Osservazioni sul cosiddetto «passante di mezzo» e…

e sul catastrofico modo di produzione che lo ha generato

di Vito Totire (*)

Il progetto cosiddetto «passante di mezzo» è una opera coerente e subalterna a quel modello di sviluppo che sta portando il pianeta Terra sull’orlo della catastrofe. I tentativi di usare i tradizionali “pannicelli caldi” debordano ormai in plateali prassi di greenwashing (che commenteremo in seguito). Il centro della questione sta nel mettere in discussione sia il modo di produzione che l’oggetto della produzione eliminando le merci nocive a cominciare dalle armi: e anche per le merci non particolarmente nocive limitare comunque i consumi.

Dunque partiamo da una gestione dei trasporti che ha causato in Italia e nel mondo altissimi livelli di mortalità sia per incidenti stradali che per malattie nonché un impatto sanitario correlato a patologie croniche che conducono anche esse comunque a riduzione della speranza di vita e di salute.

Il traffico veicolare è sempre stato presentato dai media come inevitabile, quasi naturale e comunque effetto di uno standard di vita moderno e voluto da tutti. Niente di più falso. Anche se all’avvocato Agnelli è stato dedicato un francobollo è impossibile presentarlo come un eroe nazionale che ha contribuito a garantire il benessere della collettività. La situazione ambientale di oggi è il frutto di scelte economiche e politiche che hanno voluto privilegiare il trasporto su gomma rispetto a quello collettivo su rotaia e soprattutto che hanno voluto avallare un sistema di movimentazione parossistica e coatta delle merci senza alcuna attenzione ai costi umani e sanitari di questo sistema. L’«anarchia» della produzione e la deregulation dei trasporti sono fra i maggiori fattori morbigeni delle nostre città.

Anche per evitare rimozioni e manicheismi dobbiamo dire che tutte le modalità di trasporto devono rispondere a norme di prevenzione e di sicurezza: la strage di Viareggio infatti richiama questa necessità. Quindi se una modalità di trasporto è più ecocompatibile di un’altra la vigilanza e la prevenzione comunque non devono mai venir meno.

La tangenziale di Bologna è oggi un grave ferita che lacera il territorio cittadino. Si tratta di una sorta di insediamento produttivo equivalente a una di quelle industrie insalubri di prima classe che già nell’Ottocento le comunità locali decisero di isolare dai centri abitati al fine di tentare di mitigare l’impatto sulla salute dei cittadini. Ma si tratta di industria insalubre di prima classe con alcune aggravanti.

Oltre a non essere isolata dal centro abitato la tangenziale ha una seconda deleteria peculiarità. Si sono sviluppate tecnologie utili al contenimento (quasi mai “sufficiente”) delle emissioni appunto al fine di ridurre l’inquinamento che colpisce la popolazione residente attorno ai siti inquinanti. I risultati sono mediocri a causa dei costi delle tecnologie utili al contenimento dell’inquinamento e alla costante violazione dei criteri di ergonomia ambientale che indurrebbero a eliminare il rischio alla fonte piuttosto che a tentare manovre, spesso fallimentari, di contenimento. Lo stesso e ancor poco conosciuto regolamento REACH dà qualche imput in questa direzione ma non pare essere stato preso in considerazione dall’industria. Dunque se la “classica” industria insalubre può essere gestita con tecnologie di filtrazione e contenimento in quanto le emissioni possono essere captate e convogliate, questo nella «industria insalubre tangenziale» non è possibile.

LA NON POLITICA DEI TRASPORTI A BOLOGNA

Sino a oggi la non politica dei trasporti a Bologna ha avuto un impatto negativo notevole sulla salute della popolazione

  • TRAFFICO VEICOLARE: siamo a conoscenza di un contenzioso contro l’Inail risolto in appello con il riconoscimento della causa professionale di un tumore del polmone accusato da un taxista; discussione tribolata perché, evidentemente, le istituzioni non hanno ancora chiarezza sull’effettivo rischio oncogeno dell’aria di Bologna; purtroppo a questo singolo evento non ha fatto seguito una indagine sulla intera coorte dei tassisti nonostante che il disegno della ricerca sarebbe chiaro e realistico (e ancora possibile!); abbiamo intercettato un “secondo caso” ma i familiari non hanno voluto procedere con i necessari approfondimenti; egualmente occorre far emergere le patologie cardiovascolari a carico di lavoratori dei trasporti; tuttavia mancano dati evidenti (non sono stati ricercati) sulla popolazione generale; benché l’inquinamento sia, nel territorio cittadino, alquanto ubiquitario, potrebbero emergere differenze significative per zona, per sottocoorti e in relazione alle diverse espressioni istologiche dei tumori (vedi l’esperienza di indagini fatte a Trieste che hanno evidenziato varianti istologiche diverse tra area industriale, area residenziale-agricola e centro storico); mancano dati e dunque mancano evidenze sul possibile impatto del benzene nonostante la disponibilità di dati ambientali (ancora sporadici)
  • AEROPORTO: l’impatto sanitario dell’aeroporto è parzialmente descritto in una comunicazione al congresso di epidemiologia del 2019 a Catania; non risulta che le istituzioni locali abbiano assunto adeguate misure di prevenzione; c’è solo un tentativo maldestro di contenimento e di “monetizzazione” dell’impatto acustico; sostanzialmente poi lo stesso studio epidemiologico è focalizzato sui danni da rumore e non indaga in modo approfondito l’inquinamento dell’aria nonostante l’evidenza dei danni cardiovascolari che certamente non sono riferibili solo al rumore; l’impatto descritto, che si deduce da un indicatore proxy assolutamente attendibile (consumo di alcune particolari tipologie di farmaci) evoca infatti anche la presenza di fattori di rischio che vanno oltre il rumore e che sono stati presi in esame per altri aereoporti nel mondo con riscontri significativi – e “attesi” – in quanto il trasporto aereo è il più inquinante ed energivoro di tutti … nelle more della fabbricazione di aerei ad energia solare (pero ora si parla di qualche elicottero, a livello sperimentale); nonostante queste evidenze ogni calo del traffico aeroportuale viene descritto dai media e dalle istituzioni come un evento luttuoso e ogni incremento di voli e di passeggeri viene viceversa salutato con manifestazioni di giubilo; dunque se a fronte di un impatto sanitario evidente le istituzioni tacciono è impossibile che le stesse istituzioni siano credibili sulle rosee previsioni per il futuro che cercano di presentare il “passante di mezzo” addirittura come un miglioramento
  • PEOPLE MOVER: questione rumore mal gestita in quanto verosimilmente non ha tenuto conto delle peculiarità della aree interessate (per esempio la distanza dalla Rems di via Terracini – area “peggiorata” anche per ulteriore, limitrofo, consumo di suolo – che esige di non superare i livelli della fascia a maggior rispetto, 40 decibels di notte e 50 di giorno); la vicenda people mover contribuisce a evidenziare ulteriormente la discrepanza tra soggettività e “limiti di riferimento”: in recenti discussioni risulta (dalle cronache della stampa locale) che ai disagi relativi al rumore lamentati dai cittadini si sia risposto che «il rumore è nei limiti»; torniamo dunque sulla vexata quaestio di limiti inventati a tavolino, ispirati dalle lobbies e ai quali i cittadini dovrebbero adattarsi con rassegnazione; niente di più assurdo; i limiti di riferimento sono artificiosi, condizionati a volte anche da decisioni di real politik comprensibili ma non condivisibili, e destinati ad essere archiviati ogni volta che il movimento per la difesa della salute riesce ad affermare le sue ragioni; l’ultima risoluzione europea sull’amianto (non pare esserne giunta copia negli uffici della Regione Emilia-Romagna!) suggerisce di non indulgere sul limite di 0.1 fibre cc nei cantieri di bonifica amianto ma di adottare piuttosto il limite olandese di 0.0002 ! IL TUTTO DOPO AVER RIBADITO CHE NON ESISTE UN LIMITE CHE , PER QUANTO BASSO, POSSA ESSERE CONSIDERATO SICURO (il che, ovviamente, per i cancerogeni, è la “regola” unanimemente condivisa dalla comunità scientifica).

Considerata, come deve essere, la tangenziale alla stregua di un insediamento produttivo vediamo quali criteri occorre seguire per approssimarsi a livelli di accettabilità:

  • vista la natura delle emissioni queste vanno ridotte il più possibile e orientate verso emissioni a minore impatto fisico e sanitario
  • l’aumento di strade comporta un effetto calamita che facilita invece di disincentivare l’afflusso di traffico
  • il traffico va più possibile minimizzato e orientato verso modalità eco-compatibili (minimizzazione ed ecocompatibilità sono fattori sinergici)
  • il target principale delle strategie di prevenzione è costituito dalle sostanze ad azione cancerogena che devono essere condotte verso lo zero
  • occorre tenere presente che le emissioni da traffico non sono soltanto quelle dei tubi di scappamento ma anche le polveri derivanti dalla abrasione del manto stradale dei pneumatici e dei freni (sui freni abbiamo posto un quesito a tutte le sedi regionali italiane dell’Arpa: i tempi di risposta saranno verosimilmente molto lunghi); la questione pare importante: il kevlar ha sostituito l’amianto ma non risulta indenne da effetti nocivi; cominceremo a monitorare fra 50 anni ?
  • occorre mettere in campo un piano di vigilanza ANTINFORTUNISTICA: controlli in entrata dei mezzi che transitano e sulle condizioni di lavoro dei conducenti; il grave evento del 6 agosto 2018 a Borgo Panigale ha visto (anche) la incapacità degli organi inquirenti di adottare un approccio sistemico al tema della prevenzione e sicurezza stradale; se la Procura, a disastro compiuto, indaga sul fatto che l’autista stesse usando il telefonino al momento dell’impatto (cosa comunque esclusa dalle indagini) e non indaga per verificare se l’autista guidasse in condizioni di grave carenza di sonno e di grave alterazione dei ritmi circadiani, questo ci espone alla permanenza e reiterazione del rischio anche a causa della incompletezza delle indagini (rinviamo ad altra circostanza la discussione sulle indagini Covid delle procure italiane)

NO AL GREENWHASHING

La tendenza all’anglofilia ha introdotto questo termine che equivale grosso modo al concetto di “pannicello caldo” ma in senso peggiorativo in quanto il pannicello caldo non risolve però neppure peggiora mentre in effetti un rimedio greenwashing può essere peggiorativo del male. Il ceto politico e le istituzioni locali-nazionali hanno tirato fuori dal cappello il coniglio: il passante green finanziato, nientemeno, che dalla UE.

Si tratta di proposte risibili che passiamo brevemente in rassegna:

  1. Rumore: è il fattore di rischio più facilmente abbordabile ma a discapito di possibile grave impatto paesaggistico e territoriale
  2. Qualità dell’aria: è il campo privilegiato delle fantasie greenwashing; i presunti rimedi proposti sarebbero: a) piantumazione di alberi b) vernici in grado di assorbire l’inquinamento c) colonnine per ricariche elettriche

Vediamo più in dettaglio:

a) PIANTUMAZIONE DI ALBERI: la funzione miracolistica della piantumazione di alberi non ha nessuna credibilità come rimedio efficace contro l’inquinamento. La comunità scientifica fa più affidamento sulla strategia di evitare le emissioni piuttosto che sull’ipotesi illusoria di “ricatturare” gli inquinanti. Certo il verde ha una funzione positiva sia per gli effetti psicologici contro il distress sia per il riassorbimento di quella quota di inquinamento che sarà ineliminabile nonostante la razionalizzazione del sistema dei trasporti. La stessa prudenza nel non cadere in semplicistiche illusioni ci deve guidare per il controllo dell’inquinamento industriale. Ci sono studi che accreditano l’ipotesi secondo cui i pioppi sarebbero molto utili per assorbire gli ftalati (noti come “interferenti endocrini”) ma il ragionamento non cambia: è più ragionevole praticare l’eliminazione dal ciclo produttivo degli ftalati piuttosto che emetterli sperando di ricatturarli con gli alberi di pioppo

b) Vernici “assorbenti” – BIOSSIDO DI TITANIO: una sostanza additivata in maniera cosi capillare da essere di fatto diventata quasi ubiquitaria (addirittura in farmaci cosmetici eccetera. Ma il biossido di titanio è sotto osservazione per il sospetto di cancerogenesi ed è irrealistico pensare che funzioni come una “spugna” che assorbe inquinanti; i quali inquinanti ipoteticamente assorbiti («nulla si crea, nulla si distrugge») dalle miracolose vernici andrebbero comunque gestiti con smaltimenti adeguati;

  1. RICARICHE ELETTRICHE: una delle ultime “novità” del cosiddetto «passante green». Ipotesi ventilata per addolcire la pillola. Ovviamente fra la presenza di colonnine per le ricariche e il passante non c’è nesso tanto che Firenze (la città più fornita) non ha alcun progetto di passante intra-cittadino; poi non ha senso che i veicoli ricarichino per strada (ha senso farlo a casa, prima di partire per un viaggio) da pannelli fotovoltaici e non “per strada” come se la fonte della ricarica fosse indifferente. La questione «auto elettriche» è ben più complessa: le rosee previsioni secondo cui questi mezzi renderanno ecocompatibili gli attuali volumi di traffico sono mere illusioni se non volontari tentativi di ingannare l’opinione pubblica. Intanto non pare scontato a priori che l’intero “ciclo vita” dell’auto elettrica produca meno CO2 di quello delle auto tradizionali. Ma è fortemente trascurato l’approvvigionamento e l’equa distribuzione delle enormi quantità di litio e di cobalto che sarebbero necessarie per la produzione di massa dei mezzi elettrici. Abbiamo visto che l’invasione russa dell’Ucraina ha “riabilitato” carbone e nucleare. E sappiamo che le fonti energetiche sono occasione di conflitti: la distribuzione attuale delle materie prime (la Serbia, su pressioni del movimento ecologista, ha appena respinto l’avvio di una miniera di litio) dall’America Latina al Congo fa presagire venti di guerra salvo una improbabile capacità politica dell’Onu di spegnerli e prevenirli. Abbiamo avuto segni premonitori (non ancora di guerra ma di crisi) con la questione della carenza di “semiconduttori” che hanno messo in rilevanti difficoltà diversi comparti industriali.

     

Indagini sanitarie possibili

Benché, comprensibilmente, i cittadini rivendichino nuove indagini epidemiologiche i dati sanitari ed ambientali, già disponibili, relativi all’impatto del traffico sono alquanto esaustivi dal punto di vista quali-quantitativo. Gli studi fatti a Torino (Costa ed altri) sono riusciti persino a misurare la speranza di vita e di salute nel territorio lungo le fermate di un autobus che attraversa la città dai quartieri borghesi a quelli operai. Risulta a ogni fermata d’autobus un calo nella speranza di salute e di vita. A Bologna l’epidemiologia non conta sulle grandi professionalità presenti a Torino ma soprattutto non esiste ricerca libera da condizionamenti e ostruzionismi politici. Un rilevante contributo analitico al tema del rapporto fra inquinamento dell’aria e effetti negativi sulla salute è comunque reperibile negli atti del congresso dell’AIE (associazione italiana di epidemiologia) del 2019: effetti acuti cardiovascolari correlati a incremento di polveri sottili; incremento estivo di eventi di embolia polmonare correlati a PM 2.5; tumori emo-linfopoietici (leucemie e linfomi nell’infanzia); impatto negativo (anche) sulla salute animale; livelli di NO2 e calo dell’attenzione nei bambini; impatto sanitario dell’aeroporto di Bologna. Purtroppo la letteratura è vastissima e inequivocabile. Di recente (2014) alcuni inquinanti da traffico sono stati collocati in Lista I per le malattie professionali e, se sono capaci di indurre tumori su una popolazione operaia (nonostante il noto effetto “lavoratore sano”) non possono che avere un impatto “peggiore” sulle fasce di popolazione più vulnerabile.

In un documento redatto nel 2017 (a cui rimandiamo) abbiamo citato le evidenze riguardanti l’incidenza della malattia di Alzheimer e di altre patologie neurologiche correlata all’esposizione alla “qualità dell’aria“ delle aree urbane ad alta intensità di traffico.

Occorre registrare il quadro attuale, geo-referenziare i cosiddetti “casi” (si tratta invece di persone) come proponiamo da tempo anche per le patologie da amianto extralavorative e per le patologie indotte dal glifosato e dagli interferenti endocrini. E’ necessario e urgente immagazzinare i dati. Non ha senso invece avviare le previste modifiche del traffico per poi misurarne l’impatto dopo adeguata latenza. Piuttosto è utile censire le patologie già emerse e correlabili al traffico veicolare sia per confermare (o disconfermare) altre rilevazioni sia per eventuali percorsi risarcitori.

Sulla relazione tra dati ambientali e patologie OCCORRE SUPERARE L’ATTEGGIAMENTO INVETERATO DELLA AUSL DI BOLOGNA CHE NEGA ACCESSO AI DATI E INSISTE SU POSIZIONI ANTISCIENTIFICHE (DA PIU’ DI VENTI ANNI) NEGANDO LA CANCEROGENICITA’ DELL’AMIANTO INGERITO O LEGANDOLO A UNA PRESUNTA “DOSE” DI SICUREZZA-INNOCUITA’. Fermo restando – a scanso di equivoci – che l’amianto delle tubazioni dell’acqua “potabile” si riverbera anche in termini di inquinamento indoor degli ambienti domestici (e non).

Proposte conclusive

L’attuale traffico veicolare su gomma va disincentivato e le possibilità concrete per farlo esistono:

  • Gestione ragionevole dello smart working che potrebbe eliminare all’origine un traffico fonte di inquinamento, perdita di tempo e distress per i lavoratori; purtroppo le organizzazioni stanno tentando di ritornare al modello di controllo “in presenza” di tipo panottico-carcerario; la reiterazione di forme di controllo , come ha scritto un giornalista, «a portata di urlo»
  • Razionalizzazione dei mercati sulla base del criterio del consumo a kilometro zero
  • Gestione del traffico residuo con mezzi a minore impatto ambientale (ferro, bicicletta, motori elettrici, cavalli): ritenere che i veicoli elettrici o a H risolveranno il problema dell’intasamento da traffico è ipotesi infondata; se i decisori e il ceto politico conoscessero lo stato attuale delle miniere di cobalto in Congo starebbero di più con i piedi per terra
  • Gestione del traffico in entrata nelle arterie ad alto traffico con i criteri con i quali si dovrebbe gestire un “normale” sito produttivo, con monitoraggio delle condizioni della forza lavoro impegnata e obbligo di eliminare gli inquinanti alla fonte anche facendo riferimento ai criteri del regolamento europeo REACH
  • Dalla partecipazione popolare non si può prescindere; né si può tollerare che i progetti su ambiente e salute pubblica vengano gestiti “da Roma” riducendo i cittadini a semplici spettatori passivi e lo stesso Comune di Bologna al ruolo di mero “invitato al tavolo” senza diritto di partecipare alle decisioni (come sta accadendo per il SIN-OGR di via Casarini)
  • Dobbiamo “contare sulle nostre forze”: dal 1999 (anno in cui è stato sollevato il problema ci dicono che bere acqua inquinata da amianto non danneggia la salute … Ora la UE (ottobre 2021) dice: BONIFICARE LE RETI ACQUEDOTTISTICHE! Venti anni di “rimozione” psicologica del problema in cui bisognava operare invece la rimozione fisica della tubazioni.

BIBLIOGRAFIA

Decreto Malattie Professionali 2014 ( relazione fumi diesel/tumori del polmone; relazione benzene/tumori di vari organi e apparati; relazione formaldeide/tumori)

Internazionale, 17-22 dicembre 2021, Una foresta di dubbi

Internazionale, 11-17 febbraio 2022, Abbiamo avvelenato il pianeta, da New Scientist p. 54-59

Kevlar, Informazioni sulla sicurezza, Du Pont engineering fibres

(*) Vito Totire è portavoce della «RETE EUROPEA di ECOLOGIA SOCIALE»

 

Redazione
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