Pabuda: «Gli sbirri cambiano (grazie al jazz?)» 

Il meglio (FORSE) del blog-bottega /286…. andando a ritroso nel tempo

scena sgranata in bianco e nero:

sembra un vecchio film,

un cattivissimo hard boiled,

ma è un fottuto sfratto tutto vero:

la sbirraglia incalza

Charlie Mingus (*) colla figlioletta

per tirarli fuori dallo studio

ch’è un pieno magazzino polveroso –

e gettarli in strada in tutta fretta.

su un camion caricano anche tre

vecchi vestiti, degli scatoloni di spartiti,

un po’ di settantotto giri e dei trentatrè,

pezzi di corda, giochi, stracci,

un fucile e il contrabbassone

poderoso e screpolato

come il suo padrone.

..

scena a colori (valanghe di pixel):

due file di garbatissimi sbirri

colla divisa della festa

regolano l’accesso ordinato

del pubblico anzianotto

alla New York Town Hall

per la prima mondiale di Epitaph (**):

uno sbirro giovane

spinge una vecchietta in sedia a rotelle.

la vedo sorridere proprio in questo momento

e ci scommetterei:

lo sbirretto manco immagina:

lei faceva parte dell’ala tostissima

del movimento:

leggermente più a sinistra delle Pantere:

senza giustizia niente pace.

viene da sorridere anche a me e il mio sorriso

mi piace.

(*) Nota della bottega. Se non sapete chi è Charles Mingus è un bel guaio: soprattutto per il canale che dalle vostre orecchie porta al cuore; però qui in “bottega” potete leggere Scor-data: 5 gennaio 1979 oppure Lettera di Charles Mingus a db ma anche LA STORIA DI FAUBUS CONTINUA (sempre di Pabuda). L’episodio dello sfratto è raccontato in tutte le biografie di Mingus. Ah, chiamarlo “Charlie” – come fa Pabuda – è una licenza poetica; lui disse e ridisse (con tono da orso) ma anche scrisse e riscrisse che voleva essere chiamato Charles.

(**) Ri-nota della bottega. «Epitaph» è una lunga composizione di Mingus, scoperta dopo la sua morte. Fu eseguita per la prima volta da un’orchestra diretta da Gunther Schuller e poi pubblicata in album. Qualcosa si sente (e si vede) anche in rete.

 

IL NOSTRO “MEGLIO”

Anche quest’anno la “bottega” recupera – nel pieno dell’estate – alcuni vecchi articoli che a rileggerli, anni dopo, ci sembrano interessanti. Il motivo? Un po’ perché 20 mila articoli (appena superati) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché d’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che – il maledetto Covid permettendo – dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda (ma un po’ alla volta siamo arrivati al 2014) valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto ritrovare semi, ponti, pensieri, ornitorinchi (cioè stranezze eppur vere) perduti; ove possibile accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente. Con le firme più varie, con stili assai differenti e con quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. Al solito verso l’inizio di settembre termineremo questo (forse) “meglio”. Per rivederci presumibilmente la prossima estate. O chissà. [db]

 

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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