Necropolitica e persone migranti: il Mediterraneo è…
… è un mare di morte. La parola-chiave è “consapevolmente”: la Fortezza Europa sa quel che fa.
Bruno Lai recensisce il libro Rari nantes. Il naufragio dell’umanità di Flore Murard-Yovanovitch e Fulvio Vassallo Paleologo (I Libri di Left, marzo 2023)
Noi sappiamo
Nel Mediterraneo centrale è in atto una strage di persone disperate, in fuga da guerre e miseria, un “popolo migrante” (Luigi Ferrajoli) che non ha riconoscimento giuridico, che muore nell’indifferenza, che soffre e che fatica ad ottenere giustizia.
Da anni assistiamo alla «totale impunità delle autorità responsabili di prassi di respingimento e di abbandono in mare, che sono state, e rimangono, al centro delle politiche migratorie di diversi governi italiani. Dal 2014 ad oggi, oltre 26mila esseri umani, bambini, donne e uomini sono annegati nel Mediterraneo (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Oim) e, in solo sei anni dalla firma del Memorandum Italia-Libia nel 2017, oltre 100mila civili sopravvissuti sono stati intercettati a mare e forzatamente respinti in Libia. Ogni anno, migliaia di persone vengono riportate indietro».
Essere respinti in Libia significa, nella maggior parte dei casi, essere rinchiusi nei lager libici e sottoposti «a torture ed abusi sistematici documentati da anni dalle Nazioni Unite». Queste politiche di respingimento, di abbandono in mare o di omissione di soccorso, costituiscono una violazione di «diritti fondamentali sanciti dalle Convenzioni internazionali». Dai dati di Medici per i diritti umani risulta che l’85% delle persone giunte in Italia dalla Libia ha subito torture e trattamenti inumani e degradanti. Inoltre «9 su 10 degli intervistati hanno visto torturare o morire un compagno di viaggio». I dati di Medici per i diritti umani fanno riferimento a 2.600 testimonianze raccolte. «L’estensione geografica e la struttura dei crimini contro le persone migranti riguarda ormai tutti i confini europei esternalizzati, e alcuni confini interni dell’Unione europea, dove non vi è più traccia del principio della libera circolazione». Questi crimini istituzionali sono compiuti con il pretesto della “difesa dei confini europei”.
Se un giorno i nostri figli dovessero chiederci che cosa abbiamo fatto per fermare questa strage, noi potremo rispondere che non sapevamo?
Necropolitica
La giornalista Flore Murard-Yovanovitch e l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo hanno pubblicato insieme un libro, Rari nantes. Il naufragio dell’umanità (I Libri di Left, marzo 2023), sulla continua strage di persone migranti che si verifica nelle acque del Mediterraneo. Entrambi sono esperti di migrazioni. Le politiche migratorie dell’Italia e della Ue costituiscono, secondo gli Autori, un caso di “necropolitica”.
Il concetto di necropolitica è stato proposto da Achille Mbembe, filosofo considerato tra i massimi teorici viventi del postcolonialismo. Proprio di Mbembe è riportata questa citazione che rinvia al concetto di necropolitica: «La sovranità equivale alla capacità di definire chi conta e chi non conta, chi è eliminabile e chi non lo è».
La gestione politica delle migrazioni attraverso il Mediterraneo, secondo gli autori del libro, è precisamente “necropolitica”, ovvero «capacità di decidere chi può vivere e chi deve morire».
Crimini nel Mediterraneo
Dopo la firma di accordi Ue con la Turchia (2016) ed italiani con la Libia (2017), con l’applicazione dello sciagurato “Codice di condotta Minniti” si è giunti addirittura ad azioni penali contro le Organizzazioni non governative (Ong) che fanno del bene salvando vite umane. Le azioni contro le Ong sono probabilmente mirate alla eliminazione di «tutti i possibili testimoni di questi crimini istituzionali». Gli Autori denunciano: «Il Mediterraneo è stato trasformato in uno spazio di eliminazione fisica – pianificata e mirata – delle persone in movimento che non si vogliono fare arrivare in Europa». Si tratta di un vero e proprio «sterminio in atto».
L’accusa è netta: «Le politiche nazionali di criminalizzazione delle organizzazioni non governative che si sono snodate prima con decisioni amministrative del ministro dell’Interno, rivolte ad navem, caso per caso, poi con il Decreto sicurezza bis del 2019 fino al recente […] Decreto legge n. 1 del 2023 sono tutte orientate ad impedire o a rallentare le attività di soccorso delle navi civili e a lasciare annegare altre persone in pericolo nel Mediterraneo. Con il Decreto legge n. 1 del 2023 si obbligano persino le navi civili ad un soccorso unico, impedendo i soccorsi molteplici e si rimette alla discrezionalità del ministro dell’Interno la liceità di eventuali soccorsi successivi: una legittimazione dell’abbandono in mare e delle omissioni di soccorso che non fa che palesare, se fosse necessario, la responsabilità delle autorità italiane».
Questa “esternalizzazione delle frontiere” determina quotidianamente nuove vittime. Per contrastare la cosiddetta “immigrazione illegale”, la politica migratoria dell’Italia ha assunto un “carattere dissuasivo” delle partenze, che si traduce in crimini come l’abbandono in mare ed i respingimenti, che sono stati delegati alla sedicente Guardia costiera libica. La salvaguardia della vita umana in mare non sembra rientrare tra le finalità perseguite dai governi che si sono succeduti alla guida dell’Italia. Sembra che i nostri politici non si accorgano degli «abusi sistematici subiti dalle persone migranti nei Paesi di transito. Se il Decreto legge n. 1 del 2023, pubblicato con la impropria intitolazione sulla “gestione dei flussi migratori”, ma in realtà rivolto contro i soccorsi operati dalle organizzazioni non governative, è solo l’ultimo tassello di politiche migratorie contro i migranti, esiste una lunga scia di continuità nelle politiche di abbandono a mare da parte dello Stato italiano e dell’Unione europea».
Siamo di fronte ad una violazione sistematica dell’obbligo di salvataggio in mare. In questo modo si nega la «effettività delle norme di diritto internazionale che obbligano gli Stati costieri a coordinarsi per garantire ai naufraghi salvataggi tempestivi e porti di sbarco». «Si invoca l’intervento dell’Unione europea per nascondere responsabilità che sono dello Stato italiano». Avverte Fulvio Vassallo Paleologo: «Le norme internazionali (ed europee) non sono tuttavia applicabili a discrezione di chi governa in base a mutevoli orientamenti politici, ma costituiscono una soglia minima di tutela di diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, che nessun governo può negoziare per la “gestione dei flussi migratori”».
Gli Stati costieri (come l’Italia) hanno obblighi precisi
Gli obblighi degli Stati costieri sono stringenti. «Ogni Stato costiero deve promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali».
Oggi, grazie alle forniture italiane alla sedicente guardia costiera libica, esiste una zona Sar (Search and Rescue, “Ricerca e salvataggio”) libica, esterna alla zona Sar italiana. Ma l’esistenza della zona Sar libica obbliga sì la Libia a coordinare le attività di ricerca e soccorso in mare nella sua zona (cosa che la Libia non è in grado di fare), ma non solleva l’Italia dall’obbligo di intervento in caso di inefficacia da parte della Libia. «Se occorre salvare vite umane in pericolo gli Stati costieri hanno l’obbligo di intervenire anche al di fuori delle aree di propria competenza, se le autorità competenti non assumono il coordinamento delle operazioni di soccorso». I guardacoste libici, però, in genere non operano veri e propri soccorsi, ma intercettazioni che cercano di impedire ai natanti con persone migranti a bordo di attraversare il Mediterraneo. Le persone non vengono salvate, ma catturate e riportate in Libia, dove è certo che subiscano imprigionamenti, torture, stupri ed altri trattamenti inumani e degradanti. I porti libici, quindi, non sono considerati “porti sicuri”. Se l’Italia non interviene a salvare le persone in pericolo, e lascia libertà di azione alle milizie libiche, si rende complice dei crimini commessi contro le persone intercettate e riportate in Libia.
È importante sottolineare che le persone migranti salvate in mare sono “sopravvissuti”, che vanno al più presto sbarcati in un porto sicuro. «I naufraghi non possono essere trattenuti a tempo indeterminato a bordo delle navi soccorritrici, mentre gli Stati costieri discutono sull’assegnazione di un porto di sbarco sicuro e sull’eventuale ricollocazione dei richiedenti asilo in Europa».
Rifiutare di coordinare ricerca e soccorso in mare anche fuori dalle aree di propria competenza è una violazione di norme internazionali. «Si tratta di prassi illegittime che sono state avviate dal governo Berlusconi nel 2009, dopo i protocolli operativi del dicembre 2007 (governo Prodi) e il Trattato di amicizia del 2008 con Gheddafi, con i primi respingimenti collettivi eseguiti nel maggio del 2009 dalla motovedetta Bovienzo della Guardia di finanza. Respingimenti collettivi in acque internazionali per cui l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma che non si sono mai interrotti per tutto il 2010. Nel tempo si è passati dai respingimenti diretti ai respingimenti su delega alle motovedette libiche donate dall’Italia, ed il livello della collaborazione e coordinamento con i libici è mutato, anche per l’arrivo di nuovi attori militari e politici in territori che ancora oggi rimangono fuori dal controllo di uno Stato unitario».
Dai rapporti dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) e delle Nazioni unite, ma anche dalla giurisprudenza italiana (caso Vos Thalassa), sappiamo ormai che «la Libia, nella sua attuale frammentazione politica e militare, non garantisca porti sicuri di sbarco». L’Italia, che continua a rafforzare la capacità di intervento libica, si rende così complice delle sistematiche violazioni dei diritti umani in cui incorrono le persone intercettate dai libici e ricondotte a terra in Libia. «Tanto in Libia che in Tunisia, i naufraghi sbarcati vengono considerati in blocco come migranti “illegali” e non hanno accesso effettivo alle procedure di asilo, né ricevono una assistenza umanitaria che li metta al riparo da abusi gravissimi che sono ancora oggi denunciati dalle principali agenzie delle Nazioni unite».
I comandanti delle navi hanno obblighi precisi
Esistono normative internazionali, ribadite nel «A Guide to principles and practice as applied to migrants and refugees, elaborato nel 2006 dall’Imo (organizzazione internazionale del mare, con sede a Londra, ma emanazione delle Nazioni Unite) e dall’Unhcr (alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e sottoposto ad aggiornamento nel 2015». In questo documento si precisa che il comandante della nave che compia un soccorso ha l’obbligo di effettuare il salvataggio in tempi rapidi, senza discriminazioni sullo status dei naufraghi, verificandone la presenza a bordo ed ultimando il soccorso con lo sbarco in un “porto sicuro”, ovvero «laddove sia possibile garantire loro adeguata protezione». Gli Stati costieri hanno l’obbligo di prendere in considerazione le domande di asilo, anche nel caso di “sbarchi autonomi”, ovvero “ingressi irregolari”. Sono vietate le prassi di “blocco navale”, di “chiusura dei porti” e le “espulsioni collettive”, di cui spesso rigurgita la propaganda menzognera delle destre xenofobe.
Va anche ricordato che «le espulsioni collettive sono vietate» (art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione). Verso i naufraghi soccorsi c’è «l’obbligo del riconoscimento individuale». Inoltre: «nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».
Quando in mare c’è un natante che rischia il naufragio, tutti i comandanti delle navi in zona hanno obblighi molto stringenti: soccorrere tempestivamente e condurre in un “porto sicuro”. Vanno considerate «in condizioni di distress (pericolo imminente) […] tutte le imbarcazioni che dopo essere partite dalla Libia, dalla Tunisia, o dalla Turchia, si trovano in questa situazione per il sovraccarico, per la mancanza di dotazioni di sicurezza, per le caratteristiche strutturali e per la distanza da un porto sicuro». I comandanti devono informare dei soccorsi gli Stati costieri e lo Stato di bandiera della nave, «ma la mancanza di coordinamento, o l’esistenza di accordi bilaterali tra Stati, non può legittimare ordini e prassi di stand by mentre le persone rischiano di annegare». Insomma: il comandante «deve prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo». Il soccorso si conclude con lo sbarco in un porto sicuro.
Come si è arrivati all’attuale situazione?
Gli anni di “svolta” nelle politiche migratorie italiane sono stati il 2017 ed il 2019. Nel 2017 è stato firmato il famigerato Memorandum Italia-Libia, accompagnato dal Codice di condotta Minniti (dal ministro dell’Interno dell’epoca, Marco Minniti, al tempo del governo Gentiloni). Conseguenza di quel codice di condotta è stata una raffica di sconcertanti azioni penali contro le Ong che facevano del bene, che nel Mediterraneo salvavano vite umane. Con il successivo governo Conte 1, è diventato ministro dell’Interno Matteo Salvini e si è giunti ai cosiddetti Decreti sicurezza (D.L. n. 113/2018 e n. 53/2019) che, sostiene Fulvio Vassallo Paleologo, «ancora oggi appaiono di dubbia costituzionalità». Questi due decreti hanno «permesso al ministro dell’Interno, dopo una serie di direttive/diffide del tutto prive di basi legali, di impartire ordini alla Guardia di finanza, ed alla Guardia costiera, per vietare l’ingresso e gli sbarchi delle navi umanitarie nei porti italiani, in evidente violazione con i doveri imposti dalle Convenzioni internazionali. Che impongono l’adempimento immediato degli obblighi di ricerca e vietano di trattenere a tempo indeterminato sulla nave soccorritrice i naufraghi soccorsi in mare, anche quando si debbano portare a compimento attività di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement)».
«Al rigoroso rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso […], si sovrapponeva così, ed alla fine prevaleva, la finalità di “difendere i confini” con le misure di “chiusura” dei porti che risultavano più mirate ad esigenze di propaganda elettorale che ad un effettivo contrasto delle migrazioni irregolari ed alla salvaguardia della vita umana in mare». Contemporaneamente, le Ong che operavano i soccorsi, venivano fatte oggetto di una «violenta campagna mediatico-giudiziaria», con l’accusa infamante di stringere accordi con i trafficanti (accusa di “consegne concordate”), o di costituire un “fattore di attrazione” (pull factor) rispetto alle partenze dei migranti. Nessuna di queste accuse infamanti o, forse meglio, diffamatorie, ha mai trovato riscontro in alcuna sentenza di condanna in tribunale. Lo Stato italiano, invece, è già stato condannato dalla CEDU (Corte europea per i diritti umani) per almeno un respingimento.
Negli ultimi anni, con i ministri Lamorgese (governo Draghi) e Piantedosi (governo Meloni), si è arrivati ad ingiustificati «ritardi nella assegnazione di un porto di sbarco sicuro». Piantedosi, in particolare, «ha imposto l’assegnazione di porti di sbarco sempre più lontani, tanto che per raggiungerli si rendono necessari molti giorni di navigazione». In questo modo il Mediterraneo risulta meno presidiato dai mezzi di soccorso delle Ong, con conseguente riduzione degli interventi di soccorso nelle acque internazionali ed accrescimento dei rischi di abbandono in mare. I mezzi di soccorso della società civile, è bene ricordarlo, svolgono un compito che un tempo era svolto dalle unità militari italiane nell’ambito dell’operazione “Mare Nostrum”.
«Quando si rischia di annegare in alto mare, non si possono adottare criteri selettivi di soccorso e sbarco»: tutte le persone che rischiano di naufragare vanno salvate. «Per questa ragione, in questi casi, che non si possono qualificare come “eventi di immigrazione irregolare”, non si tratta di “clandestini” ma di naufraghi da salvare e trasferire in un porto di sbarco sicuro, che nessun paese nordafricano, per ragioni diverse, è attualmente in grado di garantire».
Secondo Fulvio Vassallo Paleologo, il D.L. n.1/2023, «che nel titolo sembra rivolgersi alla “gestione dei flussi migratori”, […] in realtà è tutto orientato ad impedire o rallentare le attività di soccorso delle navi civili», in continuità con i provvedimenti dei precedenti governi. L’esigenza di difesa dei confini nazionali va subordinata alla salvaguardia delle vita umana.
I governi italiani non possono nascondersi dietro l’auspicio che sia l’Unione europea ad intervenire maggiormente nel Mediterraneo. Sul D.L. n. 1/2023 si è pronunciata la Commissaria ai diritti umani del Consiglio europeo Dunja Mijatović. «Nella lettera indirizzata al ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, la Commissaria invita il governo italiano a valutare la revoca o la revisione del Decreto legge n. 1/2023. Le disposizioni del decreto potrebbero infatti ostacolare le operazioni di ricerca e soccorso delle Ong e, quindi, essere in contrasto con gli obblighi di soccorso dell’Italia ai sensi dei diritti umani e del diritto internazionale. La posizione della Commissaria è molto chiara – sottolinea Vassallo Paleologo -: “Il decreto e la pratica di assegnare porti lontani per lo sbarco delle persone soccorse in mare rischiano di privare le persone in difficoltà dell’assistenza salvavita delle Ong sulla rotta migratoria più mortale del Mediterraneo”. Inoltre ribadisce l’invito alle autorità italiane a sospendere la cooperazione con il governo libico sulle intercettazioni in mare, come indicato nella sua precedente Raccomandazione sul Mediterraneo centrale».
Italia denunciata e condannata
L’Italia ha già subito (più di) una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2012 nel caso Hirsi, per aver effettuato un respingimento collettivo in acque internazionali, che è espressamente vietato.
Hirsi Jamaa è un cittadino eritreo che nel maggio 2009 è stato salvato in mare, insieme ad altre 23 persone migranti, tutte di origine africana (11 somale, 13 eritree), da vascelli della Guardia di finanza e della Guardia costiera italiane. Le unità italiane avrebbero avuto l’obbligo di condurre nel più breve tempo possibile i naufraghi in un porto sicuro. Invece hanno operato, secondo la sentenza, un respingimento collettivo, che è illegittimo, perché viola gli artt. 3 e 13 della Convenzione europea dei diritti umani. È proprio per evitare altre condanne di questo genere, secondo gli Autori, che l’attività di intercettazione e respingimento è stata delegata poi alla sedicente Guardia costiera libica. Questo è avvenuto con il Memorandum Italia-Libia del 2017, firmato quando era ministro dell’Interno Marco Minniti. (Per chi volesse approfondire: Paolo De Stefani: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Hirsi-Jamaa-e-altri-c-Italia-illegali-i-respingimenti-verso-la-Libia-del-2009/249; https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Hirsi_Jamaa_e_gli_altri.html)
Anche la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, Mary Lawor, si è detta preoccupata del fatto che il divieto di soccorsi multipli, previsto nel D.L. n. 1/2023, metta in ulteriore pericolo i naufraghi: «la legislazione è incompatibile con gli obblighi dell’Italia ai sensi del diritto internazionale». Pure Amnesty International si è espressa al riguardo: «le misure contenute nel provvedimento hanno l’evidente obiettivo di ostacolare le attività di soccorso delle Ong nel Mediterraneo centrale. Fanno parte del tentativo di assicurare che il maggior numero possibile di persone sia intercettato dai “guardiacoste” libici e riportato in Libia a subire detenzioni arbitrarie e torture».
Di fronte a questo notevole peggioramento della situazione nel Mediterraneo centrale, gli Autori auspicano che si giunga ad individuare ed assicurare alla giustizia «gli autori dei crimini commessi sui confini dell’Europa contro i migranti». Se nel caso Hirsi del 2012 ed in quello Sharifi del 2014 la CEDU ha condannato l’Italia, non sono però stati individuati i singoli funzionari e politici responsabili dei crimini commessi. Scrivono gli Autori: «Nel Mediterraneo centrale, con il ritiro degli assetti navali statali e la guerra contro le imbarcazioni del soccorso civile, si è tentato di produrre un effetto dissuasivo delle partenze, che però non si è realizzato. Mentre è aumentato il numero delle vittime, frutto delle politiche statali di omissione sistematica di soccorso, piuttosto che delle organizzazioni criminali, in vario modo coperte dalle stesse autorità di governo con cui si cercava di concludere accordi per intensificare la lotta all’immigrazione cosiddetta “illegale”».
Secondo gli Autori è «urgente qualificare nuove tipologie di crimini contro i migranti, evidenziando la loro strutturalità, la loro sistematicità, e infine il nodo cruciale della loro intenzionalità: nonché la diffusa accettazione da parte dell’opinione pubblica». Delegare i respingimenti alla sedicente Guardia costiera libica aggrava la situazione. «Già nel 2017, il rapporto di Amnesty International accusava i governi europei di essere consapevolmente complici nelle torture e nelle violenze ai danni di decine di migliaia di migranti e rifugiati, detenuti in condizioni agghiaccianti nel Paese nordafricano. La parola cruciale è la parola consapevolmente».
Con gli accordi Italia-Libia, si assiste «all’accelerazione dei crimini istituzionalizzati contro l’umanità, proprio per il connubio di politiche e di prassi di abbandono a mare, di omissioni di soccorso, di respingimenti e detenzione in massa, prassi esternalizzate per effetto degli accordi con Paesi terzi che non rispettano i diritti umani delle persone migranti e neppure dispongono di centrali di coordinamento dei soccorsi in mare che garantiscano la salvaguardia effettiva della vita umana». Le autorità libiche, è bene ribadirlo e continuare a denunciarlo, operano gravissime violazioni dei diritti umani, con la complicità dell’Italia e dell’Unione europea.
Oltre alle sentenze CEDU e ad alcuni pronunciamenti di tribunali italiani, c’è l’importante sentenza di Palermo del Tribunale Permanente dei Popoli, Tpp, del 2017. Nell’atto di accusa già si evidenziavano quelle “tendenze necropolitiche” a cui assistiamo ancora oggi, quei “crimini di sistema” che fanno orrore. «Questo Tribunale d’opinione, creato dalla società civile organizzata, ha condannato l’Italia e l’Unione europea per concorso in crimini contro l’umanità a causa degli accordi stipulati con la Libia e per le politiche di respingimento in mare. Non si poteva negare già allora che l’Italia e l’Unione europea delegassero veri e propri respingimenti collettivi alle milizie imbarcate a bordo di mezzi della guardia costiera “libica”, composta da motovedette donate nel tempo da diversi governi italiani».
I respingimenti operati dalla sedicente Guardia costiera libica costituiscono crimini per delega, dal momento che sono resi possibili dal fatto che sono le autorità italiane ad avvertire i libici quando ci sono eventi nella loro zona Sar. Senza l’aiuto italiano, i libici non sarebbero in grado di individuare gli eventi e di intervenire, bloccando le imbarcazioni con a bordo persone migranti, catturando queste ultime e riportandole nei centri di detenzione in Libia, alcuni ufficiali, altri clandestini. Questi interventi libici «configurano – nelle loro oggettive conseguenze di morte, deportazione, sparizione delle persone, imprigionamento arbitrario, tortura, stupro, riduzione in schiavitù, e in generale persecuzione contro il popolo dei migranti – un crimine contro l’umanità; la condotta dell’Italia e dei suoi rappresentanti, come prevista e attuata dal predetto Memorandum, integra concorso nelle azioni delle forze libiche ai danni dei migranti, in mare come nel territorio della Libia». L’allontanamento delle navi delle Ong evidenzia così il duplice scopo di impedire ulteriori salvataggi e di non avere testimoni dei crimini commessi nel Mediterraneo ai danni delle persone migranti.
Oltretutto, gli accordi stipulati con i libici si sono dimostrati fallimentari anche nello scopo di limitare gli arrivi dei migranti. Ciò nonostante, sono stati tacitamente rinnovati più volte.
Chi sono i funzionari ed i politici responsabili?
Un altro dei temi su cui insistono Flore Murard-Yovanovitch e Fulvio Vassallo Paleologo è la “diffusa impunità” dei responsabili dei crimini di sistema che il libro denuncia. Eppure, le responsabilità di funzionari e politici italiani ed europei, nella commissione di questi crimini contro le persone migranti, sono evidenti. «Secondo dichiarazioni ufficiali dei vertici europei risulta che dal 2017 ad oggi l’agenzia europea Frontex, dopo avere limitato la sua presenza nel Mediterraneo centrale ad alcuni assetti aerei, abbia sistematicamente avvertito le autorità libiche della presenza di imbarcazioni da intercettare in acque internazionali. Per questa ragione negli ultimi anni è aumentato in misura esponenziale il numero delle persone bloccate da motovedette libiche in acque internazionali e ricondotte nei lager dai quali erano riuscite a fuggire».
Deve destare scandalo “Il silenzio della giustizia internazionale”. La Corte penale internazionale, Cpi, ha già ricevuto quattro esposti su presunti crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi in Libia, con il concorso di Italia ed Unione europea, eppure la Cpi ha indagato, ma non ha ancora aperto alcun caso specifico.
Un esposto è stato presentato nel 2019 «dall’esperto di diritto internazionale dell’Istituto di studi politici di Parigi, Omer Shatz, e dal giornalista Juan Branco, consigliere di WikiLeaks»: «l’accusa è di crimini contro l’umanità a seguito delle politiche migratorie dell’Ue nel Mediterraneo centrale. In particolare – si legge nella denuncia – “esternalizzando le pratiche di respingimento dei migranti in fuga dalla Libia alla guardia costiera libica, pur conoscendo le conseguenze letali di queste deportazioni diffuse e sistematiche (40mila respingimenti in 3 anni), gli agenti italiani e dell’Ue si sono resi complici degli atroci crimini commessi nei campi di detenzione in Libia”. Secondo la denuncia, “attraverso un complesso mix di atti legislativi, decisioni amministrative e formali accordi, l’Ue e i suoi Stati membri hanno fornito alla guardia costiera libica sostegno materiale e strategico, incluso ma non limitato a navi, addestramento e capacità di comando e controllo”». Secondo l’esposto «funzionari e politici hanno consapevolmente creato la via di migrazione più letale del mondo». A corredo della loro accusa di “crimini contro l’umanità” Omer Shatz e Juan Branco richiamano «documenti interni di Frontex, l’organizzazione dell’Ue incaricata di proteggere le frontiere esterne dell’Unione». Gli esiti letali della politica di “esternalizzazione” delle frontiere non sono per niente imprevisti! Frontex aveva avvertito che porre fine alla «fortunata politica di salvataggio italiana di Mare Nostrum avrebbe comportato un “più alto numero di vittime”».
Nel loro esposto, Omer Shatz e Juan Branco sostengono che: «per arginare i flussi migratori dalla Libia a tutti i costi e al posto di operazioni di salvataggio e sbarco sicure come prescrive la legge, l’Ue sta orchestrando una politica di trasferimento forzato nei campi di concentramento, come le strutture di detenzione (in Libia) dove vengono commessi crimini atroci». Nell’atto di accusa si legge che «i funzionari dell’unione europea e degli Stati membri avevano una conoscenza precoce e piena consapevolezza delle conseguenze letali della loro condotta».
molto interessante
andrò a cercarlo
” il fermo della nave Ong Mare Jonio scoperchia la necropolitica” – di Domenico Gallo
https://www.domenicogallo.it/2024/04/il-fermo-della-mare-jonio-scoperchia-la-necropolitica/
L’ intervento di Domenico Gallo e’ ottimo! Mette in grande evidenza una questione che e’ assolutamente prioritaria nell’ odierna Italia nata dalla lotta al fascismo, in difesa ( come sancito dalla Costituzione) dei diritti e dei valori umani piu’ fondamentali: a partire dal salvare Chi sta annegando a mare .
Perseguire le ONG per le loro attivita’ di salvataggio significa distruggere la Costituzione, contro la vita umana.
E’ molto importante, per i nostri comuni Valori civili e democratici, contribuire a DIFFONDERE la nota di Domenico Gallo.