Nicaragua: terra di laghi, di vulcani e…

… una volta, di foreste.

di Bái Qiú’ēn

È obbligo dello Stato preservare, conservare e salvare l’ambiente e le risorse naturali. (Costituzione della Repubblica del Nicaragua, art. 60)

Quando si parla di sfrenato estrattivismo spesso si dimentica un “settore” non secondario per l’esistenza stessa degli esseri viventi: la deforestazione.

Se si presta fede alle reiterate dichiarazioni ufficiali di vari esponenti del governo orteguista, il Nicaragua è uno dei Paesi più riforestati al mondo.

Nel corso degli ultimi due decenni, con l’obiettivo di stimolare lo sviluppo economico, il Nicaragua «solidale, cristiano e socialista» ha spezzato l’equilibrio tra la conservazione dell’ambiente e lo sfruttamento equilibrato delle risorse. È un dato di fatto che in un cinquantennio si sia perduto oltre il 50% del patrimonio forestale, essenzialmente dovuto a scelte politiche estrattiviste, senza minimamente riflettere su come evitare il connesso processo di desertificazione (con il degrado del suolo). Un grave colpo alle aree boschive fu inferto dai vari governi neoliberisti che si sono succeduti dal 1990 al 2006, ma dal 2007 a oggi non si è invertita quella disastrosa scelta politica. Tutt’altro. Non solo due specie sono in pericolo di estinzione: Swietenia Macrophylla (Mogano) e Cedrela Odorata (Cedro), ma attualmente (dato del 2020, ultimo disponibile) soltanto il 24% del territorio nazionale del Nicaragua è coperto da foreste (bosco umido tropicale), mentre nel 1969 era il 76%. Sempre attualmente il ritmo della deforestazione è di 160-170mila ettari annuali: il che significa che nei prossimi 20-30 anni non esisterà più un solo metro quadro di foresta tropicale.

Nel 2000, ossia nel periodo dei governi neoliberisti, la foresta tropicale copriva ancora il 52% del territorio nazionale, nel 2010 tre anni dopo dopo il ritorno di Daniel alla presidenza della Repubblica si era ridotta al 31% e nel 2020 al 25%. Questo 25% corrisponde a 34.075 kmq su 129.494. Il Nicaragua non è più un Paese “verde”: è sempre stato usato, dai vari governi, come un bottino offerto alle industrie estrattive. E pensare che negli anni Cinquanta del secolo scorso possedeva la seconda selva tropicale per estensione, dopo l’Amazzonia.

Essendo un Paese con un’economia in prevalenza agricola (destinata in massima parte all’esportazione), fin dall’epoca somozista si è proceduto a una “colonizzazione” sfrenata per ampliare la cosiddetta «frontiera agricola», ossia la superficie da dedicare all’agricoltura e all’allevamento. Il che ha generato un crescente fenomeno di degrado del terreno in vaste aree, con l’aumento dell’erosione in vaste aree a causa dei fenomeni pluviali, mentre in altre zone sono aumentati i fenomeni siccitosi. Queste due condizioni paiono contraddittorie ma, a tutti gli effetti, corrispondono esattamente a ciò che in tutto il mondo si sta vivendo a causa del cambiamento climatico dovuto alle scelte improvvide degli esseri umani.

Non soltanto la «frontiera agricola» è destinata ad ampliarsi a causa dell’incremento costante dell’agro-esportazione vigente dall’epoca somozista (che il Governo rivoluzionario del 1979 aveva deciso di superare gradualmente), ma gli interessi sempre più voraci delle imprese del legname hanno contribuito ad accelerare il fenomeno degenerativo.

Nel corso degli anni sono stati varati numerosi atti legislativi in materia ambientale, che hanno visto un incremento esponenziale proprio a partire dal ritorno di Daniel alla presidenza della Repubblica: 5 leggi, 10 decreti esecutivi, tre decreti presidenziali e 11 risoluzioni ministeriali.

Nonostante che queste norme vigenti impediscano l’esportazione di legname non lavorato (ossia non trasformato in mobili, porte, finestre, ecc.), la realtà è ben diversa: nei primi tre mesi del 2024, stando ai dati ufficiali, l’esportazione di legname ha generato 8,5 milioni di dollari. In questo settore attualmente opera oltre un centinaio di imprese (con un aumento dell’80% rispetto al periodo neoliberista 1990-2006), alle quali sono stati concessi oltre mille permessi di sfruttamento per una quantità di circa centomila metri cubi di legname. Per la cronaca, nel 2022 dette imprese avevano guadagnato un milione e mezzo di dollari.

All’inizio del 2007, appena tornato alla Presidenza della Repubblica, Daniel aveva annunciato una Crociata Nazionale di Riforestazione, che avrebbe dovuto coprire 300mila ettari nel 2012 grazie all’attività volontaria degli studenti e delle comunità locali. Dal 2007 al novembre del 2020 il Nicaragua ha ricevuto oltre quattro miliardi di dollari per la riforestazione, da vari organismi internazionali. Nonostante la costante retorica di sinistra e alle volte pro-ambientalista, nel 2016, però, la superficie riforestata arrivava a mala pena ai 160mila ettari.

Con una riforma alla Legge sullo sfruttamento del legname, nel maggio del 2014 Daniel si assegnò il totale ed esclusivo controllo sulla salvaguardia del patrimonio forestale: «Alla Presidenza della Repubblica compete l’amministrazione forestale dell’intero territorio nazionale» (Legge n. 864, articolo 58). Con un atto amministrativo dell’Asamblea Nacional del 21 marzo 2019 si è completamente liberalizzata l’esportazione del legname. Con il successivo decreto 1-2020 lo stesso Daniel ha concesso l’autorizzazione al taglio di legnami preziosi (tra i quali il pochote e il cedro reale): «In questo modo si contribuisce a rilanciare le attività economiche del settore, promuovendo gli investimenti nazionali ed esteri, la creazione di posti di lavoro diretti e indiretti, il miglioramento del tenore di vita della popolazione, il valore aggiunto alla risorsa forestale nelle diverse filiere produttive», recita il decreto stesso.

Oltre alla necessità economica di nuovi spazi per l’allevamento, pure l’incremento esponenziale dell’estrazione mineraria (soprattutto dell’oro) fa la sua parte: dal 2007 al 2017 le concessioni minerarie a imprese multinazionali sono triplicate e attualmente interessano il 23% del territorio nazionale (oltre alla creazione di una impresa mineraria statale). Per non parlare del taglio abusivo di legname prezioso e delle esenzioni fiscali concesse a investitori stranieri sia nel settore agroindustriale sia in quello minerario.

In un periodo storico in cui la preservazione delle foreste tropicali è fondamentale nella strategia internazionale per fermare o quanto meno rallentare il cambiamento climatico, tra il 2011 e il 2018 il territorio del Nicaragua ha perso quasi un milione e mezzo di ettari di foreste (oltre 70mila ettari ogni anno).

Negli anni successivi la situazione è andata via via peggiorando, assegnando al Nicaragua il triste record mondiale di essere il Paese con il tasso più elevato di deforestazione: il 4,2% nel 2023 (una percentuale alle volte maggiore negli anni precedenti: il 6,9% nel 2014). Poiché, in base alla legge dello stesso 2014 il responsabile della tutela del patrimonio forestale era lo stesso Daniel, è inutile ricercare altri colpevoli della situazione di degrado.

Stando ai dati ufficiali dell’Instituto Nacional Forestal (Inafor), dal 2007 al 2014 si sono persi ben 560mila ettari di foreste, 400mila in più di quelli “riforestati” tra il 2007 e il 2016. Questa massiccia deforestazione ha interessato pure le Riserve di Bosawás, Indio-Maíz e Wawashang, essenzialmente per incrementare l’allevamento e l’estrazione mineraria, i pilastri che sostengono l’economia nicaraguense. l’esportazione di carne genera occupazione ed è una delle voci più importanti del Prodotto interno lordo: circa 650mila occupati (formali e informali) e il 25% del Pil. La propaganda ufficiale afferma infatti che l’allevamento «porta occupazione, ricchezza e sviluppo all’intero Paese». In perfetta Neolingua, inoltre, «Il suo impatto positivo sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente ne fa un pilastro fondamentale nella costruzione di un futuro sostenibile per il Nicaragua». Da anni il Buon Governo vaneggia di «allevamento sostenibile».

In un Paese che ufficialmente dovrebbe avere 6 milioni e mezzo di abitanti (non sono ancora noti i dati ufficiali del censimento nazionale), i vari allevamenti hanno un totale di 6 milioni e 200 capi: quasi uno per abitante. E con regolarità si effettuano fiere del bestiame per “esporre” la produzione destinata all’esportazione (bovini, equini, suini, caprini).

Nel 2020 si erano esportati 133 milioni di chili di carne bovina (per un valore di oltre 586 milioni di dollari), oltre al latte e ai latticini (per altri 166 milioni di dollari).

Dalla Neolingua alla menzogna più sfacciata il passo è davvero breve, come si legge in uno dei siti semiufficiali dell’orteguismo (Nicaragua Web): «L’allevamento in Nicaragua si è concentrato sul rispetto dell’ambiente e sulla promozione della crescita del bestiame senza deforestazione. Ciò implica pratiche sostenibili che riducano al minimo l’impatto ambientale, come la corretta gestione delle praterie e la conservazione delle risorse naturali».

Il 18 ottobre 2022, nel corso del suo quotidiano sproloquio, Rosario aveva annunciato che, nel contesto della lotta alla povertà: «Estaremos lanzando en los próximos días el Programa “Adelante” […] para incrementar la producción nacional de carne y leche». Nessun riferimento alla tutela ambientale, in relazione a un Paese come il Nicaragua altamente vulnerabile alle conseguenze del mutamento climatico (la crescente scarsità di acqua oltre a rendere più disastrosi gli incendi boschivi colpisce negativamente le aree riforestate impedendone o rallentandone la crescita).

Un piccolo particolare, del tutto insignificante per Daniel e Rosario, è la previsione degli ambientalisti che gli uragani causeranno danni sempre maggiori a cose e a persone, non essendo minimamente “frenati” dalla foresta tropicale, barriera ecologica naturale che quanto meno ne rallenta e depotenzia la corsa distruttiva. Da quando si tengono registrati questi fenomeni atmosferici, ossia dal 1842, oltre quaranta sono stati gli uragani che hanno duramente colpito il territorio del Nicaragua, che si trova esattamente sul “corridoio” nel quale transitano, da Est a Ovest, dall’Atlantico al Pacifico.

Gli ambientalisti nicaraguensi, a partire da Jaime Incer Barquero (al quale il 28 agosto 2024 è stato impedito il rientro nel Paese), da anni denunciano questa realtà e non è di certo casuale che tra le migliaia di ONG e associazioni soppresse dal 2018 a oggi vi siano tutte quelle che si occupavano di ambiente e denunciavano una situazione che contraddiceva (e contraddice) la propaganda.

Un ottimo esempio di propaganda in Neolingua è fornito dalle “parole d’ordine” utilizzate dalla Secretaría de Cambio Climático della Presidencia de la República de Nicaragua (22 febbraio 2022):

«Il Nicaragua è minacciato dai modelli occidentali di produzione e consumo».

«Il Nicaragua ha la capacità di dare una risposta ai danni del cambiamento climatico se e quando gli occidentali assumano le loro responsabilità storiche».

Dopo quasi un ventennio di potere sempre più assoluto, tempo sufficiente per porre le basi di un sostanziale mutamento del modello occidentale di produzione e consumo, come Ponzio Pilato sia Daniel sia Rosario si lavano le mani della problematica ambientale, in attesa che l’Occidente assuma le proprie responsabilità storiche (innegabili, ma non uniche).

Stando alle dichiarazioni ufficiali, alla fine di settembre 2023 erano state seminate ben 3.636.434 piante di vario tipo. Le quali necessitano di essere seguite nella loro crescita, altrimenti è un’operazione del tutto inutile. Sempre secondo le dichiarazioni ufficiali, in questo 2024 era prevista la produzione di oltre 29 milioni di piante, in oltre seimila vivai. Stando alle parole di Rosario, nell’operazione erano mobilitate 230mila persone (che avrebbero pertanto posto a dimora una media di 126 piante a testa). Questo progetto era stato denominato «Verde que te quiero verde», utilizzando i versi di una poesia di Federico García Lorca (c’è poco da ridere, ma il titolo è Romance sonámbulo, traducibile con Romanticismo sonnambulo).

Si può trascurare il fatto che la piantumazione dovrebbe avvenire rispettando una distanza di almeno 4 piedi (1,20 m) tra le varie piante al fine di evitare che crescendo si soffochino l’una con l’altra. Considerando invece che il diametro medio della chioma di un albero “adulto” si aggira sui 7-8 metri (quella del mogano arriva anche a 14 m), ammettendo che tutti i 29 milioni di piante crescano sane e robuste, occuperebbero una superficie di circa 200mila kmq. Poiché in Nicaragua la matematica è un’opinione e il territorio complessivo è di soli 129.494 kmq (dai quali occorre sottrarre la superficie del lago Cocibolca di 8.264 kmq e del Xolotlán di 1.024 kmq, oltre al 24% del territorio ancora boschivo) pare evidente che si tratti di una operazione umanamente impossibile, se non sfidando la legge della fisica newtoniana della impenetrabilità dei corpi oltre a quelle della logica. Una operazione appunto da Romanticismo sonnambulo.

Redazione
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