Nucleare e guerra: il terrore corre sui media

A proposito dell’attacco alla Centrale elettronucleare di Zaporizhzhia (Ucraina) avvenuto la notte del 4 marzo 2022 e di altre notizie riguardanti i siti nucleari ucraini.

di Giorgio Ferrari

 

Non bastasse l’angoscia provocata dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla guerra che ne è seguita, altra se ne aggiunge grazie ad una informazione sensazionalistica che sembra non risparmiare anche testate giornalistiche solitamente guidate da rigore informativo. L’argomento specifico riguarda il “panico da nucleare” di cui, evidentemente, il primo responsabile è Vladimir Putin con l’annuncio dell’allerta atomica per l’esercito russo, anche se perfino gli esperti di armamenti nucleari non sono in grado di decifrarne il significato autentico. Sulla scia di questo allarme però se ne sono aggiunti altri che riguardano il “nucleare di pace” che nel caso dell’Ucraina è costituito dalla presenza di 15 reattori nucleari, raggruppati in 4 grandi centrali che producono il 40% dell’elettricità del paese, oltre al sito di Chernobyl che racchiude i resti del reattore esploso nel 1986 e due depositi nucleari attivi, uno per le scorie vere e proprie e l’altro per l’immagazzinamento del combustibile irraggiato. Questo complesso di attività legate al nucleare è diventato oggetto di reportage che, pur motivati da una giusta preoccupazione per un eventuale danneggiamento di questi siti, sono rapidamente scaduti in meri racconti allarmistici.

Tutto è iniziato con l’area di Chernobil di cui si è scritto che era stata bombardata, comunque attaccata dalle forze russe che, attraversando il terreno contaminato (confinante con la Bielorussia) avrebbero sollevato radioattività nell’aria. In proposito, anche a non voler tener conto delle dichiarazioni rilasciate dal comando delle forze armate russe1, bisognerebbe almeno fidarsi di quanto comunicato dal direttore generale dell’IAEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) massima autorità mondiale in tema di sicurezza nucleare2, che in buona sostanza assicura il regolare funzionamento delle infrastrutture grazie proprio alla presenza di truppe russe che presidiano la zona.

Del resto per quale motivo i russi, che hanno pagato un prezzo enorme con il disastro di Chernobyl, dovrebbero aggiungere ulteriore impopolarità ad una guerra che già di per sé non giova a renderli “simpatici” agli occhi dell’opinione pubblica mondiale? E’ proprio per evitare di essere coinvolti in una seconda Chernobyl, vera o provocata artatamente, che i russi intendono prendere il controllo di siti come quello della centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, per garantirne la sicurezza. Al contrario l’informazione dominante se ne è occupata solo per diffondere un allarme indiscriminato fino ad evocare un olocausto nucleare, conseguente al bombardamento che avrebbe subito questa centrale. Ma cosa dicono in proposito le fonti ufficiali?

La SNRIU (State Nuclear Regulatory Inspectorate Ukraine) autorità di sicurezza nucleare ucraina3 afferma che: “Le forze militari della Federazione Russa hanno bombardato il sito della centrale nucleare di Zaporizhzhia, a seguito del quale è scoppiato un incendio sul sito della ZNPP.” Non vengono però fornite immagini né del bombardamento, nè dell’incendio, ma solo un video estratto da una telecamera dell’impianto dove si vedono globi luminosi, simili a dei bengala, che cadono su un parcheggio. Sempre secondo la SNRIU l’incendio è stato domato rapidamente dai pompieri dell’impianto, incendio che secondo la Reuters4 si sarebbe sviluppato in un edificio esterno all’impianto adibito ad addestramento del personale, mentre la TASS accusa esplicitamente gruppi di sabotatori ucraini di aver attaccato le truppe russe che presidiavano l’impianto provocando l’incendio5. Per quanto riguarda lo stato dei reattori, nel suo comunicato, la SNRIU rende noto che dei sei reattori nucleari presenti sul sito, solo l’unità 4 era in funzione ad un livello di potenza di 690 Mw. Non ci sono vittime e non si registrano variazioni nei livelli di radioattività. Tutti aspetti confermati da Raphael Grossi, direttore generale dell’IAEA, nella conferenza stampa tenuta alle 10, 30 del 4 marzo 2022 e nel successivo comunicato.6

L’episodio della centrale di Zaporizhzhia rappresenta il culmine di una campagna mediatica finalizzata a suscitare ulteriore panico al punto che in molti stati europei si è scatenata una corsa ad acquistare pillole allo iodio per contrastare l’effetto di radiazioni dovute, o ad una guerra nucleare, oppure ad un disastro tipo Chernobyl provocati entrambi dai russi.7 Nè sono valse le rassicurazioni della IAEA8 e del rappresentante russo presso l’Agenzia internazionale dell’energia atomica a placare questo febbrile allarmismo. In un articolo del 3 marzo scorso, ad esempio – apparso sul quotidiano “il manifesto” – non solo si paventavano attacchi alla Centrale di Zaporizhzhia con abbondanza di allusioni catastrofiche nei riguardi di una Europa totalmente contaminata, ma si dava spazio all’ipotesi di una “bomba ad orologeria radioattiva” dovuta ad “un test nucleare sotterraneo del 1979” effettuato nella miniera di carbone di Yunkom (Donbas), in conseguenza del quale oggi “acque radioattive di basso livello sarebbero già entrate in fonti di acqua potabile e potrebbero arrivare al Mar d’Azov e nel Mar Nero fino al Mediterraneo.”

L’origine di questa allarmante notizia, ripresa da blog scandalistici e antirussi come Ukrinform9 che ne addebitano tutte le responsabilità ai separatisti del Donbas, è quanto di più screditato si possa immaginare: il sito “Small wars journal”10 fondato e gestito da due ufficiali dell’Intelligence del corpo dei Marines, Dave Dilegge e Bill Nagle, che si dichiarano orgogliosi di “perseguire un approccio globale alle Small Wars, integrando le capacità delle forze armate, alleate e di coalizione, con le agenzie federali o nazionali dei rispettivi governi, le agenzie non governative e le organizzazioni private.” In un articolo pubblicato il 25 ottobre del 202011, Small Wars si occupa della miniera di Yunkom, prendendo a riferimento uno studio effettuato nel 2017 da due ricercatori, Yevhenii Yakovliev e Sergiy Chumachenko, per conto del Centre of humanitarian dialogue e l’ambasciata britannica di Kiev, dal titolo “ Minaccia ecologica nel Donbas”.12

Lo studio in questione, a cui hanno collaborato l’accademia delle scienze ucraina e la protezione civile, si occupa, meritoriamente, di fornire un quadro della situazione ecologica della regione del Donbas, una delle più inquinate al mondo, con particolare riferimento agli effetti che sono derivati nel tempo dall’attività di circa 900 miniere di carbone e alle connesse attività industriali, che rappresentano un concentrato di rischi biologici e chimici. Il rischio nucleare, in quanto tale, non è presente se non per quanto riguarda il radon, spesso associato al carbone, gas che si sprigiona insieme al metano durante le operazioni di scavo.

Durante il corso degli anni, proprio la presenza del metano, aveva causato 236 incidenti mortali in molte miniere, ragion per cui nel 1979 le autorità ucraine avevano concepito di eseguire un test finalizzato a “ridurre” le sacche di metano attraverso una esplosione nucleare controllata di 0,3 kilotoni (300 tonnellate di dinamite) posta a 900 metri di profondità, sotto i tunnel di scavo della miniera di Yunkom, in uno strato di arenaria. Il luogo della camera di esplosione era stato scelto considerando che dopo l’esplosione l’arenaria avrebbe formato un fuso vitreo insolubile in acqua, capace di contenente fino al 95% dei prodotti dell’esplosione, cosa che secondo lo studio in questione si è realizzata. Inoltre, per prevenire la migrazione di gas prodotti dell’esplosione, la camera di esplosione è stata isolata da paratie in cemento con una larghezza di 6–10 m. Nonostante l’attuale stato di abbandono conseguente alla guerra, lo studio di Yakovliev e Chumachenko non individua a breve termine pericoli specifici di contaminazione radioattiva delle acque di superficie, sostenendo che la miniera di Yunkom, abbandonata, può essere considerata alla stregua di un deposito geologico di scorie radioattive, raccomandando, per precauzione, di inondare la camera di scoppio con materiali assorbenti come boro e piombo. In conclusione la situazione ecologica del Donbas descritta in questo studio è gravissima, ma non per il rischio associato ad una esplosione nucleare che, per quanto assurda e pericolosa, aveva scopi del tutto diversi da quelli bellici.

Aver trascurato di appurare la vera storia di questo episodio, prendendo per buone le “narrazioni” dello Small wars journal, è indice di superficialità, tanto più grave se rapportata alla situazione presente in Donbas (indirettamente si chiamano in causa i separatisti) e assolutamente ingiustificabile rispetto al clima di terrore mediatico internazionale che si sovrappone a quello che di per sé già provoca la guerra. Questa mattina, il presidente Zelenski riferendosi al presunto attacco alla centrale di Zaporizhzhia, ha scritto questo messaggio: “Siamo sopravvissuti alla notte che avrebbe potuto fermare la storia. Storia dell’Ucraina. Storia d’Europa.” E’ un palese tentativo di trascinare con ogni mezzo la Nato e il resto del mondo, nel conflitto ucraino: cerchiamo di non alimentare questa frenesia bellica accreditando notizie non vere su argomenti, come quello nucleare, che già in tempi di pace dovrebbe essere trattato con il massimo rigore informativo.

12https://deis.menr.gov.ua/lib/files/Ecological-Threats-in-Donbas.pdf

L’IMMAGINE (scelta dalla “bottega”) è ripresa da www.avvenire.it

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • A me non interessa poi così tanto capire chi sia stato a buttare le bombe vicino alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, può anche essere che non lo si saprà mai. Quello che invece sappiamo, e che diciamo da decenni, è che le centrali nucleari sono comunque e inevitabilmente un obiettivo militare, che non solo contiene intrinseco un rischio tanto alto e mai completamente eliminabile, ma richiede comunque una militarizzazione eccezionale del territorio.
    Nelle foto (per chi può vedere il post su FB https://www.facebook.com/benigno.moi/posts/10224237412117020)
    alcuni momenti della tre giorni antinucleare a Sinnai del dicembre 1979; alcuni dei pannelli della mostra realizzata dal comitato che organizzò il convegno; un articolo dell’Unione Sarda sull’evento; il cartello contro la 1a guerra del golfo del 1991, posto all’ingresso di Sinnai
    No War No Nuke A foras sa gherra dae sa storia

  • Gian Marco Martignoni

    L’articolo di Ilan Pappe su Il manifesto di oggi, a proposito di disinformazione scientifica e quant’altro, titolato molto correttamente ” Doppi standard . Ipocrisia occidentale, le quattro lezioni che insegna l’Ucraina ” , dal mio punto di vista è da appendere in qualsiasi bacheca aziendale e non.

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