Nuove mappe dell’orrore

recensione (e meditazione) su «Sinistre presenze» ovvero «17racconti horror impegnati»

Cominciamo con un salto all’indietro (o a lato, se preferite). «Sulla Terra, alcuni agenti erano penetrati in qualche scuola indigena e in quel sistema pre-psionico che era costituito dalle riviste di science fiction. Usando termini nuovi per gli aborigeni pubblicarono rapporti sensazionali […] Questo semplicissimo inganno ha bloccato tutte le loro serie ricerche […] Ha condizionato gli indigeni ad abbandonare le loro più valide intuizioni, in favore della pura assurdità». Riprendo questo splendido e autoironico – visto che l’autore Jack Williamson scriveva ottima fantascienza – gioco dal romanzo «Un mondo da giudicare» (nella traduzione di Lella Pollini uscì su «Galassia» nel 1963).
Prendiamo per buono lo scherzo di Williamson e immaginiamo che tutta la fantascienza, soprattutto la migliore, sia una congiura aliena per distoglierci da alcuni “sentieri” interessanti (semmai è storicamente il contrario ma lasciamo perdere). E allarghiamo il giochino all’horror. Se questo genere fosse una deviazione, un imbroglio per non farci capire dov’è il vero orrore? Se a esempio come aveva buttato lì Marx – giocava anche lui? – i vampiri servissero a distrarre dal vero succhiatore di sangue, il capitale? Un dubbio simile inquieta Valerio Evangelisti nella sua prefazione a «Sinistre presenze» (Bietti: 400 pagine per 20 euri) i 17 racconti che Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo hanno sollecitato e propongono alla ricerca di «problematiche psicologiche e sociali di grande spessore», racconti impegnati appunto.
Eccoci a fare i conti con i 18 autori (un racconto infatti è scritto a 4 mani): Alessandro Vietti, Francesco Troccoli, Dario Tonani, Stefano Roffo, Franco Ricciardello, Pierfrancesco Prosperi, Michele Piccolino, Alessandro Morbidelli, Luca Ducceschi, Alessandra Daniele, il duo Stefano Carducci-Alessandro Fambrini, Andrea Carlo Cappi, Denise Bresci, Claudio Asciuti, Danilo Arona nonché i suddetti Gian Filippo Pizzo e Walter Catalano.
Accenniamo qualcosa senza svelare troppo. Cade una «d» e la nostra (sedicente? O solo incompleta?) democrazia si trasforma in «emocrazia»: così nel primo, affascinante e pur terrificante racconto di Vietti. Una sorta di “Frankenstein” va in campagna elettorale nella «Romagna toscana» del dopoguerra: conoscevo già questa invenzione di Troccoli e il godimento si conferma anche alla seconda lettura. Brevi, riusciti, intensi, spaventosamente necessari «L’autostrada dei cani perduti» di Tonani, «Da sotto» di Roffo, «Come fiori recisi dal turbine» di Piccolino, «Alla testa del Paese» di Alessandra Daniele. Crudelissimo (troppo per i miei gusti) «Escuela de Mecanica» di Ricciarello che – il titolo lo fa intuire – ci porta nell’Argentina della dittatura. Vivamente sconsigliato a chi adora lo sport (ma apprezzato da me che ne sono un fruitore critico) «La melma dell’abisso» di Prosperi. Troppo vero e dunque doppiamente inquietante «La porta degli annegati» di Denise Bresci. Comunque interessanti gli altri, qualcuno forse un po’ lungo. Insomma un’antologia da consigliare e dalla quale prendere ispirazione per altre storie.
Una puntualizzazione “ascellare”. Come qualcuna/o sa da tempo ospito sotto le mie ascelle due entità pensanti: Severo De Pignolis (il nome dice tutto) e Horny To Rinko, australiano doc. Il primo – tenendo fede a nome e cognome – segnala che la poesia citata a pagina 119 è erroneamente attribuita a Brecht ma in realtà è di Martin Niemöller. L’ornitorinco invece sussurra felice: «Come sugheri liberati da fardelli di piombo» e poi «a te Johan, piccolo genio scomparso»: capirete leggendo.
Tornando alla prefazione di Valerio Evangelisti: «l’horror potrebbe candidarsi, più del noir, al ruolo di “narrativa del nostro tempo” se solo spostasse la sua attenzione dall’individuale al collettivo». E ancora: «questa antologia dimostra che in Italia ci sono autori che – in maniera molto diversa, per gusti o per stile – la questione se la pongono». Per concludere: «Ho l’impressione che abbiate tra le mani un libro importante». Con solo un minimo di prudenza in più… ma sono d’accordo con Evangelisti. Alleluja.

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5 commenti

  • Franco Ricciardiello

    Esistono due versioni di quella poesia; l’originale è di Niemöller, poi c’è la versione di Brecht, che ne è chiaramente una variazione, con inizio e finale diversi. Nel racconto io cito la versione di Brecht, che è quella largamente conosciuta.

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