole “il mio futuro”».

(*) In un primo ciclo di «Narrator in Fabula» – 14 settimane – Vincent Spasaro ha intervistato per codesto blog/bottega autori&autrici, editor, traduttori, editori dalle parti del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che si trova in “qualche altra realtà”… alla ricerca di profili, gusti, regole-eccezioni, modo di lavorare, misteri e se possibile anche del loro mondo interiore. I nomi? Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani, Massimo Soumaré, Sandro Pergameno, Maurizio Cometto, Lorenza Ghinelli, Massimo Citi, Gordiano Lupi, Silvia Castoldi, Lorenzo Mazzoni, Giuseppe Lippi e Cristiana Astori. «Non finisce lì» aveva giurato Spasaro. Nel secondo ciclo: Angelo Marenzana, Gian Filippo Pizzo, Edoardo Rosati, Luca Barbieri, Giulio Leoni, Michele Tetro, Massimo Maugeri, Stefano Di Marino, Francesco Troccoli, Valerio Evangelisti, Alberto Panicucci, “Jessie James”, Silvio Sosio, Luca Masali, oggi “Rick DuFer” … fra 7 giorni Gianfranco Nerozzi e fra 14 giorni chissà se la valanga sarà ancora in tabula o forse in fabula. Alla fine qualcuna/o inevitabilmente mancherà (per i motivi più vari e/o strani) ma insomma questa è una panoramica… come mai – io credo – tentata in Italia. Certo bisognerà completarla questa “Narrator” con un’ultima intervista martellante e cattiva… a un certo Vincent Spasaro. Che ne dite? Qualcuna/o si offre? Già vi vedo divis* in due partiti: “l’auto intervista sììììì” e “l’auto intervista nooooo”. Vedremo. In ogni caso restate in zona, qui “ai confini della realtà”. (db)

 

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