Negazionismo, scetticismo o resistenze: dove va l’ecologia politica?

di Salvatore Palidda

Questo documento, a cura di Salvatore Palidda, è condiviso con alcuni ricercatori del progetto CREMED – Collective Resilience Experiences facing risks of sanitary, environmental and economic disasters in the MEDiterranean.

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È indiscutibile che la posta in gioco maggiore del XXI secolo riguardi la previsione o la negazione dei rischi per il futuro dell’umanità e del pianeta, rischi certamente percepiti come ben più seri della fine del mondo profetizzata da diversi ciarlatani del passato. Nel corso di questi ultimi anni la maggioranza dell’opinione pubblica mondiale sembra seguire i diversi punti di vista riguardanti tali rischi. Ma i popoli del mondo sono consapevoli di tali rischi o al contrario sono piuttosto dalla parte dei negazionisti e ancor di più degli scettici?

Per cercare di capire la portata della posta in gioco è utile passare in rassegna i diversi punti di vista o prospettive interpretative o riflessioni critiche nel campo dell’ecologia politica così come si sono espressi dagli anni Settanta e soprattutto dal 2010. A questi punti di vista corrispondono diverse pratiche che sono determinanti se non decisive rispetto al futuro.

Proveremo quindi a mostrare che le reazioni dei dominanti e dei dominati di fronte all’allarme sul destino dell’umanità e del pianeta Terra si configurino come IL fatto politico totale[1] per eccellenza. Che lo si neghi o che si pretenda controllarlo o trovarvi rimedio o che si dica che «non c’è nulla da fare», intellettuali, esperti, autorità internazionali e nazionali, lobby e buona parte della popolazione mondiale, tutti sono costretti a confrontarvisi, ancor di più di quanto avvenne rispetto alle due guerre mondiali del XX s. e rispetto al rischio di guerra nucleare (che di fatto si pensava poco probabile ma assai utile alla competizione tra le due superpotenze dopo il 1945). Fatto politico totale perché vi si intrecciano aspetti riguardanti tutti e tutto: i mondi animale, vegetale, minerale e l’atmosfera, quindi gli aspetti economici, sociali, culturali e politici (secondo alcuni in particolare religiosi). Ne consegue che le reazioni a tale fatto siano disparate e rivelatrici dell’attuale geografia politica, e dunque del rapporto tra dominanti e dominati, tra le loro culture e i loro comportamenti.

Nel confronto tra i diversi punti di vista che descriverò ci sono due aspetti che d’emblée possono essere considerati i più sorprendenti o sconcertanti: 1) l’opinione pubblica è sollecitata soprattutto sul rischio del cosiddetto «riscaldamento climatico» e non sui rischi dei diversi disastri sanitari-ambientali ed economici e sulle vittime; 2) praticamente nessuno identifica tali rischi come insicurezze (ignorate) che dovrebbero essere prese in carico come prioritarie da tutti i dispositivi e le forze del governo perché riguardanti la tutela della vita stessa del mondo animale e vegetale e quindi nel campo della prevenzione e della sicurezza. Le risorse finanziarie e materiali allocate a dispositivi e in generale alla cosiddetta sicurezza interna e di difesa nazionale in tutti i paesi e in tutte le alleanze militari (fra cui la NATO) hanno avuto un aumento enorme, ma non per occuparsi di queste insicurezze che rimangono ignorate, cioè non considerate tali. Queste sono così relegate a un trattamento marginale da parte di agenzie di prevenzione e controllo (ASL, ARPA, protezione civile e una piccola parte delle forze di polizie), con risorse spesso risibili oltre che con sabotaggi da parte delle autorità colluse con i principali inquinatori e anche alla mercé di corruzione[2]. Così il terrorismo o la criminalità sono i soli crimini per i quali lo Stato si impegna strumentalmente o quantomeno a parole (spesso in violazione delle sue stesse leggi); invece, le attività che provocano disastri e catastrofi non sono considerati crimini sebbene si tratti della vita di tutta la popolazione. Secondo le statistiche ufficiali[3], ogni anno in tutto il mondo muoiono oltre 53 milioni di persone (probabilmente 60 milioni) di cui 115.449 in guerre, 34.871 per terrorismo, 390.794 per omicidi e 52.675.000 (il 99%) per malattie da contaminazioni, malnutrizione, assenza cure, incidenti sul lavoro, disastri o catastrofi ambientali ecc. Nei paesi dell’Europa occidentale non si hanno morti per guerre, pochi per terrorismo, pochissimi per omicidi; si ha più o meno lo stesso tasso di mortalità annuo che è di oltre 1000 per 100 mila abitanti, mentre nei paesi dell’Est si arriva a 1500. È vero che si vive più a lungo, ma sempre più da malati come fa comodo alle lobby farmaceutiche e della sanità privata. E anche nei vecchi paesi dell’Europa occidentale la maggioranza dei decessi è dovuta a malattie da contaminazioni o incidenti sul lavoro. Anzi, per certi versi, in questi paesi c’è un aumento delle fonti di nuove contaminazioni (per esempio le onde elettromagnetiche).

Ogni anno nel mondo la maggioranza dei decessi sono quindi dovuti a malattie da contaminazioni tossiche, a incidenti sul lavoro, a disastri industriali, inondazioni, terremoti o catastrofi dette naturali oltre che a guerre e proibizionismo delle migrazioni. Perché tali vittime non meritano lo stesso riconoscimento che quelle provocate dal terrorismo? Bisogna pensare che le morti delle insicurezze ignorate sono benvenute secondo la logica che si è troppi su questo pianeta e che anzi è bene visto che tale genere di disastri o catastrofi o epidemie colpisce soprattutto la popolazione considerata “in eccesso” o “minaccia demografica” (una nuova categoria di minaccia dal punto di vista della sicurezza liberista che punta alla tanatopolitica -cfr. infra). Come dice anche Latour: “… la crisi climatica è una questione di guerra. Non è la stessa cosa (del terrorismo). Ma la gerarchia stabilita dallo Stato fa l’inverso, perché una minaccia terrorista è ideale per lo Stato … si mostra che si fa qualcosa per difendere la gente! Il vuoto della politica è materializzato dal fatto che lo Stato s’interessa solo alla questione sicurezza” (aggiungo, nel senso sicuritario-reazionario). Il sicuritarismo è orientato solo rispetto alle insicurezze di comodo o persino fasulle e sempre a discapito di quelle che riguardano la maggioranza della popolazione, delle morti e delle vittime; tale orientamento ha quindi avuto l’esito di una potente distrazione di massa che è anche distrazione di forze, risorse e competenze[4] (sin dall’antichità i dominanti usavano questa pratica per occultare i veri problemi e malesseri economici, sociali e ambientali e le loro responsabilità).

Da notare anche che, sebbene tanti ecologisti sono impegnati anche nel movimento per la pace, si constata che le mobilitazioni per l’ambiente sono quasi sempre separate da quelle contro le guerre e contro la produzione e il commercio d’armamenti, e viceversa. Ed è anche raro che degli ecologisti s’interessino all’inquinamento provocato dai siti militari e dall’uranio impoverito (la vicenda Raimbow Warrior è stata un’eccezione merito di Greenpeace che in questo è l’ONG con più attenzione alle conseguenze ecologiche del militare, cfr. infra).

Se i disastri sanitari-ambientali ed economici (fra i quali le migrazioni “disperate” a causa delle devastazioni dei territori di partenza o delle neoschiavitù che esistono anche nei paesi ricchi sempre a beneficio di dominanti, grandi marchi sino al caporalato) non fossero ignorati la loro prevenzione dovrebbe essere considerata la prioritaria da tutto il gigantesco dispositivo di sicurezza in tutti i paesi. Ma gli illegalismi dei dominanti e quelli di una parte dei dominati -complementari ai primi- sono tollerati perché assai redditizi anche se a sprezzo delle morti che provocano (è il “prezzo del progresso” si diceva a proposito dei morti sul lavoro). E ciò è coperto anche dalla pervasività del discorso sulla sicurezza che quindi di fatto esclude la protezione della vita della maggioranza della popolazione. E da notare anche che pure quelli allarmati per l’antropocene o il capitalocene (cfr. infra) non sembrano rendersi conto che l’ignoranza dei rischi dei disastri perpetualmente correnti nel mondo intero è di fatto un crimine contro l’umanità poiché ne muore la maggioranza dei circa 60 milioni di morti ogni anno su scala mondiale. Si tratta di vittime di scelte criminali di inquinatori o dei padroni delle economie sommerse (spesso ben connesse con la criminalità organizzata) che le agenzie di prevenzione e controllo e le numerose forze di polizia e in generale le autorità locali e nazionali “non vedono” perché distratte dalla caccia a sospetti terroristi o a immigrati irregolari, o complici degli inquinatori. A tali crimini si aggiunge anche quello delle autorità che si accaniscono anche sulle vittime e chi reclama lo stop delle attività delle lobby e multinazionali inquinanti o che provocano disastri[5].

Vedremo dopo anche che ci sono tanti rinvii tra i diversi punti di vista prima evocati e delle contraddizioni evidenti oltre che derive singolari o assai ambigue o persino inquietanti.

Ricordiamo prima qualche dato indispensabile.

L’età della Terra è stimata a circa 4.570 milioni d’anni e quella del genere Homo a circa 2,3-2,4 milioni d’anni mentre quella dell’homo sapiens a circa 200 mila anni. La successione delle diverse ere geologiche[6] e di quelle che vanno dalla preistoria allo sviluppo dell’homo sapiens e sino ai nostri giorni permettono di pensare che il pianeta Terra e il mondo vivente hanno avuto una grande capacità d’adattamento, ma anche che il pianeta possa continuare a sopravvivere senza il mondo vivente e senza atmosfera (Baracca, 2019).

La constatazione scientifica dell’adattamento alimenta anche l’idea che “non c’è nulla da fare” e le sue diverse derive (pseudo-esistenzialiste o pseudo-nichiliste o ancora che “meglio godersi la vita sin quando si può e che è stupido perdere tempo con i tentativi di rimediare al peggio”).

L’evoluzione planetaria del consumo di energia mostra il forte aumento dal 1945 e soprattutto dopo l’emergenza e il trionfo dell’attuale liberismo dagli anni Settanta e di più negli anni 2000. Constatiamo in particolare che la stragrande maggioranza di questa energia è prodotta col carbone, il petrolio, il gas e in parte l’uranio, cioè i minerali più inquinanti, sebbene il pericolo dello sfruttamento di tali fonti fosse ben attestato da lungo tempo. Ma, come suggerisce la teoria del Capitalocene[7], l’estrazione e l’abuso di tali minerali (così come dell’acqua e ora dei cosiddetti «minerali strategici» -cfr. infra) è assai redditizia innanzitutto perché si appropria di un bene che non si paga o costa poco per trarne enormi profitti. La trasformazione dei beni gratuiti presenti in natura in beni di mercato[8], è l’attività connessa a una enorme quantità di crimini della colonizzazione e del dopo da parte delle superpotenze e delle multinazionali, vedi per ultimo la guerra neocoloniale in Libia attraverso le bande criminali sostenute dalle diverse potenze mondiali e da alcune transnazionali dell’energia.

Si constata anche che c’è stata un’accelerazione continua di questo aumento: dal 1990 al 2017 in Europa, CIS (Confederazione Stati Indipendenti/Russia), America del Nord, America Latina, Asia, Africa e Medio Oriente sono passati da 8,457 MT a 13,376  (+ 4,919, + 58%), di cui petrolio 32%; carbone 27; gas 22%; biomasse 10; elettricità 9 (da diverse fonti naturali); il consumo d’energia è triplicato nei paesi asiatici (da 2,109 a 5,755, cioè 74% dell’aumento globale; il consumo di Europa, CIS, America del Nord, America Latina è rimasto quasi lo stesso (leggera flessione per i paesi CIS e leggero aumento in America Latine; un leggero aumento in Africa e in Medio Oriente  (leggero rispetto a quello asiatico) fonte https://yearbook.enerdata.net/total-energy/world-consumption-statistics.html.

Le ultime stime dello scenario “tendenze attuali” sono ben al di sopra della soglia di aumento di 2°C previsto dagli accordi COP21 di Parigi per il 2100. Secondo il rapporto SR15 dell’IPCC, dal 1950 la temperatura media della superficie della terra e degli oceani è aumentata ogni decennio di 0,17 gradi centigradi e, nonostante le promesse della COP21 (del 2015), questo trend porterà ad arrivare alla previsione per il 2100 già nel 2030 o nel 2040, quindi alla fine del XXI s. avremo 3°C, il che secondo tanti esperti è un disastro totale.

Secondo diversi scienziati, il processo di deriva verso il “collasso” dell’umanità è in atto dal 1950, ma secondo altri sin dal diciannovesimo secolo. Siamo quindi passati dall’Olocene che durava da 11.700 anni all’Antropocene (Crutzen, 2000; Latour, 2015), cioè nell’era segnata dall’“impronta umana” sulla Terra. Altri autori (Moore in particolare[9]) sottolineano che questa definizione è fuorviante perché non è l’umanità responsabile della deriva verso il disastro bensì le attività capitaliste che puntano al profitto a tutti i costi e quindi anche a sprezzo della vita stessa dell’umanità e di tutti i mondi viventi.

Come suggeriscono alcuni scienziati (fra i quali A. Baracca, 2019), ci sono pianeti senza acqua e senza atmosfera e quindi senza alcun vivente. Ma non si sa se una delle loro ere geologiche possa essere stata simile a quella che viviamo sulla Terra.

Al di là delle elucubrazioni neo-esistenzialiste sulla fine del genere umano, vedremo dopo che l’adattamento è anche oggetto d’importanti riflessioni scientifiche, anziché alle fantasie sul cosiddetto post-umano. Come suggerisce Laura Centemeri, la cosiddetta “collassologia” va però presa sul serio[10]. Appare anche significativa la ricerca di chi pensa che lo sviluppo del cosiddetto General Intellect da parte di soggetti anti-profitto e in posture di comune possa portare a credibili e praticabili alternative al capitalocene[11].

I principali punti di vista che descrivo qui di seguito insieme alle loro diverse declinazioni, possono essere considerati i seguenti.

1) Il fronte negazionista

2) Lo “spettro” del XXI secolo.

3) La reazione dei dominanti terrorizzati da tale “spettro”.

4) L’opzione non esplicita della lobby militare, delle nuove tecnologie, della geo-ingegneria e altre che si specializzano nel governo delle catastrofi.

5) La scelta delle lobby che pretendono guidare la “conversione alla crescita sostenibile” o “verde”

6) La tesi degli scienziati allarmati per il riscaldamento climatico ma che puntano sulle capacità d’adattamento e della trasformazione (con qualche miliardo di umani “scomparsi”) passando all’era del post-umano grazie anche al nucleare che non inquinerebbe e forse anche a periodi di regimi autoritari.

7) L’appello degli oltre 15 mila scienziati allarmati per il riscaldamento climatico

8) La teoria della decrescita, le controverse, i tentativi di sua traduzione pratica e le convergenze con quella dei gorziani e marxisti

9) La proposta “ecumenica” di Bruno Latour

10) La tesi della tendenza a una tanatopolitica liberista e le resistenze radicali senza alcuna illusione

11) La perspettiva ecofemminista

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1) Il fronte negazionista di ogni sorta di rischio per l’umanità e il pianeta

Il suo leader è notoriamente Trump spalleggiato da alcuni pseudo-scienziati e da diversi governanti di diversi paesi. Secondo questi negazionisti i rischi non sarebbero che delle false elucubrazioni; al contrario si possono ben continuare le attività estrattive e il consumo di carbone, petrolio, gas[12], uranio per il nucleare civile e militare, l’uso dei pesticidi e altri prodotti e procedure produttive chimiche, fisiche ecc. che -dicono loro- hanno garantito il progresso e persino la possibilità di far vivere bene miliardi di umani (è questa anche la pubblicità di Bayer-Monsanto e degli intellettuali di destra che si pretendono éclairés -in Italia gli accaniti catto-liberisti del foglio). È importante osservare che la forza di questo fronte risiede innanzitutto in un consenso popolare assai largo alimentato dal discorso demagogico di Trump e dei sovranisti-populisti dei vari continenti, ma soprattutto dalla profonda adesione – inconsapevole e consapevole- al modello di vita “lavoro e consumo”, come felicità (reale o auspicata o del tutto illusoria).

È lì la principale ragione dell’adesione popolare concreta, materiale alla fede e all’accanimento per la crescita, percepita come speranza di più risorse, di beni da comprare, di possibilità di far crescere i figli con tutti i confort e gadgets che hanno sognato loro da piccoli e per soddisfare tutti i desideri (per ciò la parola decrescita appare inaccettabile, così come l’idea di frugalità, di parsimonia, di risparmio energetico ecc., tutte proposte considerate come impoverimento). In una discussione tra un ecologista e un operaio, questi gli dice: «tu non capisci che la tua decrescita impedirebbe che i nostri figli crescano e non nella miseria come noi». L’altro sostegno potente a tale posizione risiede nel fatto che sia quelli che si sono convinti «che non c’è nulla da fare», sia soprattutto quelli che pensano che l’eventuale ecatombe dell’umanità non riguarderà né i viventi d’oggi, né i loro figli e forse neanche i loro nipoti. Non deve sorprendere quindi l’idea dominante: “chi se ne frega, perché dobbiamo fare sacrifici e rinunciare a vivere meglio guadagnando di più?” (di fatto questo è il messaggio implicito e anche esplicito dei Trump). Non è un caso che quasi tutti i sindacati sono totalmente d’accordo con le “Grandi Opere” e tutto ciò che è sviluppo economico così come approvano la produzione militare.

Una delle critiche al negazionismo, di fatto poco efficace, è quella di accusarlo di esaurire le risorse del pianeta già in avanzata estinzione. A parte il fatto che il consenso di tanti al negazionismo gioca implicitamente sull’idea “dopo di me il diluvio”, ammesso che sia vero del tutto che le risorse naturali dannose si stiano esaurendo, perché ce ne si dovrebbe preoccupare? La preoccupazione sta nell’uso e abuso di petrolio, carbone, gas e uranio perché distruggono i “mondi” animale e vegetale e modificano anche quello minerale e in particolare le acque salate e dolci. Come insegnano biologi e altri scienziati della terra, sin quando c’è sole, aria e acqua i mondi animale e vegetale potranno riprodursi ma a condizione di non inquinare al punto che la riproduzione non può più avvenire.

 

2) Lo spettro del XXI sec.

Il punto di vista poco esplicitato ma che si può considerare il più influente su tutti gli altri punti di vista è quello che si configura come lo spettro del XXI sec.: l’aumento insostenibile della sovrappopolazione mondiale[13] che si sovrapporrebbe al riscaldamento climatico conducendo a migrazioni che diventerebbero pericolose invasioni di folle fameliche disperate e in preda alle più orribili violenze. Questa idea é espresse sia da Lovelock (il teorico di Gaia)[14], sia da demografi e anche da ecologisti (fra altri vedi qui[15]). Fra essi, Massimo Livi-Bacci, il più celebre demografo italiano considerato progressista e antirazzista, ha scritto due articoli nei quali sostiene che Malthus aveva ragione e che ci sono ben 4 argomenti più che convincenti per temere l’aumento  della popolazione mondiale[16]. Questi 4 argomenti sarebbero: la deforestazione delle grandi aree non contaminate e quindi il rischio d’estinzione dell’equilibrio bio-naturale; l’aumento dell’urbanizzazione in habitat siti in luoghi sempre più precari e a rischio catastrofi naturali; l’esplosione urbana (e qui allude di fatto a troppi gravi conflitti sociali) e il riscaldamento globale. Tuttavia, per compensare il declino demografico ed economico di tanti paesi europei, questo stesso autore auspica in particolare migrazioni intraeuropee[17] (si suppone selezionate).

Questa «diagnosi» la si ritrova anche in diversi ragionamenti di ecologisti e scienziati che -probabilmente- sostenendo tale tesi pensano di sollecitare più efficacemente l’allarme per il rischio catastrofe.  Come vedremo dopo tale spettro che minaccerebbe il pianeta ispira le diverse “soluzioni” che di fatto tendono a una tanatopolitica liberista.

 

3) Il rifiuto dei dominanti di far parte dell’umanità

Terrorizzati da tale “spettro” i dominanti non intendono condividere la sorte dell’umanità e una parte di loro ha già fatto la scelta di crearsi dei luoghi iper sicuri, delle nuove gates communities, dei bunkers e d’investire nelle navette spaziali (vedi reportage[18]), un fenomeno che rinnova le “soluzioni” o rifugi o rimedi del passato e che loro pensano di rendere adeguati al contesto attuale approfittando delle nuove tecnologie. Non si tratta di fantapolitica o deliri dei ricchi, ma di scelte politiche che di fatto si articolano con altre palesemente caratterizzate in senso reazionario. Questa reazione dei ricchi fa pensare a una rottura d’epoca all’interno dell’umanità nel senso che i dominanti di oggi non pensano solo a una prosperità hic et nunc a sprezzo della posterità e quindi al futuro da dare a loro stessi e ai dominati (secondo la biopolitica che mirava al lasciar vivere per la riproduzione del dominio[19]). Insomma, la logica triviale del mors tua via mea spinge alla tanatopolitica, cioè al lasciar morire apparentemente a causa di catastrofi “naturali” che nascondono la scelta che tende a configurarsi come il genocidio del XXI s. Un genocidio in cui non ci sarà un esercito che stermina delle popolazioni; queste soccombono par effetto di azioni apparentemente indirette (cioè le attività inquinanti o altre che provocano disastri -vedi punto seguente). Ovviamente questo non esclude che i dominanti continuino a cercare ogni possibilità di massimizzare i profitti, estendendo le logiche liberiste anche nei campi sinora impensati a tale proposito.

Rispetto alla scelta di rottura dei dominanti nasce anche quella che si può chiamare la proposta “ecumenica” di Bruno Latour (vedi infra).

 

4) L’opzione delle guerre climatiche

Si tratta dell’opzione alquanto nascosta di una parte delle lobby militari, delle nuove tecnologie e della geo-ingegneria che nel post-nucleare mira alla messa a punto della “guerra climatica” per reagire anche allo “spettro” prima evocato. Secondo Rosalie Bertell (nel suo celebre Planet Earth: The Newest Weapon of War, 2010) e nei suoi successivi interventi[20], la distruzione del pianeta è già in corso attraverso lo sviluppo e l’utilizzazione delle nuove tecnologie militari. Purtroppo -scrive- non si tratta di elucubrazioni da teorie complottiste, ma del risultato di decenni di ricerche in particolare sugli esperimenti della neo-ingegneria che datano dalla guerra degli Stati Uniti contro il Vietnam e soprattutto dalle guerre permanenti di questi ultimi venti anni (compresa quella perpetua di Israele contro i Palestinesi). Gli esperimenti sulla meteorologia hanno provocato fenomeni meteorologi violenti con l’impiego di prodotti chimici letali; il primo fu il terribilmente noto “Agente Arancio”, cioè il defoliante usato già in Vietnam (della Monsanto, ora fusa con Bayer diventando la più grande lobby del pianeta). A ciò si aggiunge l’installazione di strutture sempre più grandi per manipolare strati d’atmosfera con delle onde elettromagnetiche. Desta giustificato allarme il cosiddetto HAARP – High Frequency Active Auroral Research Program, il Programma di Ricerca Attiva Aurorale con Alta Frequenza che le forze armate USA portano avanti dal 1994 a Gakona, in Alaska. Se pur il Pentagono afferma che l’HAARP ha la funzione di studiare la ionosfera per migliorare i sistemi di telecomunicazione ed evitare gravi fenomeni atmosferici, più di uno studioso ipotizza che i test e le attività della stazione in Alaska siano serviti invece a creare enormi perturbazioni ambientali e climatiche e creare finanche terremoti o altri gravi fenomeni come siccità, uragani, tzunami, inondazioni, ecc., indirizzando le emissioni sul nucleo della terra e sulla ionosfera. Desta altresì allarme tra i NoWar il fatto che le centinaia di antenne HAARP trasmettano nella banda bassa da 2,8 a 7 MHz e, nella banda alta, da 7 fino 10 MHz, cioè un range delle frequenze poco inferiore a quelle del nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari MUOS, un terminale terrestre del quale è già operativo nella stazione di US Navy a Niscemi (Sicilia) – in proposito vedi libro di Mazzeo, 2012).

Il bombardamento ionosferico o il riscaldamento possono essere provocati simultaneamente, separatamente o in opposizione l’un all’altro (vedi “SuperDARNS” in Bertell 2013). Infine, Bertell afferma:

Ciò che è previsto adesso sono le “guerre climatiche” e meteorologiche, le guerre in cui sarà possibile l’impiego di terremoti ed eruzioni vulcaniche, inondazioni e siccità, uragani e piogge torrenziali mai viste (Bertell 2013, p.57).

Questa “passione” per la geo-ingegneria nel cercare di configurare le guerre liberiste del futuro non è solo un affare della lobby militare, ma ovviamente anche di gruppi finanziari legati a lobby tecnologiche. Si spiega così il nuovo rilancio degli investimenti da parte dell’amministrazione USA ma anche della Russia e della Cina nelle cosiddette “guerre spaziali” così come la competizione accanita per accaparrarsi dei minerali strategici in particolare in Africa[21]. Più recentemente, nell’oceano Artico, utilizzando il progressivo scongelamento dei ghiacciai –la prima sperimentazione operativa del sistema MUOS è avvenuta nella primavera  del 2014 con l’esercitazione ICEX condotta dal Comando per le forze subacquee COMSUBFOR di US Navy nel Mar Glaciale Artico (vedi Mazzeo – Il MUOS per ipermilitarizzare e depredare l’Artico, http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2015/01/il-muos-per-ipermilitarizzare-e.html).

Come scrive Ben Cramer, tutte le guerre hanno provocato sempre dei danni enormi all’umanità e all’ambiente, milioni di vittime. Da sempre lo sviluppo del potere si nutre di saperi, averi ed armamenti e inevitabilmente adotta una concezione cremastica che impone la moltiplicazione dell’accumulazione di ricchezza a sprezzo della sua distribuzione. Ne consegue la continua necessità di guerre di conquista e quindi un nesso inscindibile fra finanza, affari militari e industria.

Ricordiamo anche, che la diffusione dell’impiego di munizioni all’uranio impoverito durante le recenti guerre permanenti ha provocato già migliaia di morti tra i militari (di tutti i paesi coinvolti) e i civili presenti in tali teatri di guerra o d’esercitazioni militari come a Quirra in Sardegna (vedi Mazzeo, Manunza e Palidda in Resistenze …, 2018).

Nel processo di adeguamento del pensiero, dei dispositivi, del personale e delle pratiche dell’apparato militare al nuovo contesto liberista sin dagli anni Novanta c’è stato un importante impegno nelle missioni che pretendono essere sia “di pace” che “umanitarie”[22]. Evidentemente ciò serve a legittimare meglio la loro esistenza e quindi le risorse che rivendicano, ma anche a sviluppare il nuovo terreno del business delle catastrofi. Così, una componente della lobby militare punta sempre più sulle catastrofi per dispiegare sia grandi operazioni di soccorso dette umanitarie, sia la gestione della ricostruzione successiva[23]. Spesso in intesa negoziata con le grandi ONG e le istituzioni internazionali (quali l’UNEP) che s’occupano anche di catastrofi, i militari sono ormai sempre più attivi non solo nell’influenza se non la direzione sulla protezione civile (in diversi paesi spesso assoggettata al ministero degli interni o della difesa nazionale, cioè al settore della “sicurezza nazionale”) ma anche con il loro diretto impegno operativo.

Ciò che ha descritto Naomi Klein in Shock Economy nel 2008 è ancora più accentuato: la quantità di ONG e d’esperti specializzati in management delle catastrofi, del soccorso, degli aiuti e della ricostruzione aumenta in proporzione alla frequenza dei cataclismi[24]. Per avere un’idea basta notare che in neanche 20 anni il portafoglio dei Catastrophe Bonds (quotati in borsa, e venduti dalle compagnie di assicurazione per coprire i disastri detti naturali) è passato da 1 a più de 15 miliardi[25]. Come scrive qualche autore, oltre le forze militari, le ONG, la schiera di esperti compresi psicologi delle catastrofi ecc., sono poi sempre le imprese delle grandi opere che traggono benefici dai finanziamenti e raccolte fondi destinati alla ricostruzione che come a New Orleans dopo Katrina diventa una grande operazione di gentrification (si veda anche quella raccontata da Naomi Klein a proposito di Puerto Rico[26]). A ciò si aggiunge lo sviluppo che l’economista Shoshana Zuboff chiama il «capitalismo della sorveglianza»[27], cioè sempre più controllo sociale attraverso le nuove tecnologie e il web, ossia il panottico postmoderno (che Deleuze aveva ben intuito nel 1985 e poi nel 1990[28]). Sin dagli anni Ottanta, infatti, affari militari e affari di polizia interagiscono si si ibridano. Appare qui opportuno ricordare l’intuizione di Gorz che qualsiasi soluzione tecnocratica (dei problemi ambientali) porta all’ecofascismo.[29]

 

5) Il grande programma delle lobby per guidare la “conversione alla crescita verde”.

Come s’è visto in occasione del summit Finance Day dell’11 dic. 2017, l’appello dei 15 mila scienziati (cfr infra) così come, purtroppo quello di 350.org in occasione del COP21 del 2015, hanno adottato un approccio ben presto strumentalizzato da personaggi come il presidente francese Macron che cita l’appello dei 15 mila scienziati:

«La soglia dell’irreversibile è stata oltrepassata … Gli avvertimenti si moltiplicano; non si rispettano gli impegni della COP21 (limitare l’aumento della temperatura a 1,5° nel 2100) mentre oggi si va verso i 3°C. Se noi continuiamo così è come se tacitamente e collettivamente accettassimo la scomparsa delle popolazioni qui rappresentate, tra l’innalzamento del livello dei mari, la siccità, la carestia, i conflitti, le epidemie, i rifugiati”.

Ma questa citazione è servita a Macron solo per legittimare e sponsorizzare e i programmi delle lobby e multinazionali che hanno promesso d’investire centinaia di miliardi nella promozione di un’economia “a basso carbone”[30], quindi un processo di sostituzione graduale del petrolio e del carbone e senza toccare il nucleare che la Francia e altri vogliono rilanciare (è il solo paese al mondo con una maggioranza di produzione d’energia col nucleare). Peraltro, da più di 10 anni s’è vista una sequenza sconcertante di scandali a proposito del mercato della “quota carbone”, ma alcuna autorità ha proposto una revisione e un controllo adeguati di tale baratto, della frode dell’IVA, del business in mano a mafie transnazionali che hanno coinvolto fra altri dei ministri e capi di stato polacchi, israeliani e francesi per circa 283 milioni di euro (fra i coinvolti Netanyahu come membro della mafia israeliana in questo campo)[31]. La norma europea delle quote carbone (che riguarda anche petrolio e gas) prevede che per aiutare le imprese a ridurre le emissioni inquinanti si distribuiscono loro dei finanziamenti gratuiti. Tale norma prevede anche lo scambio libero di tali quote di emissioni (SCEQE). Chi non utilizza tutte le quote può rivenderle ai più grossi inquinatori. Anziché favorire una spirale “virtuosa”, si è constatato non solo un fallimento ma anche una nuova occasione di truffa da parte delle lobby e delle mafie. Enormi quantità di contributi gratuiti sono state distribuite agli industriali europei, con la scusa di non nuocere alla loro “competitività”, per permettere loro di adattarsi “dolcemente” e progressivamente alle esigenze climatiche. Secondo i calcoli della ONG Sanbag (https://sandbag.org.uk/), solo il settore del cemento ha così potuto ottenere l’equivalente del profitto di 5 miliardi di euro (fra questi c’è anche Lafarge di cui è noto lo scandalo per il suo finanziamento dell’ISIS per non avere guai nelle sue delocalizzazioni nelle zone vicine alle basi dei terroristi). E fra le tante altre imprese c’è Mittral Acelor che ora è proprietaria dell’Ilva di Taranto con la concessione di poter non rispettare le quote. Le allocazioni gratuite generosamente distribuite dall’UE hanno dissuaso tante aziende dall’investire per modernizzare i loro siti nel vecchio continente e ridurre le emissioni e li ha spinte a minacciare le delocalizzazioni fuori dall’area UE. Ma la Commissione europea continua a rilanciare la distribuzione dei contributi con la scusa di dissuadere le delocalizzazioni (peraltro mai soggetti a controllo come è anche il caso della frode comunitaria da parte di tutti i grandi marchi fra cui Benetton). Come è noto il lobbying a Bruxelles è potente (vedi Laurens[32]). La manna per le multinazionali per la quota carbone ammonta a 160 miliardi di euro in totale secondo le stime della stessa Commissione europea. Nonostante gli scandali e il bilancio fallimentare del programma quote carbone, la Commissione europea ha deciso che “il sistema di assegnazione delle quote a titolo gratuito sarà esteso altri dieci anni. È stato rivisto al fine di concentrare gli sforzi sui settori più esposti al rischio di delocalizzazione al di fuori dell’UE. Questi settori riceveranno il 100% delle quote a titolo gratuito. Per settori meno esposti, l’assegnazione gratuita dovrebbe essere graduale dopo il 2026, dal 30% a zero al termine della fase 4 nel 2030[33]. Ecco una delle tante prove di come i paesi che si dicono rispettosi degli accordi COP21 nei fatti, proprio in nome del processo di applicazione di tali accordi usano il danaro pubblico per finanziare gli inquinatori che continuano a farlo in piena legalità e anzi con contributi comunitari. In effetti, il COP21 fu usato per lanciare il recupero della lotta al riscaldamento climatico per farne un nuovo business così come è avvenuto con il governo delle catastrofi[34]. En passant, va osservato che l’UE non ha mai previsto il controllo sulle scelte del nucleare da parte di ogni singolo paese mentre è ben evidente che una tale scelta è un rischio per tutto il continente (rischio sia in caso di incidente e quindi di diffusione delle emissioni radioattive, sia per gli scarti radioattivi che la centrale produce e non si sa mai come gestirli; si pensi a Fukushima e a Chernobyl e alla ingovernabilità di tali scarti radioattivi con enormi costi anche in Italia come in Germania e dappertutto). La Francia è il solo paese al mondo in cui l’energia prodotta dalle centrali nucleari è la più importante fonte insieme al petrolio[35] e vanta anche di poter rinnovare le sue centrali sino a fabbricarne anche 250 (cfr. nota 26).

Non va dimenticato che la lobby del nucleare è anche spalleggiata da quelli che preconizzano la perpetuazione delle armi atomiche e quindi dell’impiego dell’uranio anche nelle armi per le cosiddette «guerre a bassa intensità», come le guerre permanenti in corso dal 1990 e soprattutto dopo l’11 settembre 2001.

Il programma della cosiddetta “crescita verde” o green economy da parte delle grandi lobby e della maggioranza dei circa 2500 miliardari del mondo è ormai sostenuto dal FMI, dalla Banca Mondiale, dall’ONU, dall’OCSE, dalla Commissione europea. Il business di questa conversione è senza dubbio una posta in gioco rilevante visto anche che a pagare saranno gli Stati e dunque i contribuenti, mentre è evidente che le lobby pensano alla rendita di tale programma per i loro profitti. Nessuno ha mai chiesto loro di pagare i danni che hanno provocato non solo da quando esistono ma quantomeno negli ultimi 20 o 10 anni. Inoltre questa cosiddetta crescita verde non esclude affatto la continuità dell’impiego degli abituali minerali tossici.

Peraltro, è anche probabile che i paesi dominanti aumenteranno ancora di più le loro delocalizzazioni delle attività produttive più tossiche approfittando della crisi di paesi come l’India, la Turchia, l’Argentina, il Brasile, l’Indonesia (tutti con regimi reazionari che non hanno alcuna protezione per la loro popolazione) e approfittando della disponibilità di diversi paesi africani (di quali alcuni fanno registrare una crescita del 4%). In altre parole il neocolonialismo liberista è più che mai attivo e in forte sviluppo.

È interessante osservare che la Cina popolare è il solo paese grande inquinatore in cui è stato adottato un gigantesco programma di transizione “eco-sostenibile”.  Dopo aver toccato la vetta dei paesi più inquinati e inquinanti del mondo (nessuna delle sue 500 grandi agglomerazioni urbane aveva un tasso di inquinamento dell’aria conforme agli standard mondiali), la Cina ha dunque lanciato un programma d’investimenti considerato impressionante dagli esperti, cioè produzione di nuove tecnologie per la produzione d’energia nel rispetto dell’ecosistema. Questo paese ha già più eoliche dell’UE costruisce città totalmente fornite da energia fotovoltaica, sta diventando il principale esportatore di tecnologie dette verdi a buon mercato creando anche milioni di posti di lavoro. Ecoquartieri ed ecocittà proliferano con la valorizzazione dei rifiuti, le energie rinnovabili, i veicoli elettrici ecc. Questa grande svolta cinese sembra ispirata dall’intento di competere con gli Stati Uniti e tutte le altre grandi potenze che non rispettano gli accordi del COP21 proponendosi come prima potenza mondiale “verde”. Ci sono poi due altre ragioni che in realtà sembrano le principali: negli ultimi due decenni le rivolte popolari sia contro l’inquinamento e le devastazioni dei territori a causa delle contaminazioni tossiche, sia per le condizioni di lavoro insostenibili, di neoschiavitù e di morte (si ricordino i documentari sulla fabbrica di jeans, della Apple e altre fabbriche del suicidio di “morti di lavoro”[36]); d’altro canto la mortalità e la diffusione di malattie da contaminazioni non solo hanno raggiunto costi che pesano sul PIL ma hanno anche bloccato una crescita folle basata su un super sfruttamento che certo non poteva più contare sull’assoggettamento silente dei lavoratori e della popolazione che ora rivendicano condizioni di lavoro e di vita decenti. Secondo alcuni la Cina può permettersi queste grandiose svolte economiche e sociali pilotate direttamente dall’alto proprio perché è un paese totalitario che avrebbe però saputo conciliare lo stato forte con il liberismo.

Detto ciò, secondo alcuni esperti il mito della conversione “verde” sia in Europa che in Cina sarebbe inutile o persino nociva (se si producono tecnologie e dispositivi il cui smaltimento poi si rileva inquinante). Questa critica riguarda lo sviluppo detto durevole o sostenibile e anche le cosiddette rinnovabili[37]; e qualche autore ricorda: Nel 1974, André Gorz pubblicava un testo intitolato «La loro ecologia e la nostra»[38]; in esso denunciava già allora la recuperazione dell’ecologia da parte dell’industria, dei gruppi finanziari, in una parola, il capitalismo, che trionfa in Cina approfittando di un régime totalitario. Infine come sottolinea N. Casaux: «In realtà, l’immensa maggioranza delle cosiddette «soluzioni» è imbevuta unicamente dal mantenimento della civiltà industriale, e quindi non può condurre che al degrado crescente (qua sta la crescita) del mondo naturale»[39].

 

6) Il revisionismo e il cambiamento di rotta di tanti scienziati ed esperti

Diversi scienziati si proclamano allarmati per i rischi che corre l’umanità e il pianeta ma pensano che buona parte delle componenti dell’ecosistema sono capaci di adattare o di trasformarsi, che qualche miliardo d’umani sparirà ma grazie alle nuove tecnologie e scoperte scientifiche si approderà a una nuova era. Ciò in particolare grazie al nucleare che inquinerebbe poco e grazie ai robot intelligenti o anche agli esseri “postumani”. L’autore più celebre che si situa in questo gruppo è James Lovelock (il padre della teoria di Gaia) -oggi centenario- che ha dichiarato di essere pentito per l’allarme catastrofe che aveva lanciato col suo libro del 2006 in cui scriveva: “prima della fine del secolo solo un pugno di esseri umani sarà sopravvissuto”. Nel 2008 affermava: «Verso il 2040 il deserto del Sahara si estenderà sino al cuore dell’Europa»[40].  Stimando che l’energia nucleare non è inquinante, è diventato uno dei principali leader dell’associazione Environmentalists For Nuclear Energy che nel 2013 vantava 11.513 aderenti in 65 paesi e 5 continenti. Dopo, in una intervista col The Guardian in marzo 2010 dice:

«Anche le migliori democrazie ammettono che in caso di una guerra importante, la democrazia debba essere sospesa provvisoriamente. Mi sembra che il cambiamento climatico sia forse una cosa altrettanto grave che la guerra. Allora, potrà essere necessario sospendere la democrazia per un certo tempo»[41].

Al di là di queste opinioni aberranti (ma tanti intellettuali in avanzata età si pentono o approdano a posizioni a volte opposte a quelle prima sostenute soprattutto se queste erano un po’ o tanto ambigue), la tesi di Lovelock sulla perpetua adattabilità di tutte le componenti di Gaia appare in parte del tutto condivisibile. Ricordiamo che tanti giustificano l’adesione alla tesi del “nucleare pulito” dicendo appunto che sarebbe meno inquinante del petrolio e del carbone. Ma oltre a quanto hanno dimostrato Bretell e altri, è attestato che gli effetti della radioattività generata dalle centrali nucleari, dai loro rifiuti/scarti e innanzitutto dall’estrazione e trasporto dell’uranio e anche altri suoi usi contribuisce al processo di deteriorazione dell’ecosistema (per non parlare del fatto che il nucleare civile è sempre connesso all’uso militare dell’uranio -cfr- infra).

In un’intervista del 30 marzo 2008, il Nobel Carlo Rubbia[42] (che a torto è stato fatto passare per l’inventore del nucleare pulito), afferma la sua totale contrarietà non solo al petrolio, al carbone e al gas, ma anche al nucleare e quindi all’uso dell’uranio perché sono tutti minerali che producono danno (e non solo CO2) e implicano anche costi enormi. Invece, secondo lui, è solo l’energia solare che sarebbe opportuno sfruttare senza alcun rischio. Per esempio con dei progetti relativamente poco costosi e rapidamente realizzabili senza abusare del territorio. “In un ipotetico campo quadrato di 200 Kmq di specchi si potrebbe produrre tutta l’energia necessaria all’intero pianeta … Non si fa perché il sole non è dei monopoli …” (e dicendo: “il sole non paga la bolletta” allude -per l’Italia- all’ENEL e all’ENI oltre che a chi come Leonardo-Finmeccanica producono e vendono centrali nucleari). In altre parole è possible creare e sviluppare nuove tecnologie che producano energia a basso costo ed effettivamente senza rischi d’inquinamento, ma le grandi lobby hanno investito e producono usando e abusando di minerali dannosi. Oggi il liberismo impone di produrre solo ciò che serve a massimizzare i profitti. Questo dà ragione a chi è totalmente scettico rispetto alla possibilità di fermare l’attuale deriva verso il peggio, poiché il capitalismo ancora di più in questa fase liberista procede a sprezzo di tutto e di tutti (come appunto pensano i dominanti).

 

7) L’“avvertimento per l’umanità” degli oltre 15 mila scienziati[43].

Come tutti gli appelli rivolti al grande pubblico e che si vuole siano sottoscritti da migliaia di persone ovviamente con opinioni e appartenenze diverse, l’appello degli oltre 15 mila scienziati è generico e anche ambiguo perché parla di cause dei rischi gravi per l’umanità e il pianeta come se questi rischi siano provocati da tutti gli umani. Questa attribuzione della responsabilità di un danno a tutti, così come la parola Anthropocene, è un grave errore perché ha l’effetto di annullarla (“tutti colpevoli … nessun responsabile”!); così non si capisce chi effettivamente è responsabile e dovrebbe pagare i danni; manca quindi l’opportuna indicazione del dovere che appartiene alle autorità e che la popolazione potrebbe reclamare. Ricordiamo che -purtroppo- quest’errore è comune ai discorsi generici che adottano anche quasi tutti gli ambientalisti e autori anche critici in questo campo come in tanti altri quando si parla di problemi e malesseri della società (per esempio, quasi tutti dicono “abbiamo prodotto delle emissioni …” oppure “il nostro paese …”; la parte dei più reazionari, di fronte alla devianza e alla delinquenza dicono: “non mi dite che è colpa della società! Ogni individuo è responsabile!”). Si finisce persino col far credere che il problema sarebbe puramente climatico (e si parla anche di “crimini climatici”, occultando di fatto i danni sanitari-ambientali dovuti alle contaminazioni tossiche e ai disastri economici che ne derivano).

È importante affrontare la questione dei comportamenti pericolosi, nocivi o malsani correnti tra una parte della popolazione. Ma, a parte l’ignoranza corrente sugli effetti gravi di tali comportamenti, questo problema di ciò che appare opportuno chiamare gli “illegalismi tollerati” riguarda i dominanti che li alimentano fra la popolazione per nascondere i loro illegalismi ben più gravi (cfr. Foucault). Invece, così come a proposito del fascismo, del razzismo e del sessismo, non è certo attraverso generiche campagne pedagogiche ambientaliste che si riesce a contrastare i comportamenti pericolosi di una parte della popolazione. Se buona parte della popolazione interiorizza mentalità e adotta comportamenti talvolta criminali è sempre perché è pervasa dal discorso ed esempi dominanti. È solo l’azione collettiva che può condurre la maggioranza della popolazione a far proprie le attitudini e i comportamenti «corretti» innanzitutto attraverso le cerchie di riconoscimento sociale e morale (Simmel), così come mostrano le esperienze delle lotte quali la Zad, NOTAV e tante altre.

L’appello dei 15 mila dice:

– La quantità d’acqua dolce disponibile per la popolazione mondiale è diminuita del 26% (ma non si dice che l’abuso di acque è dovuto non solo alle multinazionali del cosiddetto “oro blu” (l’acqua) [e che peraltro sono responsabili dell’inquinamento delle plastiche ma non hanno mai pagato per questo; ma, soprattutto abusano di acqua con gli impianti che producono energia da petrolio, carbone così come da altre grandi attività industriali nocive che scaricano anche a mare e in particolare nel Mediterraneo -mia aggiunta].

– Il numero delle zone oceaniche morte dove la vita animale -e anche vegetale- non si riproduce più a causa dell’inquinamento e la debole quantità d’ossigeno, è aumentata del 75%

– Circa 120 milioni di ettari di foresta sono state distrutte a favore di terre agricole [estensioni in forte crescita visti i programmi criminali di Bolsonaro e altri come Benetton che massacrano i nativi]

– Le emissioni di gas serra sono aumentate di oltre il 60%

– La temperatura media terrestre è aumentata del 167%

– La popolazione umana è aumentata del 35%

– La popolazione animale (mammiferi, rettili, anfibi, uccelli et pesci) è diminuita del 29%.

Aggiungiamo altri dati noti:

su scala mondiale le diverse attività hanno utilizzato più del 70% delle risorse naturali di ciò che la Terra è capace di rigenerare annualmente. Ciò significa che già oggi si avrebbe bisogno di 1,7 pianeta Terra per mantenere l’attuale consumo di risorse (senza aumento della crescita …). Il 1° agosto 2018 è stato raggiunto l’“Earth Overshoot Day, cioè il giorno di «superamento» in cui sono state consumate tutte le risorse disponibili nell’anno (nel 1971 tale giorno era stato raggiunto al 355° sui 365 dell’anno, mentre nel 2018 al 213mo[44]). Secondo le stime ufficiali[45], il tasso di crescita mondiale del 2018 e del 2019 si situa tra il 3,8 e il 3,3, un calo rispetto agli anni precedenti nei paesi UE, in Brasile, Argentina, Turchia, India e Indonesia. Comunque con tale tasso i programmi di conversione alla c.d. crescita “verte” serviranno a ben poco (a parte il fatto che buona parte di tali programmi producono anch’essi inquinamento).

Inoltre non si parla di radioattività, di onde elettromagnetiche e altri pericoli eppure attestati anche dall’OMS[46], E ancora, perché mettere l’aumento della popolazione come fattore di rischio? Non si legittima così lo spettro du XXI s.?

Lasciar credere implicitamente che il “problema” riguarda solo le emissioni di CO2 induce a ignorare che le cause della mortalità riguardano nella loro maggioranza malattie dovute a contaminazioni tossiche, incidenti, disastri o catastrofi.

Ci sono anche tanti scienziati che a partire da dati che provano l’impossibilità di ridurre le emissioni di CO2, propongono delle tecnologie che dovrebbero “catturarlo” per esempio negli oceani, ipotesi TEN e altre che però sembrano poco praticabili o anche assai discutibili come fa osservare anche l’European Academies Science Advisory Council[47].

 

8) Teoria e pratiche della decrescita

La parola decrescita suscita un consenso relativamente diffuso ma che si traduce poco in pratiche conseguenti nei vari paesi; insomma è ancora un “movimento” che coinvolge un certo numero di persone e dei gruppi e resta ben lontano da essere “di massa”.

In realtà, la parola decrescita suscita critiche a volte violente anche da parte dei sindacati sempre -purtroppo- ontologicamente ancorati alla crescita perché propria alla funzione produttiva che resta al cuore della concezione del movimento operaio. La classe operaia nasce ed esiste in rapporto alla classe degli industriali e al capitalismo, si tratta insomma di due classi complementari intrinsecamente connesse alla crescita. La borghesia può in certe condizioni ridurre molto la classe operaia e soprattutto fagocitarla, ma non il contrario e il movimento operaio tende sempre alla cogestione delle attività capitaliste (ma questo vale nei paesi dominanti)[48].

I paladini della decrescita (il più noto -amato e denigrato- è Serge Latouche) così come gli ecologisti tacciati d’essere “da salotto borghese”, sono accusati di sostenere le cause dei ricchi a scapito dell’umanità che non ha beneficiato dello sviluppo e che non ha le risorse per adottare la decrescita. Da parte loro i militanti della decrescita affermano che lo sviluppo conduce solo al disastro o a morire per produrre e consumare, ciò che uccide l’homo faber e l’umanità.

Al di là del discorso generico, la teoria della decrescita indiscutibilmente mette in evidenza l’antitesi rispetto all’ossessione della crescita. Se è vero che questa abbia potuto produrre un certo progresso e miglioramento delle condizioni di vita, è però altrettanto evidente che tale progresso non solo è stato pagato a caro prezzo e anche con la vita dalla maggioranza della popolazione ed è stato conquistato solo con dure lotte anch’esse spesso represse nel sangue.

Inoltre, la cosiddetta «felicità» di chi ha approfittato e approfitta del “progresso” è assai avvelenata e in crisi. Secondo il “paradosso” di Easterlin la felicità dipende poco dalle variazioni del reddito e della ricchezza, poiché quando aumenta il reddito, dopo un periodo di soddisfazione e benessere, la felicità comincia a diminuire[49]. Evidentemente questa teoria si riferisce ai paesi ricchi e riguarda gente più o meno relativamente agiata, da cui deriva l’orientamento del marketing verso prodotti che possono attirare gli scontenti o i delusi dal benessere corrente, il che interessa anche i nuovi imprenditori del biologico e della vita ecologica sana. Ma, come dice un vecchio detto: “se la ricchezza non dà la felicità, immaginatevi cosa dia la povertà!”, al di là di quanto dica l’idea religiosa che “la povertà sarà ricompensata nel regno dei cieli”.

Constatiamo anche che non c’è mai stata interazione tra l’ecologismo serio e il movimento operaio non colluso con le lobby, così come non c’è mai stata una stabile cooperazione e intesa tra il movimento per la pace e il mondo operaio (che a volte è complice della lobby militaro-industriale).

La causa della decrescita così come è stata proposta sinora non sembra avere che delle possibilità d’adesioni limitate perché il muro della pervasività dell’idea della crescita appare granitico tanto quanto il potere dei dominanti che lo rafforza. Basta guardare il successo di ogni sorta di gadgets e della comunicazione che alimenta l’idiozia di massa, le fakes news e i discorsi reazionari così come i miti dei personaggi spesso ignobili (Gorz sottolineava che i rischi per l’ecosistema sono un problema secondario rispetto all’annichilimento del soggetto sociale[50]).

È tuttavia importante osservare che il discorso della decrescita è anche interpretato e tradotto in pratiche come sperimentazioni di alternative effettivamente significative (vedi l’ultimo meeting internazionale qui[51]). Queste potrebbero creare un’economia, dei redditi decenti, dei posti di lavoro non costretti da ritmi, produttività e competitività, incentivi economici, insomma non per il profitto ma per un ecosistema sano e di vita collettiva soddisfacente (una parziale rassegna dell’evoluzione del dibattito sulla decrescita la propone Mastini[52]). Così, nel mondo della decrescita si trovano gruppi e individui che optano per la frugalità, la riscoperta e la reinterpretazione di stili di vita semplici, escludendo il consumo superfluo e i prodotti della grande distribuzione. In questo ambito si possono situare anche i collettivi che creano dei gruppi d’acquisto solidali (GAS), supermercati fondati dalla cooperazione tra produttori e consumatori che s’impegnano contribuire anche con ore o giorni di lavoro[53], delle nuove associazioni mutualistiche, nuove cooperative di produzione e vendita che sempre escludono logiche di mercato per evitare derive tipo la Lega Coop italiana. Importante sono anche le esperienze della cosiddetta permacultura[54]. Tutte queste esperienze che escludono la ricerca del profitto sono create da persone dello stesso territorio e fuori da scambi con la produzione industriale e anche le banche. Purtroppo si tratta ancora di piccole nicchie di persone che di fatto sono confinate ai margini della società.

Tra i collettivi del mondo della decrescita ci sono anche quelli di ricercatori impegnati e rigorosi come i membri del Research & Degrowth dell’Università di Barcellona (D’Alisa, De Maria, Kallis[55]) e l’ATelier d’Ecologia Politic[56]  dell’Università di Tolosa che sottolinea anche l’importanza cruciale della battaglia contro la separazione dei saperi (cosa essenziale dal punto di vista olistico, nel senso di una comprensione effettiva dell’ecosistema).

Con questo genere di collettivi interagiscono anche diversi ricercatori che possiamo chiamare gorziani-marxisti e aderenti alla teoria del capitalocene[57]. Ci sono marxisti e anche anarchici che s’interessano essenzialmente alle lotte e pensano soprattutto alla possibilità di una rottura rivoluzionaria. Va da sé che in una nebulosa così vasta ci stiano anche quelli che si limitano soprattutto a un lavoro teorico a volte di tipo filosofico che per alcuni approda a una sorta di neo-esistenzialismo, per altri al neo-nichilismo e altri ancora a speculazioni sul c.d. “postumano”. Non mancano invece quelli che semplicemente pensano solo di stare nelle resistenze ai disastri e nelle pratiche di creazione ex-novo di alternative anche nei paesi più martoriati.

La questione cruciale sembra il contenuto della lotta contro i rischi d’eco-genocidio: è una lotta che ingloba tutto e tutti e quindi i diversi aspetti del dominio patriarco-capitalista o no? Come detto prima si tratta di un fatto politico totale o no? Come la maggioranza delle popolazioni può approdare a una tale consapevolezza? Come ricorda ancora qualcuno, nel suo libro Ecologia e Libertà del 1977, André Gorz scriveva:

“L’utopia oggi non consiste affatto nel preconizzare il benessere attraverso la decrescita e l’abolizione dell’attuale modo di vita; l’utopia consiste nel fatto di credere che la crescita della produzione sociale possa ancora condurre a un miglioramento del benessere, che sia materialmente possibile”. (Gorz parla di “produzione sociale”, cioè collettiva e non integrata nel sistema capitalista).

Ecco quindi la scommessa che appare come il suggerimento decisivo per le resistenze al capitalocene e al patriarco-capitalismo, un percorso che non ha nulla a che vedere con le interpretazioni ideologiche o dogmatiche della decrescita e che invece potrebbe essere praticata ovunque.

 

9) La proposta “ecumenica” di Bruno Latour

Bruno Latour ha il merito di essere uno dei principali volgarizzatori della teoria dell’Anthropocene e della sensibilizzazione per la sorte dell’umanità e del pianeta[58]. L’autore suggerisce tanti aspetti interessanti dal punto di vista antropologico e della critica politica. Allo stesso tempo propone una perspettiva che appare assai discutibile innanzitutto perché del tutto illusoria cioè impraticabile. È nel suo libro Où atterrir? e in una sua recente intervista[59] che precisa la sua proposta politica compiuta, oltre alle critiche di altri punti di vista[60].  Latour pensa che la posta in gioco oggi più che mai cruciale riguardi la necessità di oltrepassare i “conflitti destra-sinistra» e «locale-globale» attraverso l’adesione a una comunità di terrestri coscienti di dover condividere e impegnarsi per preservare il suolo sul quale vivono. In altre parole, secondo lui gli schemi e posture degli schieramenti politici del XIX e del XX secolo sono assolutamente incongrui rispetto al contesto attuale e soprattutto rispetto alla minaccia di ecatombe dell’umanità (idea condivisa anche da alcuni sin dalla fine del XX sec.).

Ma in virtù di quale “miracolo” dominanti e dominati dovrebbero approdare insieme a un tale scopo comune? Per quale ragione di colpo i dominanti dovrebbero prendere coscienza della necessità di condividere un fine comune all’umanità anziché riprodurre ciò che hanno sempre riprodotto da quando l’uomo è diventato cacciatore e dominante relegando alla condizione inferiorizzata/dominata le donne e i maschi non abili a o senza vocazione dominante?[61]

Ma Latour insiste e critica -spesso a ragione- tutti, la destra, la sinistra e gli ecologisti, poiché secondo lui tutti non hanno capito come ripensare e rifare politica nel contesto attuale. La politica che secondo lui occorre praticare oggi è quella della costruzione dell’intesa tra terrestri cancellando ogni sorta di divisioni. Ed ecco perché Latour considera l’enciclica Laudato Si:

“IL grande testo che stabilisce il legame tra la questione della povertà e la questione ecologica … un testo che avrebbero dovuto scrivere gli ecologisti in posizione di potere. È la prima volta che si sente con un linguaggio semplice che la questione della povertà e la questione ecologica sono la stessa questione”.

È interessante notare che in un’intervista del 2012 Lovelock aveva detto:

«Ciò che avviene ora è che la religione verde sta prendendo il posto di quella cristiana. Non credo che la gente se ne renda conto, ma hanno ereditato tutti i tipi di termini utilizzati dalla religione … la colpa. Ciò mostra appunto quanto i verdi siano religiosi. Non puoi convincere la gente dicendo che sono colpevoli di mandare gas carbonico nell’atmosfera»[62].

E Latour pensa che nella questione del salvataggio di Gaia ci sia una dimensione “metafisica”, una cosmologia che sembra condurre a una sorta di avvicinamento tra trascendente e immanente e che ciò dovrebbe condurre i terrestri a capirsi sormontando le divisioni attuali. Per certi versi questa idea di Latour non è dissimile da quella degli autori del documento programmatico Laudato sì”[63] che di fatto adotta l’enciclica del papa come principale e quasi unico riferimento teorico e politico. Appare alquanto singolare che si abbia bisogno di far riferimento a questa enciclica del papa dimenticando le ambiguità della Chiesa cattolica e in particolare la sua continua crociata contro le donne (come anatema verso il peccato mortale attribuito all’aborto).

Suolo, territorio, terrestri, sono termini che fanno parte della griglia teorica di Latour con la conseguente sua stima per esperienze come quella della celebre Zad[64]: in essa, infatti, vi legge su scala micro la realizzazione della coesione tra gente che abita lo stesso territorio e quindi è ancorata al suolo e a difendere la sua vita. Evidentemente c’è qui la sua lettura antropologica che esalta i “suolo”, la discendenza, i miti e la valenza ctonica che li accompagna, aspetti che nel loro insieme Donna Haraway definisce con il lemma Chthulucene (da khthôn e kainos) mettendo l’accento sul riconoscimento e il rinnovamento costanti nella sympoiesis, l’agire in comune”[65]. E Latour dà ragione agli zadisti perché affermano che le “questioni politiche sono questioni territoriali” … che “definiscono gli interessi e i mondi”. Ciò lo induce a parlare di cosmologia propria alla lotta ecologica. Precisa anche che non si tratta di difendere la natura perché “noi siamo la natura” (come dice uno dei cartelli degli zadisti -vedi dopo), raggiungendo così l’approccio olistico di tutte le componenti del pianeta (e ricorda: il cui giusto nome è Gaïa, con riferimento a Lovelock).

 

10) Resistenza o resilienza?

È assai emblematico che sino a qualche anno fa il termine resilienza -utilizzato soprattutto nel mondo anglosassone- fosse poco usato e invece oggi sia diventato alla moda notoriamente nei documenti delle diverse istituzioni internazionali[66]. L’accezione di tale termine in questi documenti postula l’attitudine e il comportamento che ogni individuo dovrebbe adottare rispetto ai rischi e quando è rimasto vittima di disastri, incidenti ecc. In altre parole, si tratta di una proposta individualizzante e psicologizzante che fra l’altro si riassume nella campagna “Io non rischio”, in cui si suggerisce di tenersi connessi per essere sempre ben informati e sapere come comportarsi in caso di incidenti o disastri («scarica la app, segui le istruzioni … »). Una campagna inspirata dai tecnici e psicologi delle catastrofi che non sembrano curarsi della realtà effettiva che vivono in particolare le persone più a rischio (che non hanno né smartphone e app da scaricare e che, anche se le avessero, non avrebbero alcuna connessione funzionante in caso di disastro per esempio in caso d’inondazione e ancor più durante uragani e tsunami o mega-incendi come ad Atene -lo si è visto anche in occasione dei recenti disastri in diversi paesi fra cui l’alluvione -non grave come uno tsunami- a Genova e nella costa Azzurra.

È ovviamente peggio, nella maggioranza delle zone le più povere del mondo dove in caso di catastrofi dette naturali muoiono ancora di più i meno protetti, cioè i meno abbienti. Ma i tecnici della protezione civile abitano negli uffici (certo non come quelli dell’UNEP nelle gated communities di Nairobi per funzionari ricchi con tanti servitori). Nei paesi ricchi in cui una buona parte della popolazione è dotata di coperture assicurative anche in caso di disastri, l’utilità dell’ingiunzione a rispettare le consegne di “io non rischio” sta nel fatto che si è esclusi dalle indennità se non si sono seguite le istruzioni pubblicate dalla protezione civile e dalle autorità locali.

Il principale obiettivo della promozione della resilienza è palesemente quello di sabotare le resistenze o resilienze collettive che spesso esplodono contro i responsabili dei disastri e nell’immediato contro i responsabili dei cosiddetti soccorsi e aiuti alla ricostruzione quasi sempre a beneficio delle grandi imprese delle “Grandi Opere”. Tra i centri più in vista in tale campo c’è lo Stockholm Résilience Centre (https://www.stockholmresilience.org/). È rispetto a tale genere di dispositivi e alle loro pratiche che si situa la scommessa di chi sostiene le resistenze collettive con la collaborazione attiva tra vittime, abitanti ed esperti non asserviti alle logiche del business dei disastri. E non è un caso che le autorità scatenino le polizie e anche i militari contro queste resistenze a volte con l’alibi di reprimere gli sciacalli. Così mentre prima dei disastri raramente le agenzie di prevenzione e controllo e le forze di sicurezza agiscono per la prevenzione, dopo i disastri si assiste a un loro dispiegamento massiccio insieme a una schiera di psicologi e ONG spesso ausiliari delle polizie per prevenire le rivolte delle vittime e reprimerle se esse non si sottomettono al trattamento psicologico per renderle incapaci di reagire (sul trattamento delle vittime dei disastri in tutte le lingue si trova sul web un enorme quantità di documenti di psicologi e esperti ovviamente embedded; fra altri, vedi racconti e analisi critiche di Lucia Vastano sul caso Vajont, Naomi Klein su Puerto Rico, Agier, Revet, Colombo e Ferrari -in bibliografia).

 

11) Approdo alla tanatopolitica liberista?[67].

Come detto prima a proposito dei negazionisti, dello spettro de XXI° s., dei dominanti che cercano di crearsi degli spazi sicuri e dei militari entusiasti per le promesse della neo-ingegneria, diversi gruppi dominanti fanno pensare che si è in una svolta rispetto alla coesistenza conosciuta nel passato tra biopolitica e tanatopolitica (Foucault) poiché tende a prevalere sempre più la scelta di quest’ultimo tipo di governo. La biopolitica (il lasciar vivere) serviva a disporre di popolazione in abbondanza per la riproduzione di cittadini necessari alle attività produttive e dei servizi, come carne da macello per le guerre, come contribuenti delle tasse. Ma data la sovrappopolazione sommata al riscaldamento climatico, i dominanti non hanno più interesse a lasciar vivere ma al contrario hanno interesse a lasciar morire, il che non impedisce la possibilità di trarre profitto anche di tale “opera” (vedi $ 4). Appare allora opportuno constatare che tutta la storia dell’umanità è storia di sconfitte delle lotte dei dominati, storia di massacri e genocidi. Ma, l’istinto stesso di sopravvivenza e la violenza del potere provocano sempre resistenza (salvo quando le persone sono totalmente schiacciate al punto da non avere né la forza, né la capacità di capire e reagire (come nel caso degli internati nei campi della Shoa). Perciò le resistenze si riprodurranno sempre ed è probabile che avranno tendenza a diventare sempre più violente così come sarà sempre più devastatore il crimine contro l’umanità provocato dalle lobby e dai dominanti di ogni paese. In queste resistenze è anche probabile che la modalità block bloc sarà generalizzata, cioè comune e spontanea per la maggioranza dei partecipanti con anche il ricorso alle armi da fuoco da parte dei manifestanti e non da parte di gruppetti.

 

12) L’ecofemminismo

Il termine ecofemminismo s’è diffuso soprattutto nel corso di questi ultimi anni insieme al dibattito sull’ecologia politica, ma data dagli anni Sessanta soprattutto nel mondo anglo-sassone (vedi qui[68]).  In realtà la prospettiva teorica e pratica dell’ecofemminismo è interpretata diversamente dai molteplici collettivi nei vari paesi. Fra le correnti meno note ma assai interessanti v’è quella che fa riferimento all’esperienza delle donne combattenti kurde; impegnate anche in un ruolo di primo piano nella lotta armata queste hanno creato ex-novo tutta l’organizzazione politica della società locale in tutti i suoi aspetti e in particolare a proposito delle relazioni donne-uomini-figli, la democrazia diretta ecc.[69]

Evidentemente il tratto comune a tutte le ecofemministe è la critica radicale del patriarcato e del capitalismo, quindi del capitalocene, con anche degli aspetti della militanza per la decrescita. Sebbene le ecofemministe cerchino di dialogare tra loro al di là delle loro diverse interpretazioni, si può constatare che ci siano più interazioni tra quelle dei paesi ricchi e quelle dei paesi che hanno anche una rinomanza mondiale (per esempio le indiane) anziché con le militanti come le kurde impegnate anche nella lotta armata. Ma sono soprattutto queste che sembrano aver un certo successo tra le giovani dei paesi ricchi, mentre sembrano suscitare diffidenza tra le femministe «storiche» d’Europa e dell’America del Nord (che invece esaltano le indiane, da alcune tacciate di essere le ecofemministe mainstream o “da conferenze”). Nella prospettiva ecofemminista il discorso sull’Antropocene è tacciato d’euro-androcentrico poiché occulta la dominazione capitalista-patriarcale-coloniale-specista, e quindi la necropolitica del capitalismo[70].

Va osservato che la questione della decolonizzazione di tutto in tutti i campi resta una questione cruciale (così come la comprensione delle differenze fra liberal-democrazia e liberismo spesso ignorata o non compresa) e pone anche la messa in discussione del cosiddetto approccio postcoloniale.

 

PS: sugli argomenti qui affrontati la letteratura e gli articoli scientifici e anche sui media hanno avuto uno sviluppo impressionante in particolare dal 2015 in poi. Rinvio fra l’altro ai diversi articoli pubblicati su effimera.org e alle numerose recensioni, articoli e interviste ad autori importanti pubblicati da médiapart.fr

 

Note

[1] Il concetto di fatto politico totale qui proposto fa riferimento a quello di fatto sociale totale suggerito da Marcel Mauss che lo elabora in un momento storico in cui le scienze sociali avevano bisogno di affermarsi e evitavano il lemma «politico» anche perché Mauss pensa a dei fatti economici, sociali e culturali che non potevano essere ridotti al semplice fatto sociale come l’aveva definito Durkheim. Peraltro ricordo che anche Weber separa le riflessioni sul politico da quelle nel campo delle scienze sociali e Simmel non parla di aspetti politici sebbene li affronta nelle sue riflessioni particolarmente rilevanti sulle interazioni, sulle cerchie sociali, sul danaro, sulla metropoli.

[2] Con i passati governi e ancor di più con il ministro Salvini la distrazione delle forze di polizia verso false insicurezze è sfacciata: i feudi leghisti sono i territori più martoriati da inquinamenti tossici ed economie sommerse (che si nutrono di neo-schiavitù in particolare di immigrati, frode fiscale e anche connessioni con la criminalità organizzata).

[3] vedi https://ourworldindata.org/causes-of-death; per quanto riguarda l’UE (https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/-/DDN-20180314-1?inheritRedirect=true).

[4] Su tale esasperazione del sicuritarismo e le sue conseguenze fra altri vedi https://www.academia.edu/35552034/Extract_of_Governance_of_Security_and_Ignored_Insecurities.pdf; https://www.academia.edu/37459094/Guerra_alle_migrazioni_sussunzione_dei_disastri_della_deriva_neo_liberista_il_fatto_politico_totale; http://revistes.ub.edu/index.php/CriticaPenalPoder/article/download/20385/22504

[5] Cfr Governance of security and Ignored insecurities in Contemporay Europe, 2016 e anche Resistenze ai disastri sanitari-ambientali ed economici in Mediterraneo, 2018

[6] https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89chelle_des_temps_g%C3%A9ologiques

[7] Jason Moore, Anthropocene or Capitalocene? Nature, History, and the Crisis of Capitalism, PM Press/Kairos, 2016 (anche in italiano). Si vedano anche i diversi commenti a un’intervista a Moore pubblicati su effimera.org nel mese di settembre 2019

[8] Il dibattito su questi aspetti risale ad Adam Smith e a Marx, cfr. anche Razmig Keucheyan, La nature è un champ de bataille. Essai d’ecologia politique, La Découverte, 2014 (anche in italiano); E. Leonardi, Lavoro, Natura, Valore. André Gorz tra marxismo e decrescita, Orthotes, 2017;

[9] https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/131015/jason-w-moore-nous-vivons-l-effondrement-du-capitalisme

[10] L. Centemeri “Perché i “collassologi” vanno presi sul serio”: http://gliasinirivista.org/2019/06/perche-collassologi-vanno-presi-sul-serio/

[11] Attraverso un’analisi critica dei cambiamenti tecnologici Graziotti propose la definizione del neurocapitalismo e la descrizione delle sue conseguenze nefaste. Tuttavia secondo lui, “il ruolo crescente della produzione autonoma e cooperativa del General Intellect può portare a delle nuove idee per l’organizzazione delle moltitudini del nuovo millennio”. voir G. Graziotti, Neurocapitalism. Technological Mediation and Vanishing Lines, Los Angeles: Minor Composition, 2019.

[12] Sui danni derivanti dall’uso e abuso di petrolio, carbone, gas e uranio, vedi : https://www.informazioneambiente.it/fonti-non-rinnovabili/;

[13] Secondo le  le nuove previsioni della popolazione del Mondo pubblicata dalla Population Division delle Nazioni Unite per il periodo 2020-2100 (World Population Prospects. The 2019 Revision), si confermano i risultati delle ultime previsioni del 2017, con qualche aggiustamento al ribasso. Secondo la cosiddetta “variante media”, la popolazione del mondo raggiungerebbe 9,7 miliardi nel 2050 e 10,9 nel 2100. Da notare anche che secondo l’agronomo Marc Dufumier, «L’agroecologia può perfettamente nutrire 10 miliardi di umani» con un’agricoltura che tenga conto del funzionamento  dell’ecosistema nella sua globalità :

https://www.lemonde.fr/sciences/article/2019/06/17/l-agroecologie-peut-parfaitement-nourrir-10-milliards-d-humains_5477403_1650684.html

[14] Francesca de Benedetti, James Lovelock : “Dieci anni fa ero certo che le emissioni di CO2 e il global warming non ci avrebbero dato scampo” Rebubblica, 02/10/2016; en français ici: http://terredecompassion.com/2016/11/04/rechauffement-climatica-james-lovelock-nest-più-incheet/#_ftn2

[15] https://www.lemonde.fr/planete/article/2019/02/16/trop-d-umans-pour-la-planete_5424231_3244.html

[16] http://www.neodemos.info/articoli/four-compelling-reasons-to-fear-popolazion-growth/

[17] www.neodemos.info/articoli/la-mobilita-e-un-valore-ma-leuropa-non-ne-approfitta/

[18] Fra i diversi reportages su tale fenomeno cfr: https://www.newyorker.com/magazine/2017/01/30/doomsday-prep-for-the-super-rich?mbid=synd_digg; https://www.lemonde.fr/sciences/video/2019/02/16/espace-quand-les-milliardaires-s-envoient-en-l-air_5424411_1650684.htmlhttps://www.ilfoglio.it/societa/2018/03/13/news/i-ricchi-e-la-democrazia-diretta-nel-pianeta-rosso-183650/; https://it.blastingnews.com/curiosita/2018/09/il-mistero-dietro-ai-bunker-di-sopravvivenza-dei-miliardari-in-nuova-zelanda-002717651.html

[19] Come mostrava Foucault sin dalla sua ricerca sulla storia della follia, in altri suoi scritti e poi nelle sue lezioni al collège de France, con lo stato moderno si crea una certa coesistenza fra tanatopolitica e biopolitica ma è questa che prevale proprio perché il potere ha bisogno di popolazione (vedi oltre).

[20] Cfr. https://www.mondialisation.ca/la-terre-une-arme-la-geo-ingenierie-une-guerre/5621597

[21] Ben Cramer, “L’Afrique des minerais stratégiches. Du détournement des richesses à la culture de la guerre”, Bruxelles, Les Rapports du GRIP, 2018/08

[22] Vedi articolo di Angelo Baracca e Marinella Correggia: https://www.labottegadelbarbieri.org/a-uccidere-il-clima-oltreche-i-popoli-sono-anche-le-guerre-e/

[23] Tutti gli stati maggiori delle forze armate dei paesi NATO si sono impegnati in questo campo con anche importanti seminari, corsi di formazione ecc. con docenti esterni fra i quali esperti dell’ambiente, delle catastrofi ed ecologisti

[24] Agier, M. «Espaces et temps du gouvernement humanitaire », Pouvoirs, 2013/1 n° 144 : 113-123; Sandrine Revet, Les coulisses du monde des catastrofi «naturali», Paris: Editions de la Maison des sciences de l’homme, 2018; questo lavoro di Revet è molto utile anche se l’autrice sembra palesemente stare dalla parte dello stuolo degli operatori e tecnici dei soccorsi alle catastrofi.

[25] La maggioranza dei catastrophes bonds sono emessi da società di assicurazione create ad hoc nelle isole Caiman, alle Bermude o in Irlanda. La rendita assicurata nel corso di questi ultimi 5 anni dal Schroder GAIA Cat Bond (lanciato il 21/10/2013 per il trasferimento degli azionari verso la Schroder GAIA SICAV) è stato del 21,4%, un tasso particolarmente elevato !!!

[26] Cfr. https://www.mediapart.fr/tools/print/790351

[27] Cfr G. Delacroix, Le capitalisme de surveillance maître des marionnettes: https://www.mediapart.fr/tools/print/792963; Shoshana Zuboff, The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power, Profile Books Ltd, 2019

[28] Cfr “Postscriptum sur les sociétés de controll”: https://infokiosques.net/imprimersans2.fp3?id_article=214

[29] Simone Benazzo in https://www.pandorarivista.it/articoli/ecologia-politica-di-andre-gorz/2/

[30] https://www.mediapart.fr/journal/france/121217/climat-un-sommet-pour-verdir-la-finance-mondiale; https://www.novethic.fr/actualite/ambiente/climat/isr-rse/economie-bas-carbone-91-entreprises-francaises-appellent-a-intensifier-les-projets-publics-prives-et-montrent-la-voie-avec-300-milliards-d-euros-d-investissements-145177.html.

[31] Olivier Petitjean (qui: http://multinazional.org/Aubaine-pour-les-multinazional-le-marche-europeen-du-carbone-est-il) …. Vedi anche Cfr. https://www.mediapart.fr/journal/international/060716/affare-mimran-les-200000-dollars-che-enfoncent-netanyahou e Cash Investigation (https://www.dailymotion.com/video/x4zhz2l)…

[32] S. Laurens: Milieux d’affares et bureaucrates à Bruxelles, Agone, 2015 e anche https://www.corporateeurope.org/fr/lobbying-the-eu

[33] Cfr. https: // ec. europa.eu/clima/policies/ets/revision_fr

[34] Fra altri, vedi Leonardi, 2017, che riprende anche Gupta, The History of Global Climate Governance, Cambridge, Cambridge University Press 2014

[35] Cfr. http://reseaux-chaloro.cerema.fr/les-chiffres-cles-de-lenergie-edition-2018; e anche  https://www.youtube.com/watch?v=vdViAbrumT0;  Asadho/Katanga, 2009, “Mine uranifère de Shinkolobweune exploitation artisanale illicite à l’accord entre la RD Congo et le groupe nucleare  français AREVA”, http://protectionline.org/fr/2009/08/28/rapport-de-asadho-mine-uranifere-de-shinkolobwe-d%C2%92une-exploitation-artisanale-illicite-a-l%C2%92accord-entre-la-rd-congo-et-le-groupe-nucleaire-francais-areva/; è M.me Lauvergeon, presidente della società delle centrali nucleari francesi vanta di poterne assicurare la costruzione di 250 nuove; dopo Fukushima, passato un po’ di tempo, i contratti di Areva per lo sfruttamento delle miniere di uranio o per l’acquisto (anche senza controllo delle fonti e modalità di estrazione) sono stati rinnovati (cfr articoli sul nucleare in Médiapart: https://www.mediapart.fr/search?search_word=Areva&sort=date&order=desc

[36] Cfr. film di Peled, China Blu e video su Apple in Cina

[37] N. Casaux, «La transition anti-écologiche : coment l’ecologia capitaliste aggrave la situation», Sep 22, 2017 https://medium.com/@niko7882/la-transition-anti-%C3%A9cologique-coment-l%C3%A9cologie-capitaliste-aggrave-la-situation-edd5c2ea0f7b

[38] https://www.monde-diplomatique.fr/2010/04/GORZ/19027

[39] https://medium.com/@niko7882/la-transition-anti-%C3%A9cologique-coment-l%C3%A9cologie-capitaliste-aggrave-la-situation-edd5c2ea0f7b

[40] https://www.dailymail.co.uk/news/article-541748/Were-doomed-40-years-global-catastrofe–theres-NOTHING-says-climate-change-expert.html

[41] https://www.theguardian.com/science/2010/mar/29/james-lovelock-climate-change

[42] https://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/ambiente/energie-pulite/rubbia-solare/rubbia-solare.html

[43]  http://sbilanciamoci.info/presto-sara-tardi-lallarme-degli-scientifici-sul-clima/; orig: https://academic.oup.com/bioscience/article/67/12/1026/4605229

[44] https://fr.wikipedia.org/wiki/Jour_du_d%C3%A9passement

[45] http://www.rexecode.fr/public/Analyses-et-previsions/Perspectives-economiques-et-Bilan-de-l-annee/Perspectives-economiques/Perspectives-de-l-economie-mondiale-2018-2019-crescita-en-maree-descendante

[46] Ricordiamo che la tecnologia 5G, il wireless di Va generazione che manca di studi preliminari sul rischio per la salute pubblica, è criticato anche dal Comitato Scientifico sui rischi sanitari-ambientali  ed emergenti (SCHEER) della Comunità Europea e già bloccato dal Ministero dell’ambiente belga, dal Consiglio Comunale di Portand (Oregon, USA). La Germania e l’Olanda esigono prove sugli effetti biologici delle radiazioni di questo dispositivo. In Italia un tribunale ha adottato una sentenza che conferma il legame tra radiofrequenze e cancro, pericolo peraltro segnalato dagli scienziati dell’Istituto Ramazzini e dai medici ISDE Italia.  Tante sentenze di tribunali sono state pronunciate contro lo Stato che non informa i cittadini sul pericolo invisibile del digitale, un Tribunale a riconosciuto la malattia professionale con inabilità permanente (38%) per neurinoma del nervo acustico a un lavoratore dell’aeroporto che a avuto un tumore al cervello sviluppatosi a seguito di oltre dieci anni d’irradiazioni elettromagnetiche. Peraltro ci sono anche condanne degli effetti biologici dell’elettrosmog, riconosciuto come la malattia professionale da sindrome d’Electrosensibilità dai tribunali di Saragozza, Tolose e Cergy-Pontoise.

[47] https://easac.eu/press-releases/details/technologies-for-removing-co2-from-the-atmosfere-will-need-to-be-integrated-into-climate-policy-in/; https://www.bastamag.net/climat-CO2-geoingenierie-emissions-negatives-crescita

[48] Il neoliberalismo che critica Foucault e gli emarginati di cui parla in opposizione al proletariato “integrato” nel sistema e sodale col potere capitalista non era ancora approdato  al liberismo di oggi che secondo me si caratterizza innanzitutto per la sempre più gigantesca neo-schiavizzazione di precari, semi-precari, semi-alnero o al nero totale … I marginali che Zamora dice siano la categoria amata di Gorz e Foucault sono ben poca cosa rispetto all’enorme massa di lavoratori che non hanno diritti (e non solo immigrati). L’interessante della intervista a Zamora (https://www.revue-ballast.fr/peut-on-critiquer-foucault/) è che solleva alcune questioni che meritano attenzione perché oggi si riproducono con l’aberrante dibattito e scontro che c’è in Francia a proposito di classe e “razza” (fra Noiriel e Eric Fassin e altri) e che si situa nell’ossessione ottusa (di alcuni francesi) per la cosiddetta questione “identitaria” : questo sbandieramento di conflitto fra classe e “razza” e fra identitarismo o comunitarismo e laicità repubblicana di centro o di sinistra che sia  nasconde la vera questione: la riproduzione del neocolonialismo e della razzializzazione che ne è implicita … è il neocolonialismo che spiega la guerra contro i giovani delle banlieues, “eccedente umano” o manodopera usa-e-getta o marginali per attività marginali o devianti a rischio (tant’è che entrano ed escono dalle carceri e poi finiscono per starci e se si “radicalizzano” è in realtà appunto per l’esasperazione di essere tratti come umani da eliminare).

[49] Questa idea era in parte pensata da Aristotele e dopo da economisti e autori delle scienze sociali come Adam Smith e Galbraith e anche degli psicologi come Brickman e Campbell. La teoria d’Easterlin si basava sulla raccolta di numerose interviste e dati sul PIL e PNB e il reddito. Agli intervistati si chiedeva: “in generale come ti consideri: felice, abbastanza, o non abbastanza?”; le risposte erano incrociate con l’evoluzione del PIL e quella del reddito; dopo anche sulla variazione della felicità nell’insieme del percorso di vita; a questa variabile sono state dopo aggiunte la stabilità della démocrazia, i diritti umani, la salute e il welfare. Questa teoria ha influenzato tanto il marketing per spingere sull’offerta di prodotti personalizzati inventando di tutto per catturare la ricerca della félicità insoddisfatta dai prodotti di consumo ormai obsoleti, banali o troppo anonimi/omologanti ecc. Cfr https://fr.wikipedia.org/wiki/Paradoxe_d%27Easterlin e https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0921800916307649

[50] Cfr. Benazzo: https://www.pandorarivista.it/articoli/ecologia-politica-di-andre-gorz/2/

[51] https://degrowth.se/key-information. Il 6° Convegno internazionale sulla Decrescita per una sostenibilità ecologica e l’equità sociale” s’è tenuto a Malmö, Svezia il 21-25 Agosto 2018, con due convegni simili -lo stesso anno- in Mexico City, (4-6 Settembre 2018) e al Parlamento Europeo a Bruxelles, (18-19 Settembre 2018).

[52] https://www.degrowth.info/en/catalogue-entry/assessing-the-degrowth-discourse-a-review-and-analysis-of-academic-degrowth-policy-proposals/; http://effimera.org/la-nostra-decrescita-non-la-recessione-riccardo-mastini/

[53] Cfr. esperienza Camilla a Bologna :https://www.greenme.it/consumare/eco-spesa/29965-camilla-supermercato-autogestito-apertura e Park Slope a New York https://www.foodcoop.com/

[54] Sui progetti di permacultura in Italia cfr. https://www.permacultura.it/index.php/mappa-permacultura-progetti-e-persone-in-italia; e in Europa: http://wiki.ecolise.eu/index.php/Community-led_initiatives_in_Europe#Permaculture_in_Europe; cfr. Centemeri, L., 2019, La permaculture ou l’art de réhabiter, Paris, Editions Qua.

[55] Cfr. effimera.org/introduzione-decrescita-vocabolario-nuova-giorgos-kallis-federico-demaria-giacomo-dalisa/

[56] https://atecopol.hypotheses.org/ et repris anche par lundimatin#185, il 2 avril 2019 : https://lundi.am/Lettre-de-chercheur-es-aux-jeunes-et-moins-jeunes-che-se-sont-mobilise-es-les

[57] Cfr. E. Leonardi, Bringing Class Analysis Back in: Assessing the Transformation of the Value-Nature Nexus to Strengthen the Connection Between Degrowth and Environmental Justice, Ecological Economics, volune 156, 2019, pp. 83-90: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0921800918302611

[58] CFr. in particolare l’intervista https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/011217/bruno-latour-diagnostique-un-atterrissage-complique-pour-l-humanite

[59] Cfr. Latour, Où atterrir. Coment s’orienter en politic, 2017 et intervista ici:  https://reporterre.net/Bruno-Latour-Defendre-la-nature-on-baille-Defendre-les-territoires-on-se-bouge

[60] https://reporterre.net/Bruno-Latour-Defendre-la-nature-on-baille-Defendre-les-territoires-on-se-bouge

[61] Cfr. Resistenze ai disastri sanitari-ambientali  et economici en Méditerranée, p. 262

[62] https://torontosun.com/2012/06/22/green-drivel/wcm/04339e7a-d24f-400f-a871-b85198018d88

[63] Documento programmatico Laudato sì. Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale, Bozza al 3 luglio 2019: https://www.laudatosi-alleanza-clima-terra-giustizia-sociale.it › 2019/07 › 3… è proposto da oltre 180 persone fra le quali noti intellettuali e militanti della sinistra e del mondo cattolico

[64] https://zad.nadir.org/?lang=it

[65] Donna Haraway, Symbiogenesis, Sympoiesis, and Art Science Activism for Staying with the Trouble, in Arts of Living on a Damaged Planet. Ghosts of the Anthropocene, a cura di Anna Tsing, Heather Swanson, Elaine Gan, Nils Bubandt, University of Minnesota Press, Minneapolis-Londra, 2017. In italiano: Antropocene, Capitalocene, Piantagionocene, Chthulucene: creare kin, in KABUL magazine, EARTHBOUND. Superare l’Antropocene, K-STUDIES #2, 2018

[66] Per la critica della resilienza psicologizzante, vedi il testo di Monica Colombo e Ferrari in Governance … (note 2).

[67] L’idea de riprendere il concetto di tanatopolitica m’è stata proposta da A. Petrillo a proposito del trattamento riservato alla popolazione della Campania e in generale del Meridione, popolazione iper denigrata e massacrata dalle mafie come dalle autorità nazionali e locali (come dicono i napoletani e non a caso tutti i meridionali: “cornuto e mazziato” -o cornuto e bastonato). E’ questa la sorte riservata alle popolazioni italiane e di tutti i paesi, stigmatizzate per meglio essere inferiorizzate e anche “trattate col ferro e col fuoco”, come proponevano i discepoli di Lombroso. Cfr. Petrillo in Resistenze, Biopolitica

[68] https://en.wikipedia.org/wiki/Ecofeminism; https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89cof%C3%A9minisme

[69] https://lemonde-arabe.fr/21/02/2018/combattantes-kurdes-feminisme/; https://www.cairn.info/revue-vacarme-2015-2-page-198.htm; https://blogs.mediapart.fr/monica-m/blog/070814/sur-le-front-syrien-les-combattantes-kurdes-affrontent-leil; http://www.alternativelibertaire.org/?Les-succes-du-mouvement-des-femmes;https://observers.france24.com/fr/20140806-syrie-combattantes-kurdes-djihadistes-eiil-kurdistan-syrien-etat-islamique

[70] S. Barca: http://effimera.org/limite-biofisico-narrazioni-del-capitalismo-stefania-barca/;

Redazione
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