Oggi 12 dichiarazioni d’amore…

… ai libri: 4 – Umberto Eco
di Fabrizio «Astrofilosofo» Melodia (*)

Il mio incontro con «Il nome della Rosa» di Umberto Eco avvenne in modo del tutto fortuito e assolutamente non voluto.
Più o meno accadde così.
Durante un breve periodo di villeggiatura, un vecchio amico portò con sé un romanzo abbastanza corposo: mi disse che era un giallo ambientato nel medioevo, in cui una specie di scienziato filosofo risolveva una serie di omicidi seriali accomunati dal filo sottile e tremendo dell’Apocalisse, impersonificata da un libro introvabile e forse mai scritto.
Rimasi folgorato dalla trama, ma anche dubbioso: il mio amico era rimasto annoiato da tutte le digressioni presenti nella trama, che si dipanava in sette giorni scanditi dalle ore del monastero in cui erano stati ambientati gli eventi.
Una struttura che mi rammentò la perfetta suddivisione a ore dell’ «Ulisse» di James Joyce, lettura abbastanza recente e che mi aveva appassionato non poco per le trovate linguistiche e per l’eversività.
Gli chiesi se avrebbe potuto prestarmelo, in modo da abbandonarmi anch’io alle mirabolanti gesta del detective francescano Guglielmo da Baskerville e del suo aiutante discepolo Adso da Melk.
Da buon appassionato sherlockiano, colsi subito la citazione del grande detective di Baker Street insita nei nomi dei protagonisti; il mio amico aveva da poco finito il libro e me lo donava, dato che a lui non interessava tenerlo.
Mi buttai a pesce nella narrazione, dall’arrivo di Guglielmo da Baskerville e la prova della sua logica occamista con il ritrovamento di un cavallo, per passare poi alla vita del monastero, alle lotte politiche dei movimenti pauperistici e francescani, per poi arrivare alla prima vittima, calata nell’orcio del sangue, usato per lo sgozzamento dei maiali.
Ecco dunque dipanarsi una trama sottile apparentemente basata sui sette sigilli dell’Apocalisse, mentre il mondo cambia e Guglielmo da Baskerville e il suo aiutante Adso, voce narrante delle vicende, vengono risucchiati in una tremenda spirale, allorquando scoprono che tutta la macchinazione poggia su un libro pericoloso, custodito forse nella inaccessibile biblioteca del monastero.
Dopo uno scontro dialettico con una lungimirante eminenza grigia, un ex direttore della biblioteca, ora cieco, dall’emblematico nome di Jorge da Burgos, sull’importanza della conservazione del sapere e non del suo progresso, ecco che Guglielmo e Adso riescono a entrare nella biblioteca per un’entrata secondaria nota solo ad alcuni.
In questo modo, mi persi anch’io dentro la biblioteca labirinto, nel suo ordine intrinseco, basato sulla geografia dell’epoca, e fra i tomi reali e immaginari che Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk vi reperirono, una vera e propria mappa linguistica del pensiero globale, un sapere divino racchiuso entro quelle mura.
Non ne sono mai del tutto uscito, nemmeno dopo, quando l’indagine giungeva al suo punto culminante e il detective rimaneva sconfitto, con i colpevoli non puniti, il libro immaginario divorato dalla brama oscurantista e il rogo finale del monastero, dove tutto finisce in cenere.
Una vera e propria fine apocalittica per un mondo di carta, insieme alla tristezza di Guglielmo, ancora una volta sconfitto e malmenato.
La Ragione deve essere punita per il suo orgoglio, ma essa non si dà mai per vinta, questa fu l’opinione di Adso da Melk, alla fine della narrazione.
Conclude però narrando del suo ritorno alle vecchie rovine, di aver trovato parecchi frammenti di pergamena e di averli poi raccolti, incollandoli su testi vuoti.
Nonostante lo studio, alla fine, non riuscirà a ricostruire la mappa del mondo, lo splendore manifesto e comprensibile di Dio, di cui rimarranno solo vuoti frammenti senza possibilità di una connessione sensata.
«Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus» conclude Adso, citando il nominalista Bernardino Murliacense, seguace del nominalismo occamista.
Un romanzo sul crollo della metafisica teologica, schiacciata dall’energia del Rinascimento e della diffusione del sapere nuovo dell’antica Grecia, culla della filosofia naturalista e del razionalismo, andato perduto con il crollo dell’impero romano e l’avvento del cristianesimo.
Un romanzo metafisico e storico, una profonda riflessione sul linguaggio e la comprensione della Ragione, soggiogata infine da pulsioni più pressanti.
Ricordo quanto ne rimasi appassionato, penso che quella lettura abbia definitivamente fatto propendere la mia decisione di iscrivermi a filosofia invece che ad altri corsi, magari con diverse prospettive di lavoro.
Forse proprio perché non sono riuscito a venire fuori da quel labirinto maledetto, nemmeno quando ebbi la possibilità di leggere l’incipit del libro maledetto che avrebbe distrutto il mondo fino a quel momento esistente.
Forse avrei dovuto farmi una bella risata, forse in quel modo avrei visto l’uscita.
E chissà, forse il labirinto è solo dentro ognuno di noi.
(*) La Giornata mondiale del libro è un evento nato spontaneamente in diversi luoghi (tradizionalmente in Catalogna) e dal 1996 patrocinato dall’Unesco: la data scelta è il 23 aprile ma in qualche caso con manifestazioni che durano per un mese, cioè fino al 23 maggio. Noi abbiamo deciso di ricordarlo in blog – con una pioggerellina di post, uno ogni due ore – proprio oggi per suggerire che un giorno va bene, un mese è meglio ma se «continua» tutto l’anno è “meglissimo”. Fra gli impegni credibili che ognuna/o potrebbe prendersi c’è l’organizzare ogni tanto presentazioni di libri e/o letture collettive oppure calendarizzare (una volta al mese?) di prestare o regalare un “vecchio” libro amato non a qualche persona che abitualmente legge ma a chi di solito non frequenta librerie e biblioteche. Se ci sono altre idee fatevi sentire. (db)

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