Non solo Diabolik

di Fabrizio “Astrofilosofo” Melodia

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Il “Re del terrore” – cioè Diabolik – non ha mai avuto una vita facile, anche senza prendere in considerazione le sue vicende cartacee. Nato nel 1962 dalla fantasia delle sorelle Giussani, il nostro “eroe in nero” fu ampiamente perseguito in sede legale, con sequestri direttamente perpetrati alla casa editrice, attività censorie e querele a non finire.

Assassino e ladro, ben poco rispettoso della morale dei benpensanti, spietato contro coloro che lo minacciano, Diabolik ama indefessamente la bionda Eva Kant senza essere sposato, ricambiato da lei che si rivela una donna colta, intelligentissima al pari suo, altrettanto spietata e determinata nel proteggere il proprio compagno nonché complice di una vita condotta sul filo del rasoio e sempre in fuga, vivendo in quello che la società sedicente buona definisce “peccato”.

Non fu il primo certamente a subire le maglie e le forbici censorie. Nel ventennio fascista – come ho già accennato in altri post – il ministero della Cultura Popolare del fascismo, meglio conosciuto come MinCulPop, fece sentire sempre e pesantemente la propria voce, vietando l’importazione di materiale da Paesi non allineati e tagliando spesso le gambe agli autori nostrani, come il buon Ugolino Cossu, autore del volitivo «Dick Fulmine», che il ministero bollò così: «impossibile che sia un prodotto italiano». Cossu, in tutta risposta, si recò al MinCulPop e, dinanzi alla sbalordita commissione, disegnò in diretta alcune tavole del fumetto incriminato.

Per non parlare dell’audace «Pantera bionda», versione femminile di Tarzan tutta italiana, la quale passò i suoi guai censori a causa delle gonnelline tigrate troppo osè, un destino che sarebbe toccato nel nostro Paese anche alla più recente aliena «Lamù, la ragazza dello spazio», dai lunghi capelli verdi e dal bikini tigrato, la quale ebbe il non trascurabile privilegio di esibire il primo topless dell’animazione qui in Italia, se si escludono quelli della Fujiko Mine di «Lupin III», peraltro già censurati nella versione originale.

Il compianto Aurelio Galleppini, in arte “Galep”, storico papà grafico del ranger Tex Willer, rammentava come fu costretto dall’autorità scolastica della scuola dove insegnava a strappare pubblicamente davanti agli alunni molti albi a fumetti, alcuni dei quali realizzati da lui. L’altro papà di Tex Willer, Gianluigi Bonelli, ricordava spesso come la censura intervenisse pesantemente sui dialoghi delle storie ritenuti un po’ forti.

Tutto ciò sempre all’insegna del vecchio e mai sopito adagio che vede il fumetto solo roba per bambini: un “mostro culturale” dove i teneri virgulti sono anime innocenti prive di ogni capacità di raziocinio, da proteggere contro ogni possibile cattiva influenza esterna.

Le istituzioni dell’Italia repubblicana e democratica non hanno facilitato la maturazione culturale difficile e necessaria, non mettendo mai mano alle leggi della censura fascista, tuttora in vigore, e solo in tempi recenti, è stata riconosciuta al fumetto la pari dignità della letteratura, in quanto cultura e non semplice svago. E’ pure opinabile lo snobismo con il quale la nostra cattolicissima e contadina cultura guarda al tempo libero dedicato a nutrire e svagare la mente, quasi un “peccato mortale”, condannato fin dal Medioevo come ricorda molto bene Umberto Eco nei suoi scritti sulla risata e nel romanzo «Il nome della rosa».

Tornando a noi, la nascita di Diabolik coincide con un bisogno di liberazione accolto dal pubblico italiano, per la maggior parte lavoratori pendolari milanesi, che ogni mese prenotavano nelle edicole delle stazioni metropolitane gli albi formato tascabile, unico nel suo genere, che Angela Giussani aveva pensato proprio per quel target, un colpo di genio.

L’onda diabolika avrebbe scatenato altre ondine di riflusso, più o meno riuscite. Fra queste vorrei ricordare quelle prodotte dalla premiata coppia Max Bunker, al secolo Luciano Secchi e Roberto Raviola (meglio noto come Magnus) indiscusso maestro del fumetto italiano, di cui in questi giorni a Bologna si tiene una mostra.

Il dinamico duo – dal modo di narrare sanguigno e viscerale che tanto piace oggi a registi quali Quentin Tarantino e Robert Rodriguez – crea nel 1964 il terribile «Kriminal» e nel dicembre dello stesso anno, come diabolika strenna, vede la luce l’aggressiva e trasgressiva eroina Satanik.

Nei primi tempi di gestione dei personaggi, Max Bunker e Magnus riescono a dare una continuità interna e una qualità di testi e contenuti davvero notevoli, arrivando quasi a surclassare l’indefesso Re del Terrore a cui si erano ispirati. Tali fumetti calcano la mano su uno splatter dalle tinte comunque forti seppur non paragonabili agli sventramenti e maciullamenti odierni, unendo una satira di fondo, dove trova spazio anche un erotismo forte seppur molto castigato. E’ nell’introspezione psicologica dei personaggi che Max Bunker riesce nell’impresa non facile di presentare personaggi “contro” ma veri, dove i conflitti interiori di Tony Logan/Kriminal e di Marny Bannister/Satanik non trovano appagamento e il finale degli episodi appare per la maggior parte non risolutivo.

La forza di questa ondata fu mantenere il taglio popolare, portando alla nascita del “nero” italiano che avrebbe costituito il marchio di un’epoca e fonte d’ispirazione per molti giovani autori anche odierni, come i vari Niccolò Ammaniti, Carlo Lucarelli, De Cataldo, Giorgio Faletti e Simona Vinci.

Il fumetto era finalmente cresciuto: rivolgersi agli adulti significava poter scrivere storie diverse, con tematiche forti e pregnanti; che poi venissero lette anche dai ragazzini, questo è un altro aspetto.

Un cammino che avrebbe avuto anche il fumetto anglo-americano, il quale lentamente andò ad affrancarsi dal Comics Code, con molto ritardo rispetto all’Italia, basti pensare ad autori come Alan Moore e Neil Gaiman, autori di «Watchmen» e «Sandman» che portano l’etichetta “Per lettori maturi”, nel senso positivo del termine.

Però… «Diabolik! Molto imitato, mai eguagliato» recitava uno slogan anni sessanta dell’Astorina. In effetti, se si fa eccezione per Kriminal e Satanik, personaggi che comunque hanno finito la loro vita editoriale dieci anni dopo la pubblicazione, il “Re del Crimine” ebbe innumerevoli epigoni, più o meno riusciti. Diabolik diede origine a un’ampia schiera di personaggi negativi, efferati, sanguinari, maledetti, ambientati in scenari cupi e senza speranza, in buona parte caratterizzati dalla lettera “K”, quasi un manifesto del nero più cupo, talvolta sostituita dalla “X”, dalla “J”, dalla “Y”.

E’ appunto l’esempio di «Mister X» (1964), personaggio creato da Alfredo e Andreina Saio e disegnato da Giancarlo Tenenti, Pietro Gamba e Fausto Oneta. Narra le vicende di un ladro gentiluomo che agisce con una maschera, siglando ogni colpo con un biglietto da visita con la X bene impressa ed è rincorso per mezzo mondo dall’indefesso ispettore Roux. L’ispirazione al «Fantomas» di Allain e Souvestre è evidente ma la serie arrivò a vivere fino al 1968, ispirando di straforo anche un film interpretato da Norman Clark.

C’è anche «Sadik» (1965), una specie di Punitore creato da Nino Cannata per i testi e dal fantomatico Gian per i disegni: «Non uccido per il gusto di uccidere, se la mia strada è costellata di cadaveri, le mie eliminazioni hanno sempre anticipato la giustizia degli uomini: le vittime sono criminali incalliti che prima o poi sarebbero caduti sotto la mano del boia» afferma Sadik in persona sulla propria testata. La tuta nera e la maschera sul volto fanno pensare a Diabolik, come pure la compagna Loona e l’ispettore Castle. Sembra di sentire appunto il Punitore, famoso giustiziere della Marvel che avrebbe visto la sua comparsa sulle pagine dell’«Uomo Ragno», un criminale duro e determinato con un solo scopo: uccidere quanti più criminali possibile, all’insegna di una crociata non meglio identificata. Purtroppo Sadik non avrebbe avuto la successiva caratterizzazione del Punitore (un uomo tormentato dal massacro della propria famiglia da parte di gangster mafiosi e rimasti impuniti a causa della corruzione dei giudici): avrebbe infatti chiuso nel 1967.

Breve vita sarebbe toccata anche a «Jnfernal» (proprio con la “J” iniziale, unica nota originale), creato da Stelio Fenzo e illustrato da Pini Segna e Ivo Pavone. Questo criminale è considerato il pericolo pubblico numero uno da tutte le polizie: veste una tuta nera e grazie a speciali maschere di plastica può cambiare viso come vuole.

E veniamo a uno dei più riusciti epigoni diabolici: «Zakimort» (1965) creata da Pier Carpi e disegnata fra gli altri da Ardigò, Pini Segna, Emilio Uberti, Flavio Bozzoli.

Zakimort è l’identità segreta dietro la quale agisce la bella Freda Garlant, figlia di un malavitoso tradito e ucciso dagli uomini della sua banda. Decisa a vendicare la morte del padre, la fanciulla perseguita e uccide i criminali senza alcuna pietà, spalleggiata dall’erculeo Leo e dall’infallibile tiratore Teddy. Norton, il capo della polizia di Londra, cerca invano di catturare la conturbante giustiziera dal meraviglioso corpo fasciato dalla tuta nera, non sospettando che la sua fidanzata Freda altri non è che Zakimort. Le sue storie continueranno fino al 1972, sottolineando la buona qualità media della serie e aprendo la via agli ultimi epigoni di Diabolik.

Fra questi fa la sua comparsa «Genius» (1966, proseguito fino al 1971) dapprima creato con la tecnica del fotoromanzo e poi trasformato in fumetto vero e proprio, con i testi di Mario Gomboli, Nino Cannata e Remo Pizzardi, con alcuni episodi disegnati nientemeno che dal giovanissimo Milo Manara. Anche Genius è un eroe in calzamaglia nera che sparge morte e terrore come caramelle, inseguito senza successo dall’ispettore Long Flag.

Apparso tra il 1966 e il 1969, è un “fotoromanzo” il temibile personaggio «Killing», ricalcato però sulla figura di Kriminal, con la caratteristica maschera a forma di teschio. Ed è un fotoromanzo anche il tremendo «Fantax», sempre ricalcato su Kriminal, come si vede dalla tuta con lo scheletro disegnato in negativo, apparso fra il 1964 e il 1967, scritto da Vittorio Corte e Furio Arrasich, per i disegni di Dino Leonetti. Il personaggio è decisamente schizofrenico, ma con una punta di originalità proprio in questa sua identità segreta che ha ben poco del supereroistico: di giorno veste i panni di John Marquall e combatte per la legge mentre di notte si trasforma in Fantax, lo spietato criminale.

Arriviamo ai due «Demoniak». Il primo – scritto sempre da Furio Arrasich e disegnato dal Dino Leonetti – vide la luce fra il 1965 e il 1967, presentando un criminale in tuta nera dotato di un eccezionale genio scientifico ma dai piani decisamente megalomani: vorrebbe infatti creare una super razza per dominare il mondo. Sulle sue tracce c’è l’ispettore Mant, che tenta di acciuffarlo con l’aiuto di un gruppo di telepati. Il secondo «Demoniak» avrebbe visto la luce nel 1972 e concluso le sue vicende nello stesso anno, determinando di fatto la fine del periodo del nero italiano. E’ l’ennesimo criminale in tuta nera, personaggio dall’intelligenza formidabile che compie colpi sbalorditivi nascondendosi dietro l’insospettabile identità di Alex Gordon, presidente e maggiore azionista di una grande società di ricerca. Suo acerrimo nemico è l’ispettore Carter.

Dopo di loro, sarebbe venuta l’ondata delle sexy eroine quali Isabella, Bonnie e la vampirella Jacula, nate direttamente ispirandosi alla formula di Satanik, unendo al genere giallo manciate di esoterismo, paranormale e sesso. Terminata l’onda nera, il suo impatto non avrebbe smesso di farsi sentire, portando il fumetto italiano verso nuove strade di qualitatà su riviste quali «Il mago», «Linus», «Alter alter» e «Corto Maltese» dove Hugo Pratt ebbe modo di affermare che il fumetto è letteratura disegnata.

A ogni modo – come ricordato da poco in bottega – ancor oggi Diabolik ed Eva Kant continuano a correre sulla loro Jaguar, in lotta contro tutti e tutto, in una vita al massimo, complici di un tragico ma romantico destino.

 

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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