Narrator in fabula? Terza puntata

dove Vincent Spasaro intervista Fabio Lastrucci (*)

Fabio Lastrucci impersona il classico nobile napoletano dei romanzi: colto e umile, interessante e multiforme. Soprattutto ironico e autoironico. Ha esplorato con successo un ampio raggio di arti e di creatività. Dalla scultura alla sceneggiatura, dalla pittura alla narrativa, dal fumetto al cinema. Qui potete trovare le sue ultime creazioni, le sculture morbide: http://morbidiapprodi.wordpress.com/

Ha piazzato sulle maggiori riviste del fantastico una serie di racconti di grande livello: ricordo a scopo esemplificativo due capolavori come «La meccanica dell’Ambaradan» uscito originariamente su «Alia» numero 5 e passato qualche anno fa per questo blog, oppure «Pozzanghere gelate» nell’antologia «Veleno» edito da Edizioni Il Foglio. È recentemente approdato ai romanzi brevi («L’utopia morbida», edizioni Asterisk, ebook 2014, e «Precariopoli», Milena Edizioni, 2014) e negli ultimi mesi al romanzo lungo, mostrando la sua grande originalità e invidiabile maturità.

Mi stupisce la tua capacità di passare da una creatività meditata come la scrittura a una passionale come la scultura. Hai inoltre avuto esperienze di sceneggiatura fumettistica e cinematografica e lavorato in teatro. Com’è nata la tua passione multiforme per l’arte?

«Le passioni e le scelte di vita a volte nascono da un intreccio fatto di casualità e destino. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi ha dato grandi stimoli: mio padre era un notevole pittore ritrattista e i miei fratelli si occupano di arte e graphic design. Mio nonno Gustavo pubblicava novelle e romanzi sotto un bizzarro nom de plume, mia nonna dipingeva paesaggi. Quando ho potuto scegliere fra la carriera scolastica e il teatro, non ho avuto dubbi: mi sono buttato in pasto al percorso più aleatorio. Da lì, incontri, occasioni e necessità hanno plasmato la strada portandola a toccare vari campi, dall’illustrazione alla scultura ai cortometraggi e spero di poter scoprire ancora dell’altro».

Da anni hai messo a punto uno stile riconoscibilissimo dove la fantascienza e il fantastico sono sempre venati di ironia, mai greve, che stempera le tensioni e aggiunge una diversa profondità alle storie. Da cosa nasce il tuo umorismo pacato? Carattere, letture, una visione sorridente della vita?










«Credo che la scrittura porti in sé per la sua elaborazione un minimo di distanza dall’oggetto in argomento. Di conseguenza, rappresentare qualcosa permette di dargli al tempo stesso un piano emotivo di adesione e uno, più smaliziato, di critica. Mi ha sempre affascinato questa possibilità della parola di moltiplicare i significati e guardare al mondo come a un rebus da tradurre. Da qui la scelta di raccontare in modalità spesso ironiche. Ovviamente, ho anche i miei santini letterari che mi hanno spinto a scrivere con questo approccio, parlo di P. G. Wodehouse e Frédéric Dard (de «Il Commissario Sanantonio»), due grandi funamboli del linguaggio, oltre a Kurt Vonnegut con il suo humour a volte acre ma sempre illuminante. Sul fronte fantastico, invece, il faro di riferimento resta sempre Fritz Leiber, maestro di stile oltre che di humour. Modelli sempre irraggiungibili».











Hai una spiccata predilezione per la fantascienza. Come hai iniziato a leggere questo genere e perché ti ci muovi a tuo agio come scrittore?



«Il percorso di lettura è quello comune a molti, da Verne a Urania, passando per le avventure pulp di Doc Savage che Mondadori portava in edicola negli anni ’70. L’interesse era anche orientato dai fumetti per ragazzi nei quali la fantascienza aveva una presenza più limitata, diventando quindi oggetto di grande fascino per me. Mi riferisco a Gordon, Brick Bradford o le serie presentate dalla rivista Eureka. Tutti i mondi vissuti in queste letture mi hanno lasciato un’eco che fa da diapason alla scrittura attuale, un nodo inestricabile di ricordi personali, fantasie e ricordi di fantasie. Oggi non faccio altro che organizzare questo piccolo patrimonio tematico con un orientamento rivolto più al fantastico che alla sf pura, dato che ho le stesse competenze scientifiche di un muflone».



Come hai iniziato a scrivere, quando hai pensato di proporti per una pubblicazione e come si è svolta la tua carriera di narratore fino a ora?











«Dietro ogni scrittore c’è un lettore vorace. Ho sempre pasteggiato con narrativa e fumetti, iniziando poi dalle scuole medie a giocare con le parole per inventare parodie, gialli umoristici e persino fotoromanzi. Per un po’ la scrittura ha seguito fasi alterne, cedendo il passo ad altri interessi artistici e lavorativi. La prima occasione di darle una dimensione professionale me l’ha offerta il teatro, permettendomi di mettere in scena delle canzoni (musicate da Pericle Odierna) e uno spettacolo per ragazzi a tre autori. Il salto nell’editoria invece è merito di internet e dei concorsi letterari tramite i quali ho conosciuto dal 2000 in poi autori, riviste ed editori, con l’occasione per approdare alle prime pubblicazioni di racconti. Molto più difficile è stato produrre e proporre romanzi. In questo ambito si deve fare i conti con lunghe attese e tanti rifiuti prima di trovare un interlocutore. E anche da lì il percorso per incontrare il pubblico è tutto in salita. Ci vuole la tempra di un rocciatore e tanta tanta pazienza».











A proposito di romanzi, è da poco uscito un lavoro molto particolare come «L’estate segreta di Babe Hardy» (Dunwich edizioni). Vuoi parlarcene?



«Ci sono idee che costruisci come un orologiaio e altre che ti vengono a cercare inaspettatamente. L’estate segreta è nata così, nel 2001, grazie a un’immagine onirica che mi fece svegliare un mattino ridendo a questa domanda: e se Oliver Hardy fosse stato un vampiro? Lo spunto era talmente esile e assurdo da sedurmi, per cui, previa una sommaria documentazione, buttai giù il plot principale in 50 cartelle basate su immagini, atmosfere e dinamiche legate agli amati ricordi delle comiche di Laurel & Hardy. La forma c’era ma la trama non ancora. Per mia fortuna, Daniele Nadir ne bocciò la prima versione che proposi come racconto lungo alla rivista Strane Storie. Non avrei mai pensato di riuscire a trarne un romanzo se non avessi avuto il tuo amichevole aut-aut del 2009 che mi impegnò a fare sul serio, aiutandomi a strutturare meglio il tutto. Tre anni dopo, con un grande lavoro di documentazione e lima, questa dark comedy spruzzata di horror e nostalgia era pronta, ma è stato più tortuoso e lento vederla pubblicata. Sono molto grato, per l’attenzione e l’ottimo lavoro di editing, a Mauro Saracino che l’ha scelta per Dunwich edizioni, dandole la sua forma definitiva. Per essere soltanto un sogno, questa piccola idea ha camminato parecchio».

«Babe» mi ha molto colpito per originalità e distanza dalla media di quel che viene pubblicato in Italia e spacciato per letteratura fantastica. Vi ho ritrovato la tua ironia mescolata a un’ottima gestione della sceneggiatura e soprattutto a una grande idea. Sei consapevole di essere una mosca bianca nel panorama italiano, un nuovo punto di riferimento per una certa concezione del fantastico? Cosa ti aspetti da questo lavoro?











«Ti ringrazio per la stima che spero prima o poi di meritare sul serio. Al momento mi sento più una mosca – non so di che colore – per tutto quello che ho ancora da imparare in questo campo. Il fantastico è una galassia che permette molte esplorazioni se non si rimane ancorati a stereotipi e schemi esausti. Purtroppo il mercato sembra premiare più le rimasticature. Provare a fare qualcosa di diverso è un’arma a doppio taglio perché può sorprendere e interessare il lettore ma riesce anche a indurre diffidenza. Fino a ora Babe ha avuto un’accoglienza per lo più benevola grazie alla memoria storica dei suoi protagonisti reali, ma vorrei in seguito toccare anche altri registri più drammatici. Il tutto sperando che la critica non mi copra di pece e piume».

Saluto Fabio che ha già sul piatto nuove pietanze di cui racconterà al momento opportuno e vi invito ad acquistare l’originale ed emozionante «L’estate segreta di babe Hardy». Immaginatevi cosa sarebbe accaduto se Stanlio e Ollio fossero stati contagiati da un particolare amore per… il sangue. Provate a pensare a questa passione diffusa per tutta la Hollywood degli anni ruggenti. Da questa idea prende le mosse la divertentissima commedia nera intessuta da Fabio Lastrucci con un lavoro di documentazione rigoroso su di un perfetto telaio storico per regalarci una galleria di personaggi indimenticabili. Chi si lamenta della sudditanza nazionale agli stereotipi stranieri guardi l’opera nera, divertentissima e fantasiosa di Fabio Lastrucci: adesso non ha assolutamente più scuse.

Ecco qui il link al romanzo tramite la casa editrice:

http://www.dunwichedizioni.it/wordpress/books/lestate-segreta-babe-hardy/

(*) Vincent Spasaro intervista per il blog autori-autrici, editor, traduttori, editori del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che è fantasia, alla ricerca dei misteri del loro mondo interiore. Si è iniziato con Danilo Arona, Clelia Farris e ora Fabio Lastrucci. A seguire… stavolta non lo so neanche io. (db)

Redazione
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  • Il romanzo l’ho acquistato subito (o quasi) ma non l’ho ancora letto. Dopo questa breve presentazione direi che ha fatto un sensibile passo avanti. Non appena ho finito Ian McEwan (e magari il buon Spasaro) passo a Oliver Hardy vampiro.

  • Max, dopo McEwan e Spasaro ti sembrerà di leggere Andy Capp, Se prima leggessi Fabio Volo sarei a cavallo 😉

  • Ah ah ah! Grazie, Massimo. Fabio merita davvero. E lui sa quanto ho creduto e credo in questo suo romanzo.
    E per il futuro ci riserverà ulteriori sorprese.

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