Paolo Sollier: calcio e militanza

di David Lifodi

“Quattro quotidiani sportivi per tutta la settimana contano le pulci a Rivera, ricamano le mutande a Bettega… danno più spazio ad un mal di pancia di Riva che a un record mondiale di atletica”. E ancora: “Il sindacato calciatori è lo specchio fedele del calciatore medio: difesa del proprio interesse corporativo e assoluto menefreghismo sul resto”.

Se non fosse che si parla di Rivera e Bettega sarebbe fin troppo facile pensare che queste considerazioni siano state scritte solo pochi giorni fa, nell’epoca del cosiddetto calcio moderno. E invece sono alcune delle riflessioni di Paolo Sollier, il “compagno centravanti” del Perugia (la definizione è di Gianni Mura, attualmente prima firma sportiva di Repubblica) che nel 1976 scrisse il libretto autobiografico Calci e sputi e colpi di testa, adesso ripubblicato dalla Kaos Edizioni. Troppo spesso Sollier è stato descritto in maniera folkloristica, quello che salutava a pugno chiuso prima dell’inizio delle partite, senza che nessuno prestasse attenzione alle sue critiche verso il sistema calcio. Se allora qualcuno avesse solo preso più in considerazione il suo atto d’accusa verso un calcio già allora omertoso (dai suoi vertici ai giocatori di spicco di quei tempi) forse non si sarebbe trasformato in un circo popolato da personaggi ambigui ed equivoci. Ce n’è anche per la sinistra extraparlamentare: “Al di là del generico <<prendiamoci lo sport>> i compagni non sanno andare, non se ne sono mai occupati”. Effettivamente il rapporto tra la sinistra e lo sport (e in particolare il calcio) ha lasciato sempre a desiderare, dagli anni ‘70 ai giorni nostri. Eppure non era sempre stato così.  Alias, l’inserto del Manifesto, nella sua edizione del 28 Aprile parlava di Sport e Proletariato, un quotidiano che nel 1923 faceva concorrenza alla borghese Gazzetta dello Sport, prima di essere chiuso dalle squadracce fasciste. Se la sinistra avesse dedicato maggiore attenzione al calcio, e anche al fenomeno del tifo organizzato, forse oggi gli stadi non rappresenterebbero uno dei laboratori politici più avanzati e fonte di reclutamento per l’estrema destra. Paolo Sollier viene da Chiomonte, paese della ribelle Val di Susa, gioca nelle serie minori militando in squadre piemontesi prima del grande salto a Perugia: sembrava un miracolo mantenere la serie B e invece arriva la serie A. Nel frattempo Sollier è passato dai campi di lavoro e dalla raccolta degli stracci per Mani Tese alla catena di montaggio di Mirafiori e milita in Avanguardia Operaia. I successi con il Perugia non stravolgono la sua vita, dona ai compagni di squadra le poesie di Cesare Pavese (con la dedica “Non si vive di solo calcio”), lavora attivamente nella sinistra extraparlamentare, ma soprattutto mette a nudo l’ipocrisia del mondo del calcio e pensa con la sua testa. Per questo dà scandalo: il dogma calcistico per eccellenza, negli anni 70 come oggi, dice che i campioni della pedata chiamati ad esibirsi sul manto erboso devono solo saper tirare calci ad un pallone. Ai giorni nostri le rare domande politiche che i giornalisti sportivi (in buona parte pavidi ed accondiscendenti) rivolgono ai calciatori vanno evitate come la peste. Dice che lo consigliano le dirigenze delle società, ma anche senza i loro divieti i giocatori di oggi sanno come dribblare domande “impegnate”. Sull’episodio di razzismo avvenuto in Premier League inglese lo scorso ottobre, quando l’attaccante uruguayano del Liverpool Luis Suarez ha rivolto insulti razzisti a Patrick Evra, il francese di colore del Manchester United, buona parte dei calciatori italiani ha preferito non commentare. E invece Sollier ragiona sui mali del calcio e mette in crisi non solo le fondamenta del sistema, ma anche quelle di un giornalismo sportivo “malato di parrocchie, perche parla soltanto dei fatti di casa nostra: nazionalismo si chiama. O torinismo, per i giornali di Torino; milanismo per quelli di Milano, romanismo per i romani”. Un atto d’accusa che potremmo traslare alle trasmissioni sportive di oggi, popolate da squallidi giornalisti-tifosi servili con giocatori strafottenti e presidenti coinvolti in giri loschi, eppure riveriti come se fossero dei sulla terra. E’ per questo che un personaggio come Italo Cucci, ancora oggi sulla breccia a pontificare di calcio in Rai, scrisse una recensione al veleno su Calci e sputi e colpi di testa e ribattezzò Sollier “l’asino con le ali” sul Guerin Sportivo del 13 Ottobre 1976. L’esasperazione del calcio già allora era forte, eppure non aveva l’amplificazione delle radio private, dei tam-tam su internet, delle estenuanti ed ossessive moviole dalle settanta telecamere in cui tutto si giustifica nel nome del dio pallone, ma Sollier denunciava le sceneggiate dei calciatori ad ogni minimo sgambetto: “Io penso che se uno resta a terra si è fatto veramente male. Se invece dopo un po’ si rialza e riprende a sgambettare, allora  ammonizione e poi espulsione”.

Per Calci e sputi e colpi di testa Sollier fu deferito dalla Commissione Disciplinare per avere espresso giudizi lesivi nei confronti di altri calciatori, dirigenti e presidenti. In una parola, aveva individuato i mali del calcio, quelli su cui buona parte dell’informazione sportiva continua quotidianamente, e colpevolmente, a sorvolare.

Redazione
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9 commenti

  • Novità. L’ASINO CON LA PENNA.
    Per favore, non paragonatevi a Sollier, un gigante. Ma non sapete proprio nulla dei nostri scontro, dei nostri confronti. Care animelle…

  • il commento qui sopra significa?
    chiunque sia l’autore (il giornalista, un omonimo, un usurpatore di nome) potrebbe spiegare?

  • Voglio solo dire che se l’autore dell’articolo avesse fatto una piccola ricerca,invece di pontificare, avrebbe scoperto che a quei tempi sul calcio si giocavano anche partite politiche in una dimensione che rende risibile,al confronto, il calcio d’oggi. Sollier e io non la finimmo lì, ci incontrammo e scontrammo ancora. L’ultima volta l’ho intervistato nel 1999. Chi è, questo Lifodi, per liquidarmi con una parola? Ripassi quand’è cresciuto. Spiegato?

    • Non c’è bisogno di fare ricerche per rendersi conto che le partite politiche sul calcio di allora erano risibili rispetto a quelle di oggi, cioè tutto il contrario di quanto afferma Cucci, basti pensare alla disastrosa situazione finanziaria di squadre come Roma e Lazio, che non hanno mai pagato in termini di penalizzazioni o retrocessioni come accaduto ad altre squadre perché soprattutto le due curve rappresentano un notevole bacino elettorale. E ancora: come mai le piccole squadre vengono associate tutti i giorni al calcio scommesse mentre sui grandi nomi, tipo Conte, usate sempre il condizionale? Per non parlare dei legami tra determinati presidenti e alcuni giocatori con esponenti del tifo organizzato dediti a scorribande razziste oppure organizzati in gruppi paramilitari. Su tutto questo la stragrande maggioranza dei giornalisti sportivi presenti in Rai, ma anche sulle altre reti tv, ha sempre taciuto o comunque minimizzato. In occasione della morte del calciatore del Livorno Morosini nessuna trasmissione ha svolto approfondimenti degni di nota, e dopo un po’ il tema predominante è tornato il calcio mercato, le bizze di Ibra o i dubbi di formazione di Stramaccioni. Si è parlato di fatalità, si è ragionato sulle emergenze del momento, ma non si è parlato di cosa succede negli spogliatoi, di come vengono “curati” i calciatori. Lo stesso silenzio (per non dire omertà) sul famoso video che ritrae Cannavaro nello spogliatoio a Parma dedito a strane “infiltrazioni”: è un campione del mondo, guai a sollevare qualche dubbio. Il giornalismo sportivo, caro Cucci, non si esaurisce solo nel commentare una partita, discutere accanitamente se un pallone ha superato la linea di porta o discettare su una sostituzione più o meno giusta, ma significa avere la capacità di portare avanti anche inchieste di carattere sociale legate allo sport, penso a grandi firme come Emanuela Audisio o Gianni Mura di Repubblica, al modo originale di occuparsi di sport del Manifesto, che tempo fa ha dedicato due pagine alle squadre di calcio dei migranti a Napoli. Perché la domenica sera qualsiasi altro sport che non sia il calcio passa in tv dopo la mezzanotte? Lei e i suoi colleghi hanno mai speso qualche parola sulla violazione dei diritti umani e sindacali dei lavoratori sfruttati per meno di un dollaro al giorno nelle maquiladoras del sud del mondo (ma anche dei paesi dell’est) al servizio delle grandi multinazionali dell’abbigliamento sportivo? Vi è mai venuto in mente denunciare la farsa dei mondiali argentini voluti per rafforzare la dittatura della giunta militare di Videla, Massera e soci? Evidentemente no: alcune delle madri della Plaza de Mayo, in occasione di un mio viaggio in Argentina, hanno detto che erano costrette a rincorrere i giornalisti perché non parlassero solo del mondiale, ma anche della repressione e delle sparizioni. Chieda un’altra intervista a Sollier, visto che ha ricordato quella del 1999, vediamo cosa le risponde e poi ripassi sul nostro blog. Quanto a me, mi occupo principalmente di movimenti sociali in America Latina, sono appassionato di calcio (nonostante la brutta piega che ha preso questo sport) basket e altri sport e scrivo per il piacere di farlo nel mio tempo libero.

  • Arroganza e ignoranza, segreti e bugie: siamo sempre da quelle parti. Condivido la risposta di David e aggiungo qualcosa.
    Amo lo sport ma sempre più ne detesto le strumentalizzazioni economiche e il suo ruolo al servizio dei poteri (l’arroganza appunto) e dell’ignoranza. Confido che, persino oggi, un altro sport sia possibile e ne ho provato a scrivere nel dossier Gioco e sport, fra il mondo e il mio corpo (è uscito sulla rivista «Cem mondialità», in blog lo trovate in data 13 febbraio 2012).
    E’ dura però.
    A sconfortare è che, qualunque cosa accada, i giornalisti sportivi (salvo mosche bianche) rifiutino di riflettere. Se possibile cancellano le notizie, quando non ci riescono le decontestualizzano nella casella “eventi atipici” invitando lo sport «pulito» ad andare oltre, cioè a bendarsi gli occhi. Ecco tre fatti, tutti di aprile, sui quali il giornalismo sportivo italiano si è mostrato incapace di articolare un minimo ragionamento.
    1 – In aprile esce «Il campione innamorato» dove Alessandro Cecchi Paone e Flavio Pagano (con prefazione di Cesare Prandelli) raccontano di un tabù, l’omosessualità nello sport.
    2 – Sempre in aprile muore Carlo Petrini, «ammazzato dal calcio» come profetizzò lui stesso. I suoi scomodi libri aggiungono molto a quello che aveva già denunciato Sollier, perciò meno se ne parla e meglio è.
    3 – Ancora in aprile si corre il gran premio del Bahrein. Diritti umani violati in tutto il Paese, morti per le strade? Ai nostri commentatori interessa solo se Alonso arranca.
    Fra poco iniziano gli europei di calcio e naturalmente i media fingono di ignorare il giro di malaffare, sfruttamento e prostituzione che si intreccia con l’evento sportivo. (Qui in blog qualcosa ne ha scritto, il 14 maggio – Fuck Evro-2012 – Bozidar Stanisic ma chi volesse saperne di più troverebbe in rete molte denunce). Nulla è cambiato da quando nel 1971 la tedesca Ulrike Prokop raccontò quel che stava accadendo a Monaco in «Olimpiadi dello spreco e dell’inganno» (il libro fu tradotto in italiano ma i cronisti sportivi erano distratti).
    Ovviamente bisogna considerare questi eventi nel quadro generale: doping; partite truccate; società di calcio indebitate fino al collo (ma il conto lo paghiamo noi), razzismo negli stadi… E lo sport che continua a essere separato – se ne vanta, lo esige – dal resto del mondo. “Se ne deve occupare la giustizia sportiva” si grida quando c’è qualcosa da nascondere. Un’istituzione separata, dunque totale.
    Nessuna analisi. E tanta retorica bugiarda. Se in Genoa-Siena gli ultrà fanno togliere le maglie ai giocatori (è anche questa cronaca recente) tutti si sdegnano e ululano «in che mani sono finiti gli stadi». Perché sono più pulite le fedine di molti presidenti? (db)

  • La moltiplicazione degli asini non ha bisogno delle nozze di Cana. Sono stato il primo inviato italiano a Buenos Aires nel ’78 a incontrare le Matres Llorentes in Plaza de Mayo e a raccontare la loro tragedia sul Guerin. In tempi più recenti ho commentato adeguatamente la morte di Morosini e l’immediato oblìo della medesima coi fattacci di Genova e di Firenze (Delio Rossi) su Raidue Emilia “caso Bahrein su Radiouno. Mi feriscono ignoranza e malafede.

    • Invece a me da tantissimi anni feriscono ogni giorno i silenzi, l’ignoranza, la malafede, la retorica, le bugie di quasi tutti i giornalisti sportivi. Chiunque sa un po’ delle cose del mondo e guarda le pagine di sport o ascolta-vede le trasmissioni sportive sa di cosa parlo. Poi ogni tanto si mette una toppa e ci si vanta pure. Un fiorellino nel marciume. E’ come quando Rainvest – cioè Rai e Fininvest – per tutto il giorno, tutti i giorni ci inondano di merda ma alle tre di notte di un martedì o di un giovedì mandano un film stupendo o il servizio giornalistico ben fatto, in modo da poter dire “ma come, noi l’abbiamo detto”. (db)

  • Quindi con me potete avere anche l’umiltà e la correttezza per scusarvi. Io non sono mai stato “I GIORNALISTI SPORTIVI” ma un giornalista che ha sempre correttamente fatto il suo mestiere da oltre cinquant’anni

  • David risponderà se crede.
    Il mio punto di vista è questo: lei fa parte della stragrande maggioranza (e con un ruolo importante) e non delle eccezioni.
    Dunque la considero un disinformatore, abbiamo idee molto diverse sul “mestiere”.

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