Pandoro, la dolcezza del natale

di Gianluca Cicinelli

Mischiarsi tra la folla, non perdere la calma e rendersi invisibile. Tre movimenti e nessuno avrebbe mai saputo che il giorno precedente al trafiletto con cui il giornale cittadino avrebbe annunciato il consueto regolamento di conti tra spacciatori, lui stava proprio lì.
Guardò un’ultima volta quella faccia di cazzo che da morta era anche più volgare che da viva, decise che non meritava rimorsi e uscì dall’appartamento con l’unica preoccupazione di non farsi beccare.
Per strada, mancavano pochi giorni al santo natale, impazzava la festa del patrono di quartiere, amatriciana e vino moltiplicati a pagamento dalla parrocchia, credenti e agnostici che muovevano il culo convinti d’imitare le ballerine brasiliane sul palco, poche famiglie sovrappeso a ricordare che prima della rivoluzione digitale quella era una zona proletaria.
Camminando per le strade dove aveva conosciuto la strada, guardava le comete illuminate con le lampadine al neon, smarrito, come un vecchio la cui casa è rimasta l’unica in mattoni rossi accanto a grattacieli in vetro e lamiera. Solo che lì non era stato il laminato a sostituire le palazzine. La nuova generazione, che a partire dalla fine degli anni ‘80 aveva voluto spalmare sulle macerie lasciate dalla guerra le caccole della propria esistenza, era stata ben attenta a lasciare tutto com’era. Il rustico veniva venduto a prezzi da far impallidire giapponesi e americani. Palazzi senza ascensore, cortili da galline spacciati per giardini, marciapiedi inesistenti: benvenuti al quartiere della peggio gioventù, quella convinta di aver comprato le proprie radici e non solo la casa.
Coglioni digitali e analogici, cyberstronzetti, creativi senza fantasia, registi che non reggevano l’alcool e nemmeno la vista della vita senza telecamera. Marco intanto aveva raggiunto la macchina senza problemi, riuscendo a scivolare inosservato tra i corpi sudati, ed era ormai al sicuro.
Più che una generazione cocktail, pensava acido Marco mentre metteva in moto, sembrava una generazione che nel cocktail c’era caduta durante l’infanzia. Per una volta però erano stati utili a qualcosa, coprendo inconsapevolmente, anime candide, la sua fuga dall’omicidio appena commesso. Si stupì che in un momento del genere l’eliminazione dell’intelligenza dall’orizzonte umano lo preoccupasse più dell’eliminazione di un essere umano. Dalla confusione che ormai da anni regnava nel suo cervello emerse il lontano ricordo del presidente Mao, e si disse che colpirne uno per educarne cento, affermazione che aveva contrastato con tutte le sue forze negli anni ‘70, forse non era del tutto una stronzata.
Finalmente il sonno prese il sopravvento, mentre nel dormiveglia ripercorreva ogni istante di quel pomeriggio natalizio, in cui per la prima volta aveva applicato unilateralmente la pena di morte.

Dal pianerottolo aveva notato subito che tramite la scala era possibile uscire dal retro del palazzo, semplicemente richiudendosi la porta antincendio alle spalle. Già conosceva la via su cui sbucava l’uscita di sicurezza. Una ricognizione, prima di entrare a casa dello spacciatore, gli aveva mostrato una stradina privata con un solo accesso, che, a sinistra della porta d’emergenza, finiva con un muricciolo alto un metro e mezzo, sovrastato da due linee di filo spinato. Provò un brivido ripensando al terrore che da bambino gli comunicava quel confine con la zona militare e le sentinelle armate sulle torrette. Ora però la gigantesca caserma era stata abbattuta, tranne che per qualche lieve tratto di confine, e al suo posto, dall’altro lato del muro, avevano ricavato un mezzo parco pieno di cacate che agivano come deterrente contro la possibilità di prendersi l’aids con le altrettanto numerose siringhe. Poco più in là di quello sputo di verde una serie di villette a schiera e palazzine quasi mai più alte di tre piani.
Ai militari col tempo si era sostituita la tribù tanto cara a Marco. Sedicenti alternativi, con in comune due solide basi: l’estraneità a quell’insieme urbanistico e l’indipendenza da impegni economici di cui farsi carico in prima persona. Requisito ulteriore, per veri amatori, il possesso di un cane, meglio ancora se in coabitazione con qualche gatto, per far guadagnare qualcosa a chi d’estate doveva poi dare da mangiare alle bestiole, lasciate dai padroni, troppo impegnati in costose vacanze culturali in qualche buco del culo di mondo incontaminato fino al loro arrivo. Fondato su questi oliati cardini, l’insediamento dei barbari a banda larga si era successivamente autoproclamato paladino della riscossa etno-culturale della zona. Le sedi sociali del progetto garantivano radici nel territorio: “sora Rosa” e “il Paradisotto” garantivano inoltre un primo e tolleranza nei pagamenti in attesa dell’ormai data per prossima primavera del quartiere. Una riproduzione in scala irreale della Rive Gauche. Convincente come le statuine della Tour Eiffel sotto la neve all’interno di una palla di vetro.
Pensava al suo passato in quel luogo mentre stava per suonare alla porta dello spacciatore.
Lui se ne era andato dopo un po’, quando all’arrivo dei cretinetti i prezzi avevano registrato un’impennata molto trendy. A quel punto erano affluiti arricchiti di tutti i tipi, in cerca dell’affare immobiliare nel quartiere “cool”. Anche una volta venduta la casa, soprattutto negli ultimi mesi, era però tornato altre volte in quei luoghi. La nostalgia non c’entrava molto. Piuttosto era il miglior fumo di quel momento in città a portarlo lì. Un charas che dal secondo tiro in poi ti faceva scordare che avevi la canna in mano, con disagio e proteste rumorose di quelli che attendevano il passaggio.
Fino al mese precedente tutto era filato liscio. Il movimento con Walter funzionava alla perfezione, un chilo per settemila euro, cash alla consegna. Marco, dopo averlo rivenduto ad amici e conoscenti, riusciva a tenerne un’ettata per sè, che gli consentiva di fumare bene, fondamentale dopo che ti fai le canne da vent’anni. A marzo però era successo qualcosa. Un Walter mortificato gli aveva spiegato che ora tutto il traffico di fumo e quindi anche di charas della parte meridionale della città, era passato in mano a un certo Osvaldo, che, da non si sa dove, aveva cacciato una sfilza impressionante di contanti, acquistando tutto l’hashish acquistabile e rilevando addirittura i debiti dei cocainomani da bisca. Perciò l’unica cosa che poteva fare Walter era metterlo in contatto con qualche scagnozzetto del nuovo boss.
Fu solo per questo motivo che Marco ebbe a che fare con il Palla, come lo chiamavano i suoi amichetti di piazza. Un cicciobullonissimo di nemmeno vent’anni, testa rasata e culo eternamente sulla lambretta, piuttosto indisponente, che tirava un po’ troppo la corda della pazienza coi suoi sfottò da coatto. Essendo quello dell’organizzazione che regolarmente pagava i poliziotti, si considerava una specie d’intoccabile e con i clienti da strada più remissivi faceva il prepotente. Marco l’aveva osservato una volta dalla macchina, pochi minuti prima di un loro appuntamento, mentre nel giardino della parrocchia dove spacciava dava due schiaffi a un pischelletto quindicenne che si era solo permesso di protestare perchè due canne per 5 euro era veramente da infami. Marco si era già ripromesso di mettere in riga Palla per insegnarli a vivere in armonia con gli altri. Ad impedirgli di prenderlo a calci era stato fin lì solo il pensiero che aveva bisogno di lui per arrivare a questo Osvaldo che gestiva il traffico. Ma ormai erano trascorsi già un paio di mesi di trattative soft con lo spacciatore di piazza e la situazione non si sbloccava.
Lui trattava i chili, non le umilianti palle da 50 grammi del Palla. Quindi quest’ultimo vedesse che poteva fare per farli incontrare.
Una richiesta che nel loro ultimo incontro, Marco, con grande umiltà, aveva ripetuto dal basso verso l’alto. Nel senso che aveva sospeso il Palla a dieci centimetri da terra, infilandogli indice e medio della mano sinistra nelle narici, tirandolo verso l’alto ad osservare il cielo degli otorinolaringoiatri, mentre il rumore della cartilagine nasale che si rompeva diveniva un sottofondo coperto dalle urla di Marco. Tra gente civile comunque alla fine ci s’intende sempre. Palla fu riammesso alle obsolete ma sempre valide leggi della normale gravità in cambio di un piccolo sforzo mnemonico.
Avuto l’indirizzo di Osvaldo, Marco non aveva più motivo di avercela con lui. Questo sentimento non sembrò fare breccia nel cuore un po’ duro del Palla, che per sicurezza portò comunque il suo culo altrove per diverse settimane. E siccome tutta questa storia trascinata per le lunghe lo aveva fatto proprio incazzare, Marco decise che a questo Osvaldo qualche scherzetto gli andava fatto. Lui di mestiere non faceva lo spacciatore, non era una guerra quella che voleva. Ma a forza di vivere costantemente al confine tra una propria e assai dubbia morale e quella della legge, troppe volte aveva riscontrato l’ingiustizia di entrambe per non dare retta infine soltanto al suo istinto. Che ora gli suggeriva di coglionare un poco il piccolo boss di stograndissimocazzo.
Diede un’altra occhiata dal pianerottolo per sincerarsi che sulla porta antincendio non ci fosse qualche catena messa da un amministratore zelante. Ancora non sapeva cosa sarebbe successo, ma una via di fuga già pronta torna sempre utile, gli avevano insegnato in quei novanta giorni di gattabuia che aveva dovuto smaltire per gli assegni rifilati a quello stronzo del tappezziere. Una detenzione da cui aveva appreso quello che ancora gli mancava per i suoi giochetti di prestigio con la vita. Poteva pure andare a finire che con quel tipo ci si mettesse d’accordo. Era solo il fatto che il teatro di quello strano movimento fosse il suo quartiere a metterlo in uno stato d’animo particolare. Questo almeno pensava quando finalmente suonò.

Se gli avessero aperto la porta i re magi tutti insieme, iniziando a spiegargli finalmente cosa cazzo fosse la mirra, sarebbe rimasto meno sorpreso. Emanuele Benincasa, detto Grog, suo compagno di scuola del liceo, con lui nel servizio d’ordine del collettivo politico di scuola, gli si parò davanti senza spranga, senza capelli, senza camicia e soprattutto senza riconoscerlo.
E chi cazzo sei mo’ tu? – chiese duro e roco il padrone di casa.
– Sono l’anima dei peggio mortacci tuoi –
Emanuele alias Osvaldo, che non era come dire don Diego della Vega alias Zorro, fece un passo uscendo sul pianerottolo e chiudendosi la porta alle spalle.
– Se cerchi guai rischi di trovarli ragazzo, cosa vuoi? –
– Davvero non mi riconosci? –
L’altro lo guardò a lungo fisso negli occhi, più per capirne le intenzioni che per ricordarsi. poi, percependo che comunque l’oroscopo gli aveva raccontato cazzate anche quel giorno, rispose con un’altra domanda:
– Chi ti manda? –
-Stronzo eri stronzo sei, però ammiro la coerenza. Sono Marco, Marco Lotti. Non è colpa mia se sono uguale ad allora. Ho avuto il tuo indirizzo dal Palla –
– Marco!!! Quanto tempo, scusami sai, ma con tutti i ladri che girano da queste parti non si può stare sicuri! –
-Bè, allora visto che a casa tua non si ruba fammi entrare. O dobbiamo passare il pomeriggio qui in mezzo? –
Grog riaprì la porta blindata. Perchè certe volte davvero l’oroscopo ti dice cazzate.

Al funerale di Benincasa c’era tutto il quartiere che conta, cioè quattro stronzi per non parlar del prete che officiava la funzione, spiegando, nell’imbarazzo generale, che non si muore, che è solo il corpo, che se dio morte dà motivo c’è. Ebbe il buongusto di non vantare la bontà della vittima, forse immaginando, dopo un rapido sguardo alle facce dei presenti, che Grog non fosse il tipico socio del Rotary club. Ad ascoltarlo, oltre Marco, che non aveva resistito a completare l’esecuzione con la sepoltura, faceva spicco il comandante della locale caserma dei carabinieri, il capitano Guarnacci, incaricato delle indagini. In fondo era pur sempre un omicidio, anche se apparteneva a quella categoria che fa tirare un sospiro di sollievo alle forze dell’ordine e autorizza i benpensanti a benpensare che comunque finchè s’ammazzano tra loro…
Ciò che i benpensanti non sapevano era però che a conoscere le attività illegali del Grog erano davvero poche persone, una ristretta cerchia di spacciatori d’alto bordo, perchè la vittima aveva continuato a svolgere un normale lavoro di facciata, creativo tra i creativi in un quartiere dove l’esercito dei creativi aveva esportato con la forza la creatività.
Il capitano Guarnacci vedeva quel delitto come l’ennesimo impedimento tra lui e le vacanze per le feste di natale. Per questo aveva voluto assistere di persona alle esequie della carogna. Un regolamento di conti tra spacciatori, tu segui dove si ridistribuisce il traffico e trovi l’assassino: alla scuola ufficiali sarebbero stati fieri di lui. Tuttavia Guarnacci non era tranquillo. Fosse stato per il dover rendere conto ai superiori non si sarebbe nemmeno posto il problema. Ma gli riusciva difficile dimenticare la scena del delitto dinanzi a cui si era trovato. La porta senza segni di effrazione ci poteva pure stare, di sicuro si trattava di qualcuno conosciuto dalla vittima.
Ma quel pandoro, piazzato su un tavolo proprio sotto il poster da cui Jim Morrison e il cane guardavano ebeti l’arredamento falso rustico della stanza da pranzo, lasciava l’amaro in bocca. In cima al pandoro infatti era conficcato il lunghissimo mozzicone di una canna. Un segnale? Un avvertimento?
La canna sul pandoro a mo’ di candelina lo aveva colpito molto più dell’altra firma truculenta, quella sì, lasciata apposta dall’assassino, che aveva usato un bastone per rompere la testa a Grog. Una costosissima penna stilografica d’oro conficcata nel culo di Benincasa, quasi certamente messa lì dopo l’omicidio. Il guaio, pensava Guarnacci, è che quando conosci il morto le piste sembrano aumentare anzichè diminuire. E la sua conoscenza con Grog non si limitava alla vita di quartiere.

C’era stato un tempo in cui per Guarnacci la fiamma dei carabinieri era solo qualcosa da spegnere con grande beneficio per l’intera collettività.
Negli anni ‘70 aveva conosciuto Benincasa prima in classe poi nel collettivo di scuola. Facevano una singolare e poco signorile gara a chi rompeva più teste nere, per poi vantarsene con gli altri fascisti di sinistra del servizio d’ordine. Guarnacci dopo il liceo aveva passato più tempo a cancellare tutte le tracce del suo passato che a laurearsi in economia e commercio. Una volta entrato nella Benemerita poi, era riuscito a completare il lavoro, togliendo dai terminali elettronici qualsiasi elemento che potesse ricondurre alle sue simpatie politiche giovanili.
Quell’omicidio e quello strano modus operandi dell’assassino avevano il potere di ricondurlo con prepotenza a quegli anni. Il deja vu era poi completato dalla presenza di Marco Lotti al funerale. Il motivo per cui quello pseudo intellettuale acido frequentasse Benincasa per Guarnacci rappresentava un enigma di difficile soluzione. L’ex amico, sfottuto al liceo per le arie culturali che si dava e ribattezzato col soprannome di Er Gramsci aveva sempre disprezzato lui e Benincasa. Forse sarà stato per la casa editrice di cui era proprietario Benincasa, azzardò tra sè Guarnacci, ma ti pare che quello che scrive sui principali quotidiani si mette a scrivere per Grog? Decise comunque di andargli incontro alla fine della funzione, pensando che l’antico compagno non l’avesse riconosciuto.<br>
– Il nero Ë proprio un colore che ti si addice – fu invece il saluto informale di Marco a Guarnacci che si avvicinava sorridendo.
– E tu hai sempre la lingua lunga, eh? –
– Almeno non la uso per leccare nessuno. Come stai Giorgio? –
– Provo a campare. Mi tocca seguire le indagini per Emanuele –
– Hai già un’idea? –
– Credo di sì, ma mi sfuggono ancora delle cose. –
– Pranziamo insieme? –
– Non ho tempo, però potresti accompagnarmi a casa di Grog, devo tornare per togliere i sigilli –
Marco avvertÏ un brivido, una sensazione d’insicurezza che gli era di solito lontana. Non era stato esattamente felice d’incontrare quello che come infame considerava secondo solo al morto. Nè poteva far finta d’essere di fretta dopo averlo invitato a pranzo. Così decise di seguirlo a casa di Emanuele e camminando cercò di ricordare per l’ennesima volta se aveva commesso qualche errore. E lo trovò, cazzo, stavolta trovò l’errore!

Appena in casa, Grog l’aveva fatto accomodare sulla poltrona di vimini che troneggiava in sala da pranzo. Sembrava la stanza di un adolescente e già questo aveva fatto innervosire Marco. alle pareti Jim Morrison, John Lennon, Jimi Hendrix – qualcuno vivo che non comincia per gei lo appendi? – gli aveva chiesto disgustato. Ma l’altro, passata la paura di essere nel mirino di qualche concorrente in affari di fumo, rideva alle sue cattiverie. Sembrava davvero felice della rimpatriata. E lo sai che tizio è uscito solo due anni fa di prigione? E quello che da solo mise l’autobus di traverso alla celere lo sai che adesso fa la guardia giurata? E cosa, quella che con il ganzo si smucinavano sempre alle assemblee, lo sai che anni dopo ho saputo che è arrivata vergine al matrimonio? Grog era così di buonumore che chiusero in pochi minuti la questione del fumo, motivo galeotto della loro riunione.
– Per te Gramsci il prezzo che lo pago io, ok? Quanto ne vuoi e quando lo vuoi, chi cazzo immaginava che eri tu che mi cercavi. Domani parlo col Palla e non avrai più problemi. Quel Charas Ë una benedizione del cielo, credimi.
Benincasa volle festeggiare. Siccome le feste erano dietro l’angolo, prese un pandoro, lo mise a sciogliere il burro sul termosifone e iniziò a preparare una canna. Lì scoppiò la prima lite, a causa del filtro di cartone, ritenuto da Marco troppo corto.
– Ma fai ancora quei siluri disumani? – chiese Grog ancora ridendo – con quei filtri lunghi quanto l’obelisco del Foro Italico e il tutto messo in due cartine rigorosamente corte e non incollate tra loro? Non cambi mai!-
Poi passarono a parlare del presente. E con gran costernazione di Marco il Grog, sì proprio il Grog, gli raccontò che aveva fondato una piccola casa editrice. All’inizio gli serviva come facciata per giustificare i soldi che aveva senza uscire mai di casa. Poi, gli confessò, piegato in due dalle risate, uno stuolo di coglioni aveva cominciato a offrirgli dei soldi per pubblicare le cazzate che scrivevano. Anzi, utilizzò l’espressione “quelle quattro fregnacce”, che fece andare di traverso la canna a Marco, sempre più convinto della dannosità, piuttosto che inutilità di Benincasa. Ma a far scattare la molla decisiva della violenza fu la spiegazione che questi dava della sua fortuna economica.
– Insomma prima questi coglioni mi pagavano per farsi pubblicare le poesie di natale, e non puoi capire quanti soldi ho fatto, molto più che col fumo. Ma adesso c’è internet – continuava a gridare nonostante Marco fosse a un metro – non puoi capire che razza di affare è internet –
E siccome Marco dava segno di non capire o di non voler capire continuò la spiegazione.
– Allora, se una casa editrice viene contattata da mille squilibrati, internet ne ospita milioni di squilibrati, tutti i coglioni che scrivono alla fine cedono alla tentazione di inviare un racconto o un romanzo a un sito senza chiedere niente in cambio. Così mi sono inventato le collane: noir ed erotico femminile, credimi Marco, non devo neanche fare la fatica di rispondere per mail alla gente. Faccio soldi a palate. Nemmeno si accorgono che la roba che pubblico è merda rimaneggiata. I sogni delle casalinghe, i deliri degli impiegati dal posto di lavoro, le belle speranze di giovanotti in rivolta generazionale, questi sono molto più coglioni di quanto eravamo noi, Marco. Ma che fai? –
Marco Lotti pensò solo per un attimo ai sette manoscritti che lo attendevano in redazione, molti inviati da qualcuno di quei giovanotti in rivolta generazionale amati da Grog.<br>
-Un pezzo di merda puzzerà pure ma a qualcosa serve, tu no, Grog, puzzi solo. –
Poi conficcò la base della canna sulla cima del pandoro. Infine afferrò la mazza da baseball, che dava un tocco americano all’arredamento, di fianco alla poltrona e cominciò a colpire Emanuele Benincasa detto Grog fino alla fine. Che arrivò sotto forma di un rantolo all’interno del quale si poteva afferrare qualcosa di simile a un “perchè?”. Hai rubato anche la battuta finale, pensò Marco mentre evitava di sporcarsi con il fiume di sangue e svuotava le tasche di Grog per confondere le tracce.
L’idea gli venne quando dal taschino dell’ex spacciatore uscì una splendida Mont Blanc. Di quelle che costano quanto dieci cellulari. Di quelle in genere portate a simbolo da coloro che non le sanno usare. Piazzargliela come si fa col termometro ai bambini lo mise di ottimo umore. Non si sentiva giusto, solo leggero. Nel senso della leggerezza descritto da Calvino nelle lezioni americane. Mica da uno stronzo che scrive su internet.

– Vedi – stava dicendo Guarnacci, seduto insieme a lui nella stessa stanza dove era stato commesso il delitto – in tutta la mia vita, compreso un periodo che ho passato in America ad occuparmi di narcotraffico, mi devi credere: mai una volta, una sola volta in vita mia ho visto una canna fatta come quelle che fai tu. Nessuno al mondo fa un filtro lungo dieci centimetri. Così – continuò imbarazzato – quando l’altro ieri siamo entrati per trovare il cadavere ho subito pensato a te. Ma era impossibile che l’avessi piazzata tu sul pandoro. Che c’entri tu con Benincasa? Oggi quando ti ho visto al funerale ho capito, ma ho capito solo che eri stato tu. Adesso voglio sapere perchè. Te lo chiedo per favore. –
– E’ un interrogatorio? – chiese Marco impacciato.
– No, qualsiasi cosa dirai dopo resta tra te e me –
Marco valutò se fosse il caso di essere sincero. Ma ormai non aveva molto senso tenersi le ragioni. Almeno a Guarnacci poteva affidarle, in fondo erano stati delinquenti insieme e, non poteva fare a meno di pensare Gramsci, lo erano rimasti separatamente.
– Dopo la scuola mi sono iscritto a filosofia. Non ce l’ho fatta a finire perchè dovevo lavorare, avevo bisogno di soldi. Poi, quando avevo già una trentina d’anni, sono riuscito a rientrare dalla porta di servizio nel fantastico mondo della cultura. Mi hanno assunto a un giornale e ho iniziato a scrivere, prima piccole cose, poi quando c’erano avvenimenti improvvisi, un decesso o un premio a uno scrittore, hanno cominciato ad accorgersi che stavo un gradino sopra. Insomma in breve mi affidarono le pagine culturali del giornale dove scrivo adesso. Da lì a pubblicare saggi, raccolte di articoli e poi racconti è stato facile. Ma se tu immaginassi le porte che mi hanno chiuso in faccia prima che diventassi famoso. I seminari austeri a cui mi portavano amici interni all’università, i corsi di scrittura creativa come una linotype, i soldi che ho speso credendo d’imparare qualcosa da coglioni disumani che come gli ubriachi a cena ti dicono di andarli a trovare il giorno dopo e il giorno dopo non sanno chi sei. Pensare che persino quel coglione di Emanuele Benincasa, il Grog porca puttana, il Grog perchè a scuola parlava solo coi rutti, insomma Guarnacci ho pensato soltanto che fosse giusto e basta. Nemmeno adesso riesco a essere pentito di aver ammazzato quel fighetto da quattro soldi che mi ricorda tutti gli stronzetti sedicenti creativi che hanno massacrato questo quartiere, che hanno violentato l’idea stessa di una libera aggregazione umana, concepito l’abominio che la cultura digitale prescinda dai contenuti, insomma vaffanculo, il Grog ha pagato per tutti.
Guarnacci lo guardava interessato.
– Peccato! –
– Peccato cosa? – chiese Marco indispettito
– Non lo facevo cosÏ stronzo, sai che all’esame di maturità gli ho fatto io il tema d’italiano e non mi ha neanche ringraziato? Un bell’otto ha preso, mica un sei striminzito, gli ho proprio salvato il culo quella volta –
Rimasero cinque minuti in silenzio. Poi Marco chiese:
– Adesso mi arresti? –
– E perchè? Ho letto sul tuo giornale che è stato un regolamento di conti tra spacciatori, che vuoi, creare inquietudine tra i tuoi lettori, tra la maggioranza silenziosa? Sai a chi cazzo gliene può fregare della morte di ‘sta bestia! Io devo pure andare in ferie da stasera –
– E la canna sul pandoro? – domandò, Marco incredulo per l’incredibile botta di culo che si andava profilando sul suo orizzonte.
– Quale pandoro? – chiese Guarnacci masticando di gusto l’ultima fetta mentre toglieva i sigilli dalla scena del delitto.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

7 commenti

  • Se questa è opera tua,e da molti “indizi” mi pare proprio,non mi dirai che non pubblichi queste meraviglie?Con tutto il rispetto per l’amico Carlotto,ti fa un baffo cone scrittore di “noir”…e nun sto a fa il lecchino celosai quanto so’ stronzo e dico sempre quello che penso…Hasta marco il monello.

  • “Ah si certo, ah ah… Vaffanculo figlio di puttana, ti ho visto arrivare sai, pezzo di merda, avanti, avanti su, io non mi muovo, non mi muovo dai, prova a muoverti tu, e muoviti… Non ci provare stronzo. Ma dici a me? Ma dici a me? … Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Eh, Non ci sono che io qui. Di’, ma con chi credi di parlare tu? Ah si, e va bene…”

    Meglio specificare che è una citazione da taxi driver 🙂 non si sa mai …
    Perchè tu non dici a me, dici a lui …
    vabbè che siamo tutti un po’ db, ma …
    no, non è lui, sono io …
    ma chi sono io per dire che non sono lui?
    forse perchè db parla a 70db, che nonostante tutto è un ragazzo educato, e io parlo ad almeno 150db come il rumore per le strade di Roma.

    Senti db, questo ragazzo che mi scambia con te me lo segnali dove abita? Perchè me lo lavoro appena ho finito di accettare, segare e mettere nel secchio quella famiglia che insinuava di essere la mia.

    Uffa, lavoro, sempre lavoro, spara di qua, disossa di là … ma dal prossimo anno mi prendo una pausa!!!

    • confermo che io sono me (a volte) e già fatico mentre gc è altro da me
      anche a me il racconto piace molto, mi dissocio dalle minacce (Craxi driover o q

  • anche a me questo racconto piace molto
    ma io sono me (spesso) e già fatico; potrei essere pure cicinelli?
    signori della giuria guardatemi: ho forse due teste, 4 orecchi(e) e occhi? forse cito film inesistenti come “Craxi Driver”? O minaccio persone e chiedo indirizzi io? NO: quello è
    separato da me, il famigerato cicinelli, jean-luc godot, pazz-doro.
    e se non avete capito la battuta sui decibel (db) cosa posso farci io?

  • Dio maledica gli editori che non pubblicano i bravi scrittori ma bruno vespa sì.
    E non si facciano mai trovare con una grossa, supponente mont blanc nel taschino.
    Questione di stilo.

  • – Bello!!!.
    cazzo proprio bello …. e scusate se mi metto nel mezzo tra voi vecchi amici.
    Cicinelli chissà che ci riservi per il capodanno!!!! ci sarà la bomba maradona???

    buon capodanno cari vecchi (azzardo.. eh eh eh)!!

    K

  • Gianluca! Concordo con Marco.
    Davvero un bel leggere, accidenti.
    Bravo e bravo e bravo ancora (mi sono scialata).
    Grazie.
    clelia

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