Notturno alieno

22 racconti fantanoir

Mescolare science fiction e noir: esperimento interessante. Attenzione però: c’è differenza tra ambientare un racconto hard boiled in un’altra galassia e scrivere fantascienza con un ricco corredo di atmosfere e contenuti del noir. Così parlò Gian Filippo Pizzo, curatore di «Notturno alieno» (Bietti: 22 euri per 490 pagine con l’occhiello «22 racconti fantanoir») che per dimostrare l’assunto arruolò un bel po’ di autori (e un po’ meno autrici ma spero non per fanta-misoginia che ne gira fin troppa nel mondo reale).

Risultati? Tento una panoramica.

Assai bravo Donato Altomare a portarci «Lassù da qualche parte nel freddo buio» per proporre una storia d’amore e morte che forse abbiamo già conosciuto – il pensiero corre ad alcune vicende in «Donne che corrono con i lupi» (di Clarissa Pinkola Estés) – ma il grande spazio rende diversi gli umani e l’autore gioca su questo.

E’ amor folle o forse scambio di anime (con un revolver in tasca) anche la storia di «Ys e Armorica, Camelot e Lyonesse» che Claudio Asciuti narra con il minimo di punteggiatura possibile – quasi un record – e quasi il massimo di battiti (del cuore).

Se odiate in modo particolare un aspirante leader di destra-centro-sinistra inviategli un’affettuosa lettera per invitarlo a leggere «L’uomo politico che morì due volte». Lui non resisterà alla lusinga, si butterà sulle pagine e… se ne pentirà, specchiandosi nelle peripezie dell’E. B. inventato da Carlo Bordoni in una bella variante dei mondi (immondi … nel suo caso) alternativi.

Grazie alla longevità artificiale, il papa ha condotto il Vaticano «a un potere politico, militare e finanziario senza precedenti» nonché a bisticciare con i viaggi nel tempo: questo lo scenario proposto da Andrea Carlo Cappi in «Nostra signora del cretaceo» con un prete investigatore e un po’ eretico che cerca la soluzione dei misteri nell’alto dei cieli e forse la troverà in cucina.

Inoculare virus alieni può essere la fanta-variante dell’invasione demoniaca o del «dybbuk» del folklore ebraico ma Walter Catalano complica assai la faccenda con i neuroni a specchio: ne esce il bel «La musa degli ultimi giorni» che forse si sarebbe giovato di un finale meno tenerone.

Il commento che mi è sgorgato dal cuore dopo aver letto «Robin Hood» del duo Piero Cavallotti e Riccardo Rovinetti è «magari». Che un Cesare Bassi (o chi per lui) possa togliere ai ricchi per dare ai poveri – senza alcun spargimento di sangue ma con grandi effetti spettacolari – è da sempre uno dei miei sogni preferiti. I due son bravi a portare l’eroe di Sherwood in un tecno-futuro possibile.

Gioca con identità, specchi, cloni, memorie perdute Milena Debenedetti con «Nei suoi panni» e fa centro. Chi ama le beffe terrà a lungo in mente l’immagine di quella pistola infilata nel collare di un cane.

Consapevolmente o no Domenico Gallo ha mirato al bersaglio grosso: riscrivere in chiave fanta-noir, sovversiva e anti-razzista una storia d’amore ormai mitica (a Roma si dice: quanno ce vò… ce vò) come «Casablanca»: c’è riuscito a pieno. Se il titolo «Negras tormentas» non vi sollecita l’empatia riflettete sulla canzone finale: quando ci sono barricate non è saggio restare in mezzo.

Padri e madri ogni tanto sognano «La formula del figlio»: leggere il bel racconto omonimo di Francesco Grasso – tra agguati, fantadroghe e poteri extrasensoriali – forse aiuta a capire dove sta il vero nodo.

Non fatevi distrarre dal sensazionale intrigo alla base di «Nella città morente» di Domenico Mastrapasqua al punto da perdere l’esplicito attacco alla tv e l’implicito amore per il cinema. Gran ritmo ma (detto comunque con ammirazione) una storia così ricca doveva avere un finale “tu-mi-stupisci”.

Davvero chi vola nello spazio torna senza passioni? Felicemente dickiano (spero si intenda che è un gran complimento non accusa di plagio) «Morte di un astronauta» di Gian Filippo Pizzo.

Un dichiarato omaggio a Dino Buzzati (con forse un pizzico di Bradbury e uno spruzzo di Sheckley, dunque salsa dolce-agra) è «La scomparsa di Manarola» di Pierfrancesco Prosperi.

E se certi viaggi nello spazio ridassero vigore alle religioni? E se l’esercito mettesse a punto «piccoli aerei con un rilevatore di infedeli»? E se la completezza degli esseri umani fosse nella vendetta? Quanto mai insolita la trama del «Cuore di gomma» di Stefano Roffo e sorretta da un’adeguata scrittura.

Metropoli volanti, sottomondi, nuovi clandestini e droidi, ma anche il geco meccanico – in «Frammenti di una città di plastica» di Dario Tonani – mi hanno conquistato.

Ben scritte ma meno adatte al mio fanta-palato invece le altre storie scritte da Cristiana Astori, Selene Ballerini, Sandro Battisti, Giovanni Burgio, Fernando Fazzari, Michele Piccolino, Franco Ricciardello e a quattro mani da Stefano Carducci e Alessandro Fambrini.

Stefano Di Marino nella sua prefazione prima scrive che «non esistono più giallo, noir, fantascienza, western, spy story» e 9 righe dopo che «non solo i generi sono felicemente approdati in Italia da decenni ma hanno forgiato una nuova generazione di autori che si permette di reinterpretare, inventare e pasticciare». Evviva la letteratura meticcia, conclude, e io concordo. Ma riprendo la sua metafora gastronomica per esprimere il dubbio che, in passato, grandi cuochi e cuoche badassero alle etichette e alle purezze: erano quasi tutti/e bastardi (in senso buono).

Non sono poche 490 pagine per sconquassare i generi (e anche i suoceri, sarebbe la battuta successiva) o almeno mescolarli, come auspicava Pizzo, però essendo io poche amante delle nuove etichette che sostituiscono le vecchie preferisco lasciare ad altre/i di giudicare se l’operazione fanta-noir sia compiuta. Ci tengo invece a ribadire il piacere per aver trovato qui una dozzina (e più) di splendidi racconti.

 

 

Redazione
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2 commenti

  • lo avrò, poco ma sicuro. Anche io amo infinitamente poter mescolare i generi, variare sui registri narrativi e con le regole stilistico contenutistiche. Molti indicano questo modo di fare come “post moderno”… personalmente, penso a Frank Zappa e al suo modo di mescolare i generi e al variegato e discutibile uso di disparati strumenti musicali. In questo modo si crea una polifonia letteraria che allarga l’armonia e l’espressione. Cosa c’è di meglio? BRAVI BRAVI BRAVI!!!!

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