Ne mancano 50 milioni

Estratto di un’intervista (aprile 2011, www.sorayanulliah.com) a Rita Banerji, scrittrice e attivista per i diritti umani, ideatrice della “Campagna 50 milioni mancanti” – “50 Million Missing Campaign”, di Soraya Nulliah, artista multimediale. I cinquanta milioni che mancano all’appello sono donne. Traduzione e adattamento Maria G. Di Rienzo.

Il genocidio femminile nella cultura indiana è un problema sistemico. Non riguarda solo l’economia, ma è qualcosa di ben più pervasivo. Secondo te, perché le donne sono così svalutate e disumanizzate?

Come discuto nel mio libro “Sesso e potere”, il genocidio femminile in India ha le sue radici profonde nella storia, cultura e religione del Paese, che sono estremamente misogine (specialmente l’induismo). Si tratta di gerarchie sociali. Quando un gruppo, come la casta superiore degli uomini Hindu, vuole stabilire il proprio dominio e aver poter sugli altri gruppi (donne e caste inferiori) per poter sfruttare, soggiogare e annichilire a volontà, stabilisce una logica sociale che – per quanto illogica intrinsecamente – diventa la verità dell’esistenza della comunità. Il modo migliore per far rinforzare tale logica ed assicurarsi che non cambi è trasformarla in legge religiosa.

Le donne e le caste inferiori, secondo i testi vedici, sono creati dalle parti più sporche e basse del corpo: i piedi. La letteratura hindu è piena dei riferimenti più degradanti per le donne: sono avide, hanno il cuore di sciacallo, sono lupi orribili, ingannatrici, infedeli, malvagie peccatrici. C’è anche la paura stravagante degli uomini per la sessualità femminile. Credevano che il sangue mestruale potesse uccidere gli uomini. In più, assieme agli schiavi, agli oggetti e alle case, le donne erano ufficialmente classificate come “proprietà” degli uomini. E’ la forma ultimativa del soggiogamento, il rendere un essere umano bene di proprietà. Così, come per ogni altro bene, tu puoi essere comprata e venduta e di te si può disporre a piacere. Durante una guerra, un re poteva dare le sue figlie agli invasori o agli aggressori per tenerli distanti. Questo è il motivo per cui nel “Mahabharata” Draupadi può essere usata come posta in gioco dal marito scommettitore, che aveva perso tutte le sue altre proprietà.

Ci sono inni sull’infanticidio femminile e il “sati” (il suicidio delle vedove, ndt.) nei nostri libri. Sita fu trovata in una pentola sepolta nel terreno: ma questa non è la Terra che partorisce, è la più antica registrazione del soccorso portato ad una bambina che sarebbe stata vittima dell’infanticidio femminile; si tratta del mondo in cui le infanti venivano uccise nell’India del nord.

Una volta che si sia consci del genocidio/ginocidio nella cultura indiana, c’è qualcosa che si può fare? Cosa può fare una persona comune?

C’è un unico modo per fermare qualsiasi tipo di genocidio. Un genocidio, a causa della sua scala e intensità e della sua natura sistemica richiede sempre un responso altamente organizzato ed accuratamente coordinato, interdisciplinare. Ciò è stato vero per ogni genocidio della storia umana. Come dico sempre, se invece delle donne l’India stesse annientando gente di una religione o di un’etnia specifica su questa scala, quale sarebbe il responso globale? E perché deve essere diverso se il gruppo preso a bersaglio è annientato a causa del genere? Continuiamo a dire “genere”, ma sono donne!

Se una nazione odiasse i bambini e gli uomini e ne spazzasse via milioni, e si finisse con la popolazione di quel Paese che conta 50 milioni di donne in più rispetto agli uomini, scommetto che i media internazionali avrebbero rivisitato i miti delle Amazzoni e parlato di vendetta. Io credo che il responso globale al genocidio femminile in India sia in se stesso misogino.

Individualmente dobbiamo prenderci la responsabilità per le scelte che facciamo nelle nostre vite, e per come rispondiamo a ciò che testimoniamo attorno a noi, nelle nostre famiglie e comunità. La violenza è l’istanza principale. Ma ti farò un piccolo esempio. Una signora che conosco era insegnante all’IIM, l’Istituto manageriale d’élite indiano, e fu invitata al ricevimento matrimoniale di uno dei suoi studenti, ma non al matrimonio vero e proprio. La ragione era che questa signora è vedova e perciò, secondo le credenze Hindu, sarebbe stata una presenza “infausta” alla cerimonia. Ne rimase assai ferita, ma andò al ricevimento. Io le dissi che se persino gli indiani più altamente scolarizzati non prendono posizione, che speranze abbiamo noi? Non avrebbe dovuto accettare l’invito o avrebbe dovuto chiarire allo sposo che ne pensava. Nel seguire l’usanza silenziosamente questa insegnante ha contribuito alla perpetuazione di un altro costume brutto e distruttivo. Perciò io penso che sia molto importante come ognuno di noi risponde. Se stai zitto e ti accordi al vento che tira sei parte del problema. E questo è vero anche per le persone che non sono indiane ma vengono in contatto con la comunità indiana tramite il viaggio, il lavoro, l’amicizia e restano mute o seguono le usanze per “mantenere la pace” o “non offendere gli indiani”. Mi spiegate perché? Non avete una coscienza vostra, indipendente?

Tu hai lavorato con il movimento delle donne Chipko sotto la direzione della dottoressa Vandana Shiva. Quest’esperienza ti ha cambiata e come? Come lavora l’ecofemminismo, come rinforza le donne?

Mi è veramente piaciuto lavorare con Vandana Shiva, perché mi ha dato ampia libertà e scopo per il mio giudizio personale, cose di cui ho bisogno per qualsiasi lavoro io faccia. Mi ha dato un paio di progetti fra cui scegliere e da quel momento in poi ero per conto mio. Le presentavo un rapporto settimanale e lo discutevamo.

Dovevo creare un erbario delle piante esistenti nel raggio di un chilometro, per stabilire la biodiversità della regione, e fare un disamina ecologica generale della zona di Sisiyaru-khala (nella valle Doon) dove gli industriali della calce stavano sfruttando intensamente le montagne. Gli abitanti locali mi hanno aiutata a classificare l’erbario dapprima secondo il sistema popolare, che è basato sull’uso (piante da cibo, piante medicinali, piante da foraggio, eccetera), poi ho classificato l’erbario in modo scientifico e in questa forma è stato usato come prova in tribunale. Due anni dopo, gli amici di un villaggio mi scrissero che avevano vinto la loro causa e che la cava della loro zona era stata chiusa. Mi sono sentita meravigliosamente.

Lavorare con il movimento Chipko ha avuto un grande impatto su di me. L’eco-femminismo, come lo promuovono Vandana Shiva e molte altre, vede il parallelismo fra la produttività e lo sfruttamento delle donne e delle risorse naturali da parte di società patriarcali. Adesso che sono più vecchia e ho più esperienza nel campo vedo anche altre cose. Le comunità isolate, che non hanno strade o acqua corrente e sono molto dipendenti dal loro ambiente naturale si muovono spontaneamente per proteggerlo: perché per loro significa sopravvivenza. Le donne passano più tempo degli uomini nei campi e nelle foreste, ma sia in comunità di questo tipo sia in assetti più urbani e sofisticati ci sono uomini connessi ai ritmi ecologici. Io sono convinta che chiunque può entrare in sintonia con essi, non è cosa che dipende dall’essere maschio o femmina.

Rispetto allo sfruttamento della natura, ricordo di una classe seminariale in cui discutevamo delle foreste amazzoniche. C’erano 18 studenti e tre studentesse (me compresa) e l’insegnante era un uomo. Alcuni degli studenti maschi continuavano a parlare dello “stupro” della foresta, della foresta “vergine”, come se la foresta fosse una donna. C’era un disagio enorme dipinto sulle facce delle altre due ragazze. Perciò puntualizzai il fatto che l’Amazzonia era una foresta di secondo sviluppo, per cui non così “vergine”. E poi chiesi perché la foresta doveva essere femmina in quanto “vergine” e “stuprata”. “Non ci sono uomini vergini? – domandai – Gli uomini non sono mai stuprati?”. Penso che dare un genere alla natura non sia la strada giusta. Produttività, sensibilità, connessione, sono cose umane, non cose da maschi o cose da femmine.

Di recente, stavo spiegando a un gruppo di donne e uomini in India che con il divario di genere che si allarga nel nostro Paese lo stupro è diventato il crimine con il maggior tasso di aumento. Gli uomini mi hanno guardata e hanno detto: “Questo riguarda le donne.” Così ho chiesto loro a quale punto del discorso avevo detto lo stupro di donne, perché non avevo detto niente del genere. Sapevano qualcosa delle esperienze degli uomini nelle prigioni? Quando non ci sono donne in giro chi stuprano gli uomini? Si stuprano l’un l’altro!

Veniamo uccise in tale proporzione che non ci sono abbastanza donne nella società indiana e intere linee matrilineari sono state distrutte. Come si può rovesciare questo dato? La prima cosa da sapere è che non può essere rovesciato. La proporzione biologica naturale nelle società umane è circa 1:1, leggermente più favorevole alle donne giacché costoro tendono a vivere un po’ più a lungo. Quando hai alterato questa proporzione l’hai alterata per sempre. Noi abbiamo circa 50 milioni di uomini in più, in India. Se vuoi tornare all’1:1 l’unico modo possibile sarebbe probabilmente selezionare a caso cinquanta milioni di famiglie indiane e chiedere loro di uccidere un membro maschio di uno specifico settore d’età.

Il tuo libro “Sesso e potere” getta luce sulle diseguaglianze di genere nella nostra cultura. Come è stato accolto in India? Io mi trovo ad avere a che fare con uno spesso muro di diniego ogni volta in cui parlo della violenza di genere nelle comunità indiane.

Le ricerche e le citazioni per le argomentazioni che porto nel libro sono assai dettagliate e le recensioni sono state buone. Fino ad ora nessuno ha sollevato obiezioni. La resistenza che io affronto è più legata alla “Campagna 50 milioni mancanti” ed è una resistenza muta, un rancore sordo, penso. La cosa strana è che verbalmente non mi contrasta nessuno. Le persone si limitano a diventare silenziose, immusonite, tristi o a disagio. Alcune riescono a dire: “Oh, ma questa cosa sta cambiando”. Tu chiedi in quale direzione sta cambiando ma loro non desiderano avere nessuna discussione approfondita sul tema. Quando hai fatti, esempi e opinioni loro si ritirano in un angolino molto alla svelta. E’ perché sanno benissimo tutto quel che sai tu, ma continuano a sperare che nessuno lo dica a voce alta. E’ lo stesso modo in cui si maneggiano le violenze incestuose nelle famiglie indiane: 1) Tutti sappiamo che sono sbagliate; 2) Tutti sappiamo che stanno accadendo; 3) In un modo o nell’altro ne siamo tutti complici, e quindi siamo tutti colpevoli. E’ meglio tenerlo segreto e guardare da un’altra parte.

Queste persone provano sconforto quando non c’è posto in cui nascondersi e il segreto non può più restare tale. L’India dovrebbe guardare in faccia la propria vergogna, invece di stare sulla difensiva, perché questa è sola strada per il cambiamento.

Tu hai dato inizio alla “50 Million Missing Campaign”. Puoi dirci cosa ti ha ispirata a farlo?

La mia indignazione. Sono indiana, sono donna e il mio Paese mi guarda negli occhi e dice: “Embé? Abbiamo schiacciato 50 milioni di mosche come te”. E sono ancora più sconcertata dal responso a livello globale. Quando gli ebrei venivano annientati in Europa, altri ebrei in tutto il mondo erano oltraggiati, come ogni altra persona decente. Quando i Tusti erano massacrati in Ruanda, gente di colore su tutto il pianeta, africani e no, erano arrabbiati con le Nazioni Unite perché esse non agivano.

Per cui continuo a domandarmi: perché il sistematico sterminio di donne in India non indigna le altre donne del mondo? La cosa stramba è che i gruppi di donne si agitano e si arrabbiano quando le minoranze etniche e religiose vengono prese a bersaglio, ma non rispondono allo stesso modo se sono le donne ad essere sterminate. Danno invece questi suggerimenti alla Florence Nightingale: “istruitele”, “potenziatele economicamente”. Darebbero gli stessi suggerimenti per un genocidio basato su etnia o religione? Naturalmente no. Perché in quei suggerimenti non ci sono ne’ le cause ne’ le soluzioni per un genocidio. Crederlo sarebbe superficiale, ingenuo e persino osceno. Perché quest’approccio apatico al genocidio femminile?

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

3 commenti

  • ginodicostanzo

    perché il sistematico sterminio di donne in India non indigna le altre donne del mondo?

    Anche perché non lo sanno…

  • io sono indgnata
    e disperata.
    non ho più parole né lacrime.
    le donne non possono liberarsi da sole dal predominio ingiusto e malvagio maschile, sono troppo incatenate ai loro ruoli, asservite e uccise se si ribellano.
    solo se sorgono Uomini giusti capaci di capire l’enormità di tale asservimento, potranno farcela a dire la loro.
    in occidente ci stamo provando, insieme.
    sto leggendo “Chi ha preparato l’ultima cena?” di Rosalind Miles.
    è la storia dell’umanità documentata al femminile.
    dovrebbe essere letto da tutti gli uomini.

Rispondi a ginodicostanzo Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *