Nessi – 5

di Aerre (*)

Un’altra digressione.
Scrivo per spirito di servizio. Scrivere non è il mio talento. Ripensando a ciò che dico e rileggendo ciò che scrivo, mi rendo conto di essere spesso brusco, che lo stile è un po’ goffo, più che altro non sono quasi mai soddisfatto. Preferisco conversare, perché è un flusso, mentre un testo scritto è diverso, può essere una pietra. Vorrei evitare le pietre. Sto cercando di imparare.
Eh, Kurt. «So it goes».
Questa volta vorrei semplicemente segnalare un quasi-documentario che ho guardato sul canale 2 della televisione pubblica danese.
«The Challenger»
http://www.bbc.co.uk/programmes/p00zstkn

Riporto qui i collegamenti a 2 recensioni tratte da due quotidiani statunitensi:
http://www.latimes.com/entertainment/tv/showtracker/la-et-st-tv-fall-preview-challenger-disaster-20130915-story.html#page=1

Questo è invece un saggio scritto da Freeman Dyson:
http://www.nybooks.com/articles/archives/2011/jul/14/dramatic-picture-richard-feynman/

Il protagonista principale è Richard P. Feynman, impersonato da William Hurt. È un «quasi-documentario» perché si tratta di un film tratto dalla cronaca. È significativo che il risultato finale sia stato “approvato” da Carl e Michelle Feynman.
A mio modesto avviso, al di là dei tragici fatti di cronaca, l’esplosione della navetta spaziale Challenger (in cui morì la prima insegnante astronauta, Christa McAuliffe) e le successive indagini della commissione d’inchiesta (di cui fecero parte anche Sally Ride, la prima astronauta americana, e Neil Armstrong) rendono importante questo «The Challenger», per cui auspico che il film-documentario possa essere sottotitolato in italiano e distribuito anche in Italia, magari come supplemento a qualche rivista… Il motivo è che, secondo me, il tema centrale del film è «persona versus apparato», e quindi “intellettuale specifico” (o meglio “agente specifico” vs. apparato). Perché di apparato si tratta, militare e industriale, ed è interessante notare che la commissione, o almeno parte della commissione, svolge le indagini in un’atmosfera “sovietica” direbbe qualcuno ma io preferisco dire cupa, oppressiva, totalitaria, insomma ciò che ci si aspetta da un apparato: il colore di questo apparato, la bandiera e il luogo hanno
rilevanza minore secondo me e in alcuni casi marginale; pur se la storia che ha portato alla nascita di quello specifico apparato non va sottovalutata… sempre di apparato si tratta. Cioè di un’articolazione, di uno snodo, più o meno importante, nelle maglie dei poteri.
Ed è per questo che ho visto William Hurt nel ruolo di Richard Feynman nel ruolo dell’agente specifico o intellettuale specifico (tra l’altro Feynman aveva avuto un ruolo cruciale, così come Oppenheimer, nel Manhattan Project cioè nella prima bomba atomica) ovvero, trascrivendo Bauman che si riferisce a Foucault
– da qui: http://www.treccani.it/enciclopedia/intellettuali_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/
«È Michel Foucault, tuttavia, a intravedere, negli anni settanta, l’eclisse dell’intellettuale democratico, e anche “rivoluzionario”, che si è tradizionalmente proposto come rappresentante dell’universale. Quest’intellettuale deriva infatti dall’uomo di giustizia e di legge, da colui che ha inventato l’eguaglianza di tutti
davanti alla solenne maestà della norma e che ha di conseguenza scavato nel territorio dell’ “esemplare” e del “giusto e vero per tutti”. Modello di quest’intellettuale, ancora una volta, è Voltaire, il depositario della cultura che si è appellato all’universalità della legge giusta anche contro i professionisti del diritto. La sua battaglia è stata quella del “generale” contro il “particolare”. Dopo la seconda guerra mondiale, secondo Foucault, si è però sviluppata la figura dell’intellettuale “specifico”, dell’intellettuale che, come lo scienziato Oppenheimer, partendo appunto da un ambito consapevolmente settoriale – dalla “microfisica” – ha investito temi e problemi che concernevano il destino dell’uomo e del mondo. Perché questo è avvenuto, o è giunto a definitivo compimento, non è facile da spiegare. Sembra però che si possa dire, seguendo Foucault, che l’intellettuale portatore in quanto tale di valori universali diventa tanto più obsoleto quanto più tende a occupare posizioni specifiche e a installarsi nei saperi socialmente utili che la società complessa organizza e dispiega secondo una strategia diffusiva e non necessariamente universalizzante. L’intellettuale “universale” tende cioè a monumentalizzarsi e a museificarsi proprio mentre l’intellettuale “specifico” si afferma in modo molecolare: inoltre la forza di gravità delle competenze attrae inevitabilmente il letterato-scienziato dei tempi passati trasformandolo in “esperto” vale a dire in operatore della scienza e della cultura che si professionalizza nella scuola, negli ospedali, nei laboratori, nelle
pubbliche amministrazioni, nelle aziende, nelle pratiche organizzative, nelle arti, nel mondo del commercio e del business, nella ricerca, nei mass-media. L’esperto, tuttavia, non è l’erudito autosegregatosi o il “competente apolitico”: racchiude potenzialmente infatti, disperdendosi nei mille rivoli della microfisica sociale e
politica, la tensione, frammentata e insieme moltiplicata, verso la giustizia e la verità che era propria dell’intellettuale “universale”. Questa tensione, peraltro, non è facilmente riconoscibile, talvolta è muta, talvolta è nascosta tra le pieghe del tessuto civile».
(*) Assunta Rabellin? Alessandro Rossi? Oppure Augh Rap (nome d’arte di Augusta Ravata Paderno)? O magari Alfio Rizzo, Anna Rechevan, Andrea Ruccoletti, Alex Rugerman… No, mi spiace: siete fuori strada. Nessuna/o di questi è Aerre. Il quale (o la quale?) parte di solito dalla scienza per muoversi fra quelle che un tempo si chiamavano «le due culture», la umanistica e la scientifica. Nessi, linguaggi comuni, dubbi, provocazioni e auspicabilmente ponti. Quanto a Kurt… voi che dite, è il nostro amato Vonnegut? Alla prossima settimana spero. (db)

Redazione
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