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La Bottega del Barbieri

No grandi opere, sì a bonifiche del…

… territorio inquinato, alle riconversioni di attività nocive

di Turi Palidda e Andrea Fumagalli (*)

In occasione dell’importante manifestazione NO TAV che si terrà a Torino sabato 8 dicembre, Effimera esprime la propria solidarietà verso le lotte che, opponendosi a grandi opere inutili e dannose, si fanno portatrici di un progetto di Italia diversa – più equa, meno tossica, radicata nei bisogni dei territori e di chi li abita.

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Viviamo nell’epoca del breve periodo, ovvero della “memoria corta”, sussunta dai bombardamenti velocissimi di immagini e news e di disinformazione di ogni sorta. E’ necessario fare una constatazione banale ma assai illuminante: sino a circa un anno fa si aveva l’impressione che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, dei media e delle autorità pubbliche fosse approdata o in procinto di approdare alla bocciatura della TAV e di altre grandi opere che erano state enunciate sin dai tempi di Berlusconi e da Prodi (ricordate il ponte sullo stretto, le new towns, le TAV sul Mugello, ecc. ecc.?).

Da Luca Mercalli, a tanti altri personaggi mediatici (ad esempio, una trasmissione Report di Milena Gabanelli), a buona parte degli opinion maker od opinion leader, tutti sembravano schierati per il NO alle grandi opere. E invece, quasi come una sorta di evento catalizzatore, ecco che dopo il crollo del ponte Morandi a Genova si è scatenata una propaganda crescente contro“L’italia dei No che blocca le grandi opere” (così titolava il 16 agosto – due giorni dopo il crollo del ponte a Genova – un’importante rivista di affari scrivendo: “Il crollo del ponte Morandi squarcia il velo ipocrita dell’Italia dei No al progresso o dei “si ma non nel mio giardino”).

Quasi lo stesso titolo viene successivamente ripreso nello scorso ottobre da un dossier video-animato di La Repubblica: “Il movimento del No.Tutte le opere bloccate dai Cinquestelle: 24 progetti in tutta Italia, dalle strade agli ospedali, viaggio tra i cantieri sospesi”. Il quotidiano, espressione dell’ex-sinistra italiana, si candida a essere l’unica forza a sostegno dello sviluppo economico contro i 5 Stelle. Peraltro, l’operazione è talmente poco seria che persino l’Ilva di Taranto ne fa parte. Al riguardo si legge:

Sull’Ilva i 5 Stelle promettevano la chiusura dello stabilimento e la riconversione dell’area. Luigi Di Maio da ministro dello Sviluppo economico ha invece confermato la vendita del più grande siderurgico d’Europa alla Arcelor Mittal, che si impegna a riassumere più di 10mila dipendenti dei 14mila attualmente impiegati nello stabilimento. Sono già state definite le procedure per l’esodo incentivato di parte dei dipendenti. Chi va via otterrà 100mila euro lordi. Gli investimenti (promessi) serviranno tra l’altro a coprire i parchi minerali (380 milioni di euro) e ammodernare le cokerie (250 milioni di euro). Nello stabilimento si passerà da 6 a 8 milioni di tonnellate d’acciaio prodotte all’anno. Un incremento di fatturato di 1,8 miliardi di euro (la cifra spesa da Arcelor Mittal per rilevare lo stabilimento) e – 2,4 miliardi di euro di investimenti ambientali e industriali programmati.

E’ un bel po’arduo capire dove stia il blocco che avrebbe imposto il movimento del NO?

La mobilitazione contro “il popolo del NO” s’è quindi sviluppata con il sostegno di quasi tutti i media, partiti, autorità religiose (in palese contraddizione con l’enciclica “ecologista” del papa) e dei sindacati tradizionali. E’ emblematico che a Genova la troika locale (Opusdei, massoneria di destra e massonerie di sinistra) con le autorità locali (compreso l’arcivescovo Bagnasco) e anche con i sindacati sono al riguardo tutti d’accordo. Non stupisce che il gruppo Espresso-Repubblica, La Stampa e il Secolo XIX (appartengono tutti a GEDI – GruppoEditoriale S.p.A!) sostengano a spada tratta la troika genovese contro NOTerzo Valico, NOGronda e NOponte (perché ricostruire un ponte che in realtà non cambia tanto se si aggiustano le strade che già ci sono).

La difesa accanita delle grandi opere si pone come l’unica via per l’uscita dalla crisi economica. Ed è ancora una volta sconcertante il masochismo dei sindacati che (con qualche eccezione, vedi Fiom Torino), come in passato, credono in questa “strategia”, sebbene nulla provi che produca un effettivo aumento dei posti di lavoro: è invece dimostrato che provoca solo enorme spreco di danaro pubblico, opere inutili e dannose. Prevale ancora l’idea che “meglio rischiare di morire di cancro che morire di fame” e allora “meglio accettare gli indennizzi per i rischi alla salute”.

Invece, la proposta (alternativa) del movimento “NO-grandi opere” è a favore di  un vasto programma di bonifiche dei territori inquinati o devastati e per la conversione effettivamente eco-sostenibile delle attività che producono contaminazioni tossiche e armamenti e per servizi pubblici di qualità e accessibili a tutti e gratuiti per i redditi inferiori ai 25 mila euro netti l’anno. Un programma decentrato di opere minori volte alla manutenzione del territori e dei suoi abitanti connesso alle implementazioni di infrastrutture immateriali per lo sviluppo delle economie di apprendimento e di reddito avrebbe riflessi sul livello occupazionale e sul Pil di gran lunga maggiore. Ciò di cui abbiamo bisogno è una versione moderna della NEP (Nuova Politica Economica) di leniniana memoria, adeguata a quelli che sono oggi i maggiori fattori di valorizzazione sociale ed economica (dal welfare, all’ambiente, passando per la gestione collettiva di beni comuni).

Come ben sappiamo il debito pubblico non è aumentato per scelte di politica economica a beneficio della maggioranza della popolazione ma per le scelte interessate adottate da tutti i governi che si sono succeduti sin dalla fine della guerra e soprattutto dagli anni Settanta in poi a favore degli interessi di un sistema imprenditoriale Stato-assistito e del mercato del credito. Ci domandiamo: perché i sindacati di fatto continuano a collaborare col padronato, col governo, con le lobby così come hanno fatto nella gestione della de-industrializzazione e delle delocalizzazioni incontrollate limitandosi a negoziare solo cassa integrazione e pre-pensionamenti e qualche liquidazione? Non è questa la causa principale della loro crisi di potere contrattuale? Le politiche consociative non sono forse una concausa della crisi del movimento sindacale? Le continuità fra Prodi, Berlusconi, D’Alema, Monti, Renzi e Di Maio e Salvini non hanno forse portato a un paese di disastri sanitari-ambientali, di economie sommerse, caporalato, lavoro nero e neo-schiavitù, di servizi pubblici che escludono i meno abbienti, scuole, università e ricerca in forte degrado e in generale, soprattutto, all’assenza di tutele per i lavoratori e le famiglie a basso reddito?

Se oggi si parla tanto di declino industriale dell’Italia, non è forse questo l’esito (scontato) di scelte economiche che hanno privilegiato gli interessi dei poteri imprenditoriali e bancari (in termini di precarizzazione non solo del lavoro ma della vita) e a spese di investimenti in sicurezza sociale, innovazione e miglioramento della condizione lavorative e salariali?

E’ ovvio che il movimento “NO-grandi opere” non può avere visibilità nei media soprattutto in questa congiuntura di rinsaldamento del potere politico e delle lobby che abbiamo visto all’opera a Torino nelle scorse settimane. Ma, come nei momenti più difficili vissuti dai NOTAV della ValSusa e oggi dei NO-Terzo Valico e No-Gronda, NO-TAP, NO-MUOS e altri, sarà possibile resistere e rilanciare la mobilitazione. Occorre ricordare che il futuro della stessa sopravvivenza e dell’emancipazione dai disastri non ha altre alternative che quelle che questo movimento prospetta.

L’8 dicembre a Torino può segnare un punto di svolta.

Partecipiamo tutte e tutti a questo appuntamento, per far sentire la voce di un’altra Italia possibile.

(*) ripreso da effimera.org

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