Orgasmo profondo

di Sergio Mambrini

Quando aprii gli occhi vidi attorno a me pareti bianche. Il letto però era scuro. L’armadio, sulla destra, occupava uno spazio notevole. Alla mia sinistra si apriva una grande finestra, velata da una tenda di garza bianca. Dov’ero? Al momento non capii. Appoggiai la schiena sul cuscino piegato e rimasi così, a riflettere. Mi accorsi di avere la bocca aperta, asciutta e un poco amara. Mi grattai la spalla sinistra e salii con la mano sulla parte bassa della nuca. Lì grattai con maggior pressione. Ero sveglio? Avevo dormito? Furono le prime domande che mi feci ma non seppi rispondere. Lentamente afferrai di stare nella mia stanza ma per saperlo con certezza dovetti mettere a fuoco come c’ero arrivato. Eh sì! Avevo vagato molto per arrivare lì, dov’ero adesso. Attenzione! Non il solito viaggio, ma qualcosa di diverso. Ero stato nella dimensione quantica di un’altra epoca. Avevo sperimentato le possibilità di quando la materia è l’energia.

E = mc al quadrato: così Einstein. Avevo vissuto la formula nella sua realtà fisica.

Sì, lo so, non mi credete. Anch’io, subito, pensai fosse stato solo un sogno. Poi scoprii a destra, sul comodino, una piccola e insolita busta. Era una lettera, ma non come le nostre di oggi. La carta era azzurrina, leggera, simile a una velina. L’inchiostro del pennino era giallo/oro intenso, quasi Terra di Siena. La grafia era marcata e inclinata. Certi caratteri più tondi portavano i margini spessi. Soprattutto le vocali a fine parola terminavano con svolazzi, che complicavano la comprensione dello scritto. Dopo averla aperta la lessi.

Solo allora capii il mio viaggio fuori dal corpo fisico. Mi ero staccato, senza particolare difficoltà, dopo un orgasmo profondo. Subito dopo mi ero osservato come una materia più estesa, senza un limite che definisse la mia individualità. Ero io ma, nello stesso tempo, ero un tutt’uno con lo spazio infinito, quindi sconfinato, mescolato all’armonia invisibile dell’universo. Ero la stessa cosa di un atomo, una particella. Sentivo la vibrazione che mi muoveva e il mio sguardo vedeva ogni tempo. Ero ovunque, mi bastava un’occhiata per spostarmi. Ma forse non mi spostavo nemmeno, perché il “prima” e il “dopo” erano sempre “adesso”.

Fu così che, nel 1915, vidi la guerra terribile, il fronte est italo/austro/sloveno/croato. Fu una visione insopportabile. Cambiai tempo e spazio. Fui a Bergamo nel 1919. Lì Gino mi passò quella lettera. Era un giovane di diciannove anni e da quasi due stava a militare. A guerra finita lui provava nostalgia di casa, di normalità. Le sue parole mi attraversavano la mente provocandomi un pianto senza lacrime. Non era angoscia, sembrava qualcosa di più profondo, invincibile. Piuttosto, traspariva la cognizione del fallimento successivo. Questo mi tormentava. Mi rendevo conto che, seppur sapevo, non riuscivo ad orientarmi in conseguenza di ciò che vedevo. L’attenzione, la percezione e la memoria sembravano facoltà superflue a spiegare lo smarrimento di fronte alla lettera che Gino teneva tra le mani. Lui non rilevava la mia presenza ma io coglievo perfettamente la sua, i suoi pensieri, le sue concitate emozioni, il suo nervosismo sgrammaticato. Sì, quel ragazzo usava parole scorrette, incorreva spesso in errori pasticciati con correzioni e cancellature che, a volte rendevano difficile la comprensione letterale, ma proprio per questo, diventavano frasi sincere e credibili. Bisognava leggere con semplice attenzione i periodi per capire le pause, i legami organici con il suo pensiero istintivo. Non sbagliava analisi. Questo contava. Per lui la grammatica sembrava fumo, invece le idee diventavano l’arrosto.

Trasferii il foglio in un duplicato tridimensionale identico all’originale. Lui non si rese conto delle mie manovre. Per lui ero invisibile, come vi ho spiegato. Portai con me la testimonianza che oggi vi mostro.

Anche se faticate, leggetela. L’ho riprodotta per voi con le medesime espressioni ma senza gli svolazzi e gli altri tratti di penna per cancellare.

Ditemi, siamo stati capaci di raggiungere l’uguaglianza fra i popoli che Gino tanto ardentemente bramava?

Io sentii distintamente la sua voce per effetto d’un orgasmo profondo. Adesso la sentite anche voi?

 

Bergamo 8-11-1919

Caro fratello e famiglia,

come voi sono partito da casa Mercoledì Mattina e alle dieci e mezza ero già a casa (Desenzano) la quale ci rimasi sino il giorno addietro cioè Giovedì dopo pranzo partii per Bergamo e siccome o dovuto fermarmi causa le coincidenze quasi una giornata a Rovato arrivai a Bergamo ieri dopo pranzo con due giorni di ritardo ma poco importa.

Non puoi immaginare l’impressione che mi fece a rientrare ancora qui in Bergamo, quando entrai in Deposito per consegnarmi fui assalito da sudori freddi febricitanti era una nostalgia tale, la quale mi ridusse in uno stato d’animo esageratamente eccitato; al solo pensare che io assieme a tanti altri giovani disgraziati al pari mio, bisogna sacrificare la nostra miglior gioventù sotto il giogo militarista, che indossare questa odiata divisa l’uomo perde qualunque diritto civile, è reso più schiavo che dai tempi Romani, e privo di ogni propria azione.

Sì, è vero che bisognerà assogetarci a tutto, che bisogna sottomettermi a quei macellai Gallonati rei e responsabili della passata carneficina e della situazione critica di morale e economica di oggi giorno, ma spero che questo si permetterà ancora per poco tempo di reggere una sorte di popoli civili, anche loro devono fallire la sua schifosa ed infame tragedia, e con questo allora si raggiungerà all’eguaglianza dei popoli già da più di cinquant’anni pregiudicata.

Perdona caro fratello, se ho parlato di cose che ha te interessa pocco, ma è a causa della grande eccitazione d’animo.

Non avendo altro da farti noto ricevi Saluti e Baci affettuosi te e famiglia dal tuo fratello che sempre ti ricorderà.

Gino.

 

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