Nicaragua: una nuova Costituzione su misura
Definita da Ortega una riforma parziale, in realtà riguarda un centinaio di articoli, circa la metà degli attuali.
di Bái Qiú’ēn
I diritti fondamentali diventano un requisito essenziale di ogni costituzione democratica. Essi servono soprattutto come baluardo contro gli abusi del potere, abusi che non sono affatto più temibili da parte di un monarca assoluto che non della maggioranza, di questa regina della democrazia. (Hans Kelsen)
A metà novembre (il 17 per la precisione) Daniel ha inviato all’Asamblea Nacional una «proposta di riforma parziale» della Costituzione politica, già modificata undici volte dal 2007 a oggi (quattro nel solo 2023). Il testo fondamentale era composto da 202 articoli (duecentodue, in lettere, per evitare eventuali refusi).
Gli articoli interessati da questa riforma sono un centinaio, circa la metà degli attuali. Come si possa definire «parziale» (ossia limitata e circoscritta) senza cadere nel ridicolo esula da ogni possibile logica.
Il presidente dell’Asamblea Nacional, Gustavo Porras, ha immediatamente dichiarato (il 19 novembre) che questa proposta sarà esaminata nel minor tempo possibile e che, comunque, è assai importante poiché «contiene, secondo quanto da noi indagato, l’ammodernamento e l’aggiornamento della Costituzione ai tempi nuovi». Ragion per cui i deputati lavoreranno molto rapidamente per approvarla. Non ha chiarito se l’approvazione sarà a scatola chiusa o se verranno apportate modifiche, come teoricamente spetterebbe a un parlamento indipendente dal potere esecutivo (in base alla Costituzione vigente). Lo stesso Porras ha affermato inoltre che si tratta di «una transformación protagonizada por los nicaragüenses». Come si possa affermare che il popolo è protagonista di questa trasformazione, non essendo stato minimamente consultato (come avvenne per la Costituzione del 1987), esula da ogni comprensione.
È opportuno rilevare che questa modifica dovrà essere approvata in due legislature consecutive. Per i non addetti ai lavori è opportuno chiarire che in Nicaragua una legislatura non è il periodo di attività parlamentare e governativa intercorrente tra un’elezione e un’altra (come è di norma in quasi tutti i Paesi del mondo). Una legislatura in Nicaragua corrisponde a un anno solare, il che significa che la prima approvazione sarà datata 2024 e la seconda 2025. Formalmente tutto sarà a norma di legge e di prassi, ma moralmente e politicamente?
È sufficiente come giustificazione di una siffatta operazione ciò che afferma lo stesso Porras? «È un paese in rivoluzione ed evoluzione, e noi ci stiamo evolvendo, in modo tale che questo disegno di legge di riforma parziale della Costituzione è parte del processo evolutivo che lo Stato nicaraguense, il popolo nicaraguense e la rivoluzione nicaraguense stanno portando avanti».
La risposta non può di certo essere affermativa. Che cosa ha a che fare con un processo evolutivo dello Stato, del popolo e della rivoluzione portare da cinque a sei anni il periodo presidenziale e parlamentare? Svolgere elezioni ogni sei anni invece che cinque è rivoluzionario ed evolutivo? Significherebbe logicamente che nelle prossime modifiche il periodo dovrebbe essere portato a sette anni, a otto, a nove… a un secolo.
È pure stata istituzionalizzata la figura della co-presidente abolendo quella del vicepresidente, sancendo la permanenza eterna di un potere bicefalo. Entrambe queste figure istituzionali, dotate di super-poteri, saranno elette con la maggioranza relativa dei voti (art. 133). Per sancire senza ombra di dubbio che l’attuale coppia regnante sarà eterna e indiscutibile si stabilisce che «La Presidenza della Repubblica è composta da un Co-presidente e da una Co-presidente» (art. 121; i corsivi sono miei): non si tratta di sancire la parità di genere al vertice delle istituzioni che poteva essere indicata semplicemente parlando di «due copresidenti, garantendo la diversità di genere», ma di replicare il più a lungo possibile la formula presidenziale esistente. Purtroppo non si stabiliscono i compiti specifici dei due co-presidenti, svolgendo a tutti gli effetti le medesime funzioni. Invece sono stabiliti i poteri dell’Esecutivo, che dirige direttamente sia il potere legislativo sia quello giudiziario sia quello elettorale. La separazione dei poteri, caratteristica essenziale di un sistema democratico e pluralista va a farsi benedire. Con buona pace del visconte Alexis de Toqueville.
Altro che il premierato forte della Meloni!
Il 22 novembre l’Asamblea Nacional ha approvato all’unanimità la proposta di «modifica parziale», a tambur battente e a scatola chiusa, senza modificare una sola virgola del testo inviato da Daniel. Che in soli tre giorni di analisi si possano valutare appieno i pro e i contro di questa «riforma parziale» confrontandola con la Costituzione vigente non è possibile né pensabile. Eppure questo è il tempo occorso ai deputati che hanno esaminato il nuovo testo più veloci della luce.
La gioia espressa da Rosario nel suo quotidiano sproloquio dello stesso 22 novembre merita di essere tramandata ai posteri: «Oggi è una giornata storica. Il nostro Popolo rivendica il diritto ad avere una Magna Carta che rappresenti e conceda il Protagonismo, il Potere alle Famiglie, agli Uomini, alle Donne, ai Giovani, su tutti gli aspetti della Vita Sociale, garantendo i Diritti Fondamentali di tutti noi, i Cittadini nicaraguensi, che stanno costruendo con onore e orgoglio un futuro libero dalla povertà». Parole in Neolingua che lasciano intendere che prima di «oggi» il popolo nicaraguense non aveva una Costituzione degna di questo nome, ossia non esisteva l’atto normativo che stabilisce il funzionamento delle istituzioni e i rapporti tra queste e i cittadini. Peccato però il nuovo testo che non sia ancora in vigore, dovendo sottostare a un ulteriore voto dell’Asamblea Nacional. Nelle parole stesse di Rosario è comunque implicito che il testo della riforma «parziale» sarà approvato senza modifiche.
È infatti presumibile, anzi certo, che nei primi giorni di gennaio del 2025 l’Asamblea nacional riapprovi e faccia entrare in vigore questo «testo storico». Dimostrando che a tutti gli effetti il potere legislativo è già succube di quello esecutivo e che, per contro, il popolo è soltanto un’entità astratta alla quale richiamarsi per fingere che il potere e la sovranità gli appartenga. (Si potrebbe ragionare a lungo sul concetto di «concedere al popolo» espresso da Rosario nel suo sproloquio, quasi si trattasse di un regalo natalizio). Quando i parlamentari abdicano al loro ruolo e alla loro funzione di legislatori, obbedendo ciecamente ai voleri dell’Esecutivo, significa che la dialettica politica e la libertà di pensiero sono defunte definitivamente. Non solo, secondo l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata nel 1789 «ogni società dove non sia […] stabilita la separazione dei poteri, non ha una costituzione». Questa separazione dei poteri non è sufficiente che sia formalmente sancita, deve esserlo nei fatti.
«L’Etat c’est moi» dichiarò a suo tempo il regnante francese Luigi XIV. Era il 13 aprile 1655. «El Estado somos nosotros» ripetono da tempo Daniel e Rosario e oggi lo sanciscono con una nuova Costituzione che stravolge completamente i princìpi rivoluzionari sanciti da quella del 1987, discussa e approvata a livello popolare nel decennio rivoluzionario: questa nuova Costituzione non è altro che il potere autocratico che si autolegittima e monopolizza la Carta fondamentale, imponendola dall’alto al mitizzato popolo, al quale la sovranità appartiene soltanto sulla carta. In un secolo è passata parecchia acqua sotto i ponti da quando Sandino parlava della «soberanía del pueblo» (lettera al contrammiraglio D.F. Sellers, novembre 1928).
Se si leggono con attenzione i nuovi artt. 14 e 15 ci si rende conto che, come minimo, esiste una fortissima contraddizione. L’art. 14, con uno spirito che si rifà teoricamente a Jean Jacques Rousseau (Du Contrat Social, 1762) ma che è soltanto fumo negli occhi, recita testualmente: «Il potere rivoluzionario è esercitato direttamente dal Popolo». La democrazia diretta versus la democrazia delegata è infatti annullata e negata dal successivo art. 15 che afferma: «Il Popolo esercita il potere dello Stato attraverso la Presidenza della Repubblica, che dirige il Governo e coordina gli organi legislativi, giudiziari, elettorali e di controllo della Pubblica Amministrazione e di Vigilanza e degli Enti Autonomi». Tutto e il contrario di tutto, in un calderone che di rivoluzionario non ha neppure la parvenza.
A mio avviso, però, le modifiche relative all’assetto istituzionale sono comunque secondarie rispetto a una decisione che non pare di certo evolutiva né tantomeno rivoluzionaria. Mi riferisco soprattutto all’abrogazione dell’art. 36 che afferma: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria integrità fisica, psichica e morale. Nessuno sarà sottoposto a torture, procedure, sanzioni né a trattamenti crudeli, inumani o degradanti. La violazione di questo diritto costituisce un reato e sarà punito dalla legge». Il nuovo testo dell’art. 36 è decisamente generico e fuorviante: «In Nicaragua è vietata ogni forma di sfruttamento umano; nessuno sarà sottoposto ad alcun tipo di schiavitù, servitù o tratta di esseri umani». Il concetto di tortura sparisce completamente, sostituito da altri che designano situazioni assai diverse. La schiavitù o la tratta indicano una condizione di sottomissione, mentre la tortura è un metodo di coercizione fisica o psicologica che non necessariamente si applica a persone in condizione di schiavitù o di tratta. In nessun articolo della nuova Costituzione si proibisce espressamente la tortura, per cui, indirettamente la si consente.
Chissà perché vengono in mente le recenti esternazioni del sottosegretario Del Mastro, ma ogni commento è superfluo.
Totalmente modificato è l’art. 27, che recitava: «Tutte le persone sono uguali davanti alla legge e hanno il diritto a un’eguale protezione. Non ci sarà alcuna discriminazione basata sulla nascita, nazionalità, credo politico, razza, sesso, lingua, religione, opinione, origine, posizione economica o status sociale». Cancellando il divieto di discriminazione e sostituendolo con affermazioni generiche e vaghe si consente alla magistratura un comportamento diverso in base a credo politico, razza, sesso, lingua, religione, opinione ecc.
Pure l’art. 5 è destinato alla cancellazione con la prossima seconda approvazione: «Sono princìpi della nazione nicaraguense: la libertà; la giustizia; il rispetto alla dignità della persona umana; il pluralismo politico, sociale ed etnico…». Nel testo della riforma è scomparsa la semplice paroletta «politico», lasciando in vita soltanto il pluralismo sociale ed etnico (bontà loro). Che non si tratti di una dimenticanza o di una svista è più che evidente: indica infatti la volontà di giungere al partito unico. Il pluralismo politico era uno dei cardini della Rivoluzione Popolare Sandinista, ma chi se lo ricorda più? La deriva verso il partito unico (e la correlativa discriminazione in base al credo politico e alle opinioni) è confermata dal nuovo art. 20 che aggiunge tra i simboli della Patria (oltre alla bandiera bianco-azzurra e allo scudo nazionale) il vessillo rossonero, che da anni è costantemente appaiato a quello nazionale nelle occasioni ufficiali (e nelle ambasciate di tutto il mondo). Nel testo si parla della bandiera relativa alla «lotta antimperialista del generale Augusto C. Sandino» ma si può stare certi che sarà invece quella con la sigla FSLN (che non ha più nulla a che vedere con la lotta antisomozista né con gli anni Ottanta del secolo scorso, essendo stata abbondantemente tradita dall’orteguismo).
Anche in questo caso ogni commento è superfluo e qui è opportuno fermarsi in attesa dell’approvazione definitiva del testo ufficiale della nuova Costituzione che entrerà in vigore, non a caso, nell’anno antecedente alle elezioni del 2026. Elezioni che si svolgeranno quindi con una Costituzione che ha cancellato il pluralismo politico e che, indirettamente, ammette l’uso della tortura. Poco importa che questa sia condannata e proibita da vari trattati internazionali, poiché «Non avranno valore leggi, strumenti internazionali, decreti, regolamenti, ordinanze o provvedimenti che si oppongano o ne alterino le disposizioni [della Costituzione]» (art. 182).
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Quanto ormai pure la storia sia usata ad uso e consumo del potere orteguista, trasformando un codardo in un eroe, lo si può rilevare dalle modifiche al preambolo, all’inizio del quale si evoca «La lotta dei nostri antenati indigeni che ha la sua massima espressione nei Caciques Diriangén, Nicarao e Adiact, paradigmi di dignità, tenacia e coraggio, che hanno forgiato e seguito cammini ispiratori, in lotte di liberazione coraggiose e decisive».
Chiunque abbia frequentato il Nicaragua negli anni Ottanta sa bene che esiste una notevole differenza tra l’agire di Diriangén e di Nicarao nel lontano 1523, due capi indigeni che si comportarono in modi assai diversi nei confronti dei conquistadores spagnoli. Nicarao si mostrò amichevole e collaborativo con Gil Gonzáles Dávila, mentre Diriangén lo affrontò con las armas en las manos.
Già da anni Daniel e Rosario hanno mandato in soffitta le parole pronunciate nel 1933 da Sandino: «In verità, la parola Nicaragua è stata quella di un Paese maledetto: innanzitutto gli spagnoli gli hanno dato questo nome prendendolo da un cacique codardo che aveva paura di quattro cavalli e di un centinaio di spagnoli cenciosi! Dissero che Nicarao era un uomo saggio perché parlò loro del diluvio e non oppose resistenza, donandogli pure oro e cibo e lasciandosi battezzare lodando Gesù! Che diavolo di diluvio, se comunicavano soltanto con gesti! Era codardo, ecco perché chiamarono Nicaragua il nostro paese. Perché non lo chiamarono Diriangén?… Se non fosse stato per l’aiuto traditore di Nicarao, Diriangén li avrebbe gettati nel lago e li avrebbe fatti fuori. Il Nicaragua dovrebbe chiamarsi Diriangén o Diriamba» (Ramon de Belausteguigoitia, Con Sandino en Nicaragua, Editorial Nueva Nicaragua, Managua 1981).
Nella guida italiana del Nicaragua Lonelyplanet si legge: «In un episodio rimasto famoso nella storia locale, il capo [Nicarao] pose allo spagnolo numerose domande sulla scienza, la tecnologia e la storia; in cambio delle informazioni costui [Gil Gonzáles Dávila] richiese la conversione al cristianesimo dei nativi. Il popolo di Nicarao obbedì, compiendo un gesto che riuscì solo a posticipare il massacro della popolazione avvenuto poco dopo per mano dei conquistadores spagnoli; la strage costituì un avvertimento più che eloquente per le altre tribù dell’area. Sei mesi dopo, Gonzáles fece la stessa offerta al cacique Diriangén: i suoi guerrieri furono sconfitti e trucidati, ma il loro gesto ispirò l’opposizione di altri nativi» (2010, pp. 15-6).
Questa storia è inizialmente narrata da Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés, il primo cronista delle Indie, con dovizia di particolari (Historia general y natural de las Indias, islas y tierra firme del mar océano, scritta dal 1478 al 1557). Oviedo non aveva alcun interesse nel modificare gli eventi e la sua narrazione è stata ripetuta nei secoli successivi dai vari storici nicaraguensi, con lievi varianti ma mantenendo la sostanza degli eventi e rimarcando la differenza di atteggiamento tra i due caciques nei confronti degli invasori europei. Lo storiografo Tomás Ayón parla genericamente dei «castigliani [che] rimasero stupiti dall’audacia e dal valore dei loro avversari» (Historia de Nicaragua, Managua 1882, tomo I, p. 167). José Dolores Gámez aggiunge addirittura che un indio dei Nicarao avvertì Gonzáles sui preparativi bellicosi di Diriangén, dandogli così il tempo per prepararsi allo scontro, dal quale uscì vincitore (Historia de Nicaragua, Managua 1889, p. 109).
Nella nuova Costituzione, il codardo Nicarao si trasforma in eroe della libertà e della sovranità.
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Il 20 novembre 1967, due giorni dopo l’arresto, il quotidiano della tirannia somozista Novedades pubblicò in prima pagina la notizia di un codardo tradimento assai simile a quello di Nicarao: «In base a fonti ufficiali possiamo oggi confermare la cattura degli individui Daniel Ortega e Harold Solano, avvenuta sabato scorso in questa capitale. Abbiamo anche appreso da una buona fonte che nell’interrogatorio dell’Ufficio per la Sicurezza, Daniel Ortega ha fornito una serie di piste e dettagli in relazione al movimento sovversivo. […] Una di queste piste ha condotto alla cattura dell’estremista Luis Álvarez, appartenente alla cellula comunista che stava operando a León. Grazie alle stesse informazioni fornite dall’individuo Daniel Ortega, sono state effettuate alcune perquisizioni a Managua e in altri luoghi della Repubblica» («Guerrillero capturado da pista a la autoridad»).
Ogni commento è superfluo.