omaggio a Viyan Peyman e a Farkhunda

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due donne da non dimenticare, vittime di due guerre diverse, per mano di spietati assassini, senza altri aggettivi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=rAtaIpUV9lA

 

Oh mamma, povera me!
Oggi il mio cuore piange, oh che disgrazia cadde su di noi!

Oggi io canto sulla forza di Kobanê, una poesia che sia recitata dal mondo e dall’umanità, oh madre!

Oggi ancora una volta le nostre ragazze e i nostri ragazzi curdi sono diventati protettori di serbatoi e pompe …
Oh mamma, povera me!
Oggi vedo le madri di Kobanê piangere per strada, immagino i bambini, ragazze, uomini e donne anziani urlaredi dolore e di rabbia.
Vedo le lacrime dei figli kobanê come se fossero il fiume Eufrate inondare le strade di Kobanê. Oh mamma, povera me!
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Cantava e combatteva Viyan Peyman, giovane ventiseienne, amatissima cantante curda, originaria della città di Mako del Kurdistan iraniano, uccisa lunedi 6 aprile 2015 mentre lottava contro lo Stato islamico a Serekaniye (Canton Jazeera).
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Farkhunda (di Laura Crinò)

Una ragazza partecipa alla manifestazione seguita alla morte di Farkhunda. E’ stata uccisa in pieno giorno, pestata da una folla di uomini inferociti, il corpo schiacciato da una pietra pesante. Si è detto di lei che era debole di mente, una poveraccia capitata per caso davanti a un santuario, ingiustamente accusata di aver bruciato il Corano, vittima di un assassinio brutale.

Per la morte della 27enne Farkhunda, avvenuta a Kabul il 19 marzo, sono scese in piazza oltre tremila persone. Molte erano donne, il volto dipinto di rosso a ricordare la sua faccia sfigurata dalle botte. Altre donne hanno portato la sua bara al funerale. A qualche giorno di distanza, una nuova verità emerge: quella di una giovane donna istruita, una studiosa della legge islamica indignata dalle pratiche superstiziose che si svolgevano davanti a uno storico santuario della sua città, uccisa perché distrurbava gli affari dei mercanti del tempio.
E’ il New York Times a tirare le somme delle indagini avviate a Kabul all’indomani della sua morte e in seguito all’indignazione popolare per l’accaduto: Farkhunda durante una cena di famiglia aveva annunciato la sua decisione di denunciare pubblicamente la vendita di amuleti portafortuna e preghiere da parte dei mullah come atto di superstizione e contrario all’Islam.

A quanto pare, il suo atto di donna devota e istruita le è costato caro: un uomo ha cominciato a gridare che aveva bruciato il Corano, una folla inferocita le si è radunata intorno, gli uomini hanno cominciato a picchiarla e infine hanno dato fuoco al suo corpo.

Ora, molti la considerano un’eroina, una martire del vero Islam. L’uomo che l’ha falsamente accusata di aver bruciato il Corano è in prigione, e almeno un’altra ventina tra coloro che hanno partecipato al linciaggio sono in carcere.

Il New York Times riferisce ancora che aveva osato dare ai venditori di amuleti del ‘mendicante da due rupie’ e aveva invitato i fedeli ad andare a pregare in un’altra moschea. Vendicata la sua memoria, resta la paura delle donne di Kabul. Che sanno bene come sia facile morire per strada, solo per aver osato parlare. E aver denunciato, come spesso accade, un ‘business’ nato dall’ignoranza.

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redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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