«Non hanno un nome, si chiamano solo migranti»

La testimonianza di Lorena Fornasir

Ai nostri confini di terra non c’è nessun migrante a cui sia riconosciuta la dignità del suo essere umano, non c’è nessun bambino che nasce nello splendore della vita. 

Nasce invece nel fango, nella terra, in una capanna di stracci e plastica, tra mani amorevoli di madri e padri che li hanno desiderati e che fuggono da guerre e persecuzioni per dare loro un futuro.

Non hanno un nome, si chiamano solo migranti. 

Un migrante è una non persona: non appartiene al regno degli umani, ma solo a quello degli ultimi della terra, gli invisibili che non sono degni di vita e neppure di morte e di sepoltura.  

Pochi giorni fa, ai nostri confini di terra, è morta una bambina curda di dieci anni affogata in due metri d’acqua strappata dalla furia del torrente Dragogna dalle mani della madre che la sorreggeva.

Poco più in là un ragazzo bengalese è morto congelato ai piedi di un albero. Una morte atroce che poteva esser risparmiata.

La nostra umana disumanità erge muri, barriere, fa volare droni, cattura esseri umani come prede di caccia, li fa morire nei boschi dei Balcani come in quelli della Polonia. 

I confini ci restituiscono corpi spezzati, ridotti a ossa, a muscoli, braccia gambe, fango, polvere. 

«L’altro sono io» dicevano le madri di Plaza de Majo. 

L’altro ha braccia, occhi, pensieri. 

«È lui che è sacro nella sua interezza e che in fondo al cuore si aspetta invincibilmene che gli venga fatto del bene e non del male»: così Simone Weil.  

Quando però alcuni bambini hanno perso l’infanzia, quando non sanno più giocare, quando ritengono normale essere cacciati e catturati come bestie o morire nei fiumi o vedere i loro padri picchiati, derubati, denudati, le madri gettate nelle acque dei fiumi, abbiamo fallito tutti. 

Solo una voce può elevarsi ed è la voce della cura e della solidarietà. 

Noi sorelle di vita siamo quelle che possiamo dire al mondo che nel regno dei bambini morti o senza infanzia non c’è nessuno scontro di civiltà, di invasione o di occupazione.

La morte di un bambino è la morte del mondo intero. 

Dopo la morte della bambina curda o di un’altra bambina di nome Amina travolta da un treno lungo i binari della rotta balcanica, dopo la morte di un qualsiasi bambino non ce n’è più un altro.

Noi sorelle di vita abbiamo sacra la vita, noi sappiamo che non c’è nessun dio e nessuna giustizia finché queste cose accadono.

Noi siamo “testimoni”; a noi spetta restituire e riparare quello che la vita ci ha dato e che ha tolto a loro.

A noi infine spetta ridare dignità a tutti coloro che vogliono vivere una vita degna di essere vissuta.

Lo possiamo fare: basta stare là “dove bisogna stare”.

Il mio posto è nella strada perché è lì che accadono le cose.

 Lorena Fornasir – Linea d’ombra di Trieste 

Grazie a Giuseppe per la segnalazione. Le vignette – scelte dalla “bottega” sono di Mauro Biani. Quella qui sopra si riferisce alle denunce poliziesche (poi archiviate) contro Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir. In “bottega” cfr Bosnia e Bielorussia: ai confini dell’inferno e Solidarietà a Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir

 

Redazione
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3 commenti

  • Mansoor Muhammad

    Tutto questo nella indifferenza mondiale
    Vergogna

  • domenico stimolo

    ABDALLAH SAID: MORTO PER LA LIBERTÀ

    di Yasmine Accardo –

    Il 4 febbraio l’avvocato Giuseppe Carnabuci, difensore di fiducia dell’avv. Antonia Borrello, tutrice di Abdallah Said, il giovane somalo di 17 anni morto il 14 settembre del 2020 per meningite tubercolare-idrocefalo, dopo 14 giorni di trattenimento sulla nave quarantena AZZURRA e 7 giorni all’Ospedale Cannizzaro di Catania, chiede l’identificazione del personale medico a bordo della nave e l’imputazione per i reati artt. 590 sexies cp e 591 c.p, rispettivamente reato di responsabilità colposa sanitaria e reato di abbandono di incapace.

    “Le condizioni generali del paziente (non in grado di alimentarsi autonomamente, affetto da delirio, astenia e anoressia, incontinenza) avrebbero dovuto indurre il personale sanitario a disporre l’immediato trasferimento in una struttura ospedaliera in grado di effettuare la dovuta diagnosi. Le argomentazioni inerenti la difficoltà linguistica e l’inadeguatezza della dotazione sanitaria e delle professionalità sanitarie utili ad effettuare i dovuti approfondimenti diagnostici (vedasi relazione consulenti e integrazione) rendono ancor più evidenti le responsabilità del personale sanitario di bordo. Il mancato tempestivo trasferimento ha determinato l’aggravarsi della patologia che ha condotto alla morte del paziente”, argomenta l’avvocato.

    L’autopsia del 30 settembre 2020, come riportato in precedenza da un articolo di Gaetano de Monte di “Domani” e dal comunicato di Rete Antirazzista Catanese e Campagna LasciateCIEntrare, chiarisce che Said fin dal suo arrivo sulla nave quarantena il 25 Agosto 2020, presentava una situazione molto critica (come riportato nei diari medici di bordo).

    Said mostrava marcata iporessia/anoressia tale da non garantire le sue esigenze nutrizionali giornaliere ed i diversi tentativi di impostare terapia idroelettrica ev sono risultati fallimentari in considerazione dello stato psicologico del ragazzo e della sua scarsa compliance a qualsiasi trattamento sanitario”, così nel diario medico di bordo.

    Una situazione che è andata aggravandosi giorno dopo giorno con un impressionante deterioramento psico-fisico fino all’incapacità di lavarsi da solo, incontinenza e ai deliri e alle allucinazioni. Va fatto continuamente presente che viene riportato sempre di barriera linguistica: la Croce Rossa non disponeva di mediatore di lingua somala, elemento questo che non poteva che rappresentare ulteriore elemento di inadeguatezza del luogo in cui Said era costretto a stare. Non solo Said era MINORE, ma un minore in stato grave. Non sarebbe mai dovuto salire sulla nave Azzurra.

    Nonostante questa situazione evidentemente non compatibile sotto ogni aspetto con il trattenimento a bordo della nave, il giovane veniva dimesso soltanto il 7 settembre.

    In particolare dal 5 settembre Said era totalmente incapace di autogestirsi, eppure non solo non venne applicata alcuna terapia reidratante, sottolineando che Said rifiutava le cure ma le disposizioni per l’evacuazione risultarono tardive: il tampone necessario per uscire dalla nave venne richiesto con ritardo ed effettuato il 7 settembre.

    Il sistema navi quarantena continua a mostrare la ferocia delle politiche nei riguardi delle persone che arrivano ai nostri confini. Una politica inadeguata, criminale e vergognosa che continua ad utilizzare hotspot, navi quarantena e Cpr per violare sistematicamente qualsiasi diritto umano.

    Nell’autopsia si sottolinea che la malattia di Said era molto grave già dall’arrivo e che quindi poteva essere fatto poco, questo significa che trattenerlo sulla nave quarantena Azzurra ha tolto a Said ogni speranza di possibilità di sopravvivere. Non era luogo idoneo né dal punto di vista sanitario né tantomeno per un minore.

    Chiediamo a gran voce che vengano dismesse subito le navi quarantena, in questo caso strumento di morte.

    Ci uniamo alle richieste dell’avvocato Carnabuci e della famiglia perché venga infine aperto il processo che possa finalmente mettere luce alle gravi conseguenze dell’uso di strumenti di coercizione, trattenimento in tutto lesivi dei diritti delle persone.

    Forse Said, se fosse stato trasferito immediatamente in ospedale, senza venir trattenuto sulle navi quarantena si sarebbe salvato.

    Certo è che sarebbe stato trattato con dignità e come una persona, non come un numero da censire e cancellare. Una persona, invece, che secondo i nostri Governi e la politica europea era normale morisse, mentre questi non perdono un colpo per mostrare tutta la loro ferocia contro chi si oppone alla chiusura dei confini.

    Perché è questo che Said ha osato fare insieme a migliaia e migliaia di altri: abbattere quelle frontiere che dividono gli uomini e le donne tra uomini e donne di serie A e di serie Z.

    In tanti continuano a morire per demolire confini che sono il segno della nostra vergogna e vigliaccheria.

    Tutti in piedi di fronte a Said. Morto per la libertà. Ucciso dalle frontiere e dall’ingiustizia della prepotenza europea

    NOI VI ACCUSIAMO

    Rete Antirazzista Catanese
    LasciateCIEntrare

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