Nei corridoi della storia: Jan Hus e altri roghi

Una recensione-lettera di Božidar Stanišić a Pietro Ratto sul libro «Il gioco dell’oca»

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Caro Pietro,

«Il Gioco dell’oca», la tua opera su Jan Hus e sui retroscena del processo a questo predecessore di Lutero, mi è stato segnalato da un amico a cui è nota la mia passione1 per la biografia e l’eredità del boemo bruciato nel rogo di Costanza.

Mi perdoni questa forma di “non recensione”2, cioè un’epistola? Lasciandoti la scelta del perdono o no, incomincio dal momento in cui chi ha letto3 e finito il libro, riconsidera le proprie osservazioni scritte e si chiede in quale opera si sia imbattuto. Ecco, in medias res, credo che la polifonia delle voci nella tua opera, frutto della tua acuta ricerca e del rapporto con l’eretico boemo dell’inizio del 15 secolo, intrecciati con “particelle” della tua vita, sostanzialmente sia un testo teatrale.

Per me è evidente che i 20 capitoli della tua opera, che sfugge a precise categorie di genere – e che potrebbe essere considerata sia romanzo che saggio su un personaggio per nulla morto, oppure una long story e disputa sull’eresia e sull’Inquisizione di allora e dei nostri tempi – sia ricca di immagini, monologhi e dialoghi, impliciti e non. Dirai: «Chi potrebbe aver l’intuizione e la volontà di mettere in scena un’opera con tanti personaggi? Chi riuscirebbe a trovare i mezzi per questo progetto?». Non lo so, ma credo che sarebbe un’ottima sfida per chi decidesse di occuparsi della trasformazione della tua opera in testo teatrale.

Esagero sul “tuo Hus”? Vedo e sento cose che non intendevi impostare nella forma da te scelta, che – e non solo «in qualche modo semplice» – determina anche il contenuto della tua opera su Jan Hus e sulla sua eresia, per nulla lontana dalla necessità di essere eretici nell’epoca attuale?

Immaginare un giovane giornalista di nome Benito Mussolini che inizia a occuparsi del riformatore boemo Giovanni Hus (perché questo “Giovanni” suonava meglio), il viaggio di Hus da Krakovec a Costanza senza ritorno, il Concilio e le “teste pensanti” dei potenti di allora (meno mascherate dei potenti dei nostri tempi), ascoltare il monologo dell’Inquisitore – lo Shiva dei nostri tempi, il “tante mani” di controllo della melassa mediatico-politica (dagli ingenui considerata «libertà») – e il rumore delle ali delle cornacchie e dei corvi del 21 secolo… Ecco: credo che, con la tua opera, tu abbia reso possibile a lettori e lettrici muoversi per i corridoi della storia.

Prima di salutarti, vorrei ringraziarti per questo libro di pensiero critico che non permette momenti di noia, che aiuta al risveglio e approfondimento delle riflessioni sull’eresia e sulla libertà.

Sinceramente,

Božidar Stanišić

1 Aggiungo doverosamente due note: la mia “strada hussiana” incominciò dalla lettura di un pugno di brevi saggi di Karel Kosik, nell’ edizione jugoslava degli anni ottanta intitolato Dialettica della crisi, fra i quali spiccava l’essay Ragione e coscienza; mi considero solo un escursionista, quindi non un esperto dell’epoca dei movimenti antipapali, né della nascita della Riforma, né dell’ampio ruolo dello stesso Hus, e provo a cogliere qualcosa del senso dell’eresia hussiana, fenomeno sui generis.

2 Semplicemente, da molti anni non mi occupo delle recensioni e se mi capita di scriverle ne faccio evitando formalità dalle quali, credo ne siamo coscienti, di solito spicca una raccomandazione alla lettura dell’opera recensita.

3 Lettori e lettrici ancora, che resistono a esserlo nonostante il pericolo dell’iper-produzione dei libri, la gran parte dei quali sono solo oggetti in vendita, merci senz’anima.

Redazione
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2 commenti

  • E’ davvero un piacere averti incontrato, Božidar.
    Evidentemente, in questi desolati corridoi della nostra amara storia, di tanto in tanto è ancora possibile incrociare qualche spirito nei cui confronti avvertire un’insperata affinità elettiva.
    Ti ringrazio davvero per la delicatezza e l’originalità con cui hai voluto commentare questo mio libro. Questo testo a cui sono legato così tanto, proprio a causa della stima, dell’affetto, della tenerezza che lo studio che vi è descritto ha saputo suscitarmi, relativamente alla delicata e coerente figura del maestro Hus.
    Forse hai ragione: farne un lavoro teatrale potrebbe rivelarsi un’ottima idea.
    Ma ci troviamo in questo posto, Božidar. Viviamo qui, proprio qui.
    Qui: nel regno dei corvi e delle cornacchie.
    Non ci illudiamo troppo, dunque, Božidar. Ma non molliamo di un centimetro la disperata lotta contro tutti i roghi del mondo.
    Non molliamola per nulla al mondo, questa nostra comune lotta.
    Non molliamola.
    Mai.

  • Pietro il tuo lavoro di ricerca acuto, onesto e paziente é meritorio ti lascio qui due citazioni a riguardo della disperazione che serpeggia in questa tua risposta a Bozidar.
    “Esiste una infinita speranza, ma non per noi” (Kafka). Ma essere semi non é motivo di disperazione é proprio dell’ essere ‘pochi’ e lontani dalla realizzazione la virtú germinale:l’essere immersi in questa realtá corrotta e maligna non é motivo di disperazione. Al contrário troppi semi renderebbero sterile l’azione cosí come molto seguito non farebbe scendere la nuova Gerusalemme ma solo chiudere i tuoi siti da google. Ergo la speranza é attuale giustamente nel mondo corrotto cosí come osservava acutamente anche Curzio Malaparte in “La pelle” (la necessaria presenza del male per la redenzione).
    Poi Tommaso d’Aquino (Summa II/II Quaestio 20 art. 4). “Si è invece portati a considerare un bene arduo come irraggiungibile a motivo di un eccesso di avvilimento”. Puó avvilire, come probabilmente avvilí Kafka la lucida constatazione di un potere demonico destinato a governare il mondo ben oltre i limiti della nostra vita: ma Tommaso chiarisce che il peccato di accidia é all’origine di questo.
    Ma forse tutto questo che cito é superfluo per chi ha studiato Jan Hus in particolare la sua serenitá di fronte alla morte, certo che trasferire questo dal campo dell’intelletto a quello della volontá non é facile.

    Ricordo di una conferenza di Cacciari a Trento solo una frase: “Noi siamo giá salvi”.

    Grazie per i tuoi lavori.

    Marco S. Cristellotti
    Rio de Janeiro

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