Non fu il generale Inverno a battere Napoleone

Commemorando il bi-centenario della campagna napoleonica in Russia e dell’incendio di Mosca (15-19 settembre 1812) irresistibile si ripropone la spiegazione del generale Inverno che ha battuto Napoleone, una versione accreditata da lui stesso e poi da quadri o romanzi famosi. In realtà i francesi si ritirarono da vincitori – contrariamente al re svedese Carlo XII e a Hitler, rispettivamente un secolo prima e un secolo dopo – e il freddo pesò fino a un certo punto; sembra una battuta ma alcuni storici pensano che sull’armata di Napoleone pesò di più “il caldo”, quello dei roghi di Mosca.

Per ri-raccontare questa vicenda c’è un antico e solido pilastro: un romanzo (fedele alla verità dei fatti) famosissimo come «Guerra e pace» di Lev Tolstoj. Ma dal 2007 bisogna fare i conti anche con il saggio documentatissimo «Napoleone a Mosca» dove la storica francese Anka Muhlstein ricostruisce, con stile quasi giornalistico, quanto accadde.

La campagna di Russia, lungamente preparata, inizia il 24 giugno 1812 con la traversata del fiume Niemen. Napoleone può contare su 700.000 soldati (solo 691mila assicurano i pignoli) dei quali 300mila francesi; nel coacervo di popoli in divisa si contano persino 32 mila italiani e 25mila del regno di Napoli. Questa eterogeneità si rivelerà una debolezza.

I russi sono meno (400 mila) e peggio armati. Si ritirano per rinviare gli scontri. Ma è anche una scelta strategica. Secondo il principe Kutuzov, che comandava le truppe russe, «l’armata napoleonica è un torrente e Mosca l’avrebbe prosciugata come una spugna»

Nelle rare battaglie Napoleone stra-vince. Come a Borodino il 7 settembre: 74mila soldati morti, una delle stragi più grandi d’ogni tempo. La strada per Mosca è libera, i francesi vi entrano 7 giorni dopo. Ma la trovano deserta, senza cibo. Gli abitanti in fuga danno fuoco alle case. I soldati francesi non erano «bevitori di sague», annota Anka Muhlstein, ma in questo contesto si scatenano prima a caccia di cibo, poi per fare bottino. E le truppe non francesi sono ancor meno controllabili. Intanto un fortissimo vento alimenta i roghi. A corto di provviste, Napoleone ordina la ritirata che inizia il 18 ottobre. Il piccolo corso si gloriava di essere anche un grande amatore e a lui viene attribuita la frase: «in guerra e in amor vince chi fugge». Ma stavolta si è deciso troppo tardi.

Di nuovo i russi evitano gli scontri però usano la tecnica della “terra bruciata”. Lungo la strada l’armata francese non trova cibo. I cavalli vengono macellati ma questo significa abbandonare cannoni e carri. La ritirata si sta trasformando in rotta. Ed è solo a questo punto, fra il 26 e il 29 novembre, che arriva la Berezina (da allora in francese questa parola è sinonimo di catastrofe). In realtà sul fiume bielorusso il disastro è contenuto: i russi vincono ma Napoleone evita l’accerchiamento.

Da 200 anni ci si chiede cosa spinse Napoleone in Russia. «L’imperatore è pazzo» disse allora uno dei suoi ministri. Può darsi ma si risollevò anche da quella sconfitta. Aveva – scrive Anka Muhlstein – una «stupefacente attitudine» a superare i suoi limiti. Secondo la storica francese resta «il più grande condottiero del suo tempo, se non di tutti i tempi». I libri di storia tacciono di solito con quale prezzo di vite umane.

UNA BREVE NOTA

Questo mio articolo è stato pubblicato – al solito: parola più, parola meno – il 15 settembre sul quotidiano «L’unione sarda» (db)

 

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