«Notizie di confine»: terzo rapporto Carta di Roma 2015

«In che modo i media hanno parlato di migranti e immigrazione nel 2015? Come hanno influenzato la percezione dei cittadini? Un anno di informazione su quotidiani e tg nazionali analizzato per rispondere a queste domande, tracciando le principali tendenze e rilevando buone e cattive pratiche».

Rapporto2015-cartadiroma TerzorappCartaROMA

il mestiere di raccontare la realtà p. 4

di Giovanni Maria Bellu

oltre l’immigrato mediale p. 7

di Ilvo Diamanti

l’immigrazione nella carta stampata e in tv p. 9

a cura dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza

Parte 1: analisi della carta stampata p. 11

1.1 La questione migratoria nei quotidiani italiani

1.2 Corpus e metodologia dell’analisi

1.3 L’analisi della prime pagine: cosa fa notizia nei quotidiani

1.4 L’agenda dei temi

1.5 Allarmismo ed emotività

1.6 Le parole dell’immigrazione

Parte 2: analisi dei telegiornali prime time p. 25

2.1 La questione migratoria nei telegiornali di prima serata

2.2 Corpus e metodologia dell’analisi

2.3 L’analisi dei telegiornali di prima serata

2.4 Le voci dell’immigrazione

Parte 3: buone e cattive pratiche nell’infor mazione televisiva p. 33

3.1 Principi deontologici alla prova pratica

3.2 Imprecisione e decontestualizzazione

3.3 Il tono emergenziale

3.4 I nemici alle porte

3.5 La vox populi

3.6 La narrazione costruttiva della paura

3.7 Le voci di esperti e protagonisti

3.8 I racconti alternativi

Parte 4: alcuni casi di dangerous speech p. 45

4.1 Hate speech e dangerous speech

4.2 Il discorso incendiario di Matteo Salvini sui rom

4.3 Due servizi del Tg4 sulle comunità islamiche in Italia

4.4 Un servizio del Tg4 sul degrado delle stazioni ferroviarie dopo l’afflusso

di centinaia di profughi

indice

notizie di confine Terzo rapporto Carta di Roma 2015

il mestiere

di raccontare

la realtà

di Giovanni Maria Bellu

presidente dell’Associazione Carta di Roma

Mai come in questo 2015 in Italia si è parlato tanto di immigrazione. I dati numerici sono impressionanti: dicono che i titoli di prima pagina che i grandi quotidiani italiani hanno dedicato al tema sono aumentati dal 70 al 180 per cento e che nei notiziari televisivi i servizi sono quadruplicati.

Numeri impressionanti, ma non sorprendenti. Applicando gli ordinari criteri di notiziabilità agli

eventi dell’anno, si ha una spiegazione facile di questo aumento quantitativo di prodotti informativi.

Nel 2015 gli arrivi di rifugiati in Europa sono cresciuti in modo esponenziale, tanto da far balzare il

tema-immigrazione ai primi posti dell’agenda continentale. Contemporaneamente, il terrorismo lo

faceva rientrare nella nuvola nera delle nostre paure. Inoltre, sempre in questo 2015, il 19 aprile, si

è verificata l’ennesima “più grave sciagura navale dalle fine della Seconda Guerra Mondiale” (circa

ottocento vittime) e, pochi mesi dopo, uno scoop fotografico ha dato a ciascuno dei migranti morti

nel Mediterraneo il volto e il corpo di un bambino di siriano di tre anni. Eventi che contengono tutti i

principali criteri di notiziabilità: quello quantitativo (il numero dei morti), quello emozionale, quello

relativo agli interessi del Paese.

Mentre succedeva tutto questo, in Italia cinque milioni e mezzo di immigrati producevano l’8,6 per

cento del nostro Pil occupandosi dei nostri vecchi, dei nostri figli e dei nostri figli disabili, gestendo

call center e centri di servizi, vendendo frutta e verdura nei loro negozi aperti fino a notte, infornando pizze, acquistando e affittando immobili, arrampicandosi a volte pericolosamente sulle impalcature dei cantieri, raccogliendo pomodori in zone mafiose e svolgendo una enorme quantità di altri lavori. Che alternavano ai momenti di riposo e alle piccole cose della vita quotidiana come portare i figli a scuola, entusiasmarsi per i loro successi, telefonare preoccupati al pediatra, fare la somma algebrica tra il dolore dell’esilio e il vivere in sicurezza in un paese occidentale. Somma della quale i nostri sguardi sono uno degli addendi più importanti, ma – sul piano della ordinaria notiziabilità – i più sfuggenti.

Gli italiani, cioè i nostri lettori e ascoltatori, hanno idee molto confuse sull’immigrazione. Per

esempio sono convinti che i musulmani siano il quintuplo di quanti realmente sono. E infatti restano sorpresi quando scoprono la verità, magari a margine di un servizio sulle cellule jihadiste di Bruxelles. Una questione che da decenni è parte integrante della vita del Paese, viene approfondita episodicamente, di solito in occasione di eventi apocalittici. Col risultato che la regola base della nostra professione – il dovere di restituire la verità sostanziale dei fatti – pare non aver trovato ancora applicazione in questo campo: un anno fa una ricerca significativamente intitolata “The Ignorance Index” ci ha fatto scoprire che i nostri lettori e ascoltatori sono tra i più disinformati del mondo. Dovremmo rifletterci. A meno che non decidiamo che quella regola non si riferisce alla

realtà nel suo complesso, ma ai singoli eventi considerati uno per uno, decontestualizzati. E che

i nostri articoli non sono i capitoli di un racconto coerente, ma atti notarili da compilare possibilmente in modo brillante.

La notiziabilità è un concetto dinamico. I “criteri” scolastici sono una guida esattamente come lo

sono le dosi degli ingredienti di una ricetta complessa. Poi bisogna tenere conto dei gusti degli

ospiti e anche della possibilità che nel frattempo siamo un po’ cambiati. È più difficile. Specialmente quando gli ingredienti sono poveri. Però, a volte, quando proprio ti impegni, può capitare che inventi la pizza. Nel nostro caso, la chiave per avere quell’idea semplice e vincente forse sta nella ricerca dei luoghi dove le sensibilità dei nostri lettori e le dinamiche degli eventi s’incontrano.

Per trovare questi intrecci ci vogliono pazienza, lavoro, competenza. L’amore per il prossimo non

è necessario. È sufficiente il rispetto. Per seguire le regole della Carta di Roma, non è necessario

amare gli immigrati, è sufficiente amare il giornalismo e avere, della sua funzione, l’idea che ci è

stata insegnata nelle scuole, nelle università e nelle redazioni: il mestiere di chi racconta la realtà

in modo tale da consentire alla cittadinanza di conoscerla e di formarsi un’opinione. Nulla di più.

L’accuratezza dell’informazione inoltre è nel nostro interesse. Avere a che fare con lettori e ascoltatori scarsamente informati, infatti, fa anche perdere tempo. Perché ci obbliga a usare più parole, a ricominciare tutte le volte dalll’inizio. Perdiamo tempo e perdiamo opportunità professionali. In definitiva, buchiamo molte notizie.

Questo è il terzo Rapporto dell’Associazione Carta di Roma e il primo curato dall’Osservatorio europeo sulla sicurezza. Il primo che unisce all’analisi del modo in cui i media italiani hanno trattato

i temi dell’immigrazione (in questo caso nei primi dieci mesi del 2015) un apparato di dati e statistiche che consentirà, un anno dopo, di misurare il cambiamento. I dati che Ilvo Diamanti analizza in queste pagine, ci confermano quanto fu felice l’intuizione della presidente della Camera Laura Boldrini, all’epoca portavoce dell’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati, che chiamò a raccolta sensibilità diverse: professionisti dell’informazione e professionisti dei diritti umani. Per individuare non solo un sistema di regole ma anche, e forse soprattutto, per ribadire un metodo. Quello di andare alla fonte delle notizie. Ancora una volta, una banale regola del buon giornalismo.

Come i criteri di notiziabilità, anche le poche regole della Carta di Roma sono dinamiche. Non

hanno nulla a che fare col concetto evanescente del “politicamente corretto”. Sono regole tecnico-professionali.

Ma non per questo la Carta di Roma è un “correttore automatico” che sostituisce la

parola “clandestino” con la parola “migrante” in un articolo. È, piuttosto, la tastiera con cui scriverlo,

quell’articolo. Nel nostro quotidiano lavoro di monitoraggio verifichiamo spesso che alcuni tasti

vengono invertiti. Per ragioni diverse da quelle sui cui si fonda la nostra professione. Tutti i giorni

tentiamo di aggiustare le tastiere parlando con i colleghi. È un lavoro che dà dei risultati. Scopriamo, infatti, che chi viola la carta di Roma sempre più spesso lo fa apposta. Con modalità non molto diverse da quelle che alimentano l’hate speech, i discorsi d’odio, nei social. Per esempio usando in chiave polemica un termine giuridicamente inappropriato e gravemente denigratorio come “clandestino”.

Ma questo è un campo diverso dal nostro. Ci riguarda solo per quel che è strettamente

funzionale alla definizione dei suoi confini. Stabilire poi se chi li supera, spesso col deliberato

intento di diffondere l’odio, possa ancora appartenere alla nostra categoria, è una questione che ci

riguarda tutti. E che dovremmo cominciare ad affrontare.

Giovanni Maria Bellu

Oltre l’immigrato mediale

di Ilvo Diamanti

professore di Analisi dell’Opinione pubblica all’Università di Urbino

direttore scientifico di DemosTerzo rapporto Carta di Roma 2015

Il 2015 è l’anno degli emigranti. Anche per i media, che riflettono – a modo loro – i fenomeni sociali

più rilevanti. E hanno fatto dell’immigrazione un tema dominante. Anzi: “il” tema. L’argomento del

giorno, di ogni giorno, più che dell’anno. Perché è sempre lì, che incombe. Un giorno dopo l’altro.

Anche quando non occupa le copertine, i titoli di testa. È lì che incombe e, regolarmente, irrompe.

Sugli schermi e sui giornali. Il Terzo Rapporto curato da Carta di Roma, dedicato all’attenzione e

alla “versione” mediale nei confronti dell’immigrazione e degli immigrati, ne fornisce una conferma

particolarmente evidente e significativa.

Nel 2015, infatti, si registra il record di notizie sui fenomeni migratori nei telegiornali e nella carta

stampata.

In particolare, l’incremento, rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti, è di circa l’80% sulla

stampa. Di quasi il 250% nei notiziari.

Il tema dell’immigrazione, infatti, nei primi 10 mesi del 2015 ottiene 1.452 titoli sulle prime pagine

dei giornali, con incrementi, rispetto al medesimo periodo nel 2013, che variano in misura significativa, fra una testata e l’altra. Si va dal 70 – 100%, in alcuni casi (Corriere della Sera e la Repubblica), fino al 188% (il Giornale). E la frequenza appare in relazione diretta con l’enfatizzazione dei toni e degli argomenti utilizzati.

Quanto alla televisione, nelle edizioni del prime time dei telegiornali delle 7 reti generaliste italiane

(TG1, TG2, TG3, TG4, TG5, Studio Aperto e TgLa7), nel 2015, si osserva un vero e proprio record

di notizie dedicate all’immigrazione: 3.437 notizie (1.996 nel I semestre e 1.441 nel II semestre). Si

tratta del numero più alto in 11 anni di rilevazioni.

Do un po’ di “numeri”, all’inizio di queste note di commento, perché valgono più di molte osservazioni, di molti ragionamenti, suggerire la “misura” di quanto l’immigrazione abbia condizionato l’informazione dei media, negli ultimi mesi. Argomento auto-evidente e auto-imposto. In seguito a diversi eventi, in parte distinti e in parte collegati. I flussi dei profughi, dall’Africa e dal Medio Oriente.

In seguito a guerre, carestie. Accentuati, negli ultimi mesi, in seguito agli attentati che hanno

sconvolto Parigi. E il mondo. Eventi diversi, ricondotti e ricuciti insieme attraverso il filo delle

migrazioni. Che sono divenute lo specchio cangiante delle nostre paure, delle nostre inquietudini.

Della difficoltà di definirle. D’altronde, le nostre inquietudini sono acuite proprio dall’incerto profilo

dello “straniero”. Lo spiega bene Paola Barretta, nella sua rassegna di buone e cattive pratiche

che caratterizzano inchieste e notiziari sul fenomeno migratorio. Dove i migranti sono descritti,

di volta in volta, come profughi, uomini in fuga dalla povertà o dalla violenza. Ma anche – oppure

– come invasori, possibili terroristi, estremisti islamici che minacciano la nostra vita, insinuandosi

fra le pieghe delle nostra società. Delle nostre città. Tuttavia, mai come negli ultimi mesi gli

immigrati sono stati descritti “anche” come persone. Che suscitano “pietà”. E sollevano ondate

di emozione, com’è avvenuto dopo la pubblicazione della foto del bimbo siriano morto sulle coste

turche. Ma le immagini delle famiglie che procedono lungo le strade dei Balcani, a fatica, con i figli

per mano, fino ai diversi confini dell’Europa. Puntualmente chiusi, sbarrati. Da steccati, reticolati,

Muri. Presidiati da milizie e militari. Queste immagini hanno prodotto pena e com-passione, più

che reazioni xenofobe. E hanno, semmai, sottolineato le difficoltà dell’Europa di affermare il proprio

progetto unitario.

Per queste ragioni, il fenomeno migratorio, mai come in questa fase, è divenuto evento mediatico.

Mediato” dai media. Così il racconto delle migrazioni che hanno investito il nostro Paese e l’Europa, nell’ultimo anno, si dipana anche fra mille immagini drammatiche e mille storie di accoglienza, di com-prensione. Dove gli altri diventano occasione non di divisione, ma di con-divisione.

Colpisce, peraltro, che in questi mesi, nonostante tutto, i timori sollevati da questo fenomeno siano

cresciuti, ma in modo sostanzialmente limitato. Restando al di sotto del livello osservato nel periodo 2007-9. Quando, però, l’enfasi mediatica era divenuta martellante. E aveva collegato, in modo diretto, le migrazioni alla criminalità. Sovrapponendo i due profili: lo straniero e il criminale. Fino a identificarli nella figura dello “straniero criminale”. Ecco, questa volta, in questa fase, lo stile narrativo e argomentativo è cambiato. E gli immigrati non appaiono come soggetti criminali. Semmai, come un pericolo per la nostra sicurezza. Perché sottolineano l’instabilità del nostro tempo. Un problema con cui, comunque, dobbiamo misurarci, fare i conti. Le immagini del loro esodo verso le nostre coste raccontano, in modo esplicito, quanta disperazione spinga quei barconi – guidati, spesso, dai moderni mercanti di schiavi. Mentre i muri eretti, in Europa, e invocati da alcuni anche in Italia, si sono dimostrati, in effetti, inutili. E, dunque, ancor più penosi. Forse perché la criminalità, in questi tempi, non è più in testa alle nostre preoccupazioni. Agitate dalla crisi economica e dell’occupazione. Ma, forse, anche perché, a differenza degli anni fra il 2007 e il 2009, nel prossimo futuro non sono in programma competizioni elettorali. Così, non c’è bisogno di cercare e creare nuovi motivi di inquietudine, per guadagnare voti.

Il problema, semmai, è che l’immigrazione, narrata dai media, è lo specchio della nostra difficoltà

per non dire impotenza – di comprendere. Di affrontare. Quel che avviene intorno a noi, a pochi

chilometri da noi. Al di là delle nostre coste, dei nostri confini. Per questo veniamo investiti da improvvise ondate mediatiche e informative. Travolgenti, come la corsa dei profughi ai confini dell’Ungheria.

Come le imbarcazioni stracolme di disperati nel “mare nostrum”. Ondate di parole, immagini,

emozioni, volti. Seguite, per citare i versi di un autore siciliano contemporaneo, da un “oceano

di silenzio”. Che subentra e si allarga quando irrompe una nuova emergenza, una nuova urgenza.

Politica oppure economica. Un improvviso dramma di cronaca. In ambito nazionale o internazionale.

Ecco, questa narrazione rapsodica, proposta e imposta dai media, e riprodotta in modo fedele dal

rapporto, contribuisce a rappresentare efficacemente la nostra attuale posizione. Vorrei quasi

dire: condizione. Di spettatori disorientati e un po’ sperduti. Davanti a uno spettacolo di cui siamo,

invece, noi stessi, protagonisti. Tutti quanti un po’ stranieri, in un mondo troppo largo, senza confini, senza distanze. Dove tutto e tutti incombono su di noi. Dove tutto e tutti ci coinvolgono, emotivamente.

Anche per questo conviene andare “oltre” l’immigrazione come rappresentazione. Oltre la

rappresentazione dell’immigrazione e dell’immigrato. Conviene, invece, accettarla per quel che è.

Una realtà con cui confrontarsi. E convivere. Con l’immigrato reale oltre che – e piuttosto che – con

l’immigrato mediale. Non con le immagini, ma con le persone.

Il fenomeno migratorio è stato nel corso del 2015 un tema molto presente nel dibattito pubblico,

sia politico sia della società civile. L’intensificarsi dei flussi migratori ha aperto questioni circa la

gestione dell’accoglienza umanitaria e la cooperazione europea, generando in alcuni settori sociali

e politici delle reazioni violente e di rifiuto. Inoltre, la minaccia del terrorismo di matrice jihadista

– alla luce anche delle recenti stragi nel novembre del 2015 a Parigi – ha evidenziato l’accresciuta

capacità di penetrazione sul suolo europeo di cellule terroristiche, da cui è derivata una pressione

ulteriore nei confronti delle comunità islamiche presenti nei territori nazionali. Infine gli effetti della

crisi economica e la percezione di un peggioramento delle condizioni di vita rispetto al passato

tendono ad accentuare in alcuni settori della società sentimenti di insicurezza e di disagio nei confronti degli immigrati, percepiti come “concorrenti” o “competitori” nell’ambito del lavoro. Sentimenti spesso amplificati da un certo tipo di propaganda proveniente da alcune formazioni politiche.

Un contesto così eterogeneo e complicato richiede un’osservazione del clima di opinione intorno ai

fenomeni migratori; i media, da questo punto di vista, sono degli strumenti privilegiati per identificare i modi, gli argomenti e i valori impiegati nella narrazione dell’immigrazione.

Dal momento che l’opinione pubblica intorno agli eventi migratori si forma anche e soprattutto

attraverso la comunicazione dei media, risulta interessante analizzare l’eventuale presenza di

immagini stereotipate che contribuiscono a consolidare l’abitudine alla chiusura verso le differenze

etniche e religiose.

Malgrado le forme di protezione contro il razzismo e l’intolleranza religiosa siano assicurate dalla

normativa e dall’azione di segnalazione di gruppi e associazioni, le minoranze etniche e religiose in

Italia risultano – come in altri paesi europei – essere vittime di fenomeni di discriminazione.

Il rapporto si struttura in 4 parti, relative all’analisi svolta nei primi mesi del 2015 (da gennaio a

ottobre):

L’analisi della carta stampata, svolta su 6 quotidiani nazionali (Corriere della Sera, il Giornale,

l’Avvenire, l’Unità, la Repubblica, la Stampa).

L’analisi dei telegiornali del prime time delle 7 reti generaliste (Rai, Mediaset e La7).

La valutazione di buone e cattive pratiche nei telegiornali del prime time e nei programmi di

informazione.

Alcuni esempi di dangerous speech.

l’immigrazione nella

carta stampata e in tv

a cura dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza

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parte 1

analisi della

carta stampata

1.1 La questione migratoria nei quotidiani italiani

Migrazioni e migranti hanno avuto ampio spazio nelle prime pagine dei quotidiani italiani nel corso

del 2015; l’analisi svolta sulle prime pagine di 6 quotidiani italiani (Corriere della Sera, il Giornale,

l’Avvenire, l’Unità, la Repubblica, la Stampa) da gennaio a ottobre evidenzia alcuni elementi.

Il 2015 rappresenta un anno significativo per la visibilità del tema dell’immigrazione: ben 1.452

titoli sulle prime pagine nei primi 10 mesi, per alcune testate l’incremento è stato del 188% (il

Giornale), per altre tra il 70% e il 100% (Corriere della Sera e la Repubblica), rispetto al medesimo

periodo nel 2013.

Si è parlato del fenomeno migratorio con continuità durante tutto l’anno: sono solo 39 le giornate

in cui non è presente almeno un titolo/articolo sul tema in un quotidiano.

Nel corso dell’anno, in alcuni giorni e in occasione di eventi specifici (tragedie del mare, arrivi

di migranti a Ventimiglia, presenza di migranti e profughi nelle città, la morte del piccolo Aylan

sulle coste della Turchia), i quotidiani dedicano – in media al giorno – 4/5 titoli sulle prime pagine.

In alcuni mesi è un tema mainstream, intorno al quale si sviluppa anche l’agenda politica, interna

e internazionale.

È l’accoglienza il tema attorno al quale ruota la maggior parte della comunicazione sull’immigrazione:

oltre la metà dei titoli (55%) contiene un riferimento alla gestione (e all’emergenza)

degli arrivi di migranti e profughi.

Nel corso del 2015 si segnala una diminuzione della visibilità della criminalità comune associata

all’immigrazione (presente nel 6% dei casi); si segnala invece un incremento di visibilità del

binomio terrorismo-immigrazione, binomio che peraltro rimanda a paure ancora più totalizzanti.

L’enfasi narrativa in chiave emergenziale è correlata principalmente ai flussi migratori, all’accoglienza nelle città italiane, agli eventuali rischi sanitari e al timore di attentati terroristici.

Il tono nei titoli è allarmistico nel 47% dei casi; in molti casi si tratta di evocazioni negative

(“l’invasione dei migranti”, il timore di attentati terroristici, i migranti nelle stazioni, i centri di

accoglienza al collasso), in altri, invece, si tematizza la preoccupazione per le tragedie e le sofferenze di profughi e migranti (i naufragi nel racconto dei sopravvissuti, le fughe dalla guerra, lo

sfruttamento lavorativo in Italia, i soprusi e le violenze subite durante le traversate).

Emerge una significativa differenza tra le testate proprio rispetto all’impiego di toni allarmistici:

è il Giornale che ha il record di notizie ansiogene, associate al terrorismo, al – presunto – scontro

di civiltà e ai flussi migratori; all’opposto sono l’Avvenire e l’Unità a dedicare maggiore spazio

all’approfondimento e a privilegiare toni pragmatici e pacati.

È una comunicazione di “confine” in cui entrano in modo significativo – a differenza degli anni

precedenti – l’Unione europea e gli altri paesi europei: il muro in Ungheria, le “interminabili” file

alle frontiere, Calais, l’euro-tunnel e ancora i vertici politici e tutte le questioni legate alle quote.

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1.2 Corpus e metodologia dell’analisi

Coerentemente con le rilevazioni degli anni precedenti, si è scelto di includere nel campione

dell’analisi tre quotidiani generalisti ad ampia diffusione – Corriere della Sera, la Repubblica e la

Stampa – a cui sono stati affiancati tre quotidiani rappresentativi di differenti orientamenti politici e

culturali – l’Avvenire, il Giornale e l’Unità – quest’ultimo analizzato dalla data di ri-pubblicazione1.

L’analisi dei sei quotidiani a diffusione nazionale oggetto del campione si è svolta su un periodo di

10 mesi: dal 1° gennaio 2015 al 31 ottobre 2015, per un totale di 1.644 edizioni giornaliere analizzate.

Il focus della rilevazione pertanto si è concentrato sull’evento migratorio in tutte le componenti

(cronaca degli sbarchi, gestione dell’accoglienza, condizioni dei profughi, diritto all’asilo ecc.) sia

collettive sia individuali (con racconti e testimonianze degli individui coinvolti).

Sono stati rilevati come pertinenti i titoli e/o gli articoli presenti nella prima pagina con un riferimento esplicito alla questione migratoria. Si è poi proceduto all’analisi di tali titoli, definiti come

unità di analisi2.

1.3 L’analisi delle prime pagine: cosa fa notizia nei quotidiani

Nel corso del 2015 sono 1.452 le notizie dedicate al tema dell’immigrazione sulle prime pagine dei

quotidiani analizzati.

Alcuni quotidiani che per tradizione e per impostazione hanno storicamente dedicato ampio spazio

alle questioni migratorie, nel corso del 2015 vedono confermata e ampliata questa tendenza.

È il caso di Avvenire che colloca in prima pagina nei dieci mesi di analisi 300 titoli sul tema delle

migrazioni, con una media di un titolo/articolo al giorno.

Seguono il Giornale e la Repubblica (con 271 titoli) e La Stampa (con 268), seguiti a loro volta dal

Corriere della Sera (con 226 titoli) e infine dall’Unità, tornata in stampa il 30 giugno del 2015 (con

116 titoli).

Questo numero significativo di notizie si caratterizza anche per un altro elemento cruciale: la continuità di attenzione al tema nel corso dell’anno3.

Sono solo 39 le giornate in cui non sono presenti titoli sul tema; detto altrimenti, nell’87% dei casi

da gennaio a ottobre 2015, almeno uno dei 6 quotidiani inclusi nel campione, ha un titolo o articolo

Avvenire 300

271

271

268

226

116

La repubblica

il giornale

La stampa

il corriere della sera

L’unità

1. L’Unità riprende la pubblicazione il 30 giugno 2015, sono pertanto incluse nel campione le edizioni di 124 giornate di pubblicazione.

2. La scelta di definire i titoli come unità di analisi risponde all’esigenza di trovare una coincidenza tematica tra il titolo e l’articolo a cui

esso si riferisce. Tale analisi è stata condotta sui titoli per comprendere la visibilità del tema sulla carta stampata nella consapevolezza

che a ciascun titolo – soprattutto in presenza di macro eventi – corrispondano uno o più articoli.

3. Rispetto alle rilevazioni svolte nel 2012 e nel 2013, la Repubblica, il Corriere della Sera e il Giornale incrementano in modo significativo

il numero di titoli relativi alla questione migratoria. 60 titoli/notizie per la Repubblica nel 2012 e 134 nel 2013; 61 per il Corriere nel

2012 e 134 nel 2013; 41 nel 2012 e 94 nel 2013 per il Giornale, cfr. “Notizie alla deriva”, Secondo Rapporto Annuale Carta di Roma, 2014.

Avvenire 1

0,9

0,9

0,9

0,9

0,7

L’UNITà

il giornale

LA REPUBBLICA

LA STAMPA

IL CORRIERE DELLA SERA

Tab.1 L’indice di visibilità dell’immigrazione

nelle prime pagine dei quotidiani italiani,

1° gennaio – 31 ottobre 2015

Fig.1 I titoli sull’immigrazione nelle prime pagine dei quotidiani italiani, 1° gennaio – 31 ottobre 2015

al giorno dedicato all’immigrazione.

Questo elemento segnala la centralità della questione migratoria nell’agenda dei quotidiani e la

conseguente visibilità costante nel corso dei mesi; si tratta di un tema mainstream che, anche se in

posizione marginale (per esempio con titoli piccoli collocati nella parte bassa della pagina, in terzo

taglio), resta comunque presente sulla prima pagina dei giornali a diffusione nazionale.

L’analisi diacronica dei titoli/notizie sull’immigrazione suggerisce alcune osservazioni: la prima è

che, nonostante la visibilità del tema durante i dieci mesi del 2015, vi sono alcuni picchi congiunturali legati all’“emergenza immigrazione”, agli sbarchi, alla gestione europea della questione, alla pubblicazione della foto del piccolo bimbo siriano morto sulle spiagge della Turchia, alla svolta prima tedesca e poi europea sull’accoglienza dei profughi. Si tratta di fasi, e di giorni, in cui si assiste a una concentrazione di titoli/articoli che raccontano di fatti importanti, che hanno visibilità e rientrano in “filoni narrativi” specifici (anche a distanza di tempo dai singoli accadimenti).

Il 2015 si apre con gli attentati terroristici contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo

a Parigi. Nei giorni successivi all’attentato sulla stampa italiana (al pari di quella internazionale) ci

si concentra sulla eventuale presenza di militanti jihadisti sul territorio nazionale e sulle relative

misure per la lotta al terrorismo. Contemporaneamente si apre un dibattito sui migranti di seconda

generazione, sulla loro integrazione e sul rischio connesso alla propaganda di matrice jihadista.

Quasi tutte le testate tematizzano la questione dell’islam e i rischi connessi al fanatismo, ma, nello

stesso tempo, insistono sulla cultura dell’incontro e sulla necessità di non demonizzare né la religione islamica né i praticanti, tra cui molti immigrati presenti sul territorio italiano.

La testata il Giornale, invece, racconta gli eventi di Parigi in chiave di scontro di civiltà, accentuando l’attenzione sui musulmani che in Italia giustificano la strage.

gennaio

93

33

223

91

353

106

264

febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre

Migranti nelle stazioni

Allarmi sanitari

Stragi di migranti

Il muro in Ungheria

La svolta europea

per l’accoglienza

Fig.2 Trend dei titoli sull’immigrazione nelle prime pagine dei quotidiani italiani, 1° gennaio – 31 ottobre 2015

L’associazione terrorismo-immigrazione, sebbene concentrata soprattutto sulla testata il Giornale,

quando presente – nel racconto per esempio degli arresti in Italia di affiliati al terrorismo di matrice

jihadista – suscita paura e sgomento. E si tratta di una narrazione che dopo gli attentati di Parigi

del novembre del 2015 acquisisce un’ulteriore rilevanza.

Se il mese di giugno si apre con le prime pagine dei quotidiani dedicate ai migranti “accampati”

sugli scogli nei pressi di Ventimiglia in attesa di oltrepassare il confine italiano per raggiungere la

Francia o nelle stazioni di Milano e Roma (con il timore di contagi e malattie), sono i mesi di agosto

e settembre che registrano il picco di attenzione sulla questione migratoria. La concentrazione è

tale da avere in alcune giornate numerosi titoli sullo stesso argomento o su argomenti correlati: è

il caso del 13 giugno con 21 articoli sugli arrivi dei migranti e sulle possibili conseguenze sui cittadini italiani, o ancora del 27, 28 e 29 agosto con 24, 20 e 22 titoli. Attenzione che continua anche nel mese successivo, con una media dal 1° fino al 18 settembre di 16 titoli al giorno.

Ad agosto due sono i filoni principali su cui si concentrano i titoli in prima pagina: le stragi dei migranti – sia in mare sia via terra – e la gestione – interna ed europea – dell’accoglienza.

Pur nella trattazione di eventi e temi differenti, è il Giornale che si distingue dalle altre testate

nell’impiego di titoli che stabiliscono associazioni e connessioni pericolose. Fanno parte di queste

osservazioni titoli come «I macellai islamici li abbiamo in casa. I fanatici che hanno addestrato i

terroristi di Parigi frequentavano la moschea di Milano», in occasione della strage di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo, o ancora il titolo di Libero (sebbene non incluso nel nostro campione) del novembre scorso che, all’indomani degli attentati terroristici di Parigi, titolava «Bastardi islamici».

Si tratta di titoli che usano il registro della spettacolarizzazione e della paura, stabilendo associazioni tra chi commette attentati e chi professa una religione, con la grave conseguenza di presentare un’immagine distorta e allarmistica dei musulmani e di conseguenza nei confronti di tutti coloro che professano questa religione.

Anche titoli come «Machete, scabbia e malaria», evocano pericolose associazioni tra migranti,

criminalità e malattie, con la conseguenza di presentare un’immagine degradante e deviante di

migranti e profughi. Il titolo riunisce poi fatti molto diversi: l’aggressione a un capotreno a Milano

da parte di una gang latina e l’intervento umanitario di accoglienza nei confronti dei migranti nelle

stazioni di Milano e Roma, che consiste anche in controlli e interventi sanitari. L’autore dell’aggressione con il machete è un giovane con precedenti penali, noto alle forze dell’ordine e con un permesso di soggiorno scaduto; i profughi accolti nelle stazioni sono provvisoriamente in Italia, in attesa di altre destinazioni.

1.4 L’agenda dei temi

L’analisi diacronica ha messo in evidenza la continuità della questione migratoria e la sua concentrazione

in alcuni periodi in relazione ad alcuni eventi entrati (e rimasti) nei titoli della prima pagina

dei quotidiani.

Alcune questioni hanno conosciuto nel corso del 2015 una vera e propria centralità tematica: l’accoglienza, per esempio, intesa come gestione politica e anche come questione sociale e economica può essere considerata il focus principale degli articoli dell’anno.

Più della metà dei titoli si concentra sul tema dell’accoglienza (con il 55%), seguono la cronaca

degli sbarchi e degli arrivi di migranti e profughi (22%), il terrorismo (7%), società e cultura (6,5%),

cronaca nera e sicurezza (6%) e infine le questioni economiche e del lavoro (4%).

Il racconto dell’accoglienza

Il racconto dell’accoglienza occupa l’agenda delle prime pagine dei quotidiani: si tratta di una voce

che raccoglie al proprio interno diverse questioni.

Il dibattito politico europeo, è la dimensione prevalente nella narrazione dell’accoglienza,

presente in tutti i mesi dell’anno, raggiunge l’apice nel periodo estivo, da giugno a ottobre in

concomitanza con gli sbarchi. I titoli raccontano dei vertici europei relativi alla missione Triton,

alla ripartizione delle quote di profughi tra gli stati, alla disponibilità di fondi per i soccorsi, al

ruolo della politica estera europea in Libia e in Siria. È la dimensione che rispetto al 55% complessivo dedicato all’accoglienza occupa la quota più significativa, ovvero il 30%, con un’attenzione specifica alla gestione della accoglienza (quote per ciascun paese, nuove regole condivise per i richiedenti asilo ecc.).

Il dibattito politico interno, è la seconda dimensione in cui si declina il tema dell’accoglienza

(con il 12%); essa raccoglie sia il conflitto politico intorno alla questione con gli appelli e gli

accoglienza

55%

flussi migratori

22%

terrorismo

6,9%

società e cultura

6,5%

criminalità

e sicurezza

5,6%

economia

e lavoro

4%

Fig.3 Agenda dei temi relativi alla questione migratoria nelle prime pagine dei quotidiani italiani, 1° gennaio – 31 ottobre 2015

>

>

scambi di accuse dei diversi partiti, sia il racconto dell’attività di gestione politica da parte del

Governo, sia gli interventi delle istituzioni.

Migranti, profughi e clandestini, è la terza dimensione – a parità di spazio (con il 12%) – in cui si

articola il tema dell’accoglienza. È una voce ambivalente che, da una parte, riunisce le storie di

vita, i racconti degli esponenti delle associazioni umanitarie, “il coraggio di guardare la realtà e

di andare oltre l’egoismo dei singoli”. Dall’altra raccoglie, invece, titoli e articoli sull’accoglienza

come un problema per le comunità. Quindi, se nel primo caso prevale una narrazione che lascia

uno spazio alla riflessione – anche lessicale, su chi sono migranti, richiedenti asilo e rifugiati

– e alle risposte che possono dare l’Italia e l’Unione europea in tema di “ospitalità che fonda la

nostra società”, nel secondo viene evocata la “pancia” delle persone, con riferimenti agli arrivi

come minaccia: «Rischio di invasione immigrati: Lombardia e Veneto chiudono», «L’emergenza

profughi durerà vent’anni», «Così abbiamo scelto di diventare Africa», «Rivolta nel Trevigiano,

proteste anche a Crema e Brescia, prove di intolleranza: “No ai profughi qui”».

Il racconto dei flussi migratori

È la seconda voce per rilevanza (con il 22% di spazio) ed è la dimensione in cui si concentrano “il

mare” e “la terra”, le tragedie dei naufragi, gli sbarchi a Lampedusa, gli attraversamenti a piedi dei

confini europei, i muri, le attese nelle stazioni e davanti alle frontiere, la sofferenza delle persone e

il viaggio per sperare ancora”.

La comunicazione dei flussi migratori si svolge essenzialmente su due modi di raccontare il fenomeno: quello dell’ineluttabilità, a cui corrisponde l’impiego di un lessico biblico ed epocale,

connesso alla dimensione della cronaca e quello dell’emergenza – o della minaccia – per quanto

concerne sbarchi e arrivi.

Entrambe le dimensioni del racconto hanno una componente allarmistica: nel primo caso si tratta

di una “preoccupazione” e di una sensibilizzazione nei confronti delle tragedie del mare. È la

dimensione umanitaria in cui il racconto delle tragedie del mare si combina con gli appelli alla solidarietà.

«No alla cecità e alla paura dell’odio: mai imitatori di crudeltà»

«Ennesima tragedia al largo di Lampedusa»

«Immigrati: 400 vittime in mare»

«Nasir, il baby naufrago. La mia infanzia perduta in mare, ora voglio rivivere»

«Atalabayad sul confine tra i 2000 profughi che sono riusciti a scappare»

Nel secondo caso, ovvero nel racconto dell’emergenza, il focus dei titoli/articoli si concentra sugli

effetti degli sbarchi e sulla potenziale minaccia personificata nei profughi e nei migranti.

«In Grecia l’isola di Lesbo al collasso per i migranti»

«Assedio al confine greco-macedone: i migranti sfondano il blocco»

«L’invasione è alle porte, un milione di profughi sta per lasciare la Libia»

«Caos migranti: sfondati i blocchi alle frontiere»

«Italia sotto attacco, mai così tanti clandestini»

«Migranti: la rabbia alle frontiere»

«Impariamo a convivere con l’emergenza»

«Ora gli islamici annegano i cristiani a casa nostra»

Entrambe le narrazioni dei flussi – ineluttabile ed emergenziale – hanno anche una dimensione

cronachistica legata alla lotta agli scafisti, ai mercanti di schiavi.

Nel corso del 2015 le prime pagine dei quotidiani raccontano dell’impegno italiano ed europeo contro i trafficanti del mare; aprendo una finestra sullo sfruttamento dei migranti (e sulle sanzioni

conseguenti) si presentano i migranti come le prime vittime del fenomeno.

Il racconto del terrorismo

I fatti tragici di Parigi – gli attentati di matrice jihadista alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato kosher – occupano le prime pagine dei quotidiani nel mese di gennaio con un taglio prima improntato sulla cronaca e poi sulle eventuali associazioni tra islamismo e immigrazione. Taglio che dopo i recenti tragici attentati di Parigi del novembre scorso (non inclusi nel campione) acquisirà un’importanza ancora maggiore nei prossimi mesi.

Sono stati inclusi nell’analisi i titoli/articoli in cui il racconto del terrorismo stabilisce un nesso con

la questione migratoria: sia che si tratti di una riflessione sulle strategie jihadiste e sul reclutamento

di immigrati di seconda o terza generazione, sia che si tratti di una connessione esplicita

con l’islam (e quindi con tutti coloro che praticano tale religione in Italia e in Europa), sia che si

tratti di racconto degli interventi in materia di sicurezza e ordine pubblico.

Si tratta ovviamente di una dimensione ansiogena in cui sentimenti di orrore e condanna si mescolano all’amplificazione della paura e del sospetto.

Se non stupisce che nei giorni immediatamente seguenti agli attentati tutte le testate sollevino

questioni circa il possibile radicamento di estremisti sul territorio italiano («Troppo deboli e tolleranti

con l’integralismo islamico», «Se chi ci odia è cresciuto in mezzo a noi», «Sì, ho paura. Nulla

sarà più come prima», «Jihad, espulso un turco che studiava alla Normale»), è nei mesi successivi

che emerge una netta distinzione tra le testate che dedicano attenzione al tema con eventi specifici:

l’arresto di presunti affiliati Daesh; l’attentato – sventato – sul treno Amsterdam-Parigi; l’arresto

di cellule jihadiste tra Brescia e Milano e l’aumento dei controlli sui viaggi tra i paesi europei.

Tutte le testate raccontano la cronaca di questi eventi specifici, tranne il Giornale, che opera una

generalizzazione tra l’appartenenza alla religione islamica e la propensione a commettere attentati

terroristici. Così la testata stabilisce un’ulteriore – e pericolosa – associazione tra coloro che sono

presenti sul territorio italiano e che praticano l’islam: «Abbiamo i macellai islamici a casa nostra»,

«Nel Corano i precetti del killer».

Inoltre il Giornale, diversamente dalle altre testate, stabilisce una connessione esplicita tra l’arrivo

di migranti e l’infiltrazione di cellule terroristiche: «I terroristi ci minacciano: veniamo in Europa

con gli immigrati», «Lo stragista di Tunisi arrivato a Milano. Era arrivato sui barconi», «Centro accoglienza terroristi», «Anche il Papa ammette: rischi di infiltrazioni terroristiche tra i migranti». In

alcuni casi, non solo viene fatta un’associazione pericolosa, ma anche non corretta: per esempio il

caso dell’arresto di un tunisino in ragione del suo presunto coinvolgimento nell’attentato del Museo

del Bardo di Tunisi, che, per completezza informativa, avrebbe dovuto includere anche la parte

della scarcerazione per estraneità ai fatti.

Il racconto della società e della cultura

È la quarta dimensione per rilevanza (con il 6,5% di visibilità) ed è quella in cui si concentra la riflessione identitaria di tipo culturale e religioso. Ci sono almeno tre filoni intorno ai quali si snoda il

dibattito: quello religioso – soprattutto all’indomani degli attentati terroristici di Parigi – su radicalismo islamico, matrimoni islamici, nuove moschee e italiani convertiti all’islam; il secondo filone ruota intorno ai temi dell’integrazione, della cooperazione e anche della discriminazione e del

razzismo. Si leggono storie e testimonianze sulle prime pagine che comprendono:

«Storia di un albanese diventato italiano»

«Cori razzisti contro i baby calciatori del Milan»

«La necessità di un cambiamento del modello interpretativo sull’immigrazione»

«Riflessione sulle migrazioni di massa»

«Gli appelli di Papa Francesco per alleviare le sofferenze dei deboli, per la giustizia e l’equità»

Il terzo filone, infine, si lega a questioni di attualità legate alla cultura e alla società, c’è la notizia

della pubblicazione del nuovo libro dello scrittore Houellebecq sulla sottomissione della cultura

occidentale, c’è il racconto delle profezie di Oriana Fallaci, c’è la questione dell’Oscar social dedicato a migranti e femministe e la messa pronunciata in 72 lingue diverse.

Ciò che accomuna i diversi filoni – anche quelli che riportano una visione critica rispetto all’integrazione – è l’approfondimento: si cerca di capire il fenomeno, di individuarne le origini e soprattutto di osservarne gli effetti. Non a caso hanno visibilità termini come “riflessione”, “indifferenza”, “razzismo”, “discriminazione”, definizioni su cosa si intende con profughi e migranti, “regole” e “civiltà”.

Vocaboli che occupano le prime pagine e che diventano occasione per una riflessione sul tema.

Solo l’Avvenire e l’Unità hanno titoli e articoli con spunti e stimoli di riflessione sul rapporto tra

immigrazione e società.

Il racconto della criminalità e della sicurezza

È la quarta voce per rilevanza numerica, è la dimensione in cui si realizza il binomio criminalità-immigrazione.

Due sono le narrazione prevalenti: i reati i cui protagonisti e artefici sono gli immigrati

e le misure che dovrebbero essere adottate per impedire che avvengano simili episodi sul

territorio italiano. Numericamente, rispetto ad anni fa, l’associazione tra criminalità comune e

immigrazione è meno visibile (inferiore per la Repubblica e il Corriere della Sera; superiore per il

Giornale).

Inoltre, nella quasi totalità delle testate analizzate (tranne il Giornale) i casi di cronaca nera non

sono enfatizzati in chiave etnica e/o religiosa.

Due sono i casi di cronaca nera entrati nelle prime pagine dei quotidiani: il caso dell’uccisione dei

coniugi a Palagonia, nelle vicinanze del centro di accoglienza di Mineo ad opera di un giovane immigrato della Costa d’Avorio e l’uccisione di uno studente per gelosia a opera di un giovane albanese.

In entrambi i casi non viene specificata l’appartenenza etnica nei titoli dei quotidiani.

Nonostante ciò nel primo caso il giovane indagato per l’omicidio viene indicato come “profugo” o

richiedente asilo”, ma in senso negativo; nel secondo invece il focus si concentra sulla vittima e

sulla gelosia come movente dell’omicidio.

Per quanto concerne la dimensione della sicurezza, due sono le tematizzazioni principali: i rischi

sanitari connessi alla permanenza dei migranti nei luoghi pubblici (come parchi e stazioni), le concentrazioni di persone (migranti) in attesa della loro collocazione e le conseguenti proteste della popolazione locale. Sono soprattutto la permanenza di migranti a Ventimiglia e nelle stazioni delle grandi città a occupare le prime pagine dei quotidiani; nella maggior parte delle testate prevale il taglio relativo a sicurezza e ordine pubblico, rispetto alla gestione e alla collocazione di centinaia di persone.

Il Giornale, invece, affianca a questa comunicazione quella relativa alla possibile diffusione di

malattie come scabbia e malaria, nonostante in tutto il periodo dell’analisi non sia stato segnalato

alcun caso di contagio dai migranti ai cittadini italiani.

Inoltre è l’unica testata che racconta della rivolta a Quinto di Treviso – «Nel paese invaso dai profughi la gente sale sulle barricate», dell’allarme degli alberghi che ospitano “clandestini” e dello

stupro di una ragazza in treno compiuto da un “vu’ cumpra”, termine dispregiativo che ritorna nella

narrazione di un fatto di criminalità comune raccontato dal Giornale.

Il racconto dell’economia e del lavoro

È la dimensione meno rilevante quantitativamente (con il 4% di visibilità), ma che più delle altre

declina migranti e immigrati in modo positivo. Rispetto ai temi economici, quando appaiono come

protagonisti sulle prime pagine lo sono in quanto vittime di sfruttamento lavorativo (casi di caporalato e di schiavismo) oppure in quanto opportunità e occasione di crescita per gli stati che accolgono e integrano gli immigrati.

È soprattutto l’Avvenire che nel corso del 2015 dedica molti titoli sulla prima pagina alla questione

dello sfruttamento degli immigrati (lavoratori vittime nei campi, braccianti sfruttati dagli schiavisti,

Caritas contro lo sfruttamento di nuovi schiavi). L’Avvenire, la Stampa, la Repubblica e l’Unità danno spazio ad articoli sui migranti anche come opportunità e occasione di ricchezza.

«I migranti ringiovaniscono il Continente, non tolgono lavoro e finanziano il Pil»

«Saranno i migranti a salvare l’Europa»

«I migranti sono anche una risorsa»

1.5 Allarmismo ed emotività

Nel corso del 2015 si confermano alcuni elementi tipici nella narrazione dell’immigrazione sulla

carta stampata e nello stesso tempo si segnala un cambiamento significativo rispetto agli anni

precedenti.

Il ricorso a toni allarmistici nel racconto del fenomeno migratorio è presente nel 47% dei casi,

meno di 5 servizi su 10 hanno un frame potenzialmente ansiogeno. Il restante 53% si divide tra titoli rassicuranti (circa la metà, pari al 26%) e titoli neutrali, nei quali non viene espresso alcun tipo di valutazione, né positiva né negativa (27%).

Dal confronto con le testate emergono alcune osservazioni.

Tranne per l’Unità, tutte le testate sebbene in percentuale differente vedono la prevalenza di toni

allarmistici rispetto a quelli rassicuranti.

Rispetto alle rilevazioni del passato si rileva un’importante differenza: la dimensione maggiormente

ansiogena non si riferisce alla criminalità o alla cronaca nera, ma agli sbarchi («Il grande

esodo», «In migliaia in marcia», «Si abbattono i muri»), ai racconti di un flusso che pare inarrestabile e che in ragione di queste caratteristiche non è gestibile dagli stati e dalle popolazioni

e al terrorismo. È la voce che pesa maggiormente nella narrazione di tipo allarmistico con un

valore pari al 38%.

La minaccia di attentati terroristici di matrice jihadista entra nell’agenda della stampa del 2015

con un elevato potenziale ansiogeno; è la seconda dimensione con il 14%.

I reati di criminalità comune compiuti da immigrati sono presenti nell’agenda allarmistica nell’11% dei casi, con una copertura “diffusa”, senza un filo narrativo attribuito ai diversi reati, ma con la cronaca di crimini di diverso tipo e commessi in diversi luoghi del territorio italiano.

Dalla differenza tra il tono allarmistico e rassicurante emergono delle peculiarità significative

tra le testate: da una parte il Giornale con il differenziale maggiore (59%) e dall’altra l’Unità con

Tab. 2 Allarmismo vs rassicurazione nei quotidiani italiani, valori calcolati in %, 1° gennaio – 31 ottobre 2015

L’unità

avvenire

la stampa

la repubblica

il corriere della sera

il giornale

tutte le testate

rassicurante allarmistico differenza

42,2%

33,7%

32,8%

24,7%

23,9%

9,2%

26,4%

37,1%

46,7%

37,7%

40,6%

43,8%

68,6%

46,8%

-5,2%

13%

4,9%

15,9%

19,9%

59,4%

20,3%

>

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>

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un valore negativo ovvero con un numero maggiore di titoli con un tono rassicurante rispetto

a quelli con tono allarmistico; nel mezzo, seppure con alcune variazioni, si collocano gli altri

quotidiani.

L’andamento dei toni allarmistici procede di pari passo con la concentrazione di titoli/articoli sui

fenomeni migratori: tanto più il tema è visibile, tanto più la comunicazione diventa ansiogena. Il

che suggerisce che, quando c’è una significativa concentrazione di notizie, essa è associata a fatti o situazioni potenzialmente allarmistiche.

Si parla della minaccia dell’“estremismo islamico” in occasione degli attentati terroristici di Parigi,

si raccontano le stragi del mare e l’emergenza immigrazione nei mesi di luglio e di agosto,

si raccontano gli sbarchi, le attese sugli scogli di Ventimiglia, le minacce alla sicurezza nelle città

italiane nei mesi estivi.

Dall’inizio di settembre, però si verifica una sorta di inversione di tendenza: la pubblicazione della

foto del piccolo Aylan, il bimbo siriano morto su una spiaggia della Turchia, cambia il tono complessivo della rappresentazione degli arrivi e della gestione dell’accoglienza. Si modifica il frame narrativo della comunicazione che sembra influire sulle scelte politiche di diversi paesi (Germania in testa) e sulle politiche di accoglienza e di asilo. Non a caso, diminuisce in modo significativo la quota di titoli/articoli allarmistici seppur in presenza di un picco di attenzione complessivo sul tema (353 nel mese di settembre). Questo suggerisce che è possibile parlare e porre l’attenzione sul tema anche senza toni drammatici e allarmistici.

1.6 Le parole dell’immigrazione

Il lessico utilizzato dai giornali riflette in buona misura le principali tematiche affrontate nei 10

mesi analizzati, gli sbarchi di massa, le stragi in mare, il fenomeno migratorio via terra, la tematizzazione politica, l’allarme, ma anche l’accoglienza e il dramma umanitario. Le parole maggiormente utilizzate, d’altro canto, svelano anche i toni prevalenti della narrazione giornalistica, le associazioni linguistiche e quelle con altri temi o fenomeni più generali, per esempio con la questione religiosa o il terrorismo. Il linguaggio adoperato dai titolisti, inoltre, differenzia in maniera

abbastanza significativa il profilo delle testate.

La mappa fattoriale riporta le parole più caratteristiche di ogni testata, le parole che dunque hanno

una frequenza relativa superiore e statisticamente significativa in una testata rispetto alle altre4.

Fig 4 I titoli/articoli allarmistici sulla questione migratoria nelle prime pagine dei quotidiani italiani, 1° gennaio – 31 ottobre 2015

gennaio

105

19

89

36

138

54

145

febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre

Attentati terroristici

di Parigi

Stragi di migranti

Il muro in Ungheria

Accoglienza

Foto del piccolo Aylan

4. L’analisi delle corrispondenze lessicali (ACL) effettuata si basa sull’analisi delle corrispondenze multiple (ACM) applicata a dati

testuali, con l’associazione di variabili di contesto, quali in questo caso la testata di riferimento. Per questo lavoro è stato impiegato il

software IRaMuTeQ (http://www.iramuteq.org/), la classificazione di discendenza gerarchica si fonda sull’algoritmo del software Alceste

(http://www.image-zafar.com/Logiciel.html).

Il primo asse (quello orizzontale), denominato Chiusura-Apertura, rappresenta un continuum da

sinistra a destra fra un lessico di chiusura che evoca minaccia, rifiuto, esclusione, spesso ornato da toni emotivi e allarmistici, nei confronti del fenomeno migratorio, a un estremo opposto che accoglie invece un lessico di maggiore apertura, per diverse ragioni, di carattere morale o pragmatico che vede nella gestione del fenomeno l’unica forma di governo dell’emergenza. A questa maggior apertura si associano quindi lemmi che evocano, sì, una sfida, ma tesa all’inclusione, all’accoglienza e alla dimensione umanitaria e che attivano maggiormente, quindi, lo stato cognitivo e usano toni meno allarmanti.

Il secondo asse (quello verticale), denominato Specificità-Diffusione, descrive un continuum

dall’alto verso il basso fra un lessico che richiama una sfera semantica più specifica, casi e situazioni di cronaca nostrana e soprattutto la dimensione del dibattito politico interno italiano, che

ingloba la questione immigrazione dentro la cornice e lo stile narrativo della comunicazione politica.

All’estremo opposto, quello diffuso, si trova invece un lessico di maggiore afflato verso dimensioni

etiche e morali, o comunque di maggiore contestualizzazione del fenomeno migratorio sia

per quanto riguarda le cause dei flussi migratori e i paesi di provenienza, sia per quanto riguarda

l’estensione geografica del fenomeno, che coinvolge tutti i paesi europei.

La collocazione delle testate nella mappa fattoriale mostra le seguenti peculiarità linguistiche.

Il Giornale è collocato sul quadrante sinistro della mappa, in prossimità della chiusura e in posizione intermedia nell’asse verticale, fra specificità e diffusione. Le parole caratteristiche rispec-

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Fig. 5 Mappa delle corrispondenze lessicali nei titoli/articoli sulla questione migratoria nelle prime pagine dei quotidiani italiani, 1° gennaio – 31 ottobre 2015

-2

-4

4

2

rom

casa

immigrazione

immigrato

clandestino

terrorista premier

senza così

se

strage

parigi

milione

rivolta

volere

fare con a

emergenza essere

polizia

porta

islamico

sbarco

ancora

caccia

annegare

europeo

vittimacampo

no

papa

profugo

più

nuovo

tragedia

verso

largo

commisione

naufragio

dopo

berlino

quota

chiedere

anche

londra italia di frontiera rimpatrio

all

costa due su

ad turchia

aiuto

austria

intendere

apriretre

dal ungheria

confine

siria

fermare

onu

viminale

accoglienza

straniero

protesta

primo

solo

chiudere

macedonia

migliaio

rifugiato

essere/sonare

contro

comune

muro

diritto

maroni

sfida

potere

barcone

andare

attacco

salvini sicilia

mondo

juncker

est

obbligatorio

scontro

caos lega

bastare

anti

ue

piano

asilo

renzi

via

treno

mare

islam

tutto

bloccare

sull

guerra

accordo

paura

sole/solo

anno

e

al

troppo in per

non

da

come

centro

arrivo

mattarella

bambino

ventimiglia

paese

blocco

migrare

sul

dall

merkel

del

libico

mediterraneo

arrivare alfano

avere

veneto scafista

aiutare

governo

milano ora

ospitare

allarme nel

l’avvenire

0

-6 -4 -2 0 2

chiano questo posizionamento: nei titoli del Giornale sono ampiamente utilizzati termini quali

clandestino e rom, in un discorso che mischia fenomeni fra loro assai differenti e soprattutto

utilizza un termine, il primo, tanto popolare quanto degradante per migranti e richiedenti asilo.

Nei titoli sono caratteristiche anche parole e associazioni lessicali che generano allarmismo,

anche di respiro diffuso, analizzando e problematizzando lo scontro fra religioni o la minaccia

del terrorismo dentro il discorso sull’immigrazione (islamico, terrorista, jihadisti, islam). A questa

dimensione diffusa si accompagna poi una più locale e specifica, con il richiamo al territorio

(porta, casa, Milano, Italia, Veneto).

L’Avvenire si posiziona nel quadrante in basso a destra della mappa, cioè in prossimità della

dimensione di maggiore diffusione e apertura. La dimensione geografica dell’emergenza segue

la cronaca degli eventi più tragici, ma rimane tesa a una contestualizzazione internazionale

(europeo, Mediterraneo, Grecia). L’elemento, tuttavia, più evidente del lessico adoperato dall’Avvenire nei suoi titoli rimane quello della questione umanitaria, della tragedia di esseri umani e dei principi morali che guidano l’imperativo della solidarietà (accoglienza, profugo, annegare,

naufragio, tragedia).

Il Corriere della Sera e La Stampa si trovano nel quadrante sinistro della mappa, quello

dell’apertura, in posizione mediana fra specificità e diffusione. In generale, sono qui presenti

termini che rimandano alla gestione del fenomeno migratorio, alla politica e agli attori istituzionali

(Viminale, Ue, Italia, Mattarella, Onu, Bruxelles), a paesi europei, leader e capitali (Merkel,

Hollande, Berlino, Londra, Parigi), ma anche ad approfondimenti su zone di provenienza, aree di

conflitto e rotte degli immigrati (Turchia, libico, siriano, Siria, Ungheria, Austria, Grecia).

L’Unità e La Repubblica sono sempre sul quadrante sinistro del piano fattoriale, dunque

nell’area di maggiore apertura, mentre rispetto a Corriere e Stampa, si posizionano in leggermente

più in alto sull’asse verticale, con lemmi più assonanti alla specificità. Il lessico più

caratteristico di queste due testate riporta soprattutto alla tematizzazione politica in Italia,

dunque al dibattito interno e ai suoi protagonisti più rumorosi (Maroni, Salvini, Lega, Renzi), anche

se non mancano riferimenti all’istituzione europea (Ue, Juncker) o alla dimensione globale

del fenomeno che coinvolge sia attori esteri sia aree di conflitto che amplificano o generano il

fenomeno migratorio stesso, soprattutto per quanto riguarda i profughi (Germania, Ungheria,

guerra, Siria, asilo, Libia, Merkel, Francia, rifugiato).

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parte 2

analisi dei

telegiornalrime time

Foto di F. Malavolta ©

2.1 La questione migratoria nei telegiornali di prima serata

Migrazioni e migranti hanno avuto ampio spazio nelle edizioni serali del prime time dei telegiornali

delle 7 reti generaliste italiane (Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto e TgLa7).

Nel 2015 si assiste a un vero e proprio record di notizie dedicate all’immigrazione, 3.437 notizie

(1.996 nel I semestre e 1.441 nel II semestre) è il numero più alto in 11 anni di rilevazione.

Alla crescita esponenziale di visibilità non ha corrisposto un aumento della paura e dell’insicurezza

nei confronti di migranti e profughi.

L’immigrazione nel corso del 2015 ha una visibilità continua e coerente con il carattere strutturale

del fenomeno, ma con picchi di attenzione associati alla copertura congiunturale di alcuni

eventi, con una media, in alcuni giorni, di 7 notizie a edizione.

In concomitanza di questi picchi “congiunturali” il tono della comunicazione diventa allarmistico

e sensazionalistico, con immagini del degrado delle città per le concentrazioni di migranti in

attesa di una destinazione, con racconti di centinaia, migliaia di arrivi sulle nostre coste, con il

problema della distribuzione degli aiuti (“a scapito degli italiani in difficoltà”).

In corrispondenza dell’ultimo picco di visibilità del fenomeno (nel settembre del 2015) si verifica

un vero e proprio cambio di prospettiva nella comunicazione: la diffusione della foto del bimbo

siriano annegato sulle coste della Turchia modifica la cornice narrativa e sembra influire sulle

scelte politiche di diversi paesi (Germania in testa) e sulle politiche di accoglienza e di asilo.

Le voci della politica sono presenti nel 31% dei servizi, in percentuale superiore rispetto a temi

come l’economia e le riforme.

Il primo tema dell’agenda dell’immigrazione è quello dell’accoglienza (55%) seguito dalla cronaca

degli sbarchi (24%) e dalla criminalità e sicurezza (23%)

Esistono delle differenze significative tra i notiziari in merito alla trattazione della criminalità: i

telegiornali Rai e il TgLa7 dedicano 1/3 di attenzione in meno al tema rispetto al Tg4 e a Studio

Aperto; il Tg5 si allinea con i notiziari del servizio pubblico.

Migranti e profughi hanno voce nel 7% dei servizi, rappresentanti di associazioni e organizzazioni

umanitarie, medici, esponenti delle forze dell’ordine sono presenti nel 5%.

Se i migranti hanno voce per lo più in relazione all’accoglienza (40%), i rom intervengono nel

65% dei casi in relazione a fatti di criminalità e di ordine pubblico.

2.2 Corpus e metodologia dell’analisi

L’analisi quantitativa e qualitativa concerne i telegiornali del prime time delle 7 reti generaliste:

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Tg1, Tg2 e Tg3 per la Rai, Tg4, Tg5 e Studio Aperto per le reti Mediaset e il TgLa7 per La7. Si tratta di

un’analisi diacronica su base decennale, dal 2005 al 2015, che si concentra sull’anno in corso fino

alla fine del mese di ottobre.

Il focus della rilevazione, coerentemente con l’analisi della stampa, si è concentrato sull’evento

migratorio in tutte le componenti (cronaca degli sbarchi, gestione dell’accoglienza, condizioni dei

profughi, diritto all’asilo ecc.) sia collettive sia individuali (con racconti e testimonianze degli individui coinvolti).

Sono stati considerati pertinenti i servizi presenti nel telegiornale con un riferimento esplicito alla

questione migratoria. Si è poi proceduto all’analisi di questi servizi, definiti come unità di analisi.

2.3 L’analisi dei telegiornali di prima serata

Nel corso del 2015 sono 3.437 le notizie dedicate al tema dell’immigrazione (1.996 nel I semestre e 1.441 nel II semestre) nelle edizioni del prime time dei telegiornali.

I trend relativi all’andamento della percezione degli italiani circa l’immigrazione come minaccia e

la rappresentazione del fenomeno nei notiziari suggeriscono alcune osservazioni.

Non esiste una correlazione tra il numero delle notizie e l’aumento della paura verso gli immigrati:

un’elevata esposizione del fenomeno – come nel 2015 o in misura minore nel 2013 – non

corrisponde a un incremento dell’insicurezza nei confronti degli immigrati.

Esiste invece una correlazione tra la cornice in cui il fenomeno è raccontato e la percezione dei

cittadini. Nel 2007 si registra un picco di insicurezza nei confronti degli immigrati, in assenza di

un incremento significativo della visibilità mediatica. Le notizie sull’immigrazione tra il 2007 e

il 2008 stabiliscono un binomio tra immigrazione e criminalità. È una narrazione di tipo ansiogeno

che suggerisce una relazione tra la condizione di immigrato e la propensione a delinquere

1. Il sondaggio condotto da Demos&Pi su un campione di 2056 persone, è rappresentativo della popolazione italiana di età superiore ai

15 anni, per genere, età e zona geopolitica.

2. L’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza è nato nel 2010, promosso da Fondazione Unipolis, Demos & Pi e Osservatorio di Pavia (www.

fondazioneunipolis.org, www.demos.it, www.osservatorio.it), allo scopo di indagare le percezioni e la rappresentazioni nei principali

telegiornali italiani ed europei delle sicurezze e delle insicurezze dei cittadini italiani ed europei, cfr. VIII Rapporto dell’Osservatorio

Europeo sulla Sicurezza, “Nella terra di mezzo tra terrore globale e paure quotidiane”; http://www.fondazioneunipolis.org/wp-content/

uploads/2011/07/Rapporto-sulla-sicurezza-febbraio-2015.pdf.

Fig. 6 Andamento delle notizie sull’immigrazione e andamento della percezione dei cittadini degli immigrati come minaccia, edizione di prima serata dei

notiziari Rai, Mediaset e La7, gennaio 2005 – ottobre 2015

Rilevazione svolta nel settembre 20151, Fonte: Osservatorio europeo sulla Sicurezza2

>

>

2005

380

39,2

50,7

39,2 37,4

31,2 29,4 26

33

31 35,3

193

537

849

502

941

266

1.007 901

3.437

1.015

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

notizie sull’immigrazione

la paura verso gli immigrati

(rientrano in questa fase l’omicidio Reggiani, il caso della Storta, casi di stupro e di lesioni) e,

dunque, anche se le notizie non sono numerose possono generare preoccupazione nel telespettatore.

In questo periodo si assiste a una proliferazione di servizi in cui i protagonisti dei servizi

di cronaca nera sono connotati in ragione dell’appartenenza – per lo più romeni e dell’Europa

dell’est – a una nazione o a un’etnia, con l’effetto di abituare il telespettatore a un’arbitraria

associazione immigrazione/criminalità.

Nel 2015 si assiste a un vero e proprio record di notizie dedicate all’immigrazione, il numero

più alto in 11 anni di rilevazione; la percezione circa l’insicurezza verso il fenomeno si attesta al

35%, valore molto simile a quello dell’inizio dell’anno. Questo significa che, nonostante alcuni

notiziari scelgano la narrazione emergenziale della questione migratoria, il clima di opinione

complessivo intorno a questi temi non risulta molto più ansiogeno rispetto ai mesi precedenti;

anche se non vi è dubbio che la questione migratoria sia percepita come un problema in alcune

zone e aree del paese toccate direttamente dal fenomeno.

Le notizie relative all’immigrazione si concentrano soprattutto in alcuni mesi: giugno, luglio e

agosto registrano i picchi di attenzione, con narrazioni allarmistiche (l’emergenza degli sbarchi e la

gestione dell’accoglienza) e drammatiche ma, queste ultime, con il focus sulle tragedie umanitarie.

Alcuni eventi – la tragedia del mare al largo di Lampedusa nell’aprile del 2015, i naufragi e le morti

durante i tentativi di arrivo, i vertici europei, la gestione degli arrivi dei migranti, i profughi a Ventimiglia e nelle stazioni delle grandi città, la pubblicazione della foto del bambino siriano morto sulla costa turca, il cambiamento nelle politiche di accoglienza – incrementano in modo esponenziale la visibilità del tema.

Il primo picco di visibilità del tema si verifica ad aprile in ragione della copertura dell’immane tragedia del mare con la morte di 800 migranti. Da quel momento, anche in ragione dell’arrivo della

stagione estiva maggiormente favorevole agli sbarchi sulle coste, il fenomeno migratorio è presente nell’agenda dei notiziari anche con 40-45 notizie al giorno, in media 7 notizie a telegiornale.

Il 4 settembre, giorno della messa in onda dell’immagine del bambino siriano morto sulle coste

turche, i telegiornali dedicano 53 servizi a questa e ad altre notizie correlate.Nei giorni successivi si

realizza un vero e proprio cambiamento di registro nella comunicazione, anche in ragione delle nuove scelte politiche messe in atto da diversi paesi (Germania in testa) in tema di accoglienza e di asilo.

Le immagini dei cittadini europei alle frontiere in attesa dei profughi si alternano agli appelli all’integrazione e all’accoglienza. Il cambiamento narrativo si accompagna a una progressiva diminuzione di attenzione del fenomeno che nel mese di ottobre ritorna sui valori di inizio anno.

Il grafico evidenzia una differenza quantitativa tra alcuni notiziari rispetto ad altri: il Tg4 in testa con

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Fig. 7 Andamento delle notizie sull’immigrazione, edizione di prima serata dei notiziari Rai, Mediaset e La7, gennaio 2005 – ottobre 2015

gennaio febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre

158

135 158 136

510

606 637

Migranti nelle stazioni

Allarmi sanitari

Stragi di migranti

Il muro in Ungheria

La svolta europea

per l’accoglienza

760 notizie e il TgLa7, fanalino di coda, con 244 notizie. Dall’approfondimento dei contenuti delle

notizie si rilevano ulteriori differenze.

L’analisi dei temi ci conferma la centralità del tema dell’accoglienza anche nei telegiornali di prima

serata: le questioni relative a criteri, modi e problemi circa l’accoglienza di profughi e migranti è

presente in oltre la metà dei servizi (55%).

La seconda voce dell’agenda dei temi è relativa ai flussi migratori, ovvero alla cronaca degli sbarchi e degli arrivi di migranti e profughi, ai naufragi e alle tragedie nel tentativo di oltrepassare le frontiere (24%).

Segue la dimensione della criminalità e sicurezza (al terzo posto con il 23% di visibilità) in cui si

collocano i principali casi di cronaca nera e le questioni di sicurezza e ordine pubblico. Seguono il

terrorismo (5%), società e cultura (4,1%) e del tutto marginalmente le questioni economiche e del

lavoro (0,5%).

Il confronto tra le reti evidenzia alcune differenze tematiche nella narrazione degli eventi migratori.

Se c’è una sostanziale uniformità tra i network nella trattazione della cronaca dei flussi migratori,

del terrorismo e delle questioni sociali ed economiche (la voce “Altro”), c’è uno scarto significativo

nella trattazione della criminalità e della sicurezza. Quando si parla di immigrazione, nei telegiornali Mediaset nel 37% dei casi si parla di criminalità e sicurezza; 3 volte in più che nei telegiornali Rai e nel TgLa7.

accoglienza

55%

flussi migratori

23,6%

terrorismo

5% società

e cultura

4,1%

criminalità

e sicurezza

22,6%

economia

e lavoro

0,5%

Fig. 9 Agenda dei temi delle notizie sull’immigrazione, edizione di prima serata dei notiziari Rai, Mediaset e La7, gennaio 2015 – ottobre 2015

in % sul complessivo delle notizie

Fig. 8 Notizie sull’immigrazione, confronto tra le reti, edizione di prima serata dei notiziari Rai, Mediaset e La7, gennaio 2005 – ottobre 2015

tg4

760

579

485

427 422

244

520

tg1 tg3 tg2 tg5 studio

aperto

tgLa7

La trattazione della cronaca nera correlata all’immigrazione, come si evince dal dato, è presente

nei notiziari Mediaset – soprattutto Tg4 e Studio Aperto – nei primi 10 mesi del 2015. Questo binomio immigrazione/criminalità è presente anche nei casi in cui la specificazione dell’appartenenza etnica risulta gratuita e ininfluente rispetto alla comprensione della notizia. Una delle linee guida della Carta di Roma raccomanda ai giornalisti proprio sotto questo aspetto: “Si dovrebbe, inoltre, ricorrere con maggiore responsabilità e consapevolezza alla citazione della nazionalità, dell’etnia, della razza, delle origini, della religione o dello status giuridico per descrivere la protagonista o il protagonista di un fatto di cronaca. Tali informazioni non dovrebbero essere utilizzate per qualificare i protagonisti se non sono rilevanti e pertinenti per la comprensione della notizia”.

In alcune notizie di cronaca nera è indubbio che la citazione della nazionalità sia un elemento

consustanziale alla notizia: il caso, riportato da tutti i telegiornali, del capotreno aggredito con un

machete da una banda di sud-americani a cui aveva chiesto il biglietto, riporta la provenienza degli

aggressori e la loro appartenenza a un’associazione criminale. In questo caso la nazionalità e le

origini dei protagonisti del crimine sono rilevanti per la comprensione della notizia.

In altri casi la nazionalità e lo status vengono esplicitati, ma senza apportare chiarezza o contestualizzazione alla notizia. È il caso dell’uccisione di un giovane a Terni per futili motivi a opera di un uomo di origine marocchina- ubriaco e sotto l’effetto di stupefacenti al momento dell’aggressione – già espulso dal paese. In questo caso due elementi – la nazionalità e lo status giuridico – vengono evidenziati nella notizia, a scapito dei futili motivi e dell’abuso di sostanze psicotrope (che sarebbero stati evidenziati nel caso di un omicidio compiuto da un italiano). Lo stesso avviene nel caso di cronaca avvenuto a Musile di Piave (in provincia di Venezia) dove un genitore rimprovera due bulli minorenni stranieri in difesa del figlio e viene aggredito e ferito da diverse coltellate. Anche in questo caso, viene sottolineata l’appartenenza etnica dei due aggressori. Si tratta di un caso di cronaca peraltro solo ripreso dal Tg4 e da Studio Aperto.

2.4 Le voci dell’immigrazione

La presenza in voce (con intervista in diretta, con intervista registrata, con immagini di archivio) è

un elemento cruciale per la visibilità dei soggetti o delle categorie.

Capire quanto sono stati presenti migranti, rifugiati, rappresentanti di associazioni e testimoni

privilegiati dei fenomeni migratori (come prefetti, medici e paramedici, volontari ed esponenti delle

forze dell’ordine) e in relazione a quali temi lo sono stati, è importante per comprenderne le caratteristiche di visibilità.

I fenomeni migratori nel corso del 2015 hanno occupato l’agenda dei telegiornali – si è trattato di

un tema mainstream – nel quale la politica è intervenuta spesso. I politici intervengono in voce nei

telegiornali di prima serata nel 31% dei servizi sull’immigrazione; il dato è ancora più significativo

se confrontato con gli interventi complessivi della politica sulla totalità dell’agenda dei telegiornali,

Accoglienza Flussi

migratori

Criminalità

e sicurezza

Terrorismo Altro

rai mediaset la7

Fig. 10 Agenda dei temi delle notizie sull’immigrazione, confronto tra i network, edizione di prima serata dei notiziari Rai, Mediaset e La7

gennaio 2015 – ottobre 2015, in % sul complessivo delle notizie

pari al 26%. La questione migratoria è stata centrale nell’agenda della politica e, essendo l’immigrazione un tema divisivo, è stato terreno di scontro politico.

Migranti e rifugiati hanno voce nel 7% dei servizi, spesso in ciascun servizio viene data la parola a

uno o più migranti. Per contestualizzare il dato, il presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi

è stato presente nel 55% dei servizi, Matteo Salvini nel 27% e il ministro Angelino Alfano nel 19%

dei servizi.

I migranti sono stati più visibili dei rappresentati delle cosiddette “categorie privilegiate” (rappresentanti delle associazioni e delle organizzazioni umanitarie, medici, esperti di area, studiosi, esponenti delle forze dell’ordine, prefetti e volontari) rispetto al tema, presenti nel 5% dei servizi.

Dal confronto tra gli interventi in voce e il contenuto tematico dei servizi emerge un altro elemento:

se i migranti hanno voce per lo più in relazione all’accoglienza (40%), i rom hanno voce nel 65% dei casi in relazioni a fatti di criminalità e di ordine pubblico.

parte 3

buone e cattive pratic he

nell’informa zione

televisiva

Foto di F. Malavolta ©

3.1 Principi deontologici alla prova pratica

Dimmi, enigmatico uomo, chi ami di più? tuo padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?

Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.

I tuoi amici?

Usate una parola il cui senso mi è rimasto fino ad oggi sconosciuto.

La patria?

Non so sotto quale latitudine si trovi.

La bellezza?

L’amerei volentieri, ma dea e immortale.

L’oro?

Lo odio come voi odiate Dio.

Ma allora che cosa ami, meraviglioso straniero?

Amo le nuvole… Le nuvole che passano… laggiù… Le meravigliose nuvole!

(Lo straniero – da Le Spleen de Paris, C. Baudelaire)

Questa rassegna di buone e cattive pratiche nei servizi dei notiziari sul fenomeno migratorio è

offerta come strumento di riflessione sulle modalità in cui i principi espressi in normative e codici

deontologici possono essere praticamente accolti nella narrazione giornalistica. In ragione della

natura prettamente qualitativa dell’analisi, non ci si pone l’obiettivo di fornire osservazioni o casistiche esaustive, ma semplici strumenti di lavoro o mappe di orientamento rispetto alla trattazione di fenomeni specifici.

Nell’analisi effettuata sono state identificate alcune aree di criticità – cattive pratiche – in ragione

del riferimento esplicito (o implicito ma comprensibile) all’alterità come minaccia, o alla chiusura/

rifiuto nei confronti della diversità.

Sono principalmente tre i frame critici emersi con maggiore intensità nei primi 10 mesi del 2015

in cui si sostanziano gli esempi di cattive pratiche del racconto giornalistico: i migranti/profughi

come minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico; i migranti/profughi come minaccia al lavoro

e all’economia; i migranti/profughi come minaccia alla cultura, all’identità e alla religione. Sono

cattive pratiche non (sol)tanto quando violano principi etici e normativi, ma anche quando veicolano o rafforzano stereotipi nella rappresentazione dello “straniero” come diverso, non integrabile e dunque pericoloso.

I migranti/profughi come minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico: è il frame in cui i migranti

vengono raccontati e presentati come violenti, come causa di maggiore insicurezza nelle città,

come disturbo alla quiete di paesi e città, come possibili terroristi, come portatori di malattie,

come incapaci di rispettare le regole della convivenza civile, come “invasori” degli spazi pubblici

cittadini.

I migranti/profughi come minaccia al lavoro e all’economia: è il frame in cui essi vengono raccontati

e presentati come persone che sottraggono il lavoro agli italiani, che usufruiscono di

trattamenti e di aiuti a scapito degli italiani, che usano “abusivamente” i servizi sanitari e sociali,

che godono di sistemi di protezione non concessi ai cittadini italiani.

I migranti/profughi come minaccia alla cultura, all’identità e alla religione: è il frame in cui i

migranti/profughi vengono raccontati e presentati come colonizzatori culturali, “non siamo più

padroni a casa nostra”, come ostili a forme di integrazione, come portatori di dettami religiosi

incompatibili con quella cattolica, come portatori di abitudini e stili di vita (alimentari per esempio)

diversi e inconciliabili con quelli degli italiani.

Individuare aree di criticità non significa ignorare la complessità dei fenomeni migratori né dell’integrazione, o delle situazioni di degrado e disagio, al contrario significa riconoscere che nel racconto delle migrazioni e dei migranti l’accuratezza e la completezza informative sono una garanzia contro il diffondersi di visioni stereotipate della realtà, il rischio di alimentare paure generate dalla non conoscenza del fenomeno e dell’altro, lo spettro di nutrire sentimenti di odio e atteggiamenti xenofobi.

Questi 3 frame narrativi sono spesso interrelati tra di loro e si configurano in cattive pratiche di

offesa/svilimento” dei migranti/profughi; all’opposto si trovano le buone pratiche che riportano la

questione dentro un contesto più ampio, rifuggono discriminazioni e offrono “ritratti/ valorizzazione

dei migranti/profughi”.

Cinque sono le cattive pratiche individuate in questo lavoro: l’imprecisione e la decontestualizzazione,

il tono emergenziale, i nemici alle porte, la vox populi, la narrazione costruttiva della paura.

Tre, invece, sono le buone pratiche: la contestualizzazione e l’approfondimento, le voci di esperti e

protagonisti e la creazione di format alternativi.

3.2 Imprecisione e decontestualizzazione

Dare il nome alle cose – e alle persone – è il primo passo per renderle comprensibili e riconoscibili.

Verificare l’appropriatezza giuridica dei termini utilizzati, informare accuratamente sui contesti di

provenienza dei migranti, sulle caratteristiche del fenomeno, sulle cause e sulle soluzioni possibili,

significa fare buon giornalismo. La cattiva pratica, in questo caso, si annida nell’assenza, nell’omissione di fatti importanti per la comprensione della notizia: non fornire i numeri che contestualizzino l’entità del fenomeno, non citare le fonti di dati statistici, non utilizzare strumenti ed elaborazioni grafiche per rendere più efficace la comunicazione su aspetti complessi dell’evento migratorio, non impiegare termini appropriati per definire i protagonisti. Tutte le volte in cui il telespettatore non è in grado di comprendere chi siano i richiedenti asilo e rifugiati, da dove provengano, quanti siano i migranti, cosa succeda di loro dopo che si sono spenti i riflettori su Lampedusa, quali siano le dimensioni dei flussi, anche in comparazione a quelli verso altri paesi. Tutte le volte in cui il telespettatore non ha una risposta a queste domande, o addirittura il racconto concitato dell’emergenza confonde la comprensione suggerendo risposte tendenziose, ha ricevuto un’informazione parziale.

Esempi di cattive pratiche

I servizi dei telegiornali, in concomitanza con la presentazione del piano europeo per fronteggiare

l’emergenza immigrazione (attraverso la ripartizione di quote di rifugiati e richiedenti asilo tra

gli Stati membri dell’Ue), hanno evidenziato alcune imprecisioni terminologiche diffuse, che non

aiutano a chiarire una questione di per sé complessa (il primo principio della Carta di Roma invita a

usare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore e all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri).

Il Tg1 (13 maggio) spiega i criteri proposti sulle quote senza approfondire o spiegare le tipologie

di migranti coinvolte, lasciando una certa ambiguità tra i vari termini usati, non sempre giuridicamente appropriati e utilizzati nel discorso come sinonimi: “ripartizione dei migranti”, “numero dei richiedenti asilo da ricollocare”, “rifugiati”.

Il Tg2 (13 maggio), nell’unico servizio del giorno, non appare molto più chiaro nella fase di introduzione alla questione, parlando indistintamente di “sistema di quote per ripartire chi arriva sulle nostre coste”, “redistribuzione dei migranti fra gli Stati membri”, “reinsediamento dei

profughi con un diritto accertato alla protezione internazionale, in attesa in paesi terzi”.

Il Tg3 (13 maggio) alterna anch’esso termini generici come “migranti” e più specifici come “rifugiati”

e “richiedenti asilo” senza spiegarne chiaramente le differenze.

Un uso suggestivo e strumentale di statistiche può confondere lo spettatore e offrire un’apparente

dimostrazione di una tesi.

Il Tg4 (13 maggio) presenta dati Censis che evidenziano un aumento esponenziale di scippi,

borseggi e rapine a Roma e li correla arbitrariamente con la presenza di stranieri. Il servizio

è costruito su un’alternanza di statistiche (generiche e non incrociate con la nazionalità degli

autori di reato) e riprese video in metropolitana di scippi “in diretta” e interviste a piccoli borseggiatori, tutti con accento straniero. L’autrice del servizio parla di una 13enne bosniaca fermata 50 volte, maestra nello sfilare portafogli, e poi si rivolge a due borseggiatrici intervistate, chiedendo loro: «Zingare? Bosniache?». In sostanza, il binomio migranti-criminalità è suggerito da

statistiche che in verità non affrontano affatto il tema di un eventuale rapporto di causa e effetto

fra aumento migranti e aumento scippi ed è inoltre rafforzato da immagini che raccontano il fenomeno criminale mostrando solo stranieri, o rom, che pure in maggioranza sono di nazionalità

italiana e nulla hanno a che fare con le migrazioni attuali.

Rispetto all’impiego di termini lesivi della dignità delle persone, sono tornati nel lessico giornalistico

di alcune testate termini inappropriati quali clandestino o vu’ cumprà.

Il Tg4 (31 maggio) dedica un servizio al divieto, introdotto sulle spiagge di Lignano, di acquistare

prodotti e servizi da chi commercia senza permessi e senza licenza, cioè i venditori ambulanti

abusivi. La criticità del messaggio sta nel linguaggio utilizzato: “Si è scelta la linea dura contro

i vu’ cumprà”. Si fa uso di un termine spregiativo e, oltretutto, si attribuisce ai soli stranieri la

pratica di commercio illegale. Il servizio conclude affermando che questa misura è stata presa

a tutela dei commercianti ed esercenti regolari, ma anche di molti extracomunitari in mano a

bande criminali che controllano il commercio abusivo sulle spiagge”.

3.3 Il tono emergenziale

La fuga da paesi in guerra, le traversate sulle “carrette del mare”, l’approdo sulle coste, il tragico

conteggio dei dispersi sono eventi che fanno parte delle migrazioni e che vanno raccontati, anche

nella loro inevitabile tragicità. L’eccesso di toni emergenziali, tuttavia, riduce la comprensione ed

enfatizza l’allarme. Sono soprattutto i titoli a caricare e imprimere il senso di un’emergenza continua, amplificando la spettacolarizzazione dell’evento narrato. Rientrano tra le cattive pratiche di questo frame tipi differenti di narrazioni con diversi focus.

La narrazione dell’immigrazione come fenomeno inarrestabile e dunque non gestibile, come un

fenomeno naturale di portata biblica, in perpetua emergenza da mesi, è una pratica diffusa nei

titoli dei telegiornali. Altre volte, “l’emergenza immigrazione” è associata alla potenziale minaccia

all’ordine pubblico, al degrado delle città, in una cornice di guerra fra poveri italiani e stranieri, o ai

rischi sanitari e ai timori – spesso infondati – di contagio (con, per esempio, inquadrature di migranti raccolti nella stazione centrale di Milano che si grattano i capelli, mentre il giornalista evoca la scabbia come malattia di cui sono portatori).

Vi è, inoltre, la rappresentazione dello “straniero che impone le proprie abitudini” e commenti popolari – nonché di esponenti politici – che amplificano l’emergenzialità del fenomeno: «fanno i padroni a casa nostra», «arrivano e occupano le strade con le loro preghiere», «dove una volta c’erano negozi, attività di italiani, ora ci sono loro, occupano le case e non si sa cosa succeda dentro».

Si rileva, talvolta, un uso sensazionalistico delle immagini e delle parole che prevale sull’accuratezza del racconto. È il caso dei piani sequenza sui volti dei bambini in lacrime che hanno perduto i genitori, è il caso di un linguaggio angosciante. I ritratti di migranti/profughi vengono usati strumentalmente per suscitare emozione nel pubblico, con il rischio che una volta cessata l’emergenza la questione sia dimenticata e loro con essa.

Esempi di cattive pratiche

Titoli di tg: «Emergenza profughi: 800 profughi vivono ammassati in un centro accoglienza nei

pressi della stazione Tiburtina. Il centro potrebbe ospitarne solo 20»; «Emergenza immigrati: a

Roma un intero quartiere in rivolta con la paura che la loro zona diventi un ennesimo centro di

accoglienza»; «Avanti, c’è posto! Prima 970 immigrati, poi 360. 1300 persone in tutto su navi abbandonate al largo, nessuno le accoglie tranne l’Italia»; «Emergenza immigrazione: alla stazione

centrale di Milano sgomberati i profughi accampati, situazione simile dal Brennero al Friuli, a

Roma la stazione Tiburtina al collasso»; «Emergenza immigrati: tensione a Milano, al quartiere

Gratosoglio. La gente del quartiere denuncia il degrado e la mancanza di igiene».

Il Tg4 (9 giugno) racconta in un servizio dai toni concitati e sensazionalistici la vicenda dei profughi

soccorsi alla stazione ferroviaria di Milano. Anche in questo caso sottolineando il rischio

di malattie e contagi: «Altri 600 arrivano in Lombardia dove i profughi dormono per terra alla

stazione centrale, anche quelli che avrebbero bisogno di cure mediche. […] Quasi tutti gli eritrei

che arrivano purtroppo sono malati, risultano malati di scabbia».

3.4 I nemici alle porte

Tra le cattive pratiche questa è quella che raffigura maggiormente il migrante come minaccia alla

sicurezza e all’ordine pubblico. È la dimensione in cui l’appartenenza etnica o religiosa dei migranti

viene più spesso menzionata esplicitamente e collegata soprattutto a crimini che minacciano

l’incolumità fisica dei cittadini italiani. «Terni: giovane ucciso da clandestino ubriaco e drogato, già

espulso una volta dall’Italia»; «Cuneo: albanesi rapinatori svaligiavano le case, picchiando selvaggiamente»; «Ennesima strage stradale: romeno ubriaco travolge passante sulle strisce pedonali»; «Esplode l’emergenza immigrati. Torino: disabile stuprata 30 ore nel bivacco dei migranti clandestini»; «Immigrazione e degrado: video choc dalla Cnn mostra immagini di minori che si prostituiscono alla stazione Termini».

>

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Esempi di cattive pratiche

Il Tg4 (1 settembre) manda in onda un’intervista che si scaglia contro tutti i richiedenti asilo

generalizzando da casi di cronaca nera. Nel servizio la giornalista stigmatizza il caso di Palagonia

(uccisione di due coniugi da parte di un giovane ivoriano accolto nel Cara di Mineo) come un

esempio di quello che potrebbe accadere accogliendo i profughi: «Fanno domanda di asilo intanto

ammazzano brava gente, scappano dalla guerre ma uccidono qui da noi, ne abbiamo visti

altri. Come Amin Assoul, 29 anni marocchino, la sua domanda di asilo politico era stata respinta,

ma lui aveva fatto ricorso, nell’attesa ha sgozzato fuori da un bar di Terni un povero ragazzo volontario del 118. Delinquenti, assassini in cerca di asilo, quanti sono, altro che profughi disperati,

disperati siamo noi quando all’improvviso ci entra in casa un Mamadou».

Alla preoccupazione per la criminalità comune, si aggiunge quella dei possibili attentati che genera

ulteriore inquietudine nelle persone, con due tipi di associazioni pericolose: l’evocazione del rischio

generico di infiltrazione di terroristi tra i migranti senza una contestualizzazione precisa e l’associazione islam-terrorismo.

Titoli di tg: «L’imam Zulkifal Hafiz arrestato nella bergamasca avrebbe formato terroristi a

Brescia, fatto tagliare la gola a una persona e finanziato il terrorismo in Pakistan». Anche porre

l’enfasi sulle potenziali infiltrazioni dei terroristi tra i migranti può diventare una cattiva pratica,

soprattutto nel caso in cui lo sviluppo delle indagini esclude il coinvolgimento di immigrati in

atti di terrorismo. È il caso del giovane marocchino Abdel Majid Touil, arrestato (e poi rilasciato)

con l’accusa di essere tra gli attentatori al Museo del Bardo di Tunisi. La notizia dell’arresto è

stata ripresa da tutti i telegiornali: 52 servizi in tre giorni; solo alcuni hanno comunicato anche la

scarcerazione dell’uomo in quanto estraneo ai fatti.

«Emergenza profughi: il Califfato sarebbe pronto a infiltrazioni di terroristi tra i migranti»;

«Allarme terrorismo: i tagliagole dell’Isis annunciano l’intenzione di far infiltrare i terroristi sui

barconi dei migranti»; «Emergenza sbarchi e allarme terrorismo: ci sarebbe un accordo tra

l’Isis e gli scafisti per far salire anche terroristi sui barconi».

Nel mese di gennaio, durante un vertice internazionale contro il terrorismo jihadista, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni parla di rischi di infiltrazioni di terroristi in Italia attraverso alcuni canali

di immigrazione, mettendo però in guardia dall’assimilare le “ migliaia di disperati che approdano

con i barconi sulle nostre coste” ai terroristi.

Studio Aperto (11 gennaio) presenta le immagini di una manifestazione svoltasi a Milano per la

festa del Profeta. La giornalista si avvicina al corteo con un approccio chiaramente provocatorio:

«Che cosa state manifestando? Qualcuno mi può rispondere per che cosa manifestate?». Un

uomo del corteo le risponde che festeggiano la nascita del Profeta e manifestano anche per la

pace. La giornalista lo incalza: «E rispetto a quello che è successo questi giorni? Condannate il

terrorismo? Io vedo dei bambini qua. Sapete che uno dei due terroristi voleva fare un attentato

all’asilo? ». Quando l’uomo le risponde che un fatto simile – una strage di bambini – è già avvenuta

in Pakistan a opera dei terroristi, viene interrotto bruscamente: «Lo so, lo so, ma io sto

parlando di Parigi». «Certo, noi condanniamo anche quello lì, guarda questo è il nostro messaggio», dice l’uomo mostrandole il manifesto: «No al terrorismo, sì alla pace». Insoddisfatta,

la giornalista ripercorre il corteo e chiede a un altro manifestante: «Il vostro profeta sarebbe

d’accordo con gli avvenimenti di Parigi di questi ultimi giorni?». Il giovane risponde affermativamente, non è dato sapere se per fraintendimento della domanda, per risposta alla provocazione o per convinzione. La giornalista, contenta di aver trovato ciò che cercava, lo incalza: «Cioè sarebbe d’accordo con gli omicidi degli ultimi tempi? […] Quindi voi siete d’accordo che siano state uccise venti persone?». Ciò che è in discussione non è, naturalmente, il diritto di un giornalista di ricercare e denunciare la presenza di posizioni estremiste tra i musulmani residenti in Italia, ma lo stile del servizio: provocatorio, in certi momenti oltraggioso, desideroso non di informare, approfondire, problematizzare, ma piuttosto di dimostrare a tutti i costi un’opinione preconcetta – che dietro a quanto sostenuto apertamente dalla comunità musulmana vi sia una malcelata simpatia per i terroristi.

Sono da sottolineare, come pratiche negative dal punto di vista giornalistico:

il porre agli intervistati domande orientate, che contengono già una risposta, che è poi quella

che si intende “dimostrare”;

il non facilitare la buona comprensione (linguistica, semantica) della domanda stessa da parte

degli intervistati, lasciando costantemente il dubbio che quelle risposte siano, almeno parzialmente, frutto di fraintendimenti;

l’attribuzione di un valore di verità maggiore alle dichiarazioni estremiste rispetto alle altre, considerando dunque gli individui che le esprimono più rappresentativi rispetto ad altri musulmani

residenti in Italia;

la maniera superficiale di affrontare una questione certamente problematica come quella delle

relazione e della convivenza tra religioni e culture.

3.5 La vox populi

La voce del popolo presentata come fonte autorevole – ed esclusiva – dell’informazione. È una

cattiva pratica quando le interviste alla gente comune sono presentate come esempio di un pensiero ampio e diffuso. Come se le persone intervistate per strada fossero rappresentative dell’intera opinione pubblica:

«Come vede lei l’arrivo di migranti?»

«Ma, non so, male, abbiamo già tanti delinquenti in Italia».

«Qui in paese siamo preoccupati, anche perché l’hotel (che dovrebbe ospitare e richiedenti asilo

ndr) è vicino a una scuola elementare, sa le mamme hanno paura».

Inoltre l’uso strumentale delle interviste a persone direttamente coinvolte in fatti criminosi, si configura come una sorta di sciacallaggio mediatico in cui il dolore viene esibito e indirizzato verso un preciso bersaglio.

Esempi di cattive pratiche

Tg4 e Studio Aperto (31 agosto) hanno scelto di trasmettere integralmente l’intervista alla figlia

dei due coniugi uccisi a Palagonia da un giovane ivoriano, residente presso il centro di accoglienza

di Mineo. A differenza della scelta editoriale di questi due notiziari, gli altri telegiornali

riportano, parafrasandole, le parole molto dure e aggressive della donna, visibilmente scioccata

dagli eventi di cui è appena stata vittima la sua famiglia.

Il Tg4 (1° settembre) racconta dell’accoglienza in un hotel del bergamasco di una decina di profughi.

Una donna intervistata afferma: «Preferiamo aiutare prima gli italiani, profughi ospitati in

un albergo, c’è proprio la scuola elementare lì vicino e le mamme non si fidano tanto, abbiamo

già noi in Italia i delinquenti, ne vengono degli altri […] con tutte le cose che succedono, la gente

ha paura dei profughi, che capiti anche qui quello che è successo a Palagonia».

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3.6 La narrazione costruttiva della paura

Si può definire come cattiva pratica non soltanto il singolo episodio critico o la singola associazione

problematica, ma anche l’insieme di fatti diversi eppure collegati a partire da un elemento unificante:

l’appartenenza etnica dei protagonisti. O la condizione di migrante/profugo. È il caso per esempio

dei telegiornali Mediaset del 17 giugno 2015 in cui ciascun servizio – da solo – non presenta evidenti criticità. La sequenza però di 3-4 notizie relative a contesti e fatti differenti, accomunati soltanto dagli stranieri come protagonisti (spesso in situazioni di disagio) può configurarsi come una cattiva pratica in ragione della costruzione consequenziale di un filo narrativo negativo. Nel caso del 17 giugno la sequenza dei servizi inizia con il respingimento dei profughi alla frontiera francese, segue il dibattito politico interno, segue la notizia sulle stazioni italiane come dormitori, segue la costruzione del muro in Ungheria e conclude la notizia di una truffa compiuta da tre marocchini nel nord est. Il Tg4 aggiunge un servizio sulle difficoltà economiche di una famiglia italiana.

Esempi di cattive pratiche

Il Tg1 e Tg5 (17 luglio). In concomitanza con gli scontri a Casale San Nicola, nella periferia romana, tra forze dell’ordine e residenti, supportati da esponenti di Casa Pound contro lo spostamento di 19 migranti nel centro di accoglienza, il Tg1 dedica tre servizi all’immigrazione, il Tg5 6. I primi tre servizi di entrambi i telegiornali si concentrano sugli scontri di Roma, nel quartiere

San Nicola («La rabbia contro l’accoglienza, anche se sono solo 19 migranti»), proseguono poi

con le proteste degli abitanti di Quinto di Treviso (in provincia di Treviso) contro l’accoglienza di

un centinaio di profughi e si concludono con la notizia della morte, durante la traversata, di una

bimba siriana affetta da diabete, a seguito del lancio in mare dell’insulina da parte degli scafisti.

Il Tg5 dedica altri 3 servizi all’immigrazione: uno al dibattito politico, un altro all’accoglienza di

una bimba palestinese in lacrime davanti ad Angela Merkel e infine l’ultimo a un’inchiesta della

redazione sul mondo della prostituzione (con la testimonianza di una donna albanese). La successione di notizie allarmanti e patemiche costruisce una narrazione angosciante che ha come

comune denominatore migranti e profughi.

3.7 Contestualizzazione e apprendimento

La contestualizzazione degli eventi narrati, l’approfondimento storico, geografico, politico dei fenomeni migratori è un buona pratica giornalistica perché facilita al pubblico la comprensione dei fatti narrati.

Esempi di buone pratiche

Il Tg2 (13 maggio), dopo un servizio relativo al piano europeo per l’accoglienza e la distribuzione

dei profughi, affronta la situazione italiana. Il testo, supportato da una scheda grafica, offre

chiarezza allo spettatore e ha il merito di fare precisazioni sulla posizione dell’Unione europea

che soltanto due telegiornali introducono: «La redistribuzione prevede che accolga il 9,94% dei

20.000 rifugiati in attesa in campi profughi all’estero e l’11,84% dei richiedenti asilo già in Europa

o in arrivo».

Il Tg3 (14 maggio) ritorna sul tema immigrazione con tre lunghi servizi sull’accoglienza e le quote

che chiariscono e approfondiscono vari aspetti e fanno emergere in modo semplice le distinzioni

tra le diverse categorie di migranti che sono coinvolte dalle decisioni europee.

Il Tg5 (14 maggio) affronta il tema con un approccio sobrio e corretto dal punto di vista termino-logico, sia pure senza approfondimenti.

Studio Aperto (14 maggio) tratta l’argomento quote in maniera linguisticamente corretta anche

se sbrigativa.

Il Tg4 (14 maggio) presenta un servizio con l’intento di fare chiarezza sulla questione delle quote,

attraverso la grafica e uno schema domanda/risposta.

Il TgLa 7 (14 maggio), pur dedicando un solo servizio alla questione, ha il merito di utilizzare i

giusti termini, di offrirne una spiegazione semplice e di chiarire, sia pure rapidamente, che il

meccanismo delle quote riguarda «i rifugiati, cioè coloro che hanno questo riconoscimento, non

generici immigrati» e che le quote stabilite riguardano il ricollocamento temporaneo di chi è già

sul suolo europeo e la redistribuzione futura di persone ospitate in campi profughi mediorientali.

Il Tg2 (2 gennaio), in un servizio su uno sbarco di migranti sulle coste calabresi, introduce

elementi informativi di diversa natura: non soltanto il numero stimato e l’origine dei migranti,

ma anche informazioni concrete sui costi e i benefici economici per gli scafisti, sui costi della

traversata e la sua pubblicità su Facebook, sui suoi rischi, sulle nuove rotte (partenza da porti

turchi) e i nuovi metodi (pilota automatico) usati. Inoltre, il servizio introduce due testimonianze,

quella di un migrante e in seguito, parlando di gommoni in arrivo dalle coste libiche, quella del

capitano di un mercantile in contatto con la guardia costiera dopo aver avvistato alcuni gommoni

carichi di persone.

3.7 Le voci di esperti e protagonisti

Dare voce agli esperti, agli operatori istituzionali e a quelli delle associazioni è una buona pratica

nella misura in cui individui competenti, che conoscono il fenomeno migratorio, sono in grado di

fornire fatti, opinioni ponderate e spunti per la riflessione.

Alcuni notiziari, come il Tg2 e il Tg3, offrono spazio agli esponenti delle associazioni umanitarie,

spesso in concomitanza con la cronaca degli sbarchi e di quanto avviene alle frontiere. Nel panorama nazionale sono soprattutto i notiziari Rai (anche in ragione della collaborazione con le testate regionali) a dare spazio agli esperti: prefetti, medici, volontari di associazioni, rappresentanti delle forze dell’ordine sono intervistati di frequente, in ragione anche della necessità di fornire elementi a chi in quelle zone vive e lavora.

Nei giorni degli attacchi jihadisti a Parigi – un momento molto delicato per le comunità immigrate,

esposte a possibili reazioni xenofobe da parte di gruppi propensi ad assimilare tutti musulmani a

potenziali terroristi, o comunque ad accusarli di complicità – vari notiziari, in particolare il Tg2, il

Tg3 e il Tg5, hanno dato voce ai rappresentanti delle comunità islamiche in Italia, insistendo sulla

distanza che separa i terroristi dalla maggioranza dei musulmani, i quali ricordano come l’islam

sia una religione di pace e che la nostra società offre tutte le possibilità di difendere le proprie credenze in maniera pacifica e civile.

Esempi di buone pratiche

Il Tg2 manda in onda un buon servizio di approfondimento che ha diversi meriti: fa chiarezza sui

termini usati per definire i rom; fa ricorso a fonti statistiche attendibili; raccoglie il parere di una

rappresentante dell’Opera Nomadi che presenta le ambiguità di un mondo “a due facce”, da una

parte gente che vive nelle baracche ma con auto di lusso e conti correnti milionari, dall’altra

famiglie che vivono in condizioni di sporcizia, miseria e mancata scolarizzazione.>

Il Tg1 (6 gennaio) racconta la storia di vita di Yacouba Kone, un migrante giunto dal Mali a Lampedusa nel 2011 dopo una traversata in barca e attualmente residente a Settimo Torinese, dove lavora come volontario nel centro di accoglienza della Croce rossa, aiutando gli altri immigrati.

L’uomo è intervistato e racconta alcuni aspetti della sua esperienza di migrazione e di lavoro. Il

servizio fornisce anche, attraverso la voce di un rappresentante della Croce rossa, alcuni dati

confortanti sull’inserimento lavorativo di immigrati nelle aziende locali, industriali o agricole.

Il Tg3 (7 febbraio) parla della crisi della raccolta degli agrumi a Rosarno, un luogo dove è alta la

presenza di immigrati tra i braccianti agricoli e denuncia le condizioni del “ghetto dei migranti”,

dove vivono circa 900 persone che sperano in un lavoro. Il giornalista visita la tendopoli di San

Ferdinando, deprecando la “vergogna della mancata accoglienza”: poca elettricità non sempre

disponibile, cucina all’aria aperta, acqua calda venduta al mercato nero, macelleria all’aperto,

fogne non in pendenza, bagni intasati. Un medico di Emergency denuncia l’altissimo rischio di

malattie che si annida in condizioni come quelle. Il reporter mostra anche come, poco più in

là, la vergogna sconfini nel pericolo di vita, in un capannone confiscato ai boss e abitato abusivamente da circa 300 africani in assenza delle più elementari norme di sicurezza. Il sindaco

di Rosarno spiega l’esistenza di questa situazione con il fatto che l’immigrazione sia terreno

di scontro politico e impedisca le normali misure che si attiverebbero in casi simili. Il servizio,

appoggiandosi su pareri esperti, mostra un volto dell’immigrazione generalmente trascurato:

immigrati regolari e in cerca di lavoro, vittime di sfruttamento nel lavoro nero, a vantaggio di

caporalati italiani.

I protagonisti, i migranti stessi, non sono abbastanza visibili nei telegiornali italiani. A parte qualche

storia sul viaggio della disperazione, che suscita emozione nel pubblico e alimenta la drammaticità,

ci sono anche casi positivi di storie di vita a lieto fine, di integrazione e di successo.

Il Tg3 (25 gennaio) presenta un servizio che racconta la “storia di riscatto e di coraggio” di

Ameth Fall, un giovane senegalese che a 16 anni è arrivato irregolarmente in Italia per inseguire

il suo sogno, e ora è diventato bomber del Barletta in Lega Pro, acclamato sui campi di calcio.

Nell’intervista Ameth, musulmano, parla della sua visione dell’islam, condanna la visione violenta

dei jihadisti ed esprime un messaggio positivo contro il razzismo nel calcio.

Il Tg1 (18 febbraio) presenta un esempio positivo di integrazione e convivenza costruttiva, da

cui traggono vantaggio tutte le parti coinvolte. La vicenda riguarda l’antico borgo medievale di

Asciano in Toscana e una categoria particolare di stranieri, gli studenti cinesi che frequentano

l’Università per stranieri della vicina Siena. Il paese, in cui il 5% della popolazione è attualmente

costituito da cinesi, si è riorganizzato per accogliere questi giovani che hanno rimesso in moto

l’economia. Il sindaco racconta il coinvolgimento delle associazioni per organizzare corsi di

pittura e scultura, di cucina rivolta agli studenti e il patrocinio dato a un sito in cinese che li aiuti

a orientarsi; un commerciante spiega di aver introdotto dietro loro richiesta prodotti cinesi nel

suo negozio di alimentari, vari altri negozi pubblicizzano prodotti e tariffe agevolate per loro e il

comune progetta di trasferire lì alcune aule dei corsi per stranieri.

Il Tg5 (8 gennaio), in concomitanza con l’attacco terroristico giornale satirico Charlie Hebdo, fa

prova di un approccio misurato e rassicurante, privilegiando le voci di condanna senza sfumature

che emergono dalle comunità musulmane in Italia e nel mondo. Viene mandata in onda un’intervista al rappresentante dell’Unione comunità islamiche in Italia, il cui parere è presentato come condiviso dai numerosi cittadini di religione musulmana che vivono nel nostro paese e che sono increduli e indignati di fronte a quanto successo a Parigi. Lo stesso approccio si ripete il giorno successivo, con un servizio aperto da queste parole: «Anche oggi dalle comunità islamiche sono arrivate parole di condanna delle azioni che di Parigi». Attraverso le interviste al presidente del Centro islamico di Milano e al segretario del Centro culturale islamico di Roma, passa l’idea dell’esigenza di tenere aperti il dialogo, il confronto e l’unione tra le varie comunità contro il terrorismo.

Il Tg3 (9 gennaio), con un servizio girato nella grande moschea di Roma, raccoglie in maniera

piuttosto estesa i pareri di fedeli musulmani – rappresentanti ufficiali o cittadini e individui comuni

insistendo sulla distanza che separa i terroristi dalla grande maggioranza dei musulmani,

convinti che l’islam sia una religione di pace e che la nostra società offra tutte le possibilità di

difendere le proprie credenze in maniera pacifica e civile.

Il Tg2 (8 gennaio) manda in onda un appello che il presidente dell’Ucoii rivolge ai suoi correligionari e ai cittadini italiani per “costruire ponti e non barriere”, per fare fronte comune contro

il terrorismo, che colpisce entrambe le comunità e per contribuire al rispetto reciproco e alla

convivenza pacifica. Lo sdegno e le parole di condanna espressi dalla comunità islamica in

Italia sono al centro di due altri servizi il 9 gennaio: il primo raccoglie il parere del presidente

dell’Associazione culturale islamica in Italia e della rappresentante delle donne marocchine, che

invita le autorità a chiudere i siti web che inneggiano al terrorismo jihadista e spargono odio tra i

giovani; nel secondo, il giornalista raccoglie i pareri dei fedeli musulmani nella grande moschea

di Roma, offrendo un buon esempio di serietà giornalistica sia nel far comprendere le posizioni

di persone le cui difficoltà linguistiche potrebbero creare malintesi, sia nell’allargare il discorso

alla questione della convivenza tra comunità italiana e straniera nei quartieri, nel lavoro, nella

realtà quotidiana.

3.8 I racconti alternativi

Raccontare il fenomeno migratorio focalizzando l’attenzione su aspetti diversi e sganciati dall’attualità della cronaca consente di allargare lo sguardo sul tema e di comprenderlo meglio.

Alcuni telegiornali, come il Tg2 hanno scelto di inserire all’interno dell’agenda un approfondimento

(che si articola in genere su 2 o 3 servizi) con un focus tematico. Nel corso del 2015, molti di approfondimenti sono stati dedicati alla questione migratoria: dallo sfruttamento lavorativo dei migranti, alla situazione in Libia, dal percorso che compiono i migranti attraverso la Grecia, alla mappa delle strutture di accoglienza in Italia.

La rete SkyTg24, nel mese di novembre, ha dedicato un approfondimento specifico sul tema, svolgendo un’inchiesta – “Europa promessa” – andata in onda alla fine del notiziario di prima serata.

Nell’inchiesta sono state affrontate diverse questioni: le questioni demografiche legate all’immigrazione, le condizioni di vita in Gambia, uno dei principali paesi di provenienza dei migranti che restano in Italia, i tempi di attesa della burocrazia italiana per le pratiche di richiesta di asilo, il partito Pegida in Germania e l’accoglienza nei paesi del nord Europa. Questioni che aiutano a contestualizzare il fenomeno, chiarendone forme e contenuti.

Anche le redazioni regionali della Rai (TgR) delle regioni di frontiera, maggiormente esposte ai

flussi migratori (come Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna) hanno dedicato molti servizi al fenomeno migratorio e, con l’aiuto di esperti e di rappresentanti di associazioni umanitarie, di raccontarlo senza allarmismi né sensazionalismi, in una logica di informazione di servizio ai cittadini.

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parte 4

alcu ni casi

di da ngerous speech

Foto di F. Malavolta ©

4.1 Hate speech e dangerous speech

Stabilire in modo univoco cosa si intende con hate speech e con dangerous speech è complesso.

Così come è complesso stabilire il confine tra libertà di espressione e discorso di incitamento

all’odio, soprattutto quando non è il media l’autore del discorso, ma il suo amplificatore.

Vi sono però alcuni elementi del racconto giornalistico che possono essere definiti genericamente

come dangerous speech.

La diffusione di allarmi e voci non verificate, cioè prive di un adeguato controllo delle fonti, rappresenta una violazione della deontologia giornalistica, la quale impone di confrontare e verificare le informazioni prima di diffonderle, soprattutto nei casi in cui questi rumori potrebbero generare allarmi sociali o ledere la reputazione delle persone coinvolte.

Gli imperativi deontologici impongono al giornalista di ricercare e diffondere le notizie o le informazioni che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile, senza omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell’avvenimento e senza travisare o forzare il contenuto degli articoli o delle notizie. Il giornalista non deve confondere informazioni e voci e deve assicurarsi della fondatezza della notizia, per salvaguardare la verità sostanziale dei fatti e per non rischiare di diffondere notizie false e lesive dell’altrui reputazione.

Il controllo consiste nella verifica rigorosa dell’attendibilità della fonte e nella ricerca di elementi

che confermino la notizia. Nel caso in cui le fonti chiedano di rimanere riservate, il giornalista dovrebbe informarne il pubblico. Negli altri casi vige il principio della massima trasparenza delle fonti d’informazione, che vanno indicate ai lettori o agli spettatori con la massima precisione possibile.

Vi sono poi degli indicatori ritenuti esemplificativi nella individuazione di casi di dangerous speech,

elencati nelle Linee Guida per l’applicazione della Carta di Roma1 e contenuti nel testo di Susan

Benesh come proposte per prevenire conflitti e violenze2. Gli elementi che il giornalista dovrebbe

valutare prima di diffondere esternazioni potenzialmente incendiarie sono: la posizione di chi parla,

l’audience, le caratteristiche del discorso, il contesto storico-sociale e i media che lo veicolano.

Di seguito sono presentati tre casi di dangerous speech: nel primo caso il discorso è proferito da un politico, quindi l’analisi consiste nell’analisi trasversale degli approcci usati dai diversi notiziari nel presentarlo. Nel secondo e nel terzo caso sono i media stessi a fabbricare il discorso incendiario, quindi l’analisi si concentra esclusivamente sui media responsabili.

4.2 Primo caso: discorso incendiario di Matteo Salvini

sui rom, 28 maggio 2015

Contesto: il 27 maggio un’automobile non si ferma all’alt della polizia e travolge a folle velocità 9

persone, causando una vittima – una donna filippina – e otto feriti nel quartiere Primavalle di Roma.

1. Linee guida per l’applicazione della Carta di Roma, http://www.cartadiroma.org/wp-content/uploads/2012/12/Linee-guida-per-lapplicazione-

della-Carta-di-Roma_edizione-2015.pdf.

2. Susan Benesch, Vile Crime or Inalienable Right; Defining Incitement to Genocide, Va J. Int’l L, 48 Va. J. Int’l., L. 485 (2008), http://papers.

ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1121926 e Susan Benesch, The New Law of Incitement: A Critique and a Proposal, http://

www.ushmm.org/genocide/spv/pdf/benesch_susan.pdf.

A bordo dell’auto, quattro rom, di cui un minorenne, fuggiti dopo l’incidente. Soltanto una donna,

anch’essa minorenne, viene arrestata. In seguito alla reazione degli abitanti del quartiere, sostenuti

da varie formazioni politiche, l’episodio si configura presto come un focolaio di tensione dai

risvolti etnici, innestandosi su dinamiche preesistenti, in particolare una relazione difficile con la

comunità rom.

In questa cornice risuonano le dichiarazioni incendiarie di Matteo Salvini: «Radiamo al suolo i

campi rom», «I campi rom vanno demoliti con le ruspe». In un momento in cui la situazione rischia

di degenerare in episodi di intolleranza verso le comunità rom, queste dichiarazioni che invocano

esplicitamente o legittimano comportamenti distruttivi verso un’intera comunità, appaiono molto

pericolose. Per questa ragione è interessante analizzare e confrontare l’approccio dei vari media

alle dichiarazioni del segretario della Lega Nord.

Gli approcci osservati appartengono a quattro diverse tipologie:

Approccio “mediatore”: sebbene il discorso incendiario non sia stigmatizzato direttamente dalla

redazione, esso è contrastato dalle dichiarazioni di altri attori politici di opinione contrapposta.

È il caso di Tg3 e Tg5, in cui la condanna delle parole di Salvini si esprime attraverso i pareri di

altri politici.

Il Tg3 lo fa in maniera più netta, sottolineando la portata politica che l’evento ha assunto, in

prossimità delle elezioni regionali e riportando i commenti del presidente dell’Associazione sinti

in Italia («Salvini sta resuscitando lo spirito di Hitler») e dell’onorevole Orfini che accusa la Lega

Nord di strumentalizzare l’accaduto. Due servizi successivi confermano questo approccio pluralistico e “bilanciato”: il primo cerca di rendere conto dei vari sentimenti e opinioni che agitano

la cittadinanza, facendo emergere la rabbia del quartiere, ma anche la speranza che dalla

disgrazia non si scateni altra violenza («Se sono stati stranieri, quegli stranieri pagheranno ma

non si deve scatenare l’odio razziale»). Infine, un collegamento in diretta parla della fiaccolata

organizzata da Fratelli d’Italia e da altre organizzazioni vicine alla destra per chiedere sicurezza

e la chiusura campi rom, ma riporta anche le dichiarazioni del sindaco Marino che invita a non

cadere nella trappola del razzismo.

Il Tg5 accosta alle dichiarazioni di Salvini («Le ruspe faranno il loro lavoro di pulizia») la posizione

ben diversa del Partito Democratico e quella di Sinistra Ecologia e Libertà che denuncia

speculazione e sciacallismo e invita a separare il fatto criminale dalla questione etnica. Tuttavia

il notiziario Mediaset, nel riportare le reazioni della cittadinanza, dà spazio ai soli protagonisti

della fiaccolata nel quartiere, che sfilano tra manifesti dal sapore razzista (“Investiamo gli

zingari”) ed esprimono sentimenti di rabbia e intolleranza: «Noi cerchiamo di farli integrare, gli

diamo case, loro che fanno? Niente, abusano, fanno di tutto perché sanno che in Italia le leggi

sono blande». La logica del contrappeso, quindi, si applica solo in maniera incompleta.

Approccio “spettatore”: il discorso incendiario è riportato senza commenti, non è “rafforzato”

né problematizzato. Un approccio neutrale che rischia tuttavia di sottovalutare la gravità del

problema. È quello seguito dal Tg1 e da SkyTg24.

Il Tg1 si limita, in una breve notizia letta dal conduttore, a riportare le dichiarazioni di Alfano («Li

prenderemo e pagheranno caro») e di Salvini («Basta impunità, i campi rom vanno demoliti con

le ruspe»). Servizio caratterizzato dalla brevità con cui è presentato un discorso incendiario di

quella portata, mentre i servizi precedenti avevano fatto prova di un approccio “pacificatore” (in

particolare, la presentazione dei dati Istat e Aci su incidenti stradali, vittime e casi di omissioni

di soccorso, appariva come un tentativo di disinnescare l’argomento razziale, presentando il problema degli incidenti stradali come un fenomeno generale, sganciato dall’appartenenza etnica

dei responsabili).

SkyTg24 presenta la frase di Salvini come uno slogan della campagna anti-nomadi della Lega Nord. La frase incriminata – «Radiamo al suolo i campi rom» – è accennata soltanto nel lancio,

seguito dalla diffusione di una dichiarazione di Salvini che, pur essendo essa stessa anti-rom,

ricorre a un linguaggio meno estremo.

Approccio “complice”: il discorso incendiario è rafforzato da altri che vanno nella medesima

direzione, senza evocare alcuna voce contraria. Si tratta dell’approccio seguito da Studio Aperto

e dal Tg4.

I due notiziari, Studio Aperto e Tg4, dedicano molti servizi sulla vicenda, non dando spazio alla

pluralità delle voci e concentrandosi solo sulle parole del leader leghista. Nel primo servizio

sono le parole di intolleranza e propaganda di Matteo Salvini a dominare: «Non è possibile che

ci siano decine di migliaia di persone che hanno solo diritti e non hanno doveri, non pagano

una lira, vanno a 150 all’ora, ammazzano le persone in mezzo alla strada, non mandano i figli

a scuola, vivono di furti, occupano, fan casino, scippano… Basta. La ruspa è in cabina elettorale

domenica». Nei servizi successivi, sono soltanto le reazioni di esasperazione, paura e rabbia a

ottenere l’accesso, lasciando filtrare nuovi discorsi incendiari che vanno a rafforzare i propositi

di Salvini («Se era mia figlia quella, stanotte al campo rom erano tutti morti»; «Non è il primo

caso che i rom uccidono…»).

Approccio “escludente”: Il Tg2 e il TgLa7, pur trattando la vicenda, non fanno riferimento alle

parole di Salvini, scegliendo quindi di non dare alcuno spazio a questo tipo di invocazione.

4.3 Secondo caso: due servizi del Tg4 sulle comunità

islamiche in Italia

Contesto: il 7 gennaio 2015 due jihadisti attaccano la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, già

da tempo nel mirino degli estremisti per le frequenti vignette che prendono di mira i simboli della

religione islamica. Nell’attentato muoiono dodici persone. Due giorni dopo, un complice degli

attentatori si barrica in un supermercato kosher a Porte de Vincennes, prendendo alcuni ostaggi e

uccidendo quattro persone. I responsabili degli attentati vengono uccisi.

Nei giorni tra i due attentati e in quelli seguenti, lo spazio dell’informazione è monopolizzato dalla

cronaca degli attacchi e delle indagini, dalla questione della sicurezza e dalle reazioni politiche

nazionali e internazionali. Tutti i telegiornali dedicano alcune notizie alle reazioni delle comunità

islamiche in Italia. Il momento è molto delicato per queste comunità immigrate, guardate con

sospetto da una cittadinanza spaventata ed esposte a possibili reazioni xenofobe da parte di gruppi propensi ad assimilare i musulmani ai terroristi, o comunque ad accusarli di complicità. Molti dei telegiornali analizzati fanno prova di un approccio misurato e rassicurante, privilegiando le voci di condanna senza sfumature che emergono dalle comunità musulmane in Italia e nel mondo e insistendo sulla distanza che separa i terroristi dalla grande maggioranza dei musulmani.

Il Tg4 segue un percorso diverso, non solo più allarmista, ma tendente ad accentuare la tensione,

a seminare i sospetti generalizzati nei confronti delle comunità islamiche e a creare un “muro

contro muro”. Il notiziario evidenzia a più riprese l’intento di smascherare il vero sentimento che

si nasconde sotto al discorso ufficiale, “di circostanza” dei musulmani italiani. In un servizio del 12

gennaio, per esempio, le immagini dell’attacco di Parigi sono accostate a quelle dei fedeli musulmani in preghiera al Palasharp di Milano e il giornalista, dopo aver raccolto le dichiarazioni di

alcuni di loro che condannano gli attentati, dichiara espressamente l’intenzione di fare una prova:

«Un complice con una telecamera nascosta avvicina le persone all’esterno del Palasharp e qualcuno cambia versione». Il titolo in sovrimpressione svela questa versione – che sarebbe “più vera” diquelle. appena ascoltate: «Hanno ucciso dodici cani».

Il medesimo intento di smascherare il “doppio discorso” dei musulmani in Italia (conciliante quello

ufficiale e carico di odio quello reale) lo si ritrova in un servizio del 4 aprile, dopo il sanguinoso

attentato jihadista in Kenya contro un college frequentato soprattutto da studenti cristiani. Il servizio

è annunciato così: «C’è un altro documento impressionante, quello che dimostra cosa pensano

davvero gli islamici che stanno nel nostro paese degli attacchi ai cristiani». Il lancio insiste dunque

sulla contrapposizione religiosa islamici/cristiani che non si limita al contesto dell’attentato,

ma sconfina nella nostra società. Il servizio segue uno schema collaudato, con un giornalista che

raccoglie pareri moderati, espressi davanti alla telecamera e messi a confronto con pareri diversi

e ben più estremi raccolti in maniera più “confidenziale”. Nonostante gli individui che esprimono

i due diversi pareri non siano gli stessi, l’equazione è fatta e si dà per dimostrati, nella comunità

islamica in Italia, sia l’ipocrisia sia l’odio nutrito nei nostri confronti. Alle dichiarazioni estremiste

viene di fatto attribuito un valore di verità maggiore rispetto alle altre, considerando dunque gli

individui che le esprimono più rappresentativi rispetto ad altri dei musulmani residenti in Italia.

Ciò che è in discussione non è, naturalmente, il diritto di un giornalista di ricercare e denunciare la

presenza di posizioni estremiste tra i musulmani residenti in Italia e di stigmatizzare i discorsi di

odio da essi eventualmente proferiti (come è, effettivamente, la frase «Hanno ucciso dodici cani»,

pronunciata da un intervistato) ma lo stile e l’intento dei servizi. Si tratta di servizi che non mirano

a informare, approfondire o problematizzare una questione complessa e delicata come la relazione

e la convivenza tra religioni e culture, ma piuttosto puntano a dimostrare a tutti i costi un’opinione

preconcetta – che, dietro al discorso di facciata dei musulmani, vi sia una malcelata simpatia per i

terroristi. Questo approccio tradisce un’ostilità profonda verso i musulmani in generale e rischia di

alimentare/giustificare sentimenti aggressivi nei loro confronti, sotto l’apparenza di una necessaria

autodifesa”.

4.4 Terzo caso: un servizio del Tg4 sul degrado delle stazioni ferroviarie dopo l’afflusso di centinaia di profughi

Contesto: nel mese di giugno, dopo il collasso dei centri di accoglienza dei migranti, le stazioni di

alcune grandi città diventano centri di accoglienza improvvisati, dove stazionano per giorni centinaia di profughi e migranti. Il Tg4 dell’11 giugno presenta diversi servizi e reportage su questa situazione sempre più caotica.

Viene qui segnalato un servizio che appare particolarmente critico dal punto di vista del dangerous

speech. Sebbene l’intento apparente sia di documentare la situazione di degrado e sebbene emerga una critica alle istituzioni per le evidenti défaillance nel sistema di accoglienza, testo e immagini si articolano in modo tale da generare un ulteriore livello di lettura dalle implicazioni molto pericolose,

in primis una disumanizzazione degli immigrati, raffigurati quasi come un’orda incivile. Le

immagini che li ritraggono in momenti di imbarazzante intimità, senza rispetto per la loro dignità,

puntano a suscitare disgusto nei loro confronti e timori per il rischio sanitario. L’uso delle parole

rafforza questa rappresentazione.

Alcuni frammenti del testo:

(Stazione di Milano Centrale): «Da giorni la stazione è un dormitorio, un accampamento, una

mensa improvvisata […] Stanno lì nel mezzanino un po’ seduti un po’ sdraiati, mangiano, aspettano, qualcuno si gratta. Insieme alla sporcizia c’è pure la scabbia. A terra, chiazze di liquido indefinite.

Proviamo vergogna e disagio a raccontare questa Milano: lasciamo perdere il decoro, ma l’igiene, i

controlli, la sicurezza?».

(Stazione di Roma Tiburtina): «Passano i pullman di turisti e loro sono accampati lì, senza bagni,

senza un tetto, senza niente».

(Stazione di Treviso): «Uomini che dormono negli scatoloni di cartone. Caldo, cattivi odori, persone

che tossiscono».

«L’Italia sta diventando una cloaca. Vengono da tutto il mondo per vedere i nostri monumenti e cosa trovano, cosa ammirano? Gabinetti a cielo aperto (inquadratura di un uomo che si pulisce i piedi), toilette a vista (immagine di un uomo che si infila la mano sotto i pantaloni, presumibilmente per lavarsi le parti intime). Roma, bel coraggio chiamarla città eterna. Un uomo si cala i pantaloni alla luce del sole (immagine di un uomo con i pantaloni abbassati, di fianco a cestini dei rifiuti). Pensavamo fosse un caso isolato, e invece? Guardate cosa sta succedendo in pieno centro a Firenze: un’altra scena di straordinario degrado (immagine di una donna che si solleva gli slip dopo avere defecato per strada, tra le auto parcheggiate). Ma non è solo una donna in strada, con un bisogno urgente, che tira giù le mutande. Questa è l’immagine di un paese che ha calato le braghe e sta perdendo la faccia».

A ridosso degli attentati di Parigi di matrice jihadista del 13 novembre 2015, occorre segnalare un altro caso di dangerous speech (pur non rientrando nel campione dell’analisi). Il quotidiano Libero, il giorno successivo agli attentati titola la prima pagina con: “Bastardi islamici”.

Si tratta di un titolo che ha fatto scalpore (per il quale il direttore di Libero è stato denunciato), stigmatizzato da molti media. La definizione è molto grave, ovviamente per il contenuto, ma anche per il momento in cui è stata pubblicata: immediatamente a ridosso di eventi così drammatici. Momenti nei quali, sull’onda della rabbia, può essere legittimata qualsiasi tipo di reazione. Se sono “bastardi” gli islamici, senza alcuna distinzione ma solo per il fatto di praticare una religione, allora anche “noi”, occidentali e cattolici possiamo (e dobbiamo) reagire nei loro confronti per fermarli.

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