Non è di alieni che stiamo parlando?

Dove Giulia Abbate incrocia «Storia della tua vita» di Ted Chiang e «Mattatoio 5» di Kurt Vonnegut (*)

 

Storia della tua vita” è il celeberrimo racconto di Ted Chiang, pubblicato a fine anni ’90 e diventato famoso dopo l’uscita del film “Arrival“.

La pellicola ha suscitato orgasmi nel popolo fantascientista, che si è catapultato a vederlo a recensirlo a commentarlo a spoilerarlo a rivederlo come se non ci fosse un domani. Tutti, tranne la stronza qui presente, che al momento di scrivere la recensione al racconto NON ha ancora visto il film.

 

La linguista Louise Banks viene contattata dal solito militare, accompagnato dal solito scienziato, per la solita missione: ci sono gli alieni, capiamoci qualcosa. Gli alieni invece sono piuttosto insoliti: miti, imperscutabili, sono tra noi per dare un’occhiata e fanno quel che fanno per motivi che a loro non pare così importante avere.

Insoliti e affascinanti sono anche i resoconti dell’inizio della comunicazione e dello studio del linguaggio alieno. Anche la vita della protagonista cambia, attraverso la graduale comprensione del linguaggio, e dunque del modo di pensare alieno: comprensione che passa anche per la reinterpretazione di assiomi della fisica riformulati a partire da “un altro modo di vedere le cose”.

 

Cambia il suo essere madre, il suo modo di vedere sua figlia, il suo modo di vivere un rapporto incredibilmente forte e insieme delicatissimo, descritto da Chiang con una lucidità, una pragmaticità e un’attenzione al dettaglio e alle sfumature di pensiero che mi hanno fatto rabbrividire.
Ho due figlie femmine. Penso di sapere di cosa stiamo parlando.

Perché qui non è di alieni che stiamo parlando. Ma di cosucce molto più vicine a noi, come il fatto che padroneggiare un linguaggio diverso dal tuo ti cambia la struttura mentale. O che imparare una nuova lingua non significa sapere le parole straniere ma farsi straniero, e ibridarsi, lasciarsi contaminare da un senso altro di ogni cosa, delle stesse cose, quando le chiami e le organizzi semanticamente in modo diverso.

Il significante plasma il significato, diciamocelo pure.

E nel momento in cui Louise Banks accetta di imparare “Eptapode B”, rende possibile un’invasione aliena. Che si compie al compiersi dell’atto di volizione che è il linguaggio, come ci insegna Patrick Boylan, linguista, insegnante e attivista, in un pezzo scritto per Studio83: Il traduttore camaleonte.

 

Anche solo per questo, “Storia della tua vita” sarebbe un racconto notevole. Ma Chiang ha voluto fare le cose in grande, e al tema del linguaggio ha aggiunto quello ancor più centrale del tempo.

È qui che il racconto si fa davvero ambizioso, perché va a misurarsi direttamente con un monumento: “Mattatoio 5” di Kurt Vonnegut, romanzo incentrato sullo stesso tema  e con lo stesso meccanismo.

Kurt as “Pilgrim”, in una splendida vignetta da Pinterest

 

Anche “Mattatoio 5” verte sulla concezione umana di tempo; sui tanti e crudeli modi in cui esso si frammenta e ci fa del male; e su come possiamo noi piccoli mortali venire a patti con irreparabili ferite che frammentano anche il nostro spirito, e sperare in una ritrovata unità, attraverso la sintesi del tempo diacronico in una sincronicità interiore che azzera passato e futuro in un presente unico, eterno, necessario e sufficiente.

Il povero Billy Pilgrim di Vonnegut è un ragazzino mandato in guerra e rovinato da una devastante sindrome da stress post traumatico, che lo riduce a un morto che cammina, a uno zombie apparentemente funzionante ma “dai piedi blu e avorio” come i cadaveri. Impara a tornaré in sé, almeno in parte, grazie agli alieni che lo rapiscono e lo portano su Tralfamadore. E lo educono sul fatto che il tempo non è una serie di momenti successivi legati da relazione di causa-effetto, ma un assortimento di quadri  disposti l’uno accanto all’altro, sincronici, immutabili, che così sono, furono e saranno per sempre.
Solo accettando il fatto che ogni avvenimento, anche il più orribile, è necessario e sufficiente così com’è (accettando cioè che
non contiamo un cazzo e non abbiamo influenza su un bel nulla) BIlly Pilgrim può mettersi il cuore in pace e “viaggiare nel tempo” con uno spirito di accettazione e non più di rassegnazione.

[In PNL tutto ciò è una tecnica, si chiama “Trough time” ed è una chiave per la felicità. Altro linguaggio, identica cosa.]

 

Un tipico tralfamadoriano: a forma di cavaturaccioli, con un occhio sopra una mano spalancata. Qualsiasi cosa prendesse Vonnegut, la voglio anch’io.

 

Ecco, la stessa cosa la ottiene Chiang sulla sua protagonista, passando per la volontaria ibridazione aliena che la linguista compie su se stessa: Louise Banks capisce l’interpretazione degli Eptapodi, sceglie di farla sua, e da quel momento in poi vive ogni momento come inevitabile e tendente alle proprie, insite mete. Non alle proprie conseguenze: ma agli scopi verso i quali tutto tende andando in un certo modo.

E a cosa, in fondo, tende l’universo? Alla morte della propria figlia venticinquenne, forse. Non è uno spoiler: lo si rivela nella prima pagina. E a mio avviso quello della morte e del riconoscimento di sua figlia è il vero momento in cui si innesca in Louise l’invasione di un linguaggio che fino ad allora la donna conosce e comprende, ma che sceglie di fare proprio e di far funzionare anche in modo retroattivo, reintepretando l’intera storia della vita di sua figlia, solo quando è costretta a reagire alla devastazione del lutto.

Perché quando una figlia o un figlio muore, tu vai in pezzi. E l’unico modo per tenerti i tuoi pezzi è rivivere, rivivere i momenti in cui tua figlia è stata viva, renderli eterni, girare su quelli, sincronizzarti sul ricordo e dirti che tutto è necessario e sufficiente, anche il fatto che tu sei viva e lei no e non ci puoi fare nulla.

di Kurt Vonnegut

 

Il lutto, secondo me, è una chiave di lettura valida di “Storia della tua vita”, una storia raccontata al tempo futuro a una morta.
Il discorso sul linguaggio è il
meccanismo che fa girare le rotelle, ed è un meccanismo valido e ben architettato.
Ma la
deflagrazione dell’io e l’implosione del tempo, che in qualche modo vanno rappezzati per poter continuare a vivere, sono il punto della questione.

A mio avviso, Vonnegut l’ha affrontato meglio, e Chiang, scrittore molto tecnico ma anche un po’ freddo, da questo punto di vista non ha inventato nulla:  l’ha ripreso quasi uguale, ha sfruttato ottimamente la tecnica del flashback-flashforward e ha imbastito un superbo travestimento hard scifi, da apprezzare anche se non siamo né siamo stati studenti di linguistica (io lo sono stata. Ed è stata dura).

 

Aho, a Ted, aricordate dell’amici!

 

Non è poco. “Storia della tua vita” è un racconto ottimo, riuscito, funzionante e davvero destabilizzante. Ci commuove, ci fa tremare, ci fa puntare i piedi quando intuiamo cosa accadrà (essendo Vonnegut il mio guru, ahimé, io avevo più di un’intuizione). Può insegnarci molto, fa sicuramente venire voglia di imparare una nuova lingua. E cazzo se mi voglio vedere il film, adesso.

Magari inizierà con:

Ascoltate: Louise Banks ha viaggiato nel tempo.

E finirà con:

Pi-tu-it.

Forse mi sbaglio. Mi consola il fatto che non può essere che così, e così sempre sarà. Quindi, in soldoni: perché preoccuparsi? Perché prendersela tanto?

Pi-tu-it!

 

Card di Kent Smith, da qui: http://www.libraryasincubatorproject.org/?p=7510

 

(*) ripreso da https://lezionisuldomani.wordpress.com [blog di fantascienza] con questi articoli collegati: “Storie della tua vita” di Ted Chiang – Recensione e Arrival – Recensione. In bottega cfr Arrival – Denis Villeneuve di Francesco Masala e Fantascienza: Ted Chiang fra i grandi di db

 

Redazione
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Un commento

  • Ho gradito molto e pure sgradito. L’articolo è ottimo, di argomento interessante, il tono spigliato, accattivante, senza troppe semplificazioni. Non si limita a effettuare una sintesi dell’opera presa in esame, affronta e spiega le problematiche sottostanti. Bene.
    Ma
    Giulia Abbate, chi è costei? Certamente non una di passaggio. Non una qualsiasi.
    Com’è che non la conosco? Abissale ignoranza mia, me la ritrovo gettata in faccia senza misericordia…
    Per compensare copio. E non dite di no. Perché vi faccio causa.

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