Nascere in libertà

Intervista a Ina May Gaskin, di Anna Sterling per Feministing del 30 dicembre 2011; traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo.

Ina May Gaskin, nata nel 1940, è laureata in lingua e letteratura inglese, ostetrica “sul campo”, pioniera del movimento per il parto naturale, scrittrice: ha vinto nel 2011 il Premio Nobel Alternativo (chiamato anche “The Right Livelihood Award“) conferito in Svezia a coloro che “offrono risposte pratiche ed esemplari ai bisogni più urgenti che ci troviamo ad affrontare oggi”. Ina May ha fondato con il marito una comune in Tennessee – La Fattoria – che al suo picco massimo ha avuto 1.500 residenti: la clinica per il parto della comune conta meno del 2% di cesarei; donne da tutto il mondo la raggiungono per ricevere consigli e servizi.

Anna Sterling: In che modo il femminismo ha influenzato il tuo lavoro di levatrice?

Ina May Gaskin: Il femminismo è diventato molto importante per me quando ho compreso davvero una frase di Robin Morgan: “La sorellanza è potente”. Ho fatto esperienza di queste quattro parole quando sono diventata madre e ho capito che isolata non avevo alcun potere. Durante il mio primo parto sono stata soggetta a un trattamento folle: una nascita con forcipe obbligatorio. Un anno più tardi entrai in contatto con altre donne che dicevano: “A noi non accadrà mai più” e la volta dopo partorivano a casa. Avevano persuaso un’infermiera del locale reparto di ostetricia a diventare la loro levatrice durante i parti in casa. E uscivano dall’esperienza così forti, felici, in salute e con un bimbo sano. Questo mi esaltava.

Tre o quattro anni dopo stavo tenendo una lezione a Yale, e pensavo che le persone che mi ascoltavano sarebbero state elettrizzate dalla parte sull’ostetricia perché le donne del mio villaggio trovavano meraviglioso non avere intorno medici misogini (che allora erano prevalenti) che forzavano le nascite con il forcipe. Invece fui cacciata a fischi. E pensavo: cosa staranno leggendo queste giovani donne, questo a me non sembra femminismo. Cosa può esserci di più femminista del riprenderti il potere di partorire come vuoi e dire: “No, non voglio che un medico – che pensa erroneamente al mio corpo come a qualcosa di difettoso – mi faccia fretta stando attorno alle mie gambe e trascini fuori da me il mio bambino prima che io abbia una possibilità di farcela”. In quel periodo tu non avevi possibilità di scegliere. Credo che demmo inizio a una vera e propria rivoluzione, rispetto alla nascita, quando io scrissi un libro con l’aiuto dei membri della comunità, e diventò il primo bestseller sull’ostetricia del paese.

AS: Chi sono le tue eroine?

IMG: Katarina Schrader, per cominciare. Era una levatrice olandese del 17° secolo. Assistette più di tremila parti prima che il cesareo fosse praticato e aveva un tasso di mortalità materna inferiore a quello che avevamo noi negli Usa nel 1936, straordinario. C’è una complicazione che si presenta frequentemente negli Usa, perché è in relazione all’alto tasso di parti cesarei. Al tempo di Katarina era rara, perché i cesarei non si facevano. E’ quando la placenta si fissa sopra la cervice, perciò quando il bambino nasce la madre ha un’emorragia diffusa e può perdere la vita molto velocemente. La prima volta in cui Katarina incontrò questa complicazione, madre e bambino morirono. La seconda volta, la levatrice ci aveva pensato su ed era pronta ad affrontarla. Travasò la placenta all’esterno, mise la mano nella vagina della donna sino a raggiungere la testa del bimbo, spinse la mano ancora più su, sino ad arrivare ai piedi e facendo una delicata pressione su di essi aiutò il bambino a scivolare fuori. Salvò madre e figlio per sette volte con questo sistema. Al giorno d’oggi, le donne ancora ne muoiono e tali incidenti si moltiplicano a causa delle alte percentuali di cesarei.

Poi ho un eroe, Ignaz Philipp Semmelweis. Era un giovane medico, ungherese di nascita, che lavorava a Vienna. In quell’epoca c’erano due tipi di cliniche per partorire. Le donne povere andavano alla clinica gestita dai dottori maschi, le ricche andavano in quella dove c’erano le levatrici. Il tasso di mortalità materna, in quest’ultima, era praticamente zero, mentre in alcuni periodi, nella clinica dei medici, raggiungeva il 50%. La ragione per cui le donne morivano era che i dottori non si lavavano le mani.

Facevano autopsie sulle donne morte nel loro ospedale e subito dopo esami vaginali a giovani donne in salute che però morivano 3/5 giorni dopo aver partorito. Semmelweis ebbe il coraggio di aprire la mente e di capire cosa stava succedendo. Era in grado di provare che il lavarsi le mani dei medici avrebbe salvato le vite delle partorienti, ma non riuscì a convincere gli altri dottori. Morì in manicomio. Quest’uomo fu così eroico da essere un’ispirazione per me. Ho anche dovuto imparare, da lui, a non lasciarmi prendere dalla frenesia: quando sai di poter salvare delle vite lo devi fare senza offendere o far sentire in colpa coloro che possono imparare da te, altrimenti non impareranno.

Sto leggendo un libro in tedesco, in questo momento, la storia – fittizia – di una giovane donna accusata di essere una strega. Anche se la vicenda è inventata, il contesto storico non lo è. Penso che la visione distorta che abbiamo della nascita si origini dalla follia della caccia alle streghe europea (dal 15° al 18° secolo) di cui le levatrici furono le vittime principali. Ne uccisero moltissime, in Germania, in Italia, in Francia, in Gran Bretagna.

AS: Qual è la notizia più recente che ti fa venir voglia di urlare?

IMG: Il fatto che continuino a dire che il parto in casa non è sicuro. E’ semplicemente propaganda, un modo per spaventare le persone, perché si possono spremere da loro un bel po’ di soldi in questo modo. Se il parto in casa non è una scelta accessibile a una donna, partorire diventa un bene di consumo, allo stesso modo in cui l’acqua viene espropriata alle persone e poi venduta a esse, allo stesso modo in cui le corporazioni multinazionali controllano il cibo. Questo pensiero radicale, che le donne non sono inferiori agli scoiattoli, alle mucche, ai conigli e agli elefanti, è anche assolutamente vero. Abbiamo circa 5.000 specie di mammiferi sulla Terra, e le donne sarebbero le uniche, fra i mammiferi, a non saper partorire? Siamo culturalmente spinti a pensare in questa maniera, ma la realtà è diversa. Le mie partner e io non siamo passate attraverso un’istruzione medica formale, e com’è che abbiamo risultati così buoni? Abbiamo fatto nascere 186 bambini prima che ci fosse davvero necessità di un parto cesareo. Ma ci sono ospedali dove ogni tre parti uno è con cesareo, come mai? Chi beneficia da ciò?

AS: Secondo te, qual è la più grande sfida che il femminismo si trova davanti oggi?

IMG: Bisogna metterci dentro le madri. Penso che la seconda ondata del femminismo abbia trovato la questione della maternità così difficile da scostarsi da essa, e così l’unica parte dei diritti riproduttivi di cui si è parlato aveva a che fare con l’interruzione di gravidanza. E naturalmente è necessario che questo ci sia, ma dobbiamo anche avere diritto di scelta su come partorire, con chi, e dove. La finanza controlla gli ospedali, i dottori girano gli ordini alle ostetriche e l’insieme dice alle donne: “Questo è il modo in cui partorirai. In essenza, tu ci appartieni. Non appartieni a te stessa”.

AS: Stai andando su un’isola deserta e puoi scegliere una bevanda, un cibo e una femminista da portare con te.

IMG: Acqua. E come cibo probabilmente qualcosa di giapponese: facciamo sushi con miso. La femminista è Elizabeth Cady Stanton. Era grandiosa. E’ riuscita a immaginare come essere una madre potente. Aveva l’aiuto di Susan B. Anthony, che si curava dei suoi sette figli quando Elizabeth saliva nell’attico a scrivere i suoi poderosi discorsi. Amo questo tipo di femminismo, dove c’è qualcuna che non ha bambini e fa squadra con un’altra che li ha, e le donne mettono insieme le loro energie. Penso che Elizabeth e Susan fossero meravigliose e penso che abbiamo bisogno dello stesso tipo di cooperazione fra le femministe oggi.


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