Papa Francesco e patriarca Kirill: stessa lingua

Con il reazionario e omofobo capo della chiesa ortodossa russa, convinto sostenitore della guerra contro l’Ucraina, la Chiesa di Roma condivide una sostanziale identità di ideali e valori.

di Marco Marzano (*)

Qualche giorno fa il Segretario di Stato vaticano, Monsignor Parolin, ha concesso un’importante intervista al quotidiano La Stampa. Una sua risposta mi ha colpito più delle altre. A Domenico Agasso che gli chiedeva se uno dei problemi alla base del conflitto tra Ucraina e Russia fosse, come sostenuto dal patriarca ortodosso russo Kirill, la “presunta decadenza delle democrazie liberali che andrebbe di pari passo con la secolarizzazione”, il numero due del Vaticano ha risposto che “[…] È innegabile che il mondo attuale stia tentando di promuovere un’antropologia che si discosta dalla visione cristiana e che si rispecchia nei «Nuovi diritti», fondati su un approccio esclusivamente individualista. La stessa Chiesa cattolica riconosce il grave rischio che ciò comporta per la difesa e la promozione della dignità umana e non può non essere preoccupata al riguardo. Tuttavia, il modo di contrastare questo fenomeno da parte dei cristiani mai può essere violento, e meno ancora armato, ma deve ispirarsi a quello che Gesù stesso ha insegnato, una proposta sempre più credibile della verità evangelica sul mondo, sull’uomo e su Dio”.
In altri termini, quello che Parolin ha ammesso è che con il reazionario e omofobo patriarca russo, convinto sostenitore della guerra santa contro l’Occidente (e contro l’Ucraina), la Chiesa di Roma possiede una sostanziale identità di vedute, condivide una identica preoccupazione per il destino di società sempre più secolarizzate e scristianizzate. Quel che resta differente è la valutazione dei mezzi per contrastare questa deriva: per Kirill è ammissibile e benvenuta la violenza, per i vertici della Chiesa Cattolica questa va decisamente rifiutata. Rimane però intatta la consonanza di ideali e di valori.
Per avere un’idea più precisa di quali siano questi ultimi basta andarsi a leggere la dichiarazione che papa Francesco e il patriarca Kirill sottoscrissero solennemente al termine del loro incontro a Cuba, nel febbraio del 2016. In quel documento, i due leader religiosi lamentavano, con toni inequivocabili, la perdita di influenza politica delle chiese nelle società più secolarizzate, il progredire di una legislazione che non mette più al centro i tradizionali valori religiosi, “la crisi della famiglia”, ovvero la concessione di diritti simili o identici a quelli previsti per il matrimonio agli omosessuali, e ancora il diritto ad abortire (un’azione considerata equivalente all’omicidio), la procreazione assistita e l’eutanasia. È superfluo aggiungere che la società e il sistema politico russo sembrano garantire oggi molto meglio di quelli europei l’assetto di valori e di ideali nei quali si identificano il capo della chiesa ortodossa russa e il papa cattolico.
Se questi sono i presupposti a me sembra molto ragionevole che il papa tenti di assumere il ruolo di mediatore nel conflitto in corso, dal momento che egli si colloca in una posizione autenticamente intermedia tra la leadership russa e quella dei paesi democratici dell’Unione Europea che sostengono l’Ucraina. Con questi ultimi condivide la preferenza per i metodi pacifici di risoluzione delle controversie, il rifiuto della guerra di conquista, ai primi è invece accomunabile per via di una certa visione del mondo e della società, per un dato orizzonte di principi e di preferenze politiche e culturali.
È proprio questa posizione mediana che spiega, al di là delle inevitabili cautele diplomatiche e del generico pacifismo, l’atteggiamento del papa e della Chiesa nei confronti dei belligeranti, la sostanziale equidistanza vaticana, il rifiuto di chiamare per nome l’aggressore (Putin) e anzi, al contrario, il desiderio di fargli visita e di discutere con lui (rivelato in una recente intervista al Corriere della Sera). Il fatto è che Francesco parla, per molti versi, la lingua politica di Kirill ed è quindi naturalmente un candidato ideale per interloquire anche con il presidente russo, cioè con un leader che giudica il mondo allo stesso modo del patriarca. Il pontefice argentino desidera certamente che Putin faccia cessare l’aggressione agli ucraini, ma non che sospenda il suo programma politico-culturale di desecolarizzazione della società russa, basato sul ripristino di un legame organico tra il trono e l’altare, sul rafforzamento dell’intreccio tra il potere religioso e quello civile. Forse l’obiettivo del suo viaggio moscovita è proprio questo: aiutare Putin a uscire dal pantano della guerra in Ucraina senza per questo arrestare la corsa trionfale della Russia verso la restaurazione di un passato al quale anche tanti gerarchi cattolici guardano con struggente nostalgia!
(*) Link all’articolo originale: https://www.micromega.net/francesco-kirill/
(Credit Image: © Gabriele Pallai/Pacific Press via ZUMA Press Wire – EPA/MAXIM SHIPENKOV)

 

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