«Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa»

Saverio Ferrari sul libro di David Bernardini (*)

Con il termine “nazionalbolscevismo” si definisce una corrente politica e ideologica assai composita e variegata che origina addirittura dal 1919-1920 in Germania. Il contesto è quello della Repubblica di Weimar. A promuoverla furono due dirigenti socialdemocratici, Heinrich Laufenberg e Friedrich Wolffheim, che in opposizione al Trattato di Versailles (giugno 1919) che imponeva durissime condizioni economiche, politiche, militari e territoriali alla Germania, lanciarono l’ipotesi di riaprire il conflitto in alleanza con la Russia bolscevica contro il capitalismo internazionale accusato di voler cancellare l’identità dei popoli e schiavizzare i lavoratori tedeschi in accordo con la socialdemocrazia, garante della Repubblica di Weimar. Da qui la necessità da parte della classe operaia di far propria l’idea nazionale trasformando lo scontro tra classi in guerra tra nazioni.

Queste posizioni vennero duramente condannate dallo stesso Lenin che in Estremismo malattia infantile del comunismo le bollò come «madornali assurdità». Laufenberg e Wolffheim si troveranno presto isolati dal movimento operaio.

Il lavoro di David Bernardini Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa (Shake Edizioni, pag. 175, euro 14, ricostruisce la storia di questa corrente che si rigenererà non solo in Germania, a cavallo della grande crisi del 1929-1930, per poi sciogliersi con l’ascesa del nazismo in una miriade di percorsi individuali, ma anche nel secondo dopoguerra dando vita a esperienze come Jeune Europe, fondata nei primissimi anni Sessanta dal belga Jean Thiriart, ex Waffen-SS, fautore di un socialismo antimarxista.

Jeune Europe, simbolo una croce celtica, presente in diversi Paesi, tra cui l’Italia, la più importante tra le “Internazionali nere” di quegli anni, nacque con i finanziamenti dei monopoli belgi industriali e commerciali che sfruttavano il Congo e si opponevano alla decolonizzazione. Approdò successivamente, con una radicale giravolta, a difesa delle lotte di liberazione nazionale e del movimento dei non allineati, dandosi una maschera nuova.

Da questa esperienza deriverà in Italia Lotta di popolo, attiva dal 1969 al 1973, i cui aderenti furono bollati come “nazi-maoisti”, una formazione sulla cui genuinità si è sempre nutrito molti dubbi, composta com’era da figure che risulteranno in seguito legate a Gladio e ai servizi segreti.

Un capitolo Bernardini lo dedica ai nazionalbolscevichi russi, articolatisi a partire dal 1993 in più sigle sotto l’insegna di una falce e martello nera stilizzata in un cerchio bianco su sfondo rosso e con alla guida figure come Eduard Limonov e Alexandr Dughin. Tratto comune l’«eurasismo» da intendersi come «terza via tra capitalismo e comunismo, capace di unire in un solo blocco Europa e Russia», individuando «il nemico negli Usa liberali e liberisti». Il tutto ricoperto da «una fraseologia apparentemente marxista-leninista», «mitizzando il popolo russo» e proponendo «uno Stato forte e militare».

La galassia nazionalbolscevica continua a sopravvivere ancora oggi, anche in Italia, attraverso vecchie e nuove sigle e continue mutazioni. Vari i tentativi nel corso degli anni di interfacciarsi con la sinistra. Nelle sue intenzioni la “nazione” dovrebbe prendere il posto della “classe”, la società costituirsi gerarchicamente sotto la guida di una élite, e il socialismo, funzionale a mantenere l’ordine sociale, depurarsi dal marxismo. Poco è cambiato dalle origini, con gli schemi di continuo a ripetersi. Rimaniamo sempre nel campo delle destre radicali che «periodicamente», come sottolinea Bernardini, fanno «ricorso alla fraseologia di sinistra, vestendo panni ora proletari, ora più generalmente popolari». È «la strategia del camaleonte».

(*) pubblicato anche sul quotidiano «il manifesto»

 

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