Nicaragua: prove tecniche di campagna elettorale

Ovvero: se credete a questa, ve ne racconto un’altra
di Bái Qiú’ēn

Il prossimo novembre in Nicaragua si voterà. Chi siano i candidati ufficiali che si contenderanno la poltrona di presidente per il quinquennio successivo non è ancora noto. Eppure mancano solo sette mesi. L’unica cosa sicura è la riapertura, da pochi giorni, del sito del Consejo supremo electoral (CSE), chiuso da oltre un anno e mezzo. Senza spiegazioni di alcun tipo. E riaperto senza alcun dato delle elezioni passate.

Si può presumere, con la quasi certezza di azzeccarci, la ricandidatura di Daniel Ortega Saavedra e della consorte, nella casella n. 2 assegnata al Frente sandinista («casilla dos», esattamente e forse non casualmente come le iniziali di Daniel). Del resto, candidati alternativi nel Frente non ce ne sono, né possono essercene. Negli ultimi venti anni si è fatta tabula rasa di ogni possibile concorrente.

Però, dall’altra parte è tutto assai nebuloso. Pare di essere a El Crucero, uno dei pochi luoghi del Nicaragua dove è assai frequente la nebbia modello Valle Padana.

Da qualche settimana vi sono ben cinque pre-candidati, ai quali se ne è aggiunto un altro nei giorni scorsi. Decisamente personaggi non propriamente affidabili, i cui nomi bastano per far accapponare la pelle. Si parla di una specie di primarie per decidere un candidato unico dell’opposizione. Si dovrebbero svolgere entro pochi giorni, o settimane, o mesi… o nel 2026… chi vivrà, vedrà.

Ai pre-candidati, occorre aggiungere i continui litigi fra una organizzazione e l’altra, ma pure all’interno di singoli raggruppamenti, sul tipo di «io prendo i miei giochini e vado a giocare nel mio cortile». E nessuno può garantire che, oltre a quelli esistenti, non nascano altri partitini e partitucoli. Il caudillismo è una malattia estremamente contagiosa e di certo colpisce più nicaraguensi che il covid-19. E non solo il Nicaragua: basta vedere il ducetto salvadoregno…

Con quale programma si presentano questi candidati, poi, non è dato sapere. Neppure qualche ideuzza minima su alcuni temi generali. Ma è una cosa del tutto secondaria, per loro. L’unico programma ufficiale che li accomuna è sedersi sulla sedia presidenziale. O, in alternativa, poter gridare ai brogli e chiedere l’intervento dei marines.

Non per caso, tutti i sondaggi pre-elettorali assegnano alle varie formazioni dell’opposizione nel loro complesso una forbice cha va dal 5% al 10% (più verso il 5%, comunque). Chi dichiarerebbe di votare per un candidato che non esiste ancora e per un programma tutto da scrivere? Mentre, per il Frente sandinista i sondaggi più attendibili assegnano non oltre il 35%. Che corrisponde al suo zoccolo duro, o all’usato sicuro. Con una percentuale altissima di indecisi. Circa il 60%.

Fino alla fine dello scorso anno, tutto era tranquillo a El Carmen. Residenza del Presidente Daniel Ortega. Non si era ancora presentato all’orizzonte un candidato dell’opposizione in grado di preoccupare gli inquilini del bunker.

Però, c’è sempre un però. Nel momento in cui, all’inizio dell’anno, si è affacciata Cristiana Chamorro, figlia di Pedro Joaquín, fatto assassinare da Tachito Somoza nel gennaio del 1978, e di Violeta Barrios, la candidata che sconfisse Daniel nel 1990, tutto è cambiato. Per quanto quella derrota bruci ancora, non esiste alcuna garanzia che sia proprio lei a vincere la selezione e a trasformarsi nella contrincante ufficiale. Certamente il cognome che porta e la storia che ha dietro le spalle la colloca in modo quasi automatico in pole position. Però, il Nicaragua è il Paese delle sorprese… che lo vogliano o meno l’ambasciata gringa e mr. Sullivan.

In ogni caso, da El Carmen è iniziato il fuoco di batteria contro l’intera stirpe dei Chamorro. Ab origine. Il la è stato dato da Rosario Murillo nelle sue quotidiane omelie telefonico-televisive. Senza mai nominare il cognome (cristianamente parla del peccato, non del peccatore), ma con riferimenti assai espliciti, è riuscita persino ad affermare che questa famiglia si vanta di eroi e di martiri inesistenti o inventati. E insiste costantemente su questa linea. Quasi tutti i giorni non manca un riferimento più o meno velato.

Lasciamo da parte l’opportuna dimenticanza del fatto che lei stessa fu per vari anni la segretaria personale di Pedro Joaquín Chamorro a La Prensa, ma non è storicamente irrilevante che proprio con il suo assassinio ebbe inizio la fase conclusiva della lotta antisomozista. Isolato internamente ed esternamente, il dittatore aveva i mesi contati.

E tralasciamo pure il fatto che se qualcuno dicesse la stessa cosa, seppure velatamente, a proposito di Giacomo Matteotti…

All’inizio di febbraio, esattamente l’8, sul sito di Radio La Primerisima (che dall’estate del 2018 è diventata un mezzo di comunicazione ufficiale, mentre prima era una delle tante voci sandiniste critiche, spesso parecchio critiche) è comparso un articolo che la dice lunga su tante cose.

Partiamo dal titolo: La casta chamorrista che pretende di falsificare la storia.

Vi suggeriamo di leggerlo con attenzione, perché in realtà chi sta falsificando la storia è proprio l’autore di questo articolo. Scritto con il chiaro intento di screditare Cristiana Chamorro. La quale non è una santa e non la vorremmo mai come vicina di casa. Avendo avuto l’opportunità di partecipare a una sua conferenza stampa, oltre trenta anni fa, come minimo di lei si può dire che è arrogante e presuntuosa all’ennesima potenza. Assai più di Brunetta… che nel paragone fa la figura dell’angioletto svolazzante sulla capanna del presepe.

L’articolo in questione è una replica a «La familia Chamorro en la historia nacional», pubblicato in La Prensa il 6 febbraio precedente. L’autore, Julio Ruiz Quezada, prende spunto proprio dalle esternazioni di Rosario Murillo.

Prima di tutto una piccola premessa: in Nicaragua, per i nicaraguensi tutto è contemporaneo di tutto. E i numeri sono un optional, comprese le date (sempre di numeri si tratta). Cristoforo Colombo ha attraccato la settimana scorsa a Cabo Gracias a Dios… l’ho visto con i miei occhi fare compere a Metrocentro, assieme al figlio Ferdinando, all’ammiraglio Orazio Nelson, a Giuseppe Garibaldi e a Mark Twain.

Battute a parte, per quanto tutti costoro siano passati per il Nicaragua, proviamo ad analizzare punto per punto la prima parte dell’articolo. E vi preghiamo di verificare in Internet ciò che affermiamo.

Fruto Pérez Chamorro, considerato il patriarca fondatore della dinastia, era effettivamente nato in quella che oggi chiamiamo comunemente Città del Guatemala. Era il 20 ottobre 1804 (occhio alla data). Suo padre, Pedro José Chamorro Argüello, originario di Granada aveva studiato in quella città ed era un commerciante che per lunghi periodi lasciava a casa la legittima consorte. In ogni caso, si sposò ufficialmente solo nel 1814 con Josefa Margarita Alfaro Monterroso, dieci anni dopo la nascita di Fruto (non si sa se in precedenza fossero una coppia di fatto, come la maggior parte dei coniugi pure nell’attuale Nicaragua, con buona pace della locale Chiesa cattolica).

All’epoca, comunque, non esisteva né il Nicaragua, né nessun altro dei Paesi dell’attuale America Centrale. Esisteva solo la Capitanía general de Guatemala, possedimento spagnolo retto dagli spagnoli attraverso quella che si chiamava Audiencia general de Guatemala. Che regnava pure sull’attuale Chiapas. Non esistevano pertanto gli attuali confini, né le attuali capitali. Non era come l’Italia prima dell’Unità, con tanti staterelli e altrettanti governanti. L’unica capitale dall’attuale Chiapas all’attuale Costa Rica era Santiago de los Caballeros de Guatemala (Panamá era una provincia della Colombia). I cinque paesi e il Chiapas erano catalogati come pure e semplici province (o regioni che dir si voglia), senza alcuna frontiera fra loro.

Le merci importate e quelle esportate in tutta la Capitanía arrivavano e partivano dal porto di Granada e navigavano sul lago Cocibolca e sul río San Juan (che oggi fa da confine con il Costa Rica). È pertanto evidente che dovessero essere trasportate nel resto del territorio. E i commercianti sono sempre esistiti, da che mondo è mondo. In quello precolombiano esisteva la casta dei pochtecas e per comunicare con le varie popolazioni dell’epoca usavano un misto delle varie lingue, una specie di gramelot. E, probabilmente, lasciavano figli in giro nei vari territori che attraversavano.

Solo con l’Indipendenza del Messico, il 15 settembre 1821, nacquero i Paesi del Centro America. Quest’anno è il centenario. Però, temiamo che ci sia poco da festeggiare.

In realtà, ciò che abbiamo scritto è solo parzialmente vero. Per essere precisi, nel 1821 il Nicaragua entrò a far parte dell’Impero messicano, nel 1823 assieme agli altri paesi dell’area costituì le Province unite del Centro America e solo nel 1838 divenne uno Stato autonomo e veramente indipendente.

Per cui, ragionando con un minimo di logica (altro pianeta del tutto sconosciuto ai nicas), fino ai diciassette anni Fruto Pérez Chamorro era un cittadino della Capitanía, esattamente come un indio che non si era mai mosso da Mulukukú o da Bilwi. Poi divenne cittadino dell’Impero messicano e delle Province unite. Solo in seguito, quando si costituì la Repubblica del Nicaragua, ne divenne cittadino. Nessuno potrebbe nascere nell’Isola che non c’è. Fino al 1838 non esistevano persone nate nella Repubblica del Nicaragua. Ma è facile raccontare che Cristo è morto di freddo, pur con la cantina piena di legna e il padre falegname, a chi non ha mai letto i Vangeli o ne ha solo una conoscenza superficiale, per sentito dire.

Insomma, la sua era una situazione parecchio simile a quella di Alcide de Gasperi, nato a Tesin nel 1881, territorio austriaco, diventato italiano nel novembre del 1918 (con il nome di Pieve Tesino), quando il futuro presidente del Consiglio aveva quasi quaranta anni. Oltretutto, era deputato al parlamento multinazionale di Vienna dal 1914 alla conclusione del primo conflitto bellico mondiale. O lo vogliamo considerare non italiano? Con un ragionamento simile, persino Dante sarebbe solo un cittadino di Firenze, ma non italiano, visto che all’epoca l’Italia esisteva solo nei sogni. E via dicendo.

Fruto Pérez Chamorro, essendo un figlio illegittimo, aveva prima il cognome della madre. Non è un caso raro nella storia del Nicaragua. Augusto Nicolás Calderón Sandino, Carlos Alberto Fonseca Amador… figli illeggittimi con il primo cognome materno.

Inoltre, nulla vieta a loro di usare come primo il secondo nome, o il cognome materno al posto di quello paterno (e viceversa, ovviamente). Tant’è che Daniel Ortega è in realtà José Daniel e Rosario Murillo è María Rosario. Lo stesso vale per l’ex presidente liberale Arnoldo Alemán Lacayo, all’anagrafe José Arnoldo. Persino Fruto fu battezzato come José Fruto (o Frutos, le fonti storiche riportano entrambe le grafie). E che dire dello stesso Sandino, noto in tutto il mondo con il secondo cognome? Parecchi altri lo hanno fatto nel corso della storia e lo continueranno a fare, sia in America latina sia in Spagna, senza perciò suscitare pettegolezzi pseudo-storici da parte di articolisti che non hanno argomenti migliori a loro disposizione.

Pure da noi, sebbene in misura minore, accade qualcosa di simile: se parlassimo di Daniela Garnero è assai probabile che nessuno di voi sappia chi sia. Di certo la conoscete con il cognome dell’ex marito, il quale glielo ha concesso nell’accordo di divorzio. Stiamo riferendoci alla Santanchè. Di certo qualche giornalista pettegolo di casa nostra ne ha scritto, ma altrettanto sicuramente la questione non è mai diventata un argomento di lotta politica né di condanna storica. Però, l’articolista nica preferisce chismear sulla lunghezza del naso di Cleopatra.

Secondo tutte le fonti storiche, il padre di Fruto morì nel 1824 e la vedova insistette affinché il figlio guatemalteco si trasferisse in Nicaragua per assumere le redini della famiglia. I figli legittimi erano tutti minorenni (quattro maschi e due femmine). A quanto pare, però, non si decideva a trasferirsi per via del legame che giustamente provava nei confronti della madre, Josefa Pérez. Si decise solamente tre anni dopo. E la Repubblica del Nicaragua doveva ancora nascere.

Proseguendo nella nostra amena lettura, scopriamo che nel corso delle guerre fratricide fra i liberali e i conservatori, poiché i primi non riuscivano a conquistare Granada, piazzaforte comandata da Fruto Chamorro, «Chamorro no la defendió solo», ma «trajeron a William Walker».

Cosa avete capito? Fruto Chamorro Pérez (il quale nel frattempo aveva invertito i cognomi, peraltro su indicazione della vedova del padre) per difendere Granada chiamò il filibustiere gringo, giusto? Abbiamo letto bene? Avete letto bene? O l’autore scrive male o vuol far credere ciò che non è. Furono infatti i liberali a chiamare Walker. Con tutto ciò che ne seguì. In ogni caso, scorda un piccolo e quasi insignificante particolare: che per cacciarlo, gli eserciti dei liberali e dei conservatori si unirono. Però, questa è un’altra storia. O è la stessa?

Sempre a proposito di numeri e di date, William Walker partì da San Francisco il 3 maggio 1855 e arrivò in Nicaragua, nel porto di El Realejo, il 13 giugno. Peccato che Fruto Chamorro morì il 12 marzo 1855. Colpito da dissenteria. Un mese e mezzo prima della partenza e tre mesi prima dell’arrivo del filibustiere. Difficilmente avrebbe potuto continuare a difendere Granada dall’assedio dei liberali in questo periodo (che peraltro l’avevano interrotto il 10 febbraio ed erano tornati a León). Tanto meno contro i mercenari gringos.

L’articolo prosegue con altre vicende e altri personaggi, per le quali occorrerebbe fare un raffronto con le ricostruzioni storiche assai più attendibili del contemporaneo Tomás Ayón (1821-1887) e di José Dolores Gámez (1851-1923), ma porterebbe via troppo spazio.

Per cui ci limitiamo a rilevare un paio di veri e propri miracoli, come possono accadere solo in un Paese dove i numeri e le date sono un optional (come la logica, che ne discende).

Traduciamo letteralmente: «Chamorro gestiva una tipografia e creò un giornale a Granada, è vero, ma non è detto [nell’articolo su La Prensa] che prima, del 1829, esistesse già un’altra tipografia e che nel 1830 Anselmo H. Rivas e Rigoberto Cabezas fondassero un giornale, cioè, don Fruto è implicitamente accreditato di aver scoperto l’acqua calda».

Fruto Chamorro fondò e diresse per un paio di anni El Mentor Nicaragüense (1841-1842), il cui slogan era «no hemos nacido sólo para nosotros, sino también para la Patria». Di certo non era il primo periodico che si pubblicò nel Paese e chi ci vive può sempre consultare Periódicos de Nicaragua del Siglo XIX, due volumi pubblicati dall’Istituto di storia del Nicaragua e del Centro America (Managua 2002; poi anche in CD). Per chi vive in Italia è decisamente problematico, però se l’autore dell’articolo lo avesse fatto…

Veniamo al primo miracolo: Anselmo Hilario Rivas nacque a Masaya il 3 novembre 1826 (prima che il Nicaragua diventasse Repubblica indipendente). Giornalista davvero precoce se a quattro anni riesce a fondare un giornale. Se facciamo finta di non conoscere i Vangeli apocrifi o il Mistero buffo di Dario Fo, sapremmo solo che Gesù fece il suo primo miracolo alle Nozze di Cana, quando era decisamente più grandicello. In realtà, il settimanale El Centroamericano lo fonda solo nel 1857. Due anni dopo la morte di Fruto Chamorro e alcuni mesi dopo la cacciata di Walker. Accidenti alle date e a chi le ha inventate!

Il secondo miracolo è ancora più eclatante: Rigoberto Cabezas Figueroa nacque a Cartago il 4 agosto 1860. Cinque anni dopo la morte di Fruto Chamorro. Fondare un giornale prima di nascere: nemmeno Gesù era in grado di farlo! Oltretutto, lui sì non era nicaraguense, visto che nel 1860 esisteva già lo Stato del Costa Rica e Cartago ne faceva e ne fa parte. Ah, ma la nonna paterna era nicaraguense (nata quando il Nicaragua non esisteva). Dopo varie vicende arriva a Masaya nel 1882 e due anni dopo, con Anselmo Rivas, inizia a pubblicare El Diario de Nicaragua. Fruto Chamorro era morto da quasi trenta anni. ¡Toma castaña!

Che dire, poi, se negli stessi anni un paio di padri del giornalismo nicaraguense furono Fabio Carnevalini, nato a Roma (1829-1896), ed Enrique Gottel (1831-1875), nato a Danzica, allora territorio tedesco? Ah, ma non si chiamavano Chamorro e non erano imparentati nemmeno alla lontana. Per cui l’origine, per loro, non conta. È del tutto irrilevante che fossero addirittura immigrati da un altro continente.

Per fortuna che erano gli studenti del 2018 a non conoscere la loro historia patria, secondo Daniel Ortega! E se questi sono i primi assaggi di campagna elettorale…

Beh, en resumida cuenta, che ne dite? Chi sta falsificando la storia a puri scopi di propaganda? Verrebbe la voglia da citare il già ricordato cappellone biondo palestinese e con la barba «color noxella» di duemila anni fa, con la faccenda delle pietre e dei peccati.

Per carità, cosa leggittima, la propaganda. Però, dovrebbe per lo meno essere un po’ più che solamente credibile o verosimile. Dovrebbe fornire informazioni corrette e verificabili, che non siano smentibili con estrema facilità. E dovrebbe resistere a una semplice ricerca storica che chiunque può fare in Internet, sapendo cosa cercare. Altrimenti si corre il rischio che quando si dice la verità, non si è creduti. Insistere a gridare al lupo quando il povero lupo non c’è, sappiamo che può finire male. Pierino ne sa qualcosa…

Non sappiamo se davvero la verità sia sempre rivoluzionaria, come disse qualcuno. Di certo non lo sono le falsificazioni storiche, sulle quali si costruiscono solo castelli di vento (diceva sempre quel qualcuno, un centinaio di anni fa).

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *