Paraguay: diritti violati in nome della soia

di David Lifodi

Il Paraguay non è uno stato libero e indipendente governato dalle istituzioni democratiche, non solo per la presidenza del miliardario e narcotrafficante Horacio Cartes alla guida del paese a seguito del colpo di stato che nel giugno 2012 ha rovesciato Fernando Lugo con l’intermezzo del golpista Federico Franco, ma soprattutto per l’enorme potere conquistato dai sojeros, i grandi proprietari del commercio della soia, buona parte dei quali brasiguayos, cioè imprenditori brasiliani stabilitisi nel piccolo paese confinante con il gigante dell’America Latina.

Ad esempio, Tranquilo Favero è uno dei più influenti sojeros del Paraguay appartenente alla lobby brasiguaya: ha il potere per avere garantite favorevolissime leggi ad personam, determina l’andamento della politica nazionale e ha un conto aperto con i campesinos, quasi quotidianamente sgomberati brutalmente dalla polizia che li caccia dalle terre di loro proprietà. Tranquilo Favero è il deus ex machina del commercio e della coltivazione della soia in Paraguay, ma non è certo l’unico. I sojeros giunsero in Paraguay approfittando della libertà concessa loro dalla dittatura di Alfredo Stroessner, la più lunga dell’America Latina: l’oppressione durò dal 1954 al 1989. Stroessner si era accordato con il regime dei militari brasiliani per accogliere gli immigrati provenienti proprio del Brasile tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. La volontà del regime brasiliano era quella di estendere la popolazione brasiliana nelle città paraguayane di frontiera. L’accordo con Stroessner fu raggiunto rapidamente: il dittatore sloggiò dalle terre più ricche i campesinos del suo paese per far posto ai coloni brasiliani desiderosi di sfruttare al meglio le zone del Paraguay dove maggiori erano le risorse naturali. Così avvenne la colonizzazione dei dipartimenti di Caaguazú, Alto Paraná e San Pedro. I primi imprenditori brasiliani acquistarono in brevissimo tempo enormi appezzamenti di terreno, che poi rivendettero ai coloni che giungevano a frotte dal Brasile, a prezzi stracciati. La forte corrente migratoria che si verificò allora ha posto le basi per quanto sta accadendo oggi: intere zone del Paraguay sono trasformate, di fatto, in vere e proprie enclaves brasiliane poco propense a rispettare leggi ed usanze del paese di cui sono ospiti, a partire dall’uso della lingua: in alcune comunità nell’interno del Paraguay, l’idioma prevalente è il portoghese. Già sotto la presidenza dell’ex monsignore Fernando Lugo, il Parlamento approvò ad ampia maggioranza la Ley de Control de Productos Fitosanitarios de Uso Agrícola, che autorizzava l’utilizzo di prodotti altamente tossici e nocivi per la salute umana. La maggioranza di cui disponeva Lugo, già debole e in via di disgregazione, passò apertamente dalla parte dei golpisti dell’ex presidente, allora vice del vescovo dei poveri, Federico Franco, tra le proteste di campesinos e organizzazioni sociali. In breve, l’utilizzo delle sostanze tossiche per il trattamento della soia accrebbe le intossicazioni della popolazione, distrusse le coltivazioni ed aumentò l’inquinamento dell’acqua e delle terre coltivabili. La cosidetta revolución verde degli anni ’80, quella che sanciva l’utilizzo dei prodotti agrochimici come fertilizzanti e la meccanizzazione dell’agricoltura, distrusse migliaia di ettari di terra, causò numerose morti, dovute alla contaminazione degli agrotossici, e molti neonati nacquero con evidenti malformazioni. Oggi la situazione non è cambiata rispetto ad allora: uno studio della Sociedad Paraguaya de Pediatría evidenzia come oltre il 40% dei bambini nati da mamme che sono state a contatto con gli agrotossici presentino delle malformazioni: la percentuale di rischio cresce sensibilmente se le donne in stato interessante risiedono a meno di un chilometro dalle coltivazioni. La Mesa Coordinadora Nacional de Organizaziones Campesinas (Mcnoc) ha definito la Ley de Control de Productos Fitosanitarios de Uso Agrícola come una licencia para el genocidio. L’ultimo censo agropecuario svolto in Paraguay e risalente al 2008 evidenziava come l’85,5% delle terre si trovasse in possesso del 2,06% della popolazione. Inoltre, i brasiguayos godono anche dell’appoggio dell’influente bancada ruralista del Congresso brasiliano, coinvolta anche nel colpo di stato messo in atto per destituire Fernando Lugo, che pure si era limitato al tentativo di portare a termine riforme assai moderate. Via Campesina Paraguay spiega che la soia transgenica, al cui commercio non sono dediti solo i brasiguayos, ma anche una buona parte di imprenditori uruguayani, ha disarticolato le organizzazioni contadine, costringendo inoltre campesinos e indigeni a migrare nei grandi centri urbani, soprattutto a causa delle frequenti fumigazioni, e finendo così per ingrossare le già poverissime periferie urbane del paese. In Paraguay il legame tra agroindustria ed elite politica è fortissimo. Il presidente golpista Federico Franco, pochi giorni dopo essersi insediato alla presidenza del paese, il 22 giugno 2012, convocò subito una riunione con i brasiguayos e i signori dell’agrobusiness per garantire che avrebbe messo fine all’occupazione delle terre da parte dei contadini su incoraggiamento di Fernando Lugo. Fu in quella circostanza che emerse con chiarezza l’origine del golpe, caratterizzata da una ribellione agraria che difendeva gli interessi padronali. Poco dopo seguì l’autorizzazione dello stesso Franco all’utilizzo dei semi di cotone transgenico. Attualmente i parchi nazionali Yacui e Ñacunday sono sottoposti ad una depredazione quasi quotidiana da parte dei sojeros. Un imprenditore come Tranquilo Favero possiede da solo 171mila ettari di terra nel Chaco paraguayano, e inoltre i produttori di soia cercano di comprare le comunità indigene e contadine garantendo loro cibo e acqua potabili in cambio della coltivazione della soia transgenica sulle loro terre. Episodi di questo tipo sono frequenti nelle comunità indigene di Táva Jopói e Isla Yobái nel dipartimento di Curuguaty, quello dove si verificarono gli scontri più gravi tra i campesinos che reclamavano il loro diritto alla terra e la polizia e da cui i golpisti ne trassero il pretesto per destituire Lugo. La concentrazione della terra nelle mani di pochi è tutelata dal’attuale presidente Horacio Cartes, noto per i suoi legami con il narcotraffico, ma soprattutto per aver approvato, in pochi mesi (si è insediato il 15 agosto 2013), una serie di legge volte a tutelare il settore privato e le grandi corporazioni transnazionali a scapito dei beni pubblici. Cartes si è impegnato a rafforzare le amarissime ricette neoliberiste a partire dal potere di utilizzare le Forze Armate senza l’autorizzazione del Congresso: già sapeva che i suoi provvedimenti avrebbero generato proteste, quindi ha scelto di rafforzare subito l’apparato repressivo dello stato. La stampa mainstream lo ha subito appoggiato, come del resto era accaduto con la campagna di discredito utilizzata per attaccare Fernando Lugo. Cartes ha scelto di azzerare le politiche pubbliche a vantaggio dei privati, a partire da una Ley de Responsabilidad Fiscal assai vantaggiosa per le imprese, congelando i salari dei dipendenti pubblici, ma soprattutto imponendo la Ley de Alianza Público Privada, fondata sulla concessione ai privati di tutto il patrimonio delle infrastrutture nazionali: aeroporti, imprese statali, le municipalizzate di acqua, gas, energia, telecomunicazioni. In pratica, la sovranità giuridica del Paraguay è stata cancellata con un colpo di spugna.

Per adesso, i movimenti sociali e sindacali sono rimasti disorientati. Le centrali sindacali sono scese in piazza (è il caso del Frente Sindical y Social e della Coordinadora de Organizaciones Campesinas e Indígenas del Paraguay), lo stesso ha fatto il neonato Frente en Defensa de los Bienes Públicos y el Patrimonio Nacional, ma l’impressione è che serva ben altro per rovesciare non solo il presidente Cartes, ma un sistema che per ora si mantiene ben saldo al posto di comando.

Redazione
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