Non ci capisco un cubo (ma un Rubik sì?)
di Fabrizio Melodia
Da poco (13 luglio 1944) è passato l’anniversario della nascita di Erno Rubik, noto architetto e creatore burlone del cubo colorato che porta il suo nome e che molta fortuna portò alle sue finanze. Il suo creatore ci mise all’incirca un mesetto per risolvere il rompicapo che aveva creato, non senza difficoltà come egli stesso ammise: «È stato bellissimo vedere come, appena dopo poche mosse, i colori hanno cominciato a mischiarsi, apparentemente in modo casuale. È stato enormemente piacevole vedere questa parata di colori. Così, come dopo una lunga passeggiata, dopo aver visto bellissimi posti si decide di tornare a casa, dopo un po’ ho deciso di tornare indietro, di rimettere i piccoli cubi in ordine. E questo è stato il momento in cui mi sono trovato faccia a faccia con la grande sfida: dov’è la strada per tornare a casa?».
Era così nato un “gioco” che dal 1983 – anno della sua commercializzazione su vasta scala – ebbe modo di fregiarsi del titolo di «rompicapo in solitaria del secolo» come ebbe a rimarcare la giuria tedesca che lo premiò con il prestigioso Spiel des jahres conferito ogni anno al miglior gioco da tavolo.
La moda faceva impazzire i risolutori disperati di ogni parte del globo: il Cubo – anzi il Cubik come qualcuno lo chiamò – era colpevole di levare il sonno a chiunque lo tenesse fra le mani .. se non arrivava a stufarsi prima. In realtà era nato con tutt’altro scopo: voleva essere solo uno strumento intuitivo di didattica. Rubik infatti lo aveva costruito, con le proprie mani, all’Accademia delle Arti di Budapest mentre era in cerca di un modo per aiutare i suoi studenti a familiarizzare con il concetto di tridimensionalità. Altri dicono che lo avesse creato per trovar un sistema in cui 26 cubetti potessero incastrarsi fra loro muovendosi indipendentemente.
La sfida rimane: «Come tornare a casa?».
Una domanda tutt’altro che banale, in quanto la maggior parte dei giochi da tavolo si basa su sistemi a cascata, dove ogni mossa del giocatore modifica in modo irreversibile la situazione e in risposta alla mossa successiva tutto precipita più o meno come un effetto a cascata volontaria; pensiamo agli scacchi e alla dama.
Altri giochi da tavolo, tipo Dungeons & Dragons, si basano sul “tornare a casa”, ovvero risolvere gli enigmi e affrontare le creature per uscire dal labirinto (Dungeon).
Dunque il cubo di Rubik svela il proprio volto di modello di storia collettiva più che di rompicapo universale: tornare a casa fa parte del viaggio dell’eroe, come Ulisse ci ricorda. Mai come in questo caso la Storia Universale ha connotazioni fantascientifiche oltre che fantasy e mitologiche, tanto per non ricordare quel marpione di Teseo, la traviata Arianna con il Minotauro cornuto e bastonato nel labirinto di Minosse.
Ma possiamo pensare anche ai cubi nella fantascienza, che prendono il nome di tesseratti.
Cos’è un tesseratto? In geometria è un ipercubo quadrimensionale. Ok, adesso vi consegno un po’ di pastiglie per il mal di testa perché fra poco sarà peggio, credetemi. Ma vi divertirete… se avrete la pazienza di seguirmi.
Il termine tesseratto fu coniato e usato per la prima volta da Charles Howard Hinton nel 1888 nel suo libro «Una nuova era del pensiero», per descrivere la realtà spaziale in cui vive l’uomo. Non poteva passare inosservato ai marpioni della fantascienza ed ecco lo scrittore statunitense (non molto amato da me lo ammetto) Robert A. Heinlein, con il racconto matematico e matemagico «La casa nuova» del 1941) con un’abitazione dove – in teoria – tutti noi vorremmo vivere e non per la domotica.
In questo racconto umoristico, l’architetto – uno sbalestrato come Erno Rubik? – e i suoi committenti si trovano in difficoltà nel muoversi fra le stanze: Spostarsi fra l’interno e l’esterno nell’innovativa abitazione è un incubo anzi… un ipercubo sviluppato nello spazio: consta di 4 stanze cubiche disposte una sull’altra (4 piani) e quattro stanze disposte come balconi intorno alla stanza al primo piano. Il problema è che questa casa è costruita nei pressi della Faglia di Sant’Andrea e, mentre i visitatori sono tutti all’interno, un terremoto “richiude” la casa su se stessa (nella quarta dimensione) facendo sì che nessuno riesca più a uscirne. Forse era il caso di mettere una sicura antisismica, che dite?
Altri cubi rompitesta?
Passiamo al romanzo «Nelle pieghe del tempo» (1963) di Madeleine L’ Engle, un interessante e pregevole science fantasy che fu rifiutato da 26 case editrici perché era “troppo diverso”. Unendo elementi fantascientifici e fantasy in un sapiente e calibrato mix, l’ autrice narra con una buona dose di humor le vicende della famiglia Murry. Tutto inizia con il trafelato arrivo in una notte nevosa dell’eccentrica signora Cosè, accolta da Meg Murry, cioè l’irascibile, imbranata ma geniale figlia di due strambi scienziati. La signora Cosè e le sue amiche, Chi e Quale, risultano essere creature trascendentali che trasportano Meg, Charles Wallace e il loro amico Calvin per le galassie con il tesseratto, qui definito come uno strumento in grado di “piegare” il tessuto dello spazio e del tempo. Le tre signore rivelano ai ragazzi che la galassia sta per essere conquistata da una nuvola oscura, che è la visibile manifestazione del male. Il padre scomparso di Meg stava lavorando a un progetto segreto del governo per ottenere un sistema con il quale viaggiare più veloce della luce attraverso il tesseratto quando accidentalmente finì su Camazotz, un pianeta alieno che sta all’interno della nuvola del male. I ragazzi scoprono anche che la Terra è parzialmente coperta dall’oscurità, sebbene grandi figure religiose, filosofi e artisti stiano combattendo contro di essa.
Da questo romanzo, il primo di una serie di otto libri pubblicati dalla Bompiani, è stato realizzato dalla Disney un adattamento per un tv movie nel 2003 dal titolo «Viaggio nel mondo che non c’è», diretto da John Kent Harrison e sceneggiato da Susan Shilliday, che presenta molte e significative differenze rispetto al romanzo. Poi nel 2016 sempre la Disney realizzato il film dal titolo «Nelle pieghe del tempo», più attento al romanzo, sceneggiato con piglio sicuro da Jennifer Lee e diretto da Ava DuVernay, con un cast di tutto rispetto che annovera come protagonista Storm Reid nel ruolo di Margaret Murry, affiancata da Oprah Winfrey, Reese Witherspoon, Mindy Kaling, Zach Galifianakis e Chris Pine.
Restiamo al cinema con un film terrifcante non solo per i matematici: sto parlando di «Hypercube» del 2002: diretto da Andrzej Sekuła, sequel del notevole successo di «The cube» di Vincenzo Natali (produzione canadese assai apprezzata, tanto da ricevere il premio della critica al festival internazionale del cinema di Porto nel 2005). Ne parlo poiché a differenza del precedente, introduce la quarta dimensione e l’iperspazio. In breve la trama: otto sconosciuti si risvegliano in un misterioso luogo costituito da stanze cubiche con una porta su ogni faccia che conduce a un altro livello. Non tardano a capire che le stanze si muovono, non solo nello spazio, ma anche nel tempo, e che molte contengono trappole mortali. Benché inizialmente i prigionieri sembrino non avere niente in comune, comprenderanno di essere in qualche modo (anche indiretto) legati a una delle maggiori aziende produttrici di armi, la Izon.
Da perderci la testa.
Rapida carrellata su altri buchi-cubi e dintorni. Nel film “Interstellar” (2014) – già approfondito molte volte in “bottega”- Cooper,il protagonista, entra in un buco nero e, raggiunta la singolarità, scopre di trovarsi in realtà all’interno di un artefatto a forma di tesseratto.
Altri riferimenti si possono trovare nel film «Captain America – Il primo Vendicatore» (2011) in cui troviamo il nazista Johann Schmidt, cioè Teschio Rosso, che definisce il Tesseract come il Cubo Cosmico, un potentissimo artefatto cubico blu rinvenuto in Norvegia e in grado di fornire energia illimitata; a detta di Schmidt faceva parte della collezione di Odino.
In «The Avengers» (del 2012) Loki, fratellastro malvagio di Thor, utilizza il Tesseract già visto nel film appena citato per aprire un ponte spaziale, potendo così condurre i Chitauri sulla Terra, dichiarandole guerra.
Volando in casa italiana e per la precisione in ambito fumetto bonelliano, troviamo il numero 63 di Dylan Dog, intitolato «Maelstrom!»: il raduno delle streghe si deve tenere in una casa che si rivela essere un tesseratto. E sempre rimanendo da Bonelli, troviamo il numero 173 di Martin Mystère: il noto “detective dell’impossibile” è catapultato a Firenze per affrontare i cavalieri di San Romano che sembrano essere venuti fuori dall’omonimo dipinto di Paolo Uccello … si scoprirà essere un maestro di divina prospettiva e tesseratti di vecchia generazione.
Dopo questo breve viaggio siamo tornati a casa, nella nostra rassicurante realtà che ha tutti i cubi al posto giusto e nelle dimensioni abituali. Ma se non fosse cosi? Se fossimo solo su uno dei cubi in cui la realtà viene svolta nei perni fermi dello spazio e del tempo? Il nostro tornare a casa dunque non è solo un bisogno vitale ma un assetto cosmico? Non so voi ma io non ci capisco un cubo e lascio la parola finale al film «Hannah e le sue sorelle» con Woody Allen nel ruolo di Michey Sachs: «Milioni di libri scritti su ogni concepibile argomento da tutte queste grandi menti e alla fine nessuno di loro sa niente più di me sui grandi misteri della vita. Ho letto Socrate. Sapete, schiappettava i ragazzini greci. Che diavolo ha da insegnare a me? E Nietzsche, con la sua teoria dell’eterno ritorno. Diceva che la vita che noi viviamo la vivremo ancora, ancora e ancora, e esattamente nello stesso modo per l’eternità. Splendido! Questo significa che io dovrò vedere ancora Holiday on Ice. Non vale la pena».