Pabuda per tre

DIVERBIO

mi trovo
scomodamente
prossimo
alla disperazione abissale:
questo maledetto aggeggio,
computer personale,
non ne vuol sapere
di funzionare
come qualsiasi
modesto pc
saprebbe fare.
attendo, rosico,
aspetto, resisto,
riprovo, insisto,
spengo e riavvio
collego, sconnetto
e riconnetto,
spengo e riaccendo,
lo butto? lo tengo?
per ora resisto
e mi nego
a un nuovo acquisto.
ma, alla fine, esausto,
lo minaccio:
lo tratto come uno straccio:
“se non ti muovi, bastardo,
se t’inceppi di nuovo,
al prossimo stop,
mio vecchio laptop
se solo ci riesco
(intendo: col grano)
io ti sostituisco.”
poi mi alzo, lo guardo
come guardassi
un figliolo un po’ tardo
e tra me penso:
“ma che vuoi che sia…
nei collegamenti
c’è solo qualche ritardo…
ti tengo, ti tengo,
computer bastardo.
in fin dei conti, anch’io
di cuore non son privo:
casomai, ti farò
un bel trapianto
di sistema operativo.”

INTOPPO

lingua esigua
labbra timide,
solo cinque dita,
a parte quelle
dei piedi
presi da
altre incombenze,
vocabolario
taccagno
e reticente.
in che stretta
strettoia
mi son ficcato!
tutto questo tutto
che so e vedo e prevedo
come scriverlo
col così poco che ho?
bell’intoppo, a pensarci.
nel tutto
che m’appartiene in scienza
meglio anche questo
saperlo o, almeno,
domandarselo.
eppure, se chiudo gli occhi,
il naso e le orecchie
e tutte le porte delle stanze,
di tanta consapevolezza
preferirei farne senza

LA TASTIERA

ho questa
tastiera davanti:
ma proprio
davanti ai miei
due strabici occhi,
e a tre centimetri
e mezzo
dalle dieci dita
delle mie due mani
bianche e stanche,
ma ciononostante
un po’ sollevate.
la conosco,
la benedetta tastiera
del mio vecchio
pianoforte verticale
mezzo tarlato:
la conosco eccome:
potrei dire,
tasto per tasto,
del bianco
e del nero
apprezzo
la compresenza
e il contrasto:
solitamente
mi basta
un contatto:
una toccata precisa,
una pigiatina scontrosa,
o una pressione decisa
e insistita,
una leggera
carezza in punta
di dita
o un tocco
un po’ più
martellante:
le scelte son molte
le alternative
son tante.
ciascuna
ha il suo motivo
racchiuso:
è come uno sguardo
gettato appena di lato
oppure molto lontano:
anzi, ora che
mi ci fai pensare:
dieci sguardi,
calcolando
che ho cinque
dita per mano.
adesso, però,
mi son perso:
ogni tasto
mi sembra diverso,
la serie, da destra
a sinistra
e da lì, di nuovo,
sul versante destrorso
non è più la stessa
in questo momento:
su questa vecchia tastiera
io, oggi, ho perso
l’orientamento.
quindi:
mi spiace, ma io,
oggi, non suono,
davvero,
non me la sento

BREVE NOTA
Siore e siore per consolarvi (della neve?) oggi tre Pabuda invece che uno. E’ andata così: il Pabuda ha un “diverbio” con il computer (vedi la prima neuropoesia) e timoroso di essere lasciato “in bianco” mi dice: per favore posta tu. E mi fa scegliere fra tre diversi testi che a me son parsi tutti yuk-yuk. Potevo resistere? (db)

Redazione
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