La Nato è l’organizzazione più assassina, criminale e sanguinaria al mondo*

articoli, video, disegni di Vittorio Rangeloni, Davide Malacaria, Demostenes Floros, Alessandro Orsini, Giuseppe Masala, Stefano Orsi, Lucio Caracciolo, Ennio Bordato, Manlio Dinucci, Latuff, Gerardo Femina, Nicolai Lilin, Giacomo Gabellini, Fernando Moragón, Antonio Alonso, Ezequiel Bistoletti, Miguel Ruiz Calvo, Pasquale Pugliese, Danilo Dolci, El Resumen Militar, Sergei Lavrov, Lorenzo Ramírez, Fulvio Beltrami, Giuseppe Gagliano, Alberto Negri, Fulvio Scaglione, Enrica Perucchietti, Enrico Vigna, Matteo Saudino, Sergio Romano

Non c’è un uomo con i sensi giusti che vuole fare il militare e vuole la guerra. Il popolo è ignorante: se fossimo tutti d’accordo, quei quattro che vogliono la guerra li mettiamo in manicomio a farsi la guerra tra di loro.

da: Racconti siciliani – Danilo Dolci p.192 (ed. Sellerio 2008)

 

Il mandato di arresto contro Putin della CPI su un documento made in Usa – Davide Malacaria

La Corte penale internazionale che ha spiccato il mandato di arresto contro Vladimir Putin, accusato di aver deportato bambini ucraini in Russia, ha basato la sua decisione su prove fornite dall’Humanitarian Research Lab (HRL) dell’Università di Yale. Quest’ultima ha condotto la sua inchiesta grazie a un finanziamento dal Bureau of Conflict and Stabilization Operations del Dipartimento di Stato Usa, un’organismo istituito dall’amministrazione Biden nel maggio 2022 per indagare sui crimini internazionali e favorire la pace (cioè gli interessi americani).

Lo riferisce un’inchiesta di The Grayzone a firma di Max Blumenthal e Jeremy Loffredo, ma, anche se in forma anodina, lo si può apprendere dal documento stesso della HRL, nella pagina introduttiva. E’ stato peraltro dichiarato apertamente alla CNN nel corso di un’intervista di Anderson Cooper al direttore esecutivo dell’HRL Nathaniel Raymond.

Insomma, il Tribunale penale internazionale per dar corpo all’accusa si è basato su una fonte di parte, e molto di parte dal momento che gli Usa sono in guerra contro la Russia per intermediazione ucraina. Quindi, inaudita altera parte, ha preso le sue decisioni. Basterebbe questo per rendere del tutto aleatorio, se non ridicolo, quanto avvenuto. Ma c’è anche molto altro, che emerge dalla lettura del documento dell’HRL, riferito da The Grayzone.

La fonte? Internet…

Anzitutto la base documentale. Così su The Grayzone “HRL non ha fatto alcuna intervista a testimoni o vittime; ha raccolto solo informazioni specifiche disponibili open source [fonti aperte, in genere si riferisce ai media, ai social, internet etc] […]. HRL non ha condotto indagini sul terreno e non ha chiesto l’accesso ai siti” che ospitano i bambini in Russia. Insomma, nessuna indagine, nessun riscontro… un’indagine inconsistente.

Ma nel rapporto, si legge anche altro. Si riconosce, cioè, che la maggior parte delle residenze per fanciulli che ha profilato “fornivano programmi ricreativi gratuiti per giovani svantaggiati ai quali genitori intendevano accedere nel tentativo di proteggere i propri figli dai combattimenti in corso’ e per ‘assicurarsi che avessero cibo nutriente, non disponibile nel luogo in cui vivevano’”.

“Presto tutti i frequentatori dei siti [in Russia] sono tornati a casa in modo tempestivo, dopo aver partecipato con il consenso dei genitori […]. Il rapporto finanziato dal Dipartimento di Stato riconosce, inoltre, di non aver trovato ‘nessuna documentazione di maltrattamenti su minori’”.

Interessante anche un’altra annotazione di Grayzone: “Il rapporto Yale HRL finanziato dal Dipartimento di Stato ha chiarito una cosa sull’esperienza dei bambini iscritti al Donbass Express: è probabile che [bimbi e genitori] mantengano segreto il loro coinvolgimento nel programma. Agli occhi delle autorità ucraine, il semplice atto di recarsi in Russia, anche per lezioni di musica gratuite, equivale a collaborare con il nemico”.

Così nel rapporto, “Molte famiglie in Ucraina non vogliono condividere pubblicamente le loro esperienze [del campo o della scuola] perché temono di essere viste [dall’Ucraina] come collaboratori della Russia”…

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…MANCANO PANNOLINI, CIBO E ACQUA

Non è un racconto di Primo Levi sulla vita a Auschwitz, ma di Warren Binford, legale del team di avvocati che si è recato la settimana scorsa a Clint, città texana al confine con il Messico dove sono detenuti in circostanze disumane centinaia di bambini separati dalle loro famiglie. Molti di loro hanno passato il confine con zii o parenti, per potersi riunire con i genitori già in terra americana. La situazione sanitaria è a dir poco precaria, sono molti i casi di influenza, morbillo e altre malattie contagiose. Una degli avvocati intervistati dal New Yorker racconta della mancanza di pannolini, di igiene (alcuni bambini hanno raccontato di non fare una doccia da settimane), ma anche di cibo e acqua.

«SPORCHI, AFFAMATI E SOLI»

Gli avvocati volevano assicurarsi che i bambini ricevessero le attenzioni necessarie richieste dalle leggi vigenti e hanno trovato una situazione sconvolgente. Tutti i piccoli (più di 300, ma continuavano ad arrivarne) sono detenuti in un luogo costruito non certo a loro misura, ma destinato alla permanenza breve di adulti. «I bambini ci hanno detto che erano lì da più di tre settimane. Erano sporchi, c’era muco, cibo, latte sulle loro magliette e sui loro pantaloni. Ci hanno detto di avere fame, che alcuni di loro non fanno la doccia dal giorno in cui sono arrivati. Alcuni si sono lavati i denti solo una volta. Hanno spiegato che nessuno si occupa di loro, per cui i più grandi si prendono cura dei più piccoli», continua il racconto di Binford. «Molti di loro dormono sul cemento. Vengono distribuite delle coperte dell’esercito, ma sono di lana e pizzicano. Non sempre ne danno due a testa, una da mettere sopra il cemento e l’altra per coprirsi, per cui coloro a cui viene data una sola coperta devono decidere se dormire sul cemento o avere freddo la notte»…

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I 7 segnali che indicano l’inizio della dedollarizzazione globale

Per decenni il dollaro USA è stato il re indiscusso delle valute globali, ma ora stanno avvenendo cambiamenti radicali.  Cina, Russia, India, Brasile, Arabia Saudita e altre nazioni stanno facendo passi da gigante che permetteranno loro di diventare molto meno dipendenti dal dollaro statunitense nei prossimi anni.  Questa è una notizia davvero negativa per noi, perché il fatto di essere la principale valuta di riserva del mondo ci ha permesso di godere di un tenore di vita massicciamente gonfiato. Una volta perso questo status, il nostro stile di vita sarà molto diverso da quello attuale.  Purtroppo, la maggior parte degli statunitensi non capisce nulla di tutto questo. Anche se negli ultimi anni i nostri leader hanno trattato la stabilità della nostra moneta con assoluto disprezzo, la maggior parte degli statunitensi dà per scontato che il dollaro regnerà sempre sovrano. Nel frattempo, gran parte del pianeta si sta preparando per un futuro in cui il dollaro sarà molto meno importante di quanto lo sia ora. Ecco 7 segnali che indicano che la de-dollarizzazione globale è appena entrata nel vivo…

#1 I Paesi BRICS rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale e quasi un quarto del PIL globale. Quindi il fatto che stiano lavorando per sviluppare una “nuova moneta” dovrebbe preoccupare tutti noi…

Il vicepresidente della Duma di Stato russa, Alexander Babakov, ha dichiarato il 30 marzo che il blocco di economie emergenti BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – sta lavorando allo sviluppo di una “nuova valuta” che sarà presentata al prossimo vertice dell’organizzazione a Durban.

“Il passaggio ai regolamenti in valuta nazionale è il primo passo. Il prossimo è quello di prevedere la circolazione di moneta digitale o di qualsiasi altra forma di moneta fondamentalmente nuova nel prossimo futuro. Credo che al vertice dei BRICS verrà annunciata la disponibilità a realizzare questo progetto, i cui lavori sono già in corso”, ha dichiarato Babakov a margine del Business Forum sul partenariato strategico russo-indiano per lo sviluppo e la crescita.

Babakov ha anche affermato che probabilmente all’interno dei BRICS potrebbe nascere una moneta unica, ancorata non solo al valore dell’oro ma anche ad “altri gruppi di prodotti, elementi di terre rare o suolo”.

#2 Due dei paesi BRICS, Cina e Brasile, hanno appena “raggiunto un accordo per commerciare nelle proprie valute”…

Il renminbi cinese sta accelerando l’espansione del suo utilizzo a livello globale, una tendenza che aiuterà a costruire un sistema monetario internazionale più resistente, meno dipendente dal dollaro USA e più favorevole alla crescita del commercio, affermano gli esperti.

Gli esperti hanno commentato che la Cina e il Brasile – due grandi economie emergenti e membri dei BRICS – hanno raggiunto un accordo per commerciare nelle proprie valute, abbandonando il dollaro USA come intermediario.

L’accordo consentirà a Cina e Brasile di condurre le loro massicce transazioni commerciali e finanziarie direttamente, scambiando il renminbi con il reais e viceversa, invece di passare attraverso il dollaro, ha riferito l’Agence France-Presse, citando il governo brasiliano…

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L’ennesima buffonata – Alessandro Orsini

Siccome in Italia la libertà d’informazione sulla sicurezza internazionale è pari a quella in Iran, Egitto e Corea del Nord, i media dominanti continuano a manipolare l’opinione pubblica affermando che la Cina potrebbe fare qualcosa per fermare la guerra in Ucraina. La Cina non può fare niente giacché non può rimuovere le cause profonde della guerra: cause che possono essere rimosse soltanto dalla Nato e dagli Stati Uniti. Per fermare la guerra, occorre dare qualcosa in cambio alla Russia. La Cina non può dare ai russi la fine dell’espansione della Nato ai loro confini e, come conseguenza di ciò, non può ottenere la fine della penetrazione della Nato in Georgia, Finlandia e Ucraina. Non può nemmeno proteggere con il proprio esercito i russi del Donbass dalle bombe di Kiev o le basi russe in Crimea dai missili della Nato. State pur certi di questo: qualunque giornalista o conduttore radiofonico italiano affermi che la Cina potrebbe porre fine alla guerra, se lo volesse, è soltanto un manipolatore dell’opinione pubblica. Serve per nascondere il fatto che Biden vuole la guerra a tutti i costi e che la Commissione Europea è un gruppo di servitori della Casa Bianca. Serve a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dai veri responsabili occidentali di questa tragedia; dalle politiche criminali che hanno condotto in Ucraina tra il 2014 e il 2022.

Non costruiremo un futuro migliore per i nostri figli fino a quando l’informazione sulla politica internazionale in Italia sarà quasi esclusivamente nelle mani di un gruppo di volgari manipolatori dell’opinione pubblica. Il viaggio di Ursula von der Leyen in Cina, con relativa richiesta a Xi Jinping di fermare la guerra, è soltanto l’ennesima buffonata della presidente della Commissione europea.

Cara Ursula von der Leyen, sei tu che devi fermare la guerra e non Xi Jinping. Lavora, proteggi l’Europa, guadagnati il posto che ricopri.

Risorga il movimento pacifista attraverso la diffusione della conoscenza. La cultura come mezzo di liberazione degli oppressi. I più oppressi sono coloro che subiscono le guerre. Voltate le spalle a Ursula von der Leyen, delegittimatela totalmente. Ursula von der Leyen non è la mia presidente.

Avanzi l’Italia, avanzi la pace.

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E’ morto il Petro-Dollaro. Viva il Petro-Yuan! – Giuseppe Masala

 “Quando il dollaro comincerà ad andarsene, non ci sarà più niente che potrà trattenerlo, non ci sarà più niente da fare quando arriverà quel momento fatidico”.

“Fall of the Republic” film documentario di Alex Jones (2009)

 

Ormai non passa giorno senza che arrivi una brutta notizia per il Dollaro inteso come moneta standard per gli scambi internazionali e, conseguentemente, come moneta di riserva delle banche centrali. Un tema questo meritevole della massima considerazione perché la storia ci insegna essere uno dei termometri fondamentali per comprendere lo stato di salute di un Impero e quindi per riuscire a comprendere se siamo arrivati al suo epilogo come forza egemone e motrice della storia.

Nel secolo scorso questo è avvenuto con l’Impero britannico che dopo la seconda rivoluzione industriale si è visto scalzare dal punto di vista tecnologico nella produzione dei beni dalla Germania guglielmina e conseguentemente ha visto minacciare la Sterlina dal Marco tedesco come moneta standard per le transazioni internazionali. In questo fattore monetario (e commerciale) gli storici ritrovano le cause reali e materiali che hanno portato nel 1914 alla Prima Guerra Mondiale. E manco a farlo apposta, anche in questa fase storica dove si rischia un nuovo conflitto mondiale tra grandi potenze la moneta standard degli scambi internazionali – ovvero il Dollaro emesso dall’impero globale statunitense – è ormai chiaramente sotto attacco delle potenze antagoniste degli USA, a partire dalla Cina.

A dare il via ad un vero e proprio torrente di dichiarazioni contro il Dollaro e il suo dominio è stato Putin che durante la visita del leader cinese Xi Jinping ha invitato i paesi partner della Russia ad usare lo Yuan cinese per le loro transazioni internazionali. Cosa che ormai da un po’ di tempo la Russia sta facendo, al punto tale che ormai lo Yuan sta superando l’utilizzo del Dollaro nelle proprie transazioni internazionali.  A tale proposito basti pensare che a Settembre la russa Gazprom e la China National Petroleum Corporation hanno annunciato l’inizio dei pagamenti relativi alle forniture di gas per un 50% in rubli e l’altro 50% in Yuan abbandonando così il Dollaro per non parlare poi del sempre più crescente utilizzo della valuta cinese da parte della Bank of Russia come moneta di riserva che alla fine del 2021 aveva già raggiunto il 17% del totale.

Ma le notizie più sconvolgenti che fanno capire meglio di qualunque altro come l’egemonia del Dollaro sia messa a rischio arrivano da Ryad.

Dopo la visita di XI Jinping in Arabia Saudita della fine dell’anno scorso, nella quale si annunciò l’utilizzo dello Yuan per la compravendita di petrolio saudita, è di qualche giorno fa la notizia che China EximBank si è accordata con la Saudi National Bank per l’emissione congiunta di bond denominati in Yuan alla quale è poi seguita l’altrettanto fondamentale notizia che la Saudi Aramco acquisisce il 10% di Rongsheng Petrochemical per 3,6 miliardi di dollari. In altri termini si chiude il cerchio che crea il Petro-Yuan: i sauditi accettano la divisa cinese come mezzo di pagamento del loro petrolio e poi la reinvestono nella stessa Cina acquistando assets per ora industriali ma probabilmente in futuro anche finanziari. Ryad ripete esattamente ciò che ha fatto con gli USA da quel fatico 1971 quando vide la luce il Petro-Dollaro: accettare i dollari per pagare il proprio petrolio e reinvestire i dollari stessi negli USA.

Ad essere precisi mancherebbe un ultimo tassello per blindare l’accordo: mi riferisco a quella garanzia di sicurezza a Ryad e ai Saud che gli americani concessero solennemente, promettendo di difendere la Corona a qualunque costo.  Mi sembra di poter dire che anche sotto questo aspetto si stia muovendo qualcosa, innanzitutto con la fine della collaborazione tra le aziende del complesso militare-industriale made in USA e  Scopa – la Holding saudita del settore delle armi – che sta facendo subentrare agli americani collaborazioni con aziende russe e cinesi (1).  Ma la notizia bomba è l’annuncio dato dall’agenzia di stampa saudita di proprietà statale che ha reso noto che nella riunione di questo martedì il gabinetto saudita ha approvato un memorandum che assegna a Ryad lo status di partner di dialogo nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, un’alleanza politica, di sicurezza e commerciale che vede tra i suoi partner Cina, Russia, India, Pakistan e altre nazioni minori dell’Asia centrale (2). Un vero e proprio salto epocale nella politica estera e di sicurezza saudita che pone le premesse ad un vero e proprio cambio delle alleanze a livello strategico con l’abbandono dell’alleanza con Washington e della partnership con la Nato. Cosa questa peraltro già visibile con la ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Iran e l’altrettanto clamoroso riavvicinamento alla Siria di Assad.

Abbandono degli interessi occidentali da parte dei sauditi platealmente evidente anche a livello OPEC+ con lo strettissimo coordinamento tra sauditi e russi per quanto riguarda la produzione di petrolio: mentre gli occidentali vorrebbero che i sauditi producessero a più non posso per abbassare le spinte inflazioniste questi si mettono d’accordo con la Russia che ha tutto l’interesse a demolire l’economia e il sistema finanziario occidentale rinfocolandole (3).

Insomma, se si guarda attentamente alle mosse saudite si capisce che non solo sta iniziando ad utilizzare lo Yuan – cosa che di per se non significherebbe l’abbandono del dollaro ma semmai un riequilibrio tenendo conto che stanno emergendo altre valute di livello mondiale – ma che si stanno proprio cambiando le alleanze strategiche come si capisce dall’entrata nella Organizzazione di Shangai, dalla collaborazione nell’industria delle armi con le aziende russe e cinesi e dallo stretto coordinamento con i russi per quanto riguarda le politiche dell’OPEC+. Dunque l’utilizzo dello Yuan sembra più il suggello al completo cambio di rotta saudita.

Una svolta epocale che non sarà priva di conseguenze che che potrebbe portare in futuro ad una forte reazione americana probabilmente quando saranno regolati i conti tra Washington da una parte e Pechino e Mosca dall’altra. Naturalmente questo qualora nello scontro epocale in corso tra le due potenze euroasiatiche e quelle euroatlantiche ad avere la meglio fossero queste ultime. I sauditi con la creazione (per ora embrionale) del Petro-Yuan si stanno giocando tutto.

NOTE

  • IntelligenceOnLine, Scopa turns away from US and towards Moscow and Beijing, OFAC warned, 7 Marzo 2023.
  • CNBC, Saudi Arabia takes step to join China-led security bloc, as ties with Beijing strengthen, 29 Marzo 2023.
  • Sole24Ore, Petrolio, Opec+ taglia 1 milione di barili al giorno. E il prezzo sale. 2 Aprile 2023

da qui

 

 

Lettera a un bambino russo – Ennio Bordato

Riceviamo da AASIB (Aiutateci A Salvare I Bambini ODV), una Associazione Umanitaria che opera nel Donbass una lettera aperta rivolta all’opinione pubblica Italiana con l’intento di far riflettere sulla reale situazione della drammatica Guerra civile ucraina scatenata dal governo di Kiev nel 2014 grazie al sostegno militare NATO e dimenticata fino a quando lo scorso febbraio ha degenerate in uno scontro aperto con la Russia nonostante due trattati di pace (Minsk 1 e 2) non rispettati dal regime ucraino e dall’Occidente. La distruzione e la morte di cui i bambini ucraini russofoni sono le prime e innocenti vittime da 9 anni ora sono triplicate grazie alle armi NATO (anche molte italiane).

Caro A.,

chi ti scrive è un cittadino italiano, di quell’Italia calda ed assolata da sempre amata e visitata dai tuoi compatrioti. Voglio scriverti questa lettera in questi giorni di grande chiacchiericcio del quale, forse, sentirai il rumore da lontano. Un chiacchiericcio vacuo, un cupo rumore di fondo che da un anno assorda e stordisce quasi tutte le persone che vivono in Occidente.
Una lettera in cui parlare un po’ con Te, ed attraverso di Te, al popolo al quale appartieni.

Da nove lunghissimi anni migliaia di tuoi coetanei in Donbass stanno vivendo sotto le bombe e da un anno anche i bambini come te che vivono nell’Ucraina governata da Kiev soffrono per le condizioni drammatiche in cui si trovano. Economia distrutta, ambiente devastato, stato sociale annientato, mancanza di vita e di futuro. Da un anno però, questa sofferenza è aumentata a causa delle armi che noi, i popoli dell’Occidente che si sono autoproclamati democratici, inviamo a Kiev come fossero giocattoli. Per aiutarti, dicono.

La guerra iniziata nel 2014 per nostra responsabilità ha devastato tutto nel vostro mondo. I rapporti famigliari, le amicizie, le opportunità di lavoro e di vita. Anche la religione è stata devastata da chi si proclama vostro amico e nostro rappresentante Non si gioca più in Ucraina, non si è mai giocato dal 2014 in Donbass. Ed oggi anche chi vive nella tua Russia vicino alle zone degli eventi bellici non può dirsi al sicuro. Anche lì bambini vengono uccisi dai quotidiani bombardamenti con le armi “della pace” occidentali.

Un numero spaventoso di tuoi coetanei sono morti a causa di tutto questo, ed ancor più sono stati feriti e alcuni sono rimasti per sempre drammaticamente mutilati. Molti di noi hanno in questi anni cercato di aiutarvi raccontando la verità, inviando aiuti, rifiutandosi si soggiacere alla narrazione imposta – nuovo Verbo incarnato -, chiedendo a gran voce un cambiamento di politica che fermi le armi e inizi a discutere, a confrontarsi, a trovare soluzioni che garantiscano a tutti pace e sicurezza.

Ma chi chiede questo, qui da noi è accusato di essere un nemico. Della guerra certamente, non della vita.

Caro A. anche da noi c’è una guerra. Una guerra diversa ma non meno devastante. Una guerra all’idea di Pace e di fratellanza, una guerra all’amicizia, alla convivenza, all’aiuto reciproco e disinteressato.

Quelli come me invece credono sempre di più in tutto questo. Rimaniamo fedeli a noi stessi rifiutando il veleno del conformismo che tanti drammi a provocato alla mia Italia nella prima metà del secolo scorso.

Crediamo si debba ricordare come, nel novecento, degli italiani siano già morti nel tuo freddo, nella tua steppa in nome di interessi stranieri. Decine di migliaia di giovani caduti inutilmente, come pure tante madri, mogli, figli che nell’angoscia non hanno più rivisto i loro cari. Che questa tragedia sia di monito all’Italia a non intraprendere nuove assurde avventure belliciste contro il tuo Paese.

Anche per questo, non essendo disponibili a cancellare o ancor peggio riscrivere la Storia, siamo convinti che si debba cambiare, in fretta, subito e radicalmente l’atteggiamento nei confronti del Tuo Paese.

La storia ci lega da secoli; gli architetti italiani hanno costruito il Cremlino e San Pietroburgo, gli aiuti reciproci che nei secoli i nostri popoli si sono prestati disinteressatamente – la Tenda Rossa di Nobile, i terremoti di Messina, dell’Aquila, le inondazioni di Venezia, la tragedia immane di Beslan, il Vostro aiuto fraterno all’Italia infestata dal virus – tutto questo deve rimanere vivo non solo nella memoria dei nostri due popoli, ma nella vita quotidiana, nelle scelte cui siamo chiamati a fare giorno dopo giorno.

Per tutto questo, caro A., anche se la nostra voce è resa quasi inascoltabile dagli schiamazzi inurbani dei Potenti guerrafondai, vogliamo continuare ad confermarti la nostra amicizia, la nostra vicinanza, il nostro esserti amico in questo mondo che oggi vive una della pagine più buie della sua storia.

Spetta a noi mantenere accesa la fiamma della Pace, del rispetto reciproco, del dialogo, della fraterna amicizia fra i nostri due popoli.
Per dare a Te e a chi verrà dopo di noi un mondo migliore.

Ennio Bordato – Presidente “Aiutateci a Salvare i Bambini ODV”

AASIB (Aiutateci A Salvare I Bambini ODV) è un’associazione fondata nel 2001 con lo scopo di sostenere e rendere possibili le cure di bambini particolarmente bisognosi della Federazione Russa e dei Paesi dove vivono popolazioni russofone e allo stesso tempo interessare l’opinione pubblica italiana sui problemi dell’infanzia russa, spesso poco conosciuti. Gli interventi di AASIB si rivolgono principalmente a singoli casi pediatrici affetti da gravi malattie, alle vittime delle tante stragi terroristiche e delle guerre che, a causa della loro situazione, non riescono a ricevere aiuto nemmeno per le cure più basilari. Altresì opera in varie regioni della Federazione Russa e negli altri Paesi russofoni con Progetti “comunitari” volti ad aiutare la pediatria locale e le strutture per l’infanzia ad ammodernarsi.

Tutte le iniziative di AASIB sono rese possibili grazie alle raccolte di donazioni da privati cittadini, associazioni, istituzioni ed imprese. Dal punto di vista operativo collaboriamo con il Gruppo di volontariato moscovita Padre Aleksandr Men’, operante presso la Clinica pediatrica di Mosca RDKB, Ministeri regionali della Sanità della Federazione Russa, altre associazioni ed istituzioni locali.

AASIB è ora impegnata nella città di Mariupol, divenuta tristemente famosa a causa della devastazione seguita agli eventi bellici della primavera del 2022 in cui oltre il 33% degli edifici della città sono stati distrutti o seriamente danneggiati. Mariupol è diventata – suo malgrado – simbolo della tragedia di due popoli.

Sin dai primi giorni dopo la cessazione delle ostilità in città, AASIB è riuscita a raggiungere Mariupol offrendo aiuto umantiari ad oltre 100 famiglie e kit speciali dedicati alle loro necessità alle donne ricoverate nei reparti di Neonatologia di fortuna. Ora sta supportando l’Ospedale di Mariupol per le cure intensive e reparto di Neonatologia. La struttura dell’Ospedale ha riportato seri danni e nella ultime settimane è stato ristrutturato e riportato alla normale agibilità. A Mariupol e nel suo circondario vivevano, sino al 2021 530mila abitanti (47% ucraini, 45% russi ed altre nazionalità, – di lingua russa l’89,53%. Ultimi dati disponibili) L’Ospedale riceve la popolazione delle aree del distretto cittadino.

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C’è un solo vincitore nella guerra ucraina: gli USA – Gerardo Femina

Molti sono sorpresi dalla reazione improvvisa e violenta della Russia, prevedibile se si presta attenzione ai processi e non solo ai dettagli. Già nel 2007, nella dichiarazione “Europe for Peace”, si diceva che l’Europa sarebbe stata gettata in un grave conflitto se avesse continuato a sostenere la politica di Washington.

E oggi, a questo punto della crisi ucraina, vediamo un solo vincitore, gli Stati Uniti, che hanno raggiunto diversi obiettivi:

  1. Nuove sanzioni contro la Russia2. Bloccare il gasdotto Nord stream2 e soprattutto fermare una delle cose che temono di più, la collaborazione tra Europa (Germania) e Russia.3. Proporsi all’Europa come fornitore alternativo di gas.4. Convalidare la narrativa secondo cui Putin ha mire espansionistiche.5. Aumentare il controllo sull’Europa.6. Fare la guerra in Europa inviando solo armi e non soldati. La guerra contro la Russia è condotta dagli europei, in particolare dagli ucraini e dai Paesi dell’Europa orientale in generale.

Quello a cui stiamo assistendo è la conseguenza di 30 anni di aggressione statunitense contro la Russia con il sostegno dell’Europa.

La violazione degli accordi con Gorbaciov del 1990, basati sull’impegno a non estendere la NATO ai Paesi dell’Europa orientale, ha rappresentato un punto di svolta. L’aggressione è poi proseguita con il cosiddetto scudo stellare e l’installazione di basi militari in Polonia e Romania. L’avanzata statunitense è proseguita con il colpo di Stato guidato dall’Occidente in Ucraina, che ha portato il Paese a un governo di oligarchi vicini a Washington. Poi, nel 2015, la Cavalcata dei Draghi ha portato le truppe statunitensi attraverso l’Europa orientale fino ai confini della Russia; le manovre militari sono state accompagnate da una campagna di odio contro i russi e Putin in particolare e, soprattutto, da numerose sanzioni economiche e finanziarie volte a indebolire un’economia già in difficoltà.

Da parte sua, la Russia ha compiuto il “passo falso” che gli Stati Uniti hanno provocato e sperato per giustificare ulteriori sanzioni. Fin dall’inizio della crisi, Mosca ha cercato di raggiungere un accordo esponendo chiaramente le sue richieste: l’Ucraina non doveva entrare nella NATO e non poteva accettare installazioni militari statunitensi con missili nucleari nel raggio di 500 chilometri da Mosca. Queste richieste sono state definite inaccettabili, come se ipotetici missili russi in Messico o in Canada al confine con gli Stati Uniti fossero accettabili.

Questo, ovviamente, non giustifica l’uso della violenza o della guerra, ma comprendiamo il contesto generale in cui è stata presa questa decisione.

L’Europa pagherà il prezzo più alto di questa crisi. Non solo le bollette aumenteranno e molte aziende saranno costrette a chiudere, ma anche i prezzi di tutti i prodotti aumenteranno e non saranno più competitivi sul mercato mondiale. Questo rallenterà anche le esportazioni. In questa situazione, i governi europei, in una sorta di harakiri, accettano il diktat di Washington, sacrificando inspiegabilmente i propri interessi, mentre dovrebbero dialogare con tutti gli attori sul campo e trovare una soluzione pacifica e ragionevole per tutti.

Né la Russia, né l’Europa e tanto meno la popolazione ucraina trarranno beneficio da questa guerra. Ecco perché la dichiarazione di Europe for Peace del 2007 affermava: “L’Europa non deve sostenere alcuna politica che trascini il pianeta verso la catastrofe: L’Europa non deve sostenere alcuna politica che trascini il pianeta verso la catastrofe: è in gioco la vita di milioni di persone, è in gioco il futuro stesso dell’umanità.

Le persone vogliono vivere in pace, aspirano alla cooperazione tra i popoli e cominciano a rendersi conto che siamo tutti parte di una grande famiglia umana. Lo sviluppo della scienza e della tecnologia può garantire una vita dignitosa a tutti, ma l’avidità di pochi frena il cammino dell’evoluzione umana. A quel punto, solo una forte pressione dei cittadini sui loro governi potrebbe contribuire a invertire la rotta.

Se non volete la guerra, smettete di farla. I leader europei non sono in grado di fermare la valanga, mentre farebbero bene ad ascoltare le richieste dei cittadini. Invece di alimentare questa guerra, devono riprendere subito il dialogo.

Tuttavia, a prescindere dai punti di vista, dalle interpretazioni e dalle analisi, questa guerra deve cessare immediatamente. La guerra appartiene alla preistoria. Costruiamo la pace!

da qui 

 

 

Come gli Usa sono divenuti il “paradiso fiscale” per eccellenzaGiacomo Gabellini

A partire dagli anni ’80, la crescita ipertrofica del settore finanziario si è sviluppata entro una cornice giuridica a dir poco lacunosa, in cui la deregolamentazione dei singoli mercati nazionali non è stata sostituita con nuove normative internazionali atti a disciplinare i movimenti di capitale. Il che non poteva che consolidare la piuttosto diffusa pratica, da parte delle aziende, di aggirare le imposte vigenti nei Paesi d’origine sussidiando le proprie attività presso le società off-shore.

L’approfondimento del deficit di bilancio registrato dagli Usa nel corso degli anni ‘80 era strettamente connesso alla fuga di profitti aziendali non registrati nei bilanci, che vennero depositati nelle banche off-shore delle Cayman, delle Bahamas, della Svizzera e del Lussemburgo. Da uno studio condotto da James Henry, ex capo economista della società di consulenza finanziaria McKinsey, è emerso che alla fine del 2010 il patrimonio occulto custodito nelle Cayman o in altri “paradisi fiscali” ammontava a oltre 21.000 miliardi di dollari se si prendevano in esame solo i depositi bancari e gli investimenti finanziari, mentre tenendo conto delle proprietà fisiche (immobili, mezzi di trasporto, ecc.) si arrivava a 32.000 miliardi di dollari, equivalenti grosso modo al doppio del Pil statunitense. Ma non solo soltanto le grandi aziende a ricorrere ai “paradisi fiscali”; trafficanti di droga e di organi, mafie, politici corrotti, evasori fiscali di altissimo livello e criminali di vario genere depositano regolarmente i propri fondi sporchi in conti correnti off-shore nei “porti franchi”, i quali non si limitano a garantire l’anonimato e un bassissimo livello di tassazione, ma provvedono a riciclare denaro sporco e reintrodurlo successivamente nei regolari circuiti finanziari.

La Gran Bretagna, e più specificamente l’epicentro finanziario della City di Londra, sono state per decenni il centro di questo sistema. Come spiega l’analista Nicholas Shaxson, la vasta rete del sistema finanziario ombra si dirama da Londra per articolarsi ed estendersi all’interno pianeta attraverso due ‘cerchi’ intermedi. Il primo “cerchio” corrisponde alle tre isole della costa inglese – Jersey, Guernsey e Man – ed è rivolto verso l’Africa e l’Asia. L’altro “cerchio” coincide con le Isole Cayman (che ospitano 80.000 società – per 44.000 abitanti – e domiciliano il 75% degli hedge fund del mondo) e le Bermuda, ed è orientato verso le Americhe. Potendo contare su tali ramificazioni, la City di Londra è riuscita ad attirare l’inaudita somma complessiva di fondi esteri di 3.400 miliardi di euro. Ma se la Gran Bretagna gestisce l’enorme struttura finalizzata alla raccolta dei fondi, gli Stati Uniti rimangono la principale destinazione del denaro. Gli Usa sono stati i primi a dar sfoggio all’universo off-shore, in forza della loro consolidata inclinazione a chiudere i loro conti con l’estero, cronicamente in deficit, anche attirando denaro di provenienza poco chiara al quale offrono esenzioni fiscali e protezione legale.

A partire dal 2008, le forti pressioni esercitate da diversi Paesi ed organizzazioni non statuali hanno indotto Washington a porre ufficialmente l’abolizione del segreto bancario – che è la principale arma dei “paradisi fiscali” – in cima alla scala delle priorità. Nel marzo 2010,  il Congresso ha approvato il Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca), una legge che impone a qualsiasi istituzione finanziaria a fornire alle autorità tutte le informazioni riguardanti i clienti statunitensi. Dietro sollecitazione Usa, i Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) avevano emulato l’esempio Usa, mettendo a punto una normativa, modellata sul calco del Fatca, che prevedeva l’introduzione di uno schema mondiale di scambio di informazioni teso a permettere alle autorità competenti di stanare gli evasori fiscali e assicurarli alla giustizia. Dal 2014, 97 Paesi hanno sottoscritto la normativa Ocse, compresi Svizzera e Lussemburgo, e tantissimi altri hanno cominciato a valutare la possibilità di aderire al progetto.

Solo quattro Stati hanno declinato la proposta, vale a dire Bahrein, le isole di Nauru e Vanuatu e gli Stati Uniti. In buona sostanza, gli Usa hanno chiesto ed ottenuto trasparenza dal resto del mondo senza ricambiare il favore, permettendo così a Stati federali come Delaware, Nevada, South Dakota e Wyoming di mantenere il loro elevatissimo livello di opacità finanziaria e di consolidare la loro posizione di “paradisi fiscali” on-shore, in cui i grandi evasori depositano i propri redditi per nasconderli alle autorità e dove le grandi multinazionali statunitensi domiciliano proprie società di comodo utili ad aggirare il regime fiscale in vigore nel resto degli Usa. È il caso di Apple, che, come documentato da una dettagliata inchiesta del «New York Times», ha fondato Braeburn Capital, sussidiaria della Apple incaricata di gestire l’ingente patrimonio liquido della società, a Reno, in Nevada. Il regime fiscale del Nevada, che non prevede né la corporate tax né l’imposta sul capital gain, permette all’azienda non solo di sottrarre i profitti sulla liquidità investita al regime fiscale della California, dove l’azienda è domiciliata, ma anche di alleggerire il carico fiscale in Stati federati quali Florida, New Jersey e New Mexico, le cui giurisdizioni allineano la tassazione della società principale a quella cui è sottoposta la sua sussidiaria domiciliata in un altro Stato. Il “caso Apple” ha quindi spinto la altre imprese della Silicon Valley (Intel, Microsoft, Oracle, ecc.) ad esercitare pressioni sullo Stato della California affinché adottasse il regime fiscale in vigore in Florida, New Jersey e New Mexico dietro la minaccia di fondare a loro volta proprie società finanziarie nel vicino Nevada per aggirare la tassazione californiana. Dopo un lungo braccio di ferro che ha determinato un’emorragia di capitali tradottasi in 1,5 miliardi di dollari in meno di gettito fiscale e conseguente dissesto dei conti pubblici, la California ha ceduto, allineando il proprio regime fiscale a quelli indicati dalle grandi aziende della Silicon Valley.

Grazie a questo livellamento verso il basso indotto dall’attività lobbistica delle grandi imprese e alla diffusione generalizzata della normativa Ocse che ha imposto ai Paesi firmatari un giro di vite sulle norme in materia di spostamento e deposito dei capitali, gli Stati Uniti hanno rapidamente scalato le posizioni del Financial Secrecy Index, la graduatoria redatta – e aggiornata ogni due anni – dall’autorevole contro studi Tax Justice Network che classifica i Paesi in cui il segreto bancario è più forte, superando persino la Svizzera, Isole Cayman, Lussemburgo e Singapore. Non a caso, il potente gruppo Rothschild ha creato una società a Reno, in Nevada (esentato dalle regole sulla disclosure), in cui ha cominciato a spostare i patrimoni dei suoi facoltosi clienti che fino a poco tempo fa venivano custoditi presso le Isole Bermuda, che con l’adozione della normativa Ocse sta conoscendo una progressiva contrazione della rendita da ‘porto franco’ del grande capitale. «Gli Stati Uniti sono il più grande paradiso fiscale al mondo», ha commentato Andrew Penney, managing director di Rothschild. Cisa Trust e Trident Trust, due grandi nomi della finanza elvetica, hanno emulato l’esempio dei Rothschild trasferendo ingenti quantità di denaro dalla Svizzera e dalle Isole Cayman al South Dakota. Già nel 2017, Alice Rokahr, dirigente di Trident Trust, evidenziava che molti clienti stavano abbandonando le banche di Zurigo e Ginevra per approdare negli Stati Uniti, nella convinzione che in pochi anni la Svizzera avrebbe visto decadere il crisma di capitale mondiale del segreto bancario conservato per secoli, forse in favore degli Usa.

Una recente inchiesta di Global Witness ha fornito una pratica dimostrazione di quanto sia facile trasferire denaro di dubbia provenienza negli Stati Uniti; spacciandosi per ex funzionario di un Ministero straniero, un giornalista munito di telecamera nascosta si recato presso tredici tra i più prestigiosi studi legali di New York chiedendo delucidazioni su come trasferire in sicurezza e rimanendo nell’anonimato grosse somme di denaro ottenute tramite corruzione. Come risultato, dodici dei tredici studi legali consultati dal reporter sotto copertura hanno suggerito di utilizzare società anonime statunitensi domiciliate in Stati come il DelawareAlcuni avvocati di grido specializzati in questioni finanziarie sono persino giunti ad indicare alcuni loro conti correnti di riferimento come canali sicuri per trasferire denaro in maniera “discreta”, mentre altri si sono limitati a consigliare di creare società ad hoc. Tutto in conformità alle leggi statunitensi. Il che ha portato Stefanie Ostfeld, coautrice dell’inchiesta, a concludere che «gli Stati Uniti sono divenuti da parecchio tempo uno dei “porti franchi” più frequentati da politici corrotti, cartelli della droga, organizzazioni terroristiche e grandi evasori fiscali […]. Utilizzando una società anonima statunitense, qualsiasi criminale può facilmente nascondere la propria identità e la provenienza del denaro».

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Guerra, armi e militarismo – Pasquale Pugliese

Stiamo precipitando in una doppia escalation: quella di una guerra sempre più alimentata da tutte le parti e quella del balzo in avanti senza precedenti della spesa italiana per gli armamenti e della relativa diffusione del militarismo per renderla accettabile

Nella filmografia di Ivano Marescotti, grande attore recentemente scomparso, c’è anche un film visionario a episodi uscito negli anni Novanta, Strane storie. Racconti di fine secolo (regia di Sandro Baldoni), del quale un episodio rappresenta la dinamica dell’escalation all’interno dei conflitti. Il racconto mette in scena due famiglie che abitano lo stesso condominio, una povera e indigena l’altra ricca e immigrata, che sviluppano un conflitto passando dal pregiudizio reciproco alle accuse verbali, dall’esibizione delle armi alla guerra vera e propria. Con esiti catastrofici per tutti, non solo per i confliggenti. È narrata in quell’episodio, pur nei toni grotteschi, la dinamica di uno scontro tra due gruppi umani (familiari, in questo caso, compresi i bambini), che si ricompattano al loro interno nella guerra al nemico comune in un crescendo di violenza speculare, che si svolge nell’assenza di qualsiasi soggetto mediatore e, contemporaneamente, alla presenza di aizzatori per entrambi i “fronti”, ossia fornitori di armi per incrementare la guerra e i loro profitti. Intanto sugli schermi televisivi di entrambi gli appartamenti scorrono le immagini reali dei notiziari sulla guerra nei Balcani, contemporanea ai fatti narrati.

È un film da rivedere perché spiega ciò che c’è di sbagliato nell’abbandonare un conflitto a se stesso – in balia di chi ha interessi affinché l’escalation continui all’infinito – anziché attivare percorsi di de-escalation, di canali di comunicazione, di mediazione, di costruzione della pace fondata non sull’impossibile assenza di conflitti, come sa ogni bravo mediatore di condominio, ma sulla loro gestione nonviolenta.

Oggi stiamo precipitando tutti, nostro malgrado, in una doppia escalation, non nella finzione cinematografica ma nella realtà – che, per molti versi, ricorda proprio quella “strana storia” – che vede un’altra guerra in corso in Europa

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Lavrov spiega la principale differenza su come Russia e Stati Uniti trattano gli altri paesi

A differenza dei paesi occidentali, Mosca non intende mai tenere lezioni ai suoi partner stranieri su come vivere, ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in un’intervista al quotidiano russo Argumenty i Facty.

“Non abbiamo un’agenda nascosta. Non usiamo doppi standard. Costruiamo l’interazione interstatale sui principi del diritto internazionale, dell’uguaglianza, del rispetto reciproco e della considerazione degli interessi” di ciascuna parte, ha sottolineato Lavrov. Ha aggiunto che questo “approccio costruttivo” fa appello a “tutti i paesi normali”.

Secondo il capo della diplomazia russa, l’Occidente sta cercando di convincere gli Stati africani a non partecipare al vertice Russia-Africa, previsto per luglio. Tuttavia, il successo di tali tentativi non è garantito, ha ribadito, osservando che la Russia ha “molto da offrire ai nostri amici africani, anche nel campo della sicurezza nazionale e nel soddisfare le loro esigenze in campo umanitario”. A questo ha aggiunto che “gli Stati africani sono interessati alla partecipazione della Russia alla preparazione del loro personale professionale”.

Per quanto riguarda il vertice stesso, Lavrov ha spiegato che nell’ambito di questo incontro si dovrebbe “affrontare la partecipazione della Russia a progetti dei paesi africani come la digitalizzazione, lo sviluppo energetico, l’agricoltura e l’estrazione di risorse minerarie, nonché la sicurezza alimentare ed energetica”, sottolineando che l’elenco non è esaustivo.

“La colpa è della stessa Ue, che ha ‘perso’ la Russia”

Il cancelliere ha affrontato anche il tema dei rapporti con l’Ue. Per Lavrov, il deterioramento è colpa del blocco, che ha “perso” Mosca per aver tentato di “sconfiggere strategicamente” la Russia. “Iniettano armi e munizioni nel regime criminale di Kiev, inviano istruttori e mercenari in Ucraina. Per questi motivi, percepiamo l’UE come un’unione ostile”, ha spiegato.

Ha ricordato che Mosca ha tratto le necessarie conclusioni al riguardo. “In risposta a misure ostili, agiremo duramente se necessario, guidati dagli interessi nazionali della Russia e dal principio di reciprocità, universalmente riconosciuto nella pratica diplomatica”. Se l’UE abbandona il suo corso politico antirusso e opta per un “dialogo reciprocamente rispettoso”, Mosca considererà le sue proposte e adotterà misure in linea con i suoi interessi nazionali, ha assicurato Lavrov.

Inoltre, il ministro russo ha definito la visita di stato del presidente cinese Xi Jinping a Mosca “una pietra miliare fondamentale nella storia moderna delle relazioni russo-cinesi” e “una prova del livello senza precedenti e del carattere speciale dell’interazione.

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“Per bloccare l’ascesa della Cina”. La portaerei Cavour in missione verso il PacificoFulvio Beltrami

 Il 28 marzo, in piazza del Popolo a Roma, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in compagnia dell’ex rappresentante della Confindustria settore armi, Guido Crosetto, posizionato lo scorso ottobre a dirigere il Ministero della Difesa, ha regalato ai centinaia di bimbi innocenti e al popolo italico il patetico show Made in USA in occasione del centenario dell’Aeronautica militare italiana.

La premier è salita a bordo di un F35 stile Top Gun alla romana, simulando la guida.

La pubblicazione del video su tutti i suoi canali social doveva risollevare la popolarità della premier, in caduta per le infauste scelte di politica estera, il servilismo verso i diktat di Stati Uniti e l’élite dell’Unione Europea, l’insensato supporto militare ad un paese non europeo e filo-nazista, una manna per le aziende belliche rappresentate dal Signor Crosetto fino al settembre 2022, ma un vero e proprio dissanguamento economico per il Paese.

Le impopolari politiche interne e il cinismo dimostrato durante la strage del naufragio di Cutro: 92 morti con bilancio ancora provvisorio (il 92° corpo è stato ritrovato ieri) completano il deludente quadro di un promettente leader dell’opposizione che, giunto ai vertici dello Stato,  sta dimostrando serie difficoltà nella capacità di gestire il Paese.

Dall’inizio di gennaio il governo Meloni ha inaugurato una campagna di comunicazione improntata sul militarismo e la glorificazione dell’esercito italiano che sembra essere più rivolta a giustificare le spese militari che soddisfare la storica vene militarista della destra italiana, spesso nostalgica del fascismo. Una campagna di comunicazione evidentemente mal concepita visto che i risultati ottenuti sono un aumento del sostegno alla pace e opposizione alla vendita di armi da parte dell’opinione pubblica e una palese insofferenza per il teatrino propagandistico che ruota attorno alle Forze Armate italiane.

Dopo lo show di Piazza del Popolo giunge la missione nel Pacifico della nave ammiraglia della Marina Militare, la portaerei Cavour, notizia ufficiale arrivata dal sottocapo di stato maggiore della Marina Militare, l’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto e confermata dal presidente del consiglio Giorgia Meloni con enfasi piena di ulteriori grottesche affermazioni.

Secondo la premier Meloni la nostra portaerei sarà inviata nel pacifico niente meno che per “bloccare l’ascesa della Cina”.

La Cavour è attesa nell’area verso maggio in concomitanza con il summit dei G7 di Hiroshima. la missione sarà preceduta dall’invio nel Pacifico del pattugliatore d’altura Morosini, che compirà una crociera addestrativa di quattro mesi.

La portaerei Cavour, costruita da Fincantieri e costata la bellezza di 1,3 miliardi di euro, è entrata in servizio nel 2009. Sotto un punto di vista strettamente militare la Cavour è una nave militare di limitate capacità offensive, in quanto appartiene alla classe STOVL – Short Take Off and Vertical Landing (Decollo breve e atterraggio verticale).

La Cavour imbarca un totale di 20 aeromobili. Qualcuno nella Marina si azzarda a dire che può ospitare fino 36 aeromobili ma sembra più una cifra fornita per ragioni di propaganda.

Attenzione però, non sono tutti aerei da combattimento come la nostra immaginazione (drogata dai film di Hollywood) potrebbe indurci a pensare. A causa della ridotta superficie dell’aviorimessa (2500 m²) la Cavour può accogliere 12 elicotteri SH-3D, NH-90 e EH-101 o in alternativa 4 elicotteri e 8 caccia F-35B o V/STOL AV-8B Harrier II Plus.

Anche la ridotta dimensione del ponte di volo – 186 metri – non permette un facile decollo e atterraggio degli aerei da combattimento.

La prima volta che una marina militare moderna introdusse l’uso della portaerei fu nel 1911 quando la US Navy varò la USS Langley, seguita nel 1922 dalla portaerei giapponese H?sh?. La USS Langley portava 39 aerei da guerra mentre la H?sh? 32 aerei.

Attualmente il Paese che fa largo uso delle portaerei sono gli Stati Uniti, che attualmente ne possiedono 43 in servizio nei vari mari del pianeta.

La portaerei per sua concezione è una mezzo offensivo destinato a facilitare gli attacchi dell’aviazione militare. Una concezione che mal si concilia con la nostra Costituzione (ormai trattata peggio del zerbino) visto che chi usa una portaerei vuole attaccare qualcun altro.

Secondo gli standard americani una portaerei per svolgere tale compito deve avere una capacità ideale di portare 90 aerei da combattimento di diverso tipo. La più piccola portaerei americana ha una capacità di 64 aerei. Sotto questa soglia la portaerei è praticamente inutile da un punto di vista di efficacia d’attacco e serve (come nel caso della nostra Cavour) per pavoneggiare vane glorie militari.

La flotta militare americana nel Pacifico conta 200 navi con 230.000 uomini tra cui 3 portaerei da 84 aerei cadauna. Alla flotta vanno aggiunti 2000 aerei tra caccia, fortezze volanti, bombardieri e trasporto truppe/mezzi dislocati nelle varie basi in Giappone e nei Paesi alleati.

La flotta americana lavora in stretta simbiosi con quelle britannica e australiana. La mini portaerei Cavour, con una capacità di aerei inferiore alle portaerei di cent’anni fa, è praticamente inutile in un scenario di guerra dove i giganti si potrebbero scontrare. Nel miglior dei casi giocherà il ruolo del topolino che morde la coda del Dragone cinese.

Inutile sì, ma costosissima. Il costo operativo di una portaerei americana è di 7 milioni di dollari al giorno secondo i dati forniti dalla US Navy. Essendo la Cavour di modestissime dimensioni si può ipotizzare un costo giornaliero dai 2,5 ai 3 milioni di dollari.

Per ogni ora di volo degli F35 o V/STOL il costo varie dai 30mila ai 36mila dollari. Normali sono le esercitazioni di volo settimanali su una portaerei in tempo di pace. E questo è solo la punta dell’iceberg.

Quando andiamo ad analizzare i costi per la difesa della portaerei, il rischio di infarto diventa alto. Anche i nostri ammiragli sanno che senza una flotta di navi di scorta, qualsiasi portaerei è alla mercé del nemico indipendentemente da quanti sistemi di difesa possiede.

La flotta standard di protezione prevista dalla marina americana ha un costo operativo giornaliero stimato sui 8 milioni di dollari. La Marina militare italiana ha previsto una flotta di protezione più modesta, composta da un cacciatorpediniere, una fregata e un rifornitore che costerà di media circa 4 milioni di dollari al giorno.

Inoltre la Cavour ha una autonomia di circa 18 giorni di navigazione continuata prima di necessitare di manutenzione che risulta iper-costosa. Anche la mini flotta italica necessita di manutenzione, quindi altre centinaia di migliaia di euro che escono dalle casse dello Stato.

Quale è la preparazione dell’equipaggio della Cavour a sostenere uno scontro navale con una potenza straniera del calibro della Cina? Praticamente sconosciuta.

La carriera della Cavour si può riassumere nella frase «Dolce Vita». Ha partecipato all’operazione umanitaria «White Crane» con le forze armate brasiliane, a varie celebrazioni della Festa dalla Marina Militare nel golfo di Napoli, nel 2011 La Russa (all’epoca Ministro della Difesa) la mobilitò all’interno del navale italiano disposto nel Mediterraneo in risposta ai rivolgimenti socio-politici in Libia.

Da novembre 2013 ad aprile 2014, assieme al 30º Gruppo Navale, ha effettuato il periplo del continente africano dove in vari porti africani le navi sarebbero state trasformate in fiere galleggianti per promuovere le armi italiane ai vari dittatori locali, secondo fonti ex MAECI…

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GUERRA NATO-RUSSIA/ Harris & Nuland vs. Milley, chi vuole (negli Usa) lo scontro totale – Giuseppe Gagliano

A Monaco Kamala Harris ha parlato di crimini contro l’umanità dei russi. Una strada che porta allo scontro totale. Le accuse di Trump a Victoria Nuland

Donald Trump, in uno spot televisivo della campagna presidenziale, ha avvertito che “la terza guerra mondiale non è mai stata più vicina di quanto non sia in questo momento” e ha incolpato tutti i guerrafondai e i globalisti dello Stato profondo presenti nel Pentagono, nel dipartimento di Stato e nel complesso industriale della sicurezza nazionale.

Una menzione speciale è stata fatta per Victoria Nuland, il vice segretario di Stato degli Stati Uniti per gli affari politici, che, ha detto Trump, è stata “ossessionata dallo spingere l’Ucraina verso la Nato”.

Trump ha ritratto accuratamente l’attuale congiuntura. Le dichiarazioni dei funzionari statunitensi e della Nato alla recente conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco (17-19 febbraio) possono lasciare pochissimi dubbi sul fatto che l’obiettivo della guerra degli Stati Uniti in Ucraina sia il cambio di regime in Russia e la sconfitta decisiva della Russia al punto di una resa incondizionata di fatto…

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Nessuno obbedisce più agli Usa – Alberto Negri

La disputa tra Washington e Riad è evidente Produzione di petrolio tagliata. Nessuno obbedisce più agli Usa.Il mondo cambia e qui dormono.

Pur di stringere con re Ibn Saud l’accordo «petrolio in cambio di sicurezza», il presidente Usa Roosvelt nel lontano febbraio 1945 rinunciò per due giorni all’amatissimo sigaro, detestato come l’acol dall’inflessibile monarchia wahabita. A cosa dovrebbe rinunciare oggi Biden per farsi obbedire dal tenebroso principe assassino Mohammed bin Salman? Riad con l’Opec e la Russia ha tagliato di oltre un milione di barili la produzione giornaliera di greggio puntando su un deciso aumento dei prezzi: esattamente il contrario di quello che gli americani chiedono dall’anno scorso alla monarchia saudita, un tempo il maggiore alleato Usa nella regione insieme a Israele.

Agli americani sulla politica energetica, ma anche sul resto, non obbedisce più nessuno, tranne gli europei che con l’aggressione di Putin all’Ucraina hanno sanzionato la produzione russa sia di gas che di greggio. Altri stati dell’Opec come Kuwait, Emirati Arabi Uniti – membro del Patto di Abramo con Israele – e l’Algeria hanno seguito la strada dell’Arabia saudita, mentre la Russia prevede di continuare a tagliare la produzione fino alla fine del 2023. Gli analisti si aspettano forti rialzi. La banca d’affari americana Goldman Sachs ha alzato le stime di prezzo del Brent a 95 e 100 dollari al barile rispettivamente per il 2023 e il 2024. Si tornerebbe così ai livelli dell’agosto scorso. I riflessi si vedrebbero anche sull’aumento dell’inflazione per i rincari dei carburanti e dei trasporti e il rischio è di vedere, dopo una breve tregua, di nuovo crescere i costi della borsa della spesa e quelli di bollette di luce e gas.

La disputa tra Washington e Riad è evidente. Nell’ottobre del 2022 la Casa Bianca aveva accusato l’Arabia Saudita di essersi schierata con la Russia perché, nonostante la crisi energetica, Riad sembrava agire dalla parte di Mosca. Poi i sauditi si sono irritati perché l’amministrazione Biden ha pubblicamente escluso nuovi acquisti di greggio per ricostituire le scorte strategiche statunitensi. In precedenza la Casa Bianca aveva assicurato all’Arabia Saudita tutto il contrario.

Dietro a tutto questo c’è un poderosa evoluzione geopolitica di una parte di mondo, sempre più multipolare, che non segue le direttive di Washington. Si tratta della presa d’atto che vent’anni di iniziative americane e occidentali in Medio Oriente, dalla guerra in Afghanistan a quella in Iraq, alla Libia, alla stessa Siria, sono finite in un disastro. Svanite le illusioni delle primavere arabe del 2011, andati in frantumi gli accordi di Obama con Teheran sul nucleare (cancellati da Trump), abbandonati e traditi i curdi, relegati i palestinesi in un’inaccettabile doppio standard che vìola regolarmente da decenni ogni risoluzione Onu, a Washington non resta che qualche sceicco, un generale, Al Sisi, che per tenere in piedi l’Egitto ha bisogno dei soldi sauditi e un alleato scomodo nella Nato come Erdogan, che fa di tutto pur di tenere in scacco l’Alleanza e mostrarsi ben intenzionato con Putin, senza mettere sanzioni a Mosca e mediando accordi sul grano indispensabili per non affamare il Sud del mondo.

Erdogan davanti a una folla di seguaci della destra dei Lupi Grigi, alleati del partito Akp e radunati in vista delle elezioni del 14 maggio, ha appena dichiarato senza mezzi termini che si «prepara a impartire una lezione agli Stati Uniti» e ha attaccato direttamente Biden perché l’ambasciatore Usa in Turchia ha fatto visita al rivale, il repubblicano Kemal Kilicadaroglu. Come è noto la leadership turca imputa agli Usa di avere partecipato con la rete di Fethullah Gulen (in esilio dal ’99 in Usa) al fallito colpo di stato nel luglio 2016. E allora a congratularsi con Erdogan per lo scampato pericolo fu Putin non gli alleati Nato della Turchia.

Sia chiaro: gli Stati Uniti non hanno certo mollato il Medio Oriente. La quinta flotta Usa è in Barhein, i contingenti di soldati americani sono dovunque, dal Qatar alla Siria all’Iraq, dove a venti anni dalla guerra del 2003 la Federal Reserve controlla ancora tutte le entrate petrolifere irachene. Senza contare che in Israele, nonostante un assetto sempre più illiberale, affluiscono copiosamente gli aiuti militari americani. Ma è evidente che i recenti accordi tra Arabia saudita e Iran, così come quelli che hanno sdoganato il siriano Assad nel mondo arabo, hanno incrinato la presa americana sul Golfo. Qui gli americani hanno un interesse principale: controllare i flussi energetici che vanno verso l’Asia e la Cina. A questo non vogliono rinunciare ma la missione è assai più complicata che imporre agli europei di sganciarsi dalla Russia e da quel North Stream 1 e 2 che era apertamente nel mirino degli Usa sin dal 2021, ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina e dell’attentato. Certo il futuro non è roseo. Gli accordi tra Teheran e Riad sono tra due stati che hanno in comune la difesa di un ordine sociale oscurantista e patriarcale: un orizzonte nero come il petrolio.

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Con l’uranio non si rischia solo l’escalation – Fulvio Scaglione

Ormai siamo abituati. C’è l’assedio di Mariupol’? Parte la campagna per spiegare che i militanti del Battaglione Azov sono brave persone, ottimi papà e fini intellettuali. La polizia ucraina mette agli arresti domiciliari, con tanto di braccialetto elettronico, l’anziano metropolita Pavel, priore del Monastero delle Grotte di Kiev? Ecco che ci spiegano che il religioso della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca è un ghiottone godurioso e amante del lusso. Era difficile immaginare, però, che la stessa operazione sarebbe stata fatta per le munizioni a uranio impoverito che il Regno Unito ha deciso di fornire alle forze armate ucraine. Triste lo spettacolo della pletora di esperti e pseudo-esperti accorsi in tutte le televisioni a spiegare che l’arrivo al fronte di questi proiettili non è un’escalation nel conflitto. Penoso l’argomento successivo: sono stati usati già nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq, in Libia… Come dire: tutto bene, che volete?

In primo luogo: il problema non è se la fornitura di proiettili a uranio impoverito rappresenti o no un’escalation. L’intero conflitto lo è. Da una guerra a intensità relativamente bassa nel Donbass (comunque con 14mila morti) siamo passati all’invasione russa dell’Ucraina. Dal ridotto contingente russo dei primi mesi siamo passati alla mobilitazione di 300mila riservisti. Dalle armi di contenimento inizialmente fornite all’Ucraina dai Paesi occidentali siamo arrivati ai missili a lungo raggio, ai carri armati e prossimamente ai caccia. In assenza di una seria iniziativa diplomatica, questa guerra non poteva che allargarsi e crescere. Cosa che è puntualmente avvenuta. I proiettili all’uranio impoverito sono solo la tappa più recente di questo processo, che pian piano ci avvicina allo spettro delle armi nucleari.

Il problema vero sta nella seconda giustificazione che è stata fatta risuonare. I proiettili DU (Depleted Uranium) sono già stati usati, sono munizioni “normali”. È vero che, a dispetto degli allarmi lanciati da molte organizzazioni umanitarie e dagli stessi esperti dell’Onu, le munizioni a uranio impoverito non sono bandite da alcuna convenzione o trattato. Solo Belgio e Costa Rica le hanno vietate. A livello internazionale, il massimo che sia stato fatto è una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, appoggiata da 155 Stati, affinché venisse adottato “un approccio cauto” al suo impiego. Nondimeno, l’impiego di tali munizioni in nessun modo può essere considerato “normale”. E noi italiani dovremmo saperlo meglio di chiunque altro.

Nel 2019, a Torino, si tolse la vita il caporalmaggiore Luigi Sorrentino, 40 anni. Si era ammalato di leucemia, cosa che aveva sempre attribuito alle missioni affrontate in Kosovo e Afghanistan. L’autopsia rilevò tracce di uranio 238 nel suo midollo osseo. Il caso riportò alle cronache il tema dell’uranio impoverito usato in abbondanza nella guerra contro la Serbia, e delle sue conseguenze. Secondo l’Osservatorio militare, a quell’epoca già si registravano 366 decessi tra i soldati italiani e 7.500 casi di malattia. Il ministero della Difesa, quindi il governo italiano, ha sempre negato la relazione diretta tra le munizioni DU e le malattie. Ma ci sono 133 sentenze della magistratura che dicono l’esatto contrario.

Nella migliore delle ipotesi, dunque, dei proiettili a uranio impoverito (usati per il loro alto potere perforante) bisognerebbe diffidare, perché rappresentano un forte rischio sia per chi li subisce sia per chi li usa. Infatti le stesse patologie dei nostri soldati, guarda caso, si registrano presso la popolazione serba. E se li pensiamo in relazione all’Ucraina, ancor più di prima. Proprio per la seconda motivazione addotta dai nostri simpatici agit-prop bellicisti: sono già stati usati in Afghanistan, in Iraq, in Libia, nei Balcani… Vero. Ma su quei fronti li usavamo solo noi, nessuno degli avversari su quei fronti ne disponeva. E il racconto delle conseguenze è solo nostro: chi ha mai chiesto l’opinione di iracheni, afghani, libici?

La Russia, invece, dispone di un grande arsenale di proiettili DU, il secondo al mondo dopo quello Usa. Per dare un’idea: già nel 1996 nei magazzini di Mosca, per quel che si sa, ce n’erano 460mila tonnellate; il Regno Unito, che ora li vuole fornire agli ucraini, nel 2001 ne dichiarava 30mila tonnellate. Davvero qualcuno pensa che i russi, se si trovassero in difficoltà, non ricorrerebbero anche loro a quest’arma?

Immaginiamo quindi ciò che può succedere domani in Ucraina, con i due eserciti che si scambiano cannonate dall’impatto chimico potenzialmente dannoso, e soprattutto ciò che può succedere dopodomani alla popolazione ucraina, costretta a vivere in territori che a quel punto sarebbero contaminati da polveri o frammenti rilasciati dai proiettili esplosi e non.. Un’Ucraina, ricordiamolo, che a causa dell’invasione russa e del prolungamento della guerra sta già perdendo una generazione: il Times ha pubblicato un’analisi sulla sua popolazione svolta dall’Onu, con un confronto tra 2021 e 2023. Nel 2021 venivano censiti 200mila ragazzi ventenni, nel 2023 solo 70mila. Mentre il numero delle ragazze della stessa età è diminuito da 200 a 50mila.

Ma c’è di più. Che cosa potrebbe succedere alla già disastrata economia ucraina se i russi, per rappresaglia, cominciassero ad utilizzare enormi volumi di proiettili all’uranio impoverito, lasciandone i resti concentrati nei terreni agricoli? Coldiretti ci dice che l’Ucraina, ancora oggi, rappresenta il 10% del commercio mondiale di frumento tenero e il 46% del mais per l’alimentazione animale. Quelli che l’uranio impoverito è una buona cosa, mangerebbero un piatto di spaghetti fatti con il grano ucraino o la bistecca di un manzo cresciuto a mais ucraino?

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L’Uranio impoverito diventa di colpo innocuo: il bipensiero orwelliano dei media italiani – Enrica Perucchietti

Secondo le stime del Centro Studi Osservatorio Militare sarebbero 7600 i militari italiani che si sono ammalati di cancro a causa dei proiettili all’uranio impoverito utilizzati dalla NATO durante i bombardamenti del 1999 in Jugoslavia e, di questi, 400 sono deceduti. La stampa nostrana per giustificare i proiettili all’aranio impoverito da inviare all’esercito ucraino, tende a minimizzare l’evento

Nel 2001, l’ex procuratrice del tribunale dell’Aja, Carla Del Ponte, definì l’utilizzo dell’uranio impoverito da parte della NATO, «un crimine di guerra». Da allora si iniziò a parlare della cosiddetta “sindrome dei Balcani”, un insieme di malattie come i linfomi di Hodgkin e altre forme di cancro.

In Italia, come censito dall’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), circa 8.000 militari italiani, di ritorno dalle missioni nei Balcani, sono stati colpiti da diverse malattie.

Una sentenza del 2013, emessa dalla Corte dei Conti della Regione Lazio, ha sottolineato la correlazione tra la malattia e le condizioni ambientali in cui il militare aveva prestato servizio (Kosovo).

Anche se il rapporto di causa effetto tra l’esposizione all’uranio impoverito e queste malattie non è ancora stato dimostrato, da anni la Coalizione internazionale per mettere al bando armi all’uranio (Icbuw) si batte perché simili proiettili vengano eliminati dagli arsenali.

Anche un rapporto dell’ONU pubblicato l’anno scorso ha messo in guarda dall’utilizzo dell’uranio impoverito in guerra in Ucraina per le sue possibili conseguenze: «L’uranio impoverito e le sostanze tossiche nei comuni esplosivi possono causare irritazioni della pelle, insufficienza renale e aumentano il rischio dell’insorgenza di tumori. La tossicità chimica dell’uranio impoverito è considerata un problema maggiore rispetto al possibile impatto della sua radioattività».

Ora che il Regno Unito ha annunciato che fornirà all’Ucraina proiettili all’uranio impoverito, i media di massa, invece che deplorare tale decisione, si stanno sforzando, anche in maniera grottesca, di insabbiare tali rischi per la salute, pur di avallare l’invio di tali munizioni anticarro perforanti ad alto potenziale.

Se Gianluca De Feo su la Repubblica ammette che i proiettili con uranio impoverito sono «Forse sono l’arma più perversa mai inventata, una sintesi di scienze fisiche convertite alla pratica bellica e circondata da un’aurea nefasta di gran lunga superiore alla sua efficacia in battaglia», numerosi suoi colleghi vanno in una direzione opposta.

Ospite a L’Aria che Tira su La7, Antonio Caprarica ridimensiona il rischio e spiega che le armi all’uranio impoverito «sono armi normalissime» e che «non c’è nessuna escalation» nel conflitto, in quanto le munizioni vengono usate normalmente in guerra. Nello stesso salotto televisivo, anche Lorenzo Cremonesi del Corriere della sera ci tiene a specificare che «sono solo alcune delle tante armi usate». Nulla di male, dunque, se vengono adottate anche dall’esercito ucraino…

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Uranio impoverito. Il popolo ucraino dovrebbe sapere quali sono i prezzi da pagare alla NATO – Enrico Vigna

Quando la storia accaduta NON insegna nulla, ogni popolo faccia i conti con le proprie scelte o accettazioni e ne risponda. Questo, dopo tutto quanto accaduto in Iraq e in Serbia, dove centinaia di tonnellate di proiettili all’uranio impoverito hanno devastato quelle terre e falcidiato la vita di milioni di persone da decenni e così sarà per altri decenni. Ora tocca all’Ucraina grazie alla decisione della Gran Bretagna di inviare armamenti di questo genere all’esercito ucraino.

Il caso della Serbia. Un paese, compreso il Kosovo, uranizzato.

Sono passati 24 anni e gli effetti di questi crimini USA/NATO sono oggi visibili e tragicamente provati nella vita della popolazione.

L’uranio impoverito, questo turpe e inesorabile killer, a partire dal 1999, anno dei bombardamenti NATO della Jugoslavia, fa strage tra la popolazione serba e kosovara, anche albanese: sì, perché non bada alla nazionalità. Le munizioni sparate dagli aerei dell’Alleanza quasi 24 anni fa, continuano a seminare morte e lo faranno ancora per decenni. In questi anni l’insorgenza del cancro in Serbia è aumentata fino a otto volte. I casi più diffusi sono tumori del polmone e tumori degli organi riproduttivi. Anche i soldati della NATO sono stati colpiti, soprattutto italiani e portoghesi.

In 78 giorni di aggressione le forze NATO hanno bombardato 112 volte il territorio dell’ex Repubblica Federale di Jugoslavia con l’uranio impoverito isotopo U238. Sono state contaminate 91 località, di cui 1 in Montenegro, 9 nel sud della Serbia centrale e addirittura 81 sul territorio del Kosovo e Metohija. Nel 2000 la NATO ammise l’utilizzo di armi contenenti uranio impoverito durante la missione “Angelo Misericordioso”, concepita per “portare la pace” in Kosovo e la democrazia nella ex Jugoslavia….

Secondo il fisico tedesco Siegwart-Horst Günther, la guerra con le armi all’uranio è un genocidio provocato consapevolmente e consapevolmente.

Il Pentagono non ha potuto nel tempo, nascondere la causa delle morti di cancro di molti suoi soldati in servizio nella regione. Infatti, le denunce, in particolare delle associazioni dei Veterani per la Pace USA, hanno costretto la NATO, nel marzo del 2000, ad ammettere per la prima volta di aver sganciato nel corso della “guerra umanitaria” circa 31 mila proiettili all’uranio impoverito, mentre l’esercito serbo ne denuncia oltre 50.000. Ciò equivale a 10-15 tonnellate di uranio riversati sul paese.

I proiettili all’uranio hanno un elevato potere di penetrazione, dovuto all’elevata densità dell’uranio metallico (1,7 volte maggiore di quella del piombo) e sono particolarmente adatti per penetrare armature d’acciaio e bunker di cemento sotterranei. L’uranio impoverito è anche un materiale combustibile che si auto infiamma quando penetra nella corazza, bruciando a 3.000 gradi Celsius, formando così polvere di ossido di uranio e rilasciando materiale altamente tossico e radioattivo (l’ossido di uranio).

Questo aerosol di ossido di uranio con particelle di dimensioni nanometriche entra nel corpo umano attraverso l’aria che si respira, l’acqua e anche attraverso la catena alimentare.

Nei polmoni, le particelle di polvere di UI si attaccano anche ai globuli rossi e bianchi e quindi entrano in tutti gli organi del corpo, compresi il cervello, i reni e i testicoli, provocando il cancro in molti organi e danni irreversibili al materiale genetico (DNA) . La forte cancerogenicità dell’UI è dovuta al fatto che la chemiotossicità e la radiotossicità agiscono in sinergia. L’UI può anche raggiungere un feto attraverso la placenta e causare gravi danni. Altri danni a lungo termine possono essere difetti genetici nei neonati, e oggi nella regione è esploso il numero delle nascite di neonati deformati, oltre a leucemia infantile, cancro e danni ai reni. Poiché le particelle di ossido di uranio hanno assunto le proprietà della ceramica a causa del calore della combustione, sono insolubili in acqua, si fissano in questa forma nel corpo e possono sviluppare il loro effetto radioattivo (radiazione alfa) per decenni.

Secondo le statistiche internazionali la Serbia è al primo posto in Europa per il tasso di mortalità e malformazioni per cancro, con una crescita media annua del 4 %. I dati sono stati confermati dall’oncologo serbo S. ?ikari?, presidente della Lega serba per la lotta contro il cancro, ha dichiarato che il motivo del crescente numero di casi e di decessi da tumori maligni è una conseguenza dei bombardamenti della NATO del 1999. Ha inoltre aggiunto che secondo il rapporto sull’evoluzione dei tumori maligni del Registro Tumori dell’Istituto per la salute pubblica “Dr Milan Jovanovic Batut”, la media annua di nuovi casi è intorno a 41.000, mentre i decessi si aggirano intorno ai 26.000: “…Le proiezioni sono terribili ed anche la frequenza dei cosiddetti tumori solidi comincia a crescere su base annua, e visto che il materiale radioattivo è penetrato sul nostro territorio, possiamo solo attenderci un costante aumento dei tumori maligni…

In Serbia il numero di tumori di nuova manifestazione su un milione di abitanti sarà 2,8 volte più alto rispetto alla media mondiale, il che raffigura una “catastrofe serba”. L’uranio impoverito è in Serbia, e la sua emivita è di circa quattro miliardi e mezzo di anni. La prevenzione primaria e secondaria oncologica, nonché  le cure palliative dei pazienti si trovano a livelli inesistenti e una delle principali modalità terapeutiche, la radioterapia, sta al livello più basso rispetto agli standard europei.

Sono drammaticamente aumentati i casi di linfomi e leucemie, che rappresentano il 5 per cento di tutte le neoplasie, in nove anni la loro frequenza e’ salita del 110 per cento e quella della mortalità del 118, questo significa che per questo genere di malattie la frequenza dei decessi e’ salita dall’11 al 12 per cento”. La malattia ha cominciato a far registrare questa espansione sette anni e mezzo dopo la campagna di bombardamenti, ossia nel 2006, e questi non sono i risultati di una ricerca improvvisata ma di un’indagine approfondita che ha coinvolto i dati medici di 5 milioni e mezzo di cittadini.

Sui media locali si riporta che, negli ultimi anni, solo nella regione meridionale serba di Leskovac, non lontana dal Kosovo, sono morti centinaia di veterani delle guerre degli anni Novanta nella ex Jugoslavia, in massima parte ex combattenti del conflitto armato in Kosovo. Le vittime sono uomini di età fra i 37 e i 50 anni, morti al 95% di cancro. “Non passa giorno che la nostra organizzazione non perda uno dei suoi componenti”, ha detto in una intervista il presidente dell’Associazione dei veterani di guerra. Ai primi posti fra le cause di morte, ha precisato, figurano il cancro all’intestino, all’esofago, ai polmoni, pochi i casi di infarto.

Il presidente di un’organizzazione umanitaria serbo kosovara “Angelo Misericordioso”, e medico nel centro sanitario di Kosovska Mitrovica, N. Srbljak, ha sempre dichiarato che non ci sono dubbi: la NATO ha causato alla Serbia una drammatica crescita del numero di tumori maligni e di morti. Il numero degli ammalati di cancro in Kosovo è cresciuto negli ultimi 12 anni di 300 volte, e la percentuale annua di crescita degli ammalati di cancro è del 4,4%. Questo solo relativo alle enclavi, nella parte sotto le autorità separatiste albanesi, c’è un veto, degli autori occidentali di questo crimine, a riportare dati o informazioni sulla situazione. Per quanto riguarda il collegamento dell’uranio con l’aumento del numero degli ammalati di patologie maligne, secondo il medico serbo c’è un dato inequivocabile: prima dei bombardamenti il numero degli ammalati di cancro sul territorio di Kosovska Mitrovica era di 1:10.000, nel 2002 il rapporto si era già ridotto a 1:1.000…in un solo anno.

“In un primo momento abbiamo avuto per lo più ammalati di cancro dei polmoni, dell’età tra i 35 e i 45 anni, mentre prima della guerra le persone colpite erano in genere anziani sopra i 70 anni. Con un’analisi più profonda abbiamo accertato che la maggior parte degli ammalati erano uomini ingaggiati nella difesa del paese sulla direttrice Djakovioca-Pec in Kosovo e Methojia. Che non si tratta di una coincidenza lo conferma il fatto che gli ammalati sono di diversa età, origine sociale, e la maggior parte non aveva in famiglia altri casi simili. Significativo il caso accaduto a un intero reparto di una decina di soldati, che durante i bombardamenti si erano nascosti nel buco di una bomba dal quale usciva un fumo viola. Tutti si sono ammalati entro breve tempo, di cancro ai polmoni, e tutti sono deceduti cinque anni dopo. La forma più terrificante di questa patologia tra la popolazione è la comparsa del raro carcinoma giovanile delle ossa, con la morte certa come esito, che viene scoperto in bambini di 11 anni. Siamo quotidianamente testimoni del sempre più alto numero di varie deformità nei neonati, gli aborti spontanei sono sempre più presenti ed è allarmante l’aumentata sterilità”, ha denunciato il dottor Srbljak, in un’intervista.

Secondo il Ministero della Salute serbo, ogni giorno un bambino si ammala di cancro. L’intero paese è contaminato. A causa del danno al materiale genetico (DNA), nasceranno generazioni e generazioni di bambini deformi. Consapevolmente e criminalmente, è stato commesso un genocidio.

Anche Miodrag Milkovic, veterinario nel sud della Serbia, una delle regioni più bombardate, afferma che vi è la prova di ciò che sta accadendo: “Negli ultimi 20 anni ho visto molti vitelli a due teste, agnelli a sei e otto zampe ed altre malformazioni fra gli animali. Le mutazioni sono una cosa normale, ma quando si verificano così tanti casi è un sintomo. La nostra natura è malata e certamente a causa della radioattività del nostro territorio”.

Il sito Gazetaexpress aveva rivelato che le Nazioni Unite avevano nascosto la relazione del capo della missione per il programma spaziale dell’Onu, Bakari Kante, nella quale era stato indicato che la NATO aveva lanciato nei bombardamenti del 1999, nel solo Kosovo, 10 tonnellate di uranio impoverito. La relazione di Bakari Kante sulle conseguenze terribili dei bombardamenti della NATO contro la Serbia non è stata mai resa di pubblico dominio. Alcune parti della relazione sono apparse grazie al giornalista statunitense Robert Parsons, il quale ha svelato che le relazioni sull’uso di uranio impoverito sono state censurate e modificate negli uffici delle Nazioni Unite, come riportato anche dall’agenzia Kosovapress. PERCHE’ ?

L’uranio impoverito è uno scarto della produzione di uranio. Solo gli USA ne producono 30 mila tonnellate l’anno. Costruire armi è il modo più facile per smaltirlo, proprio perchè ha ottimi effetti militari. Contro queste applicazioni vi sono a livello internazionale numerose campagne, che hanno lo scopo di formalizzare in un trattato internazionale, la pericolosità di questa sostanza, garantendo così, almeno formalmente un minimo di strumenti giuridici dissuasori in più.

Sempre più medici coraggiosi e responsabili, ex militari, ex politici e scienziati sono riusciti in questi anni a rompere questo muro di silenzio, a favore dei popoli serbo e iracheno, e dei tanti altri popoli aggrediti di questo mondo, che condividono questo destino.

Le armi all’uranio sono armi di distruzione di massa, questo è un dato di fatto.

Che la popolazione ucraina trovi la strada e il modo per rivoltarsi contro il proprio governo golpista e criminale, che per perseguire suoi obiettivi ideologici e politici, asserviti all’interesse straniero, consegna la propria gente a un calvario che durerà per generazioni intere.

Che i veri patrioti ucraini si pongano alla testa degli interessi della gente semplice e laboriosa, per un processo di arresto della guerra e una ricerca vera di un processo di pace, abbattendo la giunta nazifascista e asservita allo straniero, prima che sia troppo tardi e la situazione diventi irreparabile e irreversibile. Serbia e Iraq siano un monito e una ultima chiamata per fermare la discesa verso il baratro.

da qui

 

 

*dice il professor Orsini

Redazione
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