Paese che vai infermiere/i che trovi (o non trovi)

forza e debolezza nelle corsie degli ospedali

Il sorprendente sciopero delle infermiere irlandesi – Imre G. Szabó

In un Irlanda dove molti lavoratori non hanno ancora riscontrato alcun beneficio dalla ripresa economica successiva alla crisi, sono le infermiere a essersi messe in prima linea nella lotta contro l’austerità. Nelle ultime due settimane, i sindacati delle infermiere sono gradualmente riusciti a costruire degli scioperi partecipati che hanno messo pressione al governo rivendicando nuove assunzioni e aumenti salariali. I sondaggi indicano che la lotta delle infermiere è vista favorevolmente dal 74% della popolazione, un numero straordinario.

Lo sciopero ha certamente avuto un effetto importante. Nei tre giorni di forte protesta, 30 gennaio, 5 febbraio e 7 febbraio 2019, tutti i servizi ospedalieri non emergenziali sono stati cancellati, e ciò ha toccato più di 80 mila pazienti. La lotta sembrava destinata a intensificarsi, visto che l’Irish Nurses and Midwives Organization (Inmo) e lo Psychiatric Nurses Association (Pna) avevano minacciato tre giorni consecutivi di azioni di lotta. Uno sciopero di questa portata avrebbe ridotto in ginocchio un sistema sanitario già in sofferenza.

Seppur il conflitto si stesse intensificando, l’opinione pubblica è rimasta saldamente dalla parte delle infermiere. Il 9 febbraio, come segno di questo travolgente supporto, decine di migliaia di persone hanno marciato insieme alle infermiere nel centro di Dublino. Due giorni dopo, i sindacati hanno sospeso le loro azioni, non appena la corte del lavoro ha avanzato una proposta con nuove fasce salariali e opportunità di promozione, che sarà votata dai membri del sindacato a marzo.

Per molti aspetti, è stata una lotta lavorativa tradizionale: ha riguardato stipendi, condizioni di lavoro e si è sviluppata nella consueta escalation di tensione, sospesa solo dopo l’intervento della Corte del Lavoro. Gli strumenti utilizzati dalle scioperanti sono noti a chiunque abbia una qualche familiarità con la lotta sindacale: picchetti intorno alle strutture ospedaliere, canti di slogan, bandiere del sindacato e cartelloni rivendicativi.

Tuttavia che le infermiere siano riuscite in un’azione di questa portata – il più grande sciopero in Irlanda negli ultimi anni – è sorprendente in sè. In un passato non così distante, i professionisti del settore pubblico si sono trattenuti dalla partecipazione alle lotte sul lavoro a causa della combinazione delle leggi sulle limitazioni dello sciopero nei servizi pubblici e di una certa concezione della propria etica professionale. Citando Harry Eckstein, i professionisti medici hanno una «profonda inibizione nei confronti di tutto ciò che sa di sindacalismo», e le associazioni di infermieri solitamente hanno un atteggiamento simile.

Oggi vediamo quanto questo sia cambiato. Nelle economie avanzate, una crescente porzione delle proteste lavorative viene da chi meno ci si aspetta. Insegnanti, infermieri e addirittura i consulenti medici sono entrati in conflitto con il proprio datore di lavoro, che solitamente è lo stato. Nel portare avanti gli scioperi, lavoratori spesso poco propensi a utilizzare il repertorio delle strategie del movimento operaio, stanno rigenerando la lotta contro l’austerità nel suo complesso.

Professionisti proletarizzati

Che un’azione di lotta di questa portata venga dalle infermiere è particolarmente sorprendente se consideriamo nel lungo periodo la storia del loro associazionismo professionale. Sebbene l’Inmo sia nato nel 1919, si è tenuto distante dal movimento sindacale fino alla fine degli anni Ottanta, indicendo il primo sciopero solo nel 1999. Da allora, tuttavia, ha giocato un ruolo di primo piano nelle lotte per il salario ed è divenuto uno degli avversari più ferventi dell’austerità.

Per decenni l’associazionismo delle infermiere ha mantenuto una posizione subordinata a quella dei gruppi di interesse politici Irlandesi,  tra cui è influente anche la pressione conservatrice della Chiesa Cattolica. Ciò si è sposato con una visione sessista dell’assistenza infermieristica come attività caritatevole di stampo femminile, in cui l’accettazione di una paga bassa andava di pari passo con la subordinazione e il senso di devozione che le lavoratrici dovevano mantenere. Eppure il loro associazionismo si è tenuto a lungo lontano dalla lotta per i diritti sul lavoro.

Oggi, visioni di questo tipo sembrano antiquate, soprattutto perché le lavoratrici e i lavoratori sono soggetti alla contraddittoria pressione della professionalizzazione e della proletarizzazione. Ai dipendenti dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria e dei servizi sociali è richiesto di svolgere compiti sempre più complessi e di prendere ora per ora decisioni ad alta responsabilità. Nel caso delle infermiere, questo processo ha gradualmente liberato la professione dalla sua subordinazione ai medici: per esempio, le infermiere irlandesi sono state recentemente autorizzate a prescrivere medicinali.

Tuttavia, questi avanzamenti non sono stati seguiti da un aumento del reddito o dall’indipendenza professionale. Al contrario, queste nuove (semi)professioni si ritrovano spesso costrette tra strutture burocratiche con rigide gerarchie e non sono premiate remunerativamente. Negli anni recenti poi sono divenuti uno dei target principali dell’austerità. I servizi pubblici sono attività altamente dipendenti dal lavoro, gli stipendi infatti possono pesare tra il 60 e l’85% delle spese operative, il taglio dei salari offre perciò l’opportunità maggiore per risparmiare.

L’enfasi sulla necessità di ridurre il più possibile gli stipendi nel settore pubblico si fonde con il discorso neoliberista sulla “competitività”, così caro alle piccole economie aperte come l’Irlanda. In questa narrazione, il settore pubblico è quello «riparato, protetto» che si mantiene isolato dalle pressioni del mercato globale e rappresenta quindi una minaccia per i settori economici «esposti», in quanto offre ai dipendenti delle retribuzioni eccessivamente alte. Più specificatamente, si sostiene che gli stipendi del settore pubblico non siano in linea con la sua produttività.

Questa affermazione è doppiamente problematica. I rilevamenti sulla produttività hanno poco senso in settori dove il rendimento dell’attività non è venduto sul mercato. E la produttività è per definizione più bassa in attività costruite attorno all’interazione umana diretta e in tempo reale, come ad esempio l’istruzione o l’assistenza sanitaria. Spesso, la bassa produttività (una bassa percentuale di studenti per facoltà o di pazienti per infermiere) può essere considerata un segnale di qualità. Infatti, nel suo recente libro , Il valore di tutto, Mariana Mazzucato sostiene in maniera convincente che le statistiche nazionali sottostimano sistematicamente il valore delle attività del servizio pubblico, per esempio attraverso il non riconoscimento del ruolo cruciale che la salute e l’educazione svolgono nel sostenere il settore privato. Nonostante ciò, la nozione di improduttività del settore pubblico da forma alle più importanti decisioni dei governi e alle raccomandazioni legislative dell’Unione europea, ed è divenuta ancora più forte sulla scia della crisi finanziaria globale.

Le élite irlandesi insistono che la ripresa economica del paese successiva alla crisi sia dovuta a politiche fiscali responsabili, e non alle straordinarie entrate di cui l’Irlanda gode come base finanziaria e di servizi per le multinazionali. Il mantra ufficiale è che l’austerità ha funzionato, e nel caso irlandese l’austerità ha significato ridurre fortemente i salari del settore pubblico. Gli stipendi degli impiegati nel settore pubblico sono stati ridotti ogni anno tranne uno tra il 2008 e il 2014 (e solo nel 2009 la riduzione è stata del 7%). Alcuni di questi tagli si sono basati su accordi collettivi sottoscritti a malincuore anche dai sindacati, i quali venivano minacciati con misure unilaterali addirittura più severe. Gli accordi prevedevano anche la promessa di tornare indietro sui tagli previsti una volta stabilizzate le finanze pubbliche. Negli ultimi anni, la discussione è perciò virata sul ripristino dei livelli saliariali del settore pubblico. Tuttavia, la versione corrente dell’Accordo sulla Stabilità del Servizio Pubblico dà ancora priorità alla disciplina fiscale non occupandosi delle gravi ingiustizie nella gestione dei dipendenti pubblici.

Su chi grava il peso

Riguardando l’intero servizio pubblico (dal lavoro d’ufficio, fino all’applicazione della legge sui servizi sanitari e l’educazione) questo accordo gode del supporto dei sindacati generali del settore pubblico (come il Siptu e l’Impact), i quali di regola evitano il confronto con il governo su vasta scala. Visto che i sindacati professionali del servizio pubblico (incluse le infermiere) avrebbero rischiato di non ottenere nulla andando da soli, hanno sottoscritto l’accordo.

Ma la maggior parte delle infermiere sono rimaste insoddisfatte dal ritmo e dai metodi di ripristino delle retribuzioni. Analogamente a molti altri paesi, il servizio sanitario irlandese sta affrontando una crisi di assunzioni e mantenimento del personale. Molte delle infermiere irlandesi più qualificate continuano la tradizione di emigrare alla ricerca di salari più alti e migliori condizioni di lavoro in Australia, Canada, Usa o anche nel Regno Unito. Altri se ne vanno per approdare al settore privato. Sommato tutto, la carenza di personale significa una vita lavorativa strenuante e un grosso rischio di crisi da stress per quelli che non sono usciti dal sistema sanitario. È in questo contesto che le infermiere hanno deciso di lanciare la campagna di quest’anno sulla retribuzione.

Il dibattito pubblico tra il governo e i sindacati delle infermiere è ruotato intorno al tema di cosa costituisca un comportamento responsabile in un tale contesto. Il governo insiste sulla presunta necessità di sostenere la responsabilità fiscale. Il primo ministro (Taoiseach) Leo Varadkar, si è persino spinto a sostenere che lo stato irlandese non può permettersi aumenti salariali del settore pubblico perché deve risparmiare fondi in preparazione di una dura Brexit. «Devo essere Taoiseach per l’intero paese», ha detto Varadkar durante un dibattito nel parlamento irlandese. La sua dichiarazione è un promemoria di come agisca il governo quando si trova in dispute con i sindacati del settore pubblico: prova a dare un’immagine di sè come guardiano dell’interesse pubblico contro gli irresponsabili gruppi di interesse particolare. La credibilità del governo nello spendere responsabilmente le proprie risorse tuttavia è stata screditata dalle rivelazioni sul costo di un nuovo ospedale per bambini (ancora sotto costruzione) che ha superato più di 400 milioni di euro, un episodio che il ministro della salute ha tentato di insabbiare. In confronto, l’accordo attualmente sul tavolo per risolvere le tensioni con le infermiere costerà al massimo 35 milioni di euro l’anno.

A parte la questione della responsabilità fiscale, i sindacati del servizio pubblico per vincere dispute di questo genere devono essere in grado di convincere i cittadini che non stanno solo lottando per stipendi più alti, ma anche per servizi pubblici di maggiore qualità. Il supporto pubblico è l’arma più potente in mano ai sindacati. L’interruzione del servizio non può fare molti danni finanziari a un governo, in quanto le tasse continuano a essere raccolte mentre il pagamento degli stipendi è sospeso; parallelamente, ci si aspetta che i sindacati coprino le remunerazioni perse dagli scioperanti attraverso i loro fondi per lo sciopero. Gli organizzatori delle lotte devono anche guardarsi da chi li indica come pericolosi per le vite dei pazienti. Infatti, anche se i servizi di emergenza e soccorso fossero pienamente funzionanti durante lo sciopero delle infermiere, i media irlandesi hanno fatto circolare notizie allarmistiche.Tuttavia, i sindacati sono vivi in questa battaglia mediatica. L’Irisih Nurses and Midwives’ Organization ha la fama di prendere seriamente le preoccupazioni dei pazienti, già prima dell’attuale sciopero. Dal 2004, l’Inmo ha raccolto dati sul numero di pazienti che giacevano sulle barelle nei reparti e nei pronto soccorso degli ospedali. A questa semplice misurazione è stato anche conferito valore dal Hearth Service Executive; l’Inmo in un secondo momento l’ha poi utilizzata per evidenziare un aspetto del sottofinanziamento degli ospedali tra i più drammatici e che può quindi mobilitare più facilmente la sensibilità dell’opinione pubblica rispetto alle sole cifre della lista d’attesa. Durante lo sciopero, le leader delle infermiere si sono anche appellate al concetto di sicurezza del paziente, sostenendo che gli attuali livelli di personale sono pericolosi. È stata resa esplicita la catena causale iniziata dai bassi salari, i quali hanno portato all’emigrazione e alla carenza di manodopera, per arrivare infine a orari di lavoro eccessivi che hanno sfiancato il personale residuo.

Seppur i gruppi di difesa dei pazienti si siano astenuti dal prendere posizione nella disputa, il livello del supporto che le infermiere hanno ricevuto durante il loro corteo a Dublino e la copertura mediatica favorevole suggeriscono che le strategie dei sindacati hanno avuto successo. Un sondaggio condotto un giorno prima dello sciopero su un campione di 1.000 persone ha mostrato che il 74% supportava la protesta. Oltretutto, a partire dal 7 febbraio 2019, più di 68 mila persone hanno espresso il proprio sostegno firmando una petizione online che «invita il governo a prendere provvedimenti e ad aumentare le retribuzioni di infermieri e ostetrici per garantire personale adeguato».

Per decenni, i sindacati nel Nord del mondo hanno dovuto sopportare l’accusa di irresponsabilità economica. Le élite politiche ed economiche incolpavano i militanti sindacali per la crisi di stagnazione degli anni Settanta, anche se il collegamento causale non è stato mai provato. Sulla scia dell’assalto neoconservatore degli anni Ottanta, i leader sindacali hanno interiorizzato questa responsabilità e, ovunque hanno potuto, hanno preso parte a patti sociali che hanno preservato il loro status istituzionale, ma che non hanno portato grande apporto materiale ai propri aderenti. La crisi del 2008 ha trovato un movimento sindacale i cui membri erano decimati e il cui centro di gravità si era spostato verso il settore pubblico. Le élite politiche ed economiche hanno usato l’austerità post-2008 anche come un’opportunità per lanciare un altro duro colpo al movimento. Tuttavia, hanno anche provocato una nuova radicalità dei sindacati del settore pubblico che può essere uno dei primi segnali di rinnovamento del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici.

Molti osservatori (anche quelli di sinistra) pensano che lo spostamento delle proteste del lavoro verso il settore pubblico peggiori l’immagine dei sindacati come gruppi irresponsabili di interessi particolari. Il messaggio principale dello sciopero delle infermiere irlandesi è che non è necessariamente così. I sindacati possono mostrare la propria responsabilità sociale senza rinunciare ad azioni radicali in difesa dei salari e dei servizi pubblici

*Imre G. Szabó ha una assegno di ricerca post-dottorato all’University College di Dublino, si occupa di sindacati e della governance economica dell’Unione europea. 

Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com.  La traduzione è di Matteo Boccacci.

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Allarme degli infermieri: pochi in pediatria, cresce il rischio mortalità – Marzio Bartoloni

Troppo pochi gli infermieri negli ospedali pediatrici, meno di quanti servirebbero. E questo ha un effetto non di poco conto: aumenta infatti il rischio mortalità per i piccoli pazienti. L’allarme arriva da uno studio presentato in Senato dalla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) che ricorda come secondo gli standard di sicurezza ogni infermiere dovrebbe seguire 4 pazienti, tuttavia la media negli ospedali pediatrici è di un infermiere per 6,6 pazienti, 2,6 pazienti in più del previsto.

La carenza di personale sanitario nelle corsie pediatriche ha un “costo” importante in termini di assistenza. Secondo la Fnopi «per ogni paziente extra il rischio di mortalità a 30 giorni aumenta del 7%. Con due pazienti e mezzo in più arriva al 17-18%. Sommando poi i dati delle attività infermieristiche mancate, il rischio di mortalità per i bambini ricoverati arriva al 25-26%». lo studio realizzato dal Gruppo di studio italiano RN4CAST@IT-Ped, ribadisce che è la volontà dei professionisti e la capacità manageriale delle aziende che finora ha garantito qualità e sicurezza, ma sottolinea comunque i rischi che si corrono senza un cambio di passo nel sistema. «Il livello di allarme è alto e di questo si deve tenere conto al momento della scelta delle politiche di programmazione. Oggi abbiamo una carenza di infermieri in costante aumento», dice la presidente di Fnopi Barbara Mangiacavalli.

Secondo lo studio realizzato da 12 astrutture dell’Aopi, l’Associazione degli ospedali pediatrici Italiani che aderisce a Fiaso (la Federazione delle aziende sanitarie) il rapporto pazienti-infermiere dovrebbe essere di 3 o 4 a 1 nelle aree chirurgica e medica, di 1 o persino 0,5 per le aree critiche come terapie intensive e rianimazioni. Numeri lontani dalla realtà rilevata dall’indagine, che ha calcolato un rapporto di 5,93 per la chirurgia, 5,7 per quella medica e 3,55 per l’area critica. La carenza di personale in genere finisce anche per dover impegnare i già pochi infermieri in attività che infermieristiche non sono: come eseguire richieste di reperimento materiali e dispositivi, compilare moduli per servizi non infermieristici, svolgere attività burocratiche o più banalmente rispondere al telefono. Il report sottolinea che a causa del super lavoro il 32% degli infermieri è finito nell’area del “burnout”, la sindrome da esaurimento emozionale che colpisce chi per professione si occupa delle persone.

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