Panama: la base di Punta Coco una nuova Guantanamo?

 

di David Lifodi

La base militare di Punta Coco, situata in una parte dell’Isla del Rey, nell’arcipelago panamense di Las Perlas, potrebbe trasformarsi in una nuova Guantanamo in territorio latinoamericano. Costruita dal governo statunitense nel 2014 per una spesa di 73,5 milioni di dollari, la base di Punta Coco è stata segnalata dalle associazioni dei diritti umani come luogo dove avvengono violazioni e abusi di ogni tipo.

Ufficialmente la base, imposta dal Comando Sur degli Stati Uniti, dovrebbe servire per controllare le rotte dei trafficanti della droga dalla Colombia agli Usa e per isolare alcuni tra i criminali più pericolosi a livello internazionale, almeno nelle intenzioni del presidente di Panama Juan Varela. In realtà, secondo fonti non ufficiali, si parla della base di Punta Coco come super-carcere dove tenere rinchiusi, per lunghi periodi di tempo, prigionieri politici delle guerre globali che combattono gli Stati Uniti in Afghanistan, Irak e Siria. Inoltre, si parla anche di processi extragiudiziali, in stile Guantanamo, che l’intelligence Usa potrebbe attuare a danno dei carcerati o, addirittura, servire per trasferirvi combattenti jihadisti provenienti proprio dalla stessa Guantanamo, con buona pace della sovranità territoriale di Panama. Del resto, Varela in persona pare che non abbia battuto ciglio di fronte alla richiesta di Obama, la cui promessa di chiudere Guantanamo non è stata rispettata e la base Punta Coco potrebbe diventare nei prossimi mesi un luogo di reclusione per prigionieri politici di origine araba, afghana o pakistana. Il carcere, in teoria, sarebbe amministrato dal Servicio Aeronaval panamense (Senan), che però è sorto per volere degli Stati Uniti, al pari di Senafront (Servicio Nacional de Fronteras), i quali operano al posto del governativo Sistema Penitenciario Nacional, incaricato invece di sovrintendere su tutte le altre carceri del paese: un sistema che permette agli Usa di gestire direttamente la base e tutelare al tempo stesso la loro principale priorità, quella della sicurezza nazionale, un’ossessione cresciuta a dismisura dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre. Il presidente Varela è riuscito a far calare il silenzio sulla questione di Punta Coco, ma sono state le denunce di esperti in materia carceraria della Defensoría del Pueblo a tenere desta l’attenzione sulla base militare, già dotata di radar grazie al lavoro del gruppo di infrastrutture Hsc, che prende ordini direttamente dal Comando Sur. Si sa che tra i criminali ospitati a Punta Coco ci sono delinquenti con una lunghissima fedina penale, da Fernando Montoya, condannato per il traffico di armi, al leader pandillero Jorge Camargo Clarke, passando per trafficanti di droga quali Carlos Mosquera e Azael Ramos. Tuttavia, evidenzia la Defensoría del Pueblo, ciò non giustifica le condizioni inumane e degradanti in cui vivono i detenuti, chiusi per quasi 24 ore al giorno in celle che mancano di ventilazione, acqua potabile e luce elettrica e dove il calore e la proliferazione di insetti sono insopportabili. I reclusi vivono in isolamento, non hanno diritto ad alcuna comunicazione con il mondo esterno e raramente viene concesso loro di avvalersi delle cure di un medico. Non solo: gli stessi avvocati, per raggiungere Punta Coco, devono sborsare 500 dollari per le lance, unico mezzo che conduce al carcere. Spesso l’ora d’aria non viene concessa: i detenuti possono uscire per non più di 40 minuti, e singolarmente, solo se hanno la necessità di lavare i propri vestiti. In alcuni casi agli avvocati è stato imposto di denudarsi per la perquisizione prima di poter parlare con i propri assistiti. Secondo la Defensoría del Pueblo, carceri di questo tipo non sono contemplati nella legge 55 del 30 luglio 2003, che pure aveva il compito di riorganizzare l’intera normativa sul sistema penitenziario. A Punta Coco, sottolinea la Defensoría del Pueblo, sono violate la Convenzione americana sui diritti umani, la Convenzione interamericana per prevenire la tortura e la Convenzione contro la tortura, le quali sanciscono i diritti fondamentali dei detenuti. Nonostante il ministro della Sicurezza panamense Rodolfo Aguilera si affanni a garantire che a Punta Coco i diritti umani sono rispettati, lascia comunque perplessi che il paese abbia compiuto un enorme passo indietro in materia di tutela dei diritti dei reclusi. Nel 1994 era stato chiuso il carcere di Isla Coiba, dove le torture erano all’ordine del giorno. Tuttora le carceri di Panama non sono luoghi di riabilitazione, ma vere e proprie università del crimine dove sono le mafie a governare, spesso con la complicità della polizia e delle autorità, mentre nella società passa l’idea che i detenuti si meritano un trattamento inumano per la loro crudeltà e per gli episodi di criminalità in cui sono stati coinvolti.

Ciò che preoccupa della prigione di Punta Coco è che potrebbe trasformarsi in un precedente molto pericoloso dopo quello di Guantanamo. Non si tratta di difendere dei delinquenti, ma di far rispettare la dignità umana ed evitare che sorgano altri luoghi di questo tipo, al di fuori di ogni regola del diritto internazionale e dove recludere militanti sociali scomodi per governi e multinazionali di turno. Punta Coco è un centro di detenzione clandestino e, come Guantanamo, dovrebbe essere chiuso.

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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