Negazionismo climatico e paura dei migranti

di Mario Agostinelli

A volte penso che questa stagione sia la più cieca verso il futuro che la civiltà abbia fin qui tollerato e che tuttavia le èlite che ci governano abbiano più di un motivo per inchiodarci ad un presentismo ossessivo. Infatti, se si diffondesse la convinzione che il pianeta abbia i decenni contati a causa degli effetti climatici degli stili di vita adottati da una minoranza ricca e armata, qualsiasi agenda politica sarebbe sovvertita e schiodata dagli interessi a breve di chi occupa il potere. Ma affinché ciò non avvenga, il riscaldamento del pianeta non deve essere né politicamente né socialmente conteggiato come una emergenza globale. In compenso, potrebbe mettersi in conto il sacrificio dei più indigenti, coperto dall’indifferenza di una gran parte della popolazione. Di questo intreccio perverso si è fatto interprete papa Francesco, manifestando come la sottovalutazione della crisi climatica e la carenza di cura per l’ambiente in cui viviamo possa mettersi in relazione con l’imbarbarimento nei confronti dei migranti, contemporaneamente alla progressiva marginalizzazione del valore del lavoro. Non sostengo che la questione migranti o l’attacco al lavoro e al welfare dipendano solamente dall’espulsione del clima dall’elenco delle emergenze in considerazione: ma se supponessimo che il diritto alla vita e l’uguaglianza non fossero più valori universali (ed è quello che alcune delle élite mondiali cominciano a pensare), allora si insinuerebbe nel senso comune il tarlo malefico dell’esclusione: chi è dentro e chi deve star fuori. Se non manteniamo come sfondo la rigenerazione della Terra intera, accreditiamo un sovranismo chiuso a difesa di casa propria e a cercare soluzioni protezioniste, quando non si arriva addirittura a simulare in una feroce contesa di poter disporre di altri mondi da cui trarre risorse attraverso il più innaturale sviluppo di tecnologie e di poter contare su una “specie” artificiale di ricambio da mettere al lavoro.

Senza una stolta concordanza sulla possibilità di sopravvivere ad un collasso della biosfera e se non fosse accreditata dai media la previsione che il cambiamento climatico avverrà “a rate”, temperato da mirabolanti rimedi tecnici, non sarebbe altrimenti riscontrabile che l’85% dei cattolici italiani – si dice – approvi l’azione di Salvini a valle di tre anni di predicazione dell’Enciclica Laudato Sì, o che Trump sostenga la crescita del PIL USA nella prospettiva di favorire le fonti fossili e spostare ulteriori risorse finanziarie e di ricerca dalla tutela dell’ambiente alla creazione di una “quarta armata” – quella spaziale da aggiungersi all’esercito, alla marina, all’aviazione! Si fa strada la sconcezza solo sussurrata che per una parte dell’umanità non ci sia posto in futuro sulla Terra: così si può giungere a tollerare come un effetto burocratico in una democrazia costituzionale il sequestro e la deviazione di navi cariche di profughi o l’arresto del sindaco di Riace.

So di esprimere osservazioni scomode e quasi sempre escluse dagli schermi e dalle pagine da cui fa capolino la pochezza e la volgarità dei contendenti nostrani, ma l’evoluzione dell’economia mondiale negli ultimi decenni, con la crescita delle rendite e della concentrazione di ricchezza nelle mani di una percentuale sempre più ristretta della popolazione, ha finito con l’avallare la globalizzazione contemporanea come l’unica praticabile, a dispetto della giustizia sociale e climatica. Fino a negare responsabilità e soluzioni di fronte a problemi totalmente nuovi, creati da una parte dell’umanità che oggi si arrocca, ma irrimandabili nella loro immanenza temporale, come la constatazione della fragilità della natura e della invalicabile e limitatissima finestra energetica in cui si può riprodurre la vita sulla crosta terrestre e nei mari. Si può così mettere in conto che una parte di abitanti possa essere spazzata via nel medio periodo, per mancanza di suolo fertile, di acqua potabile, di alimentazione o per i rischi mortali di un viaggio verso altri territori.

In un perverso vortice di comunicazione e informazione, trova udienza il più irriducibile negazionismo dei danni sul vivente e sul clima di un rapporto distorto tra natura e comportamento del genere umano. Si arriva addirittura a contemperare la perdita di senso del lavoro in quanto diritto e del suolo terrestre come luogo da condividere, prendendo atto senza scandalo che 20 persone sono costrette ad abbandonare le proprie case ogni minuto a causa di conflitti o persecuzioni e a mutamenti ambientali, che rendono del tutto inospitali i luoghi prima già abitati in condizioni precarie, ma resi meno invivibili dalla solidarietà interpersonale. Il problema è talmente nuovo che si potrebbe azzardare che di fronte al clima la società si divide in classi dislocate anche e soprattutto geograficamente, mentre il sovranismo va a braccetto col populismo proprio per stabilire e imporre i confini per chi viene destinato a soccombere o a sopravvivere nel proprio territorio.

Oltre all’indignazione per il “contratto” Salvini-Di Maio, la sinistra dovrebbe risalire ad una visione organica che sovverta l’ordine di emergenze che la destra sta alimentando. Anche se il mondo e la società ci vengono ostinatamente descritti come popolati da oggetti galileiani commercialmente contabilizzabili, la sfida della vita ha bisogno di interpretazioni anche scientifiche adeguate all’attuale emergenza.

Basti pensare che quando Bertrand Russell dice che “tutti sanno che la relatività di Einstein sia un avvenimento sconvolgente, ma pochissimi saprebbero dire cosa sia avvenuto”, parla di occasioni di ricchezza, povertà, lavoro, dovute al fatto che orologi posti in sistemi che si muovono a diverse velocità battono tempi diversi e che da ciò deriva la supremazia dello spazio-tempo programmato dai computer e dai chips collegati ai sensori (milioni di volte più veloci della mente umana) nelle catene di produzione e vendita o nell’organizzazione della logistica o nelle scelte finanziarie. D’altronde, Roberto Cingolani ricorda che è pur vero che “la meccanica quantistica si inserisce nella vita naturale fatta di molecole costruendo nanomacchine che intervengono sull’evoluzione e la salute”, ma non in modo da sfamare i reietti che ci assediano. Ancora, Giovanni Orsina ci ricorda “che siamo ad un punto della storia in cui i diritti individuali sono sentiti come la prerogativa globalmente protetta di ogni essere umano sulla terra e non dei cittadini di uno stato”, ma se tale proprietà la si vuole praticare in democrazie svuotate come quelle di Europa e di America occorre un balzo in avanti mentale rispetto a come uomo, lavoro e natura sono contemplati dal dispotismo e dal neoliberismo incontrastati.

Il conflitto climatico è tutt’altra cosa da quanto finora conosciamo: l’instabilità del territorio come luogo di scambio, cultura solidarietà e relazione – quindi come luogo della politica – fa venir meno un orizzonte comune per l’intera umanità e non esiste più un unico pianeta da condividere: allora barriere e respingimenti e, possibilmente, morti e guerre a volontà, anziché un’intelligente seppure affannosa ricerca di un territorio terrestre abitabile per noi tutti e le prossime generazioni. Ma di queste cose la sinistra non discute. Continua a ragionare algebricamente con i numeri come se fossero privi di qualità e di territorialità: non li inserisce in una descrizione organica e non astratta del cambiamento e non coglie che “terrestre” e “globale” non sono la stessa cosa. Il primo evoca vita, socialità e accoglienza; il secondo scarti, ingiustizia e confini artificiali insuperabili.

LA VIGNETTA – scelta dalla “bottega” – è di Giuliano Spagnul. Questo articolo è stato pubblicato anche sul quotidiano “Il manifesto.”

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