Noi, figli e figlie di migranti, forti fino a che…

di Giulia Dal Monte

 

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Ho impiegato parecchie, troppe ore prima di trovare il coraggio di visitare le pagine di Matteo Salvini e Marine Le Pen dopo quel che è accaduto a Parigi.
Mi ci è voluto così tanto tempo perché – forse non ci crederete – ma a noi, figli e figlie di migranti, si stringe lo stomaco a ogni commento insultante, a ogni post di questi esseri dis-umani.
Ne parliamo tutti i giorni, partecipiamo a manifestazioni e iniziative, militiamo all’interno di associazioni o partiti politici ma niente la voglia di metterci a piangere a ogni insulto rimane.
Sembriamo incrollabili, e fino a un momento della nostra vita pensiamo davvero di esserlo.
A partire dalle scuole elementari ci viene ripetuto quanto siamo fortunati a sapere più lingue, a viaggiare in giro per il mondo, a mangiare cose differenti, a saper ballare, ridere più degli altri e così via. Ci riempiono di domande, che sono sempre le stesse, ma a noi piace continuare a rispondere, a soddisfare i loro dubbi, a sfatare miti e decostruire pregiudizi.
Non ho una visione idealizzata dei giovani di seconda (anzi, ormai terza) generazione, sono proprio così. Proiettati verso il futuro, forti.
Forti fino a che non si scontrano con la realtà, fino a che non capita di ascoltare gli insulti – anche quelli sempre gli stessi, come le domande – rivolti ai migranti, che non sono persone astratte, ma mia madre, mio padre, mia sorella, i miei nonni.
E li ascolti in treno mentre leggi un libro, al mercato mentre guardi le bancarelle, in campagna elettorale quando sembra che l’Africa intera ci stia per invadere, dalla parrucchiera quando la signora borghese spera che «questa volta muoiano tutti nel Mediterraneo, perché sennò ci saranno sempre più disoccupati» o li leggi sui quotidiani da preti, vescovi, commercianti, aspiranti politici o politici di professione.
E le lacrime salgono. E il nodo alla gola. E la voglia di urlare. E la forza che non c’è più, perché sei troppo stanca\o, perché quella è la mia professoressa, perché forse con lui è meglio non litigare, perché al prete non posso rispondere male. Perché, perché, perché.

Sì, cari coetanei meticci, lo so cosa si prova, e vi scrivo per dirvi che non siete soli, che prima o poi una parte dell’Italia lo dirà apertamente, dirà che oltre a essere Charlie, Ahmed, Yoav, Philippe, è anche antirazzista e rispettosa. Rispettosa anche di chi vive nella propria città ma magari ha il colore della pelle diverso dal suo, di chi invece di andare a messa la domenica va in moschea il venerdì o in sinagoga il sabato, di chi andrebbe incontrato prima di essere giudicato.
Cari coetanei, volevo solo condividere con voi queste maledette emozioni negative che prendono il posto di tante belle esperienze vissute nei nostri due Paesi, nelle nostre due case.
Volevo dirvi che prima o poi anche gli sciacalli come Salvini e Le Pen, che giocano sulle vite delle persone si vergogneranno per tutto il dolore causato.

Volevo dirvi che dobbiamo metterci tutta la nostra passione, il nostro impegno e la nostra voglia di vivere per non finire dentro classificazioni che ci distruggono.
Volevo tanto dirvi che da europei ci dovrebbe aspettare un futuro solidale, ma non è così.
Dobbiamo impegnarci, cercare a tutti i costi di studiare il più possibile affinché la barbarie non prevalga, creare spazi di confronto, conoscere e farci conoscere.

Volevo dirvi che questa volta la differenza la possiamo fare solo noi.

 

Redazione
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