Nogara-Cocacola: dove le guardie private aggrediscono i lavoratori

Un post di Clash City Workers (*) più qualche altra informazione – e disinformazione – da Verona

Giovedì 30 siamo andati a portare solidarietà ai lavoratori, supportati da ADL Cobas, che da circa un mese hanno avviato un’intensa battaglia contro l’ennesimo cambio di appalto allo stabilimento Coca-Cola HBC di Nogara, in provincia di Verona (la più grande unità produttiva d’Europa).

Coca-Cola è diventata negli anni l’emblema dello sfruttamento lavorativo e ambientale. Sono in particolare le popolazioni delle periferie del mondo ad aver sperimentato sulla propria pelle la contraddizione fra il preteso riconoscimento operaio di alcuni diritti essenziali e il tentativo di giocare al ribasso da parte dell’azienda. Ma se questo meccanismo era vittorioso là, ad esempio nella Colombia in cui a scomparire con i diritti erano anche i sindacalisti, sembra essere vittorioso anche qui, nell’Italia del 2017. Al quarto cambio d’appalto in pochi anni, in un intrico di scatole cinesi in cui il ruolo di Coca-Cola rimane sempre in penombra, i lavoratori hanno risposto con la mobilitazione contro questo sistema che deresponsabilizza il committente per mandare sotto i riflettori quegli attori intermedi che gestiscono la mano d’opera salariata. E gestirla significa eliminare quelle forze che creano dissenso, conflitto, che avanzano rivendicazioni in termini di diritti e quindi interrompono quel clima di tacito consenso dello sfruttamento. All’ultimo cambio d’appalto, infatti, è emersa una lista nera di 14 lavoratori, tutti iscritti ad ADL Cobas (di cui due RSU), da licenziare. E qui la “diminuzione della produzione”, alle porte della stagione primaverile e con un fatturato miliardario, non può essere usata come giustificazione. Quello che oggi vediamo è ciò che ritroviamo in molte altre parti d’Italia, cioè il tentativo di sradicare la pianta politicizzata interna allo stabilimento. Come ci hanno raccontato i lavoratori, da quando ADL Cobas ha iniziato a fare attività sindacale in Coca-Cola, chi ha aderito alle sue battaglie si è visto riconoscere alcuni diritti prima assenti, come un contratto di lavoro stabile. Creare attività sindacale significa però innanzitutto avviare un controllo quotidiano sui soprusi padronali, significa stare col fiato sul collo a chi vuole guadagnare sulla tua pelle. Tutto questo ovviamente non può passare, e allora ecco i cambi di cooperative, che con ragioni pretestuose possono dichiarare gli esuberi e imporre una nuova forma contrattuale, a tutele crescenti con licenziamenti senza giusta causa. E allora quali tutele potranno mai avere gli scritti ad un sindacato conflittuale nel momento in cui vengono riassunti, ma possono essere licenziati il giorno dopo?

La risposta dei lavoratori è stata dunque compatta, pretendendo l’eliminazione di quella lista discriminatoria e la riassunzione con le stesse tutele precedenti. Il conflitto è poi montato con la totale chiusura della parte padronale, non disposta a cedere, tanto da far circolare tra i lavoratori la voce minacciosa della chiusura della produzione e delle messa in cassa integrazione. Una modalità criminale di far scontrare lavoratori con lavoratori. La tensione è in questi giorni altissima e la giungla di violenze a cui sono sottoposti i lavoratori ha raggiunto l’apice mercoledì 29, con l’arrivo di una squadra di guardie private della cooperativa, munite di teaser, che hanno aggredito gli scioperanti e le famiglie che gli stanno accanto. Pugni, calci e scosse elettriche contro chi sta protestando per i propri diritti. E’ questo il modello Coca-Cola: pestaggi e minacce contro chi protesta. Non dobbiamo aspettare un’altra tragedia come quella di Abd El-Salam, morto schiacciato da un camion durante un picchetto alla GLS di Piacenza, per incazzarci e lottare al loro fianco.

(*) ripreso da http://clashcityworkers.org

ALTRE INFO

1 – Lunedì sera Report ha dedicato un servizio alla Coca Cola con qualche cenno alla vertenza di Nogara: http://www.raiplay.it/video/2017/03/Report-b717c870-dbba-4d78-869c-33d676be6fe0.html
2 – Ieri il «Corriere del Veneto – Verona» parlava di «chiusura temporanea a Nogara» e citando l’azienda: «Situazione di pericolo, ma garantiamo il 100 per cento dello stipendio». A proposito della manifestazione dei Cobas – «alla quale sono stati invitati gli iscritti di tutto il Veneto» – ecco la voce del padrone: «più gente viene qua, più tensione si può creare – è il commento di Emiliano Maria Cappuccitti, direttore Risorse Umane di Coca Cola Italia, da una settimana “di stanza” a Nogara – noi ci auguriamo solo che la situazione si risolva il più rapidamente possibile, così che le parti (oltre l’Adl, il consorzio Vega Servizi, che gestisce la parte logistica a Nogara,
ndr) possano negoziare. Noi abbiamo tutti gli interessi a non chiudere, ma qua c’è un’oggettiva situazione di pericolo. Non stiamo tranquilli con le persone sul tetto (occupato lo scorso mercoledì da sei operai, ndr). Abbiamo garantito a tutti il cento per cento dello stipendio: l’azienda aggiunge il venti all’ottanta assicurato dalla Cig. Siamo certi che tutti i dipendenti di Nogara sono con noi». Neanche una parola ai lavoratori e ai Cobas; la chiamano informazione equilibrata.
3 – Sempre ieri il quotidiano «L’Arena» titolava in stile “terza guerra mondiale” ovvero: «Coca Cola, fermata l’attività. Si mobilita l’ambasciata Usa» Con questo sottotitolo: «Ieri sera l’azienda ha interrotto la produzione per tutelare la sicurezza di operai e impianti. Oggi manifestazione dei Cobas». Il pezzo iniziava così: «L’ambasciata degli Stati Uniti a Roma ha deciso di fare pressing sul Governo di Paolo Gentiloni per chiedere una soluzione rapida dei disordini che si stanno registrando nello stabilimento Coca Cola di Nogara. La presa di posizione della diplomazia americana viene confermata da Emiliano Maria Cappuccitti, responsabile delle risorse umane della multinazionale di Atlanta». Però qui almeno c’è l’altra voce, addirittura 17 parole fra virgolette all’interno di un lungo pezzo ovviamente pro Cocacola: «Non abbiamo parlato di soldi ma solo di reintegro – afferma Roberto Malesani, leader dei Cobas – vogliamo che tutti i dipendenti tornino al lavoro».

LA VIGNETTA – scelta qui in “redazione” – E’ DI GIULIANO SPAGNUL

 

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