Paraguay: un appello per i campesinos…

… incriminati per il massacro di Curuguaty

I cinque contadini paraguayani incriminati per il caso Curuguaty hanno ottenuto gli arresti domiciliari lo scorso 15 aprile al termine di uno sciopero della fame che avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche, iniziato lo scorso 14 febbraio. Tuttavia la questione è politica e il giorno del giudizio, previsto il prossimo 26 giugno, non promette nulla di buono: la stampa allineata alla presidenza Cartes e lo strapotere del Partido Colorado, che controlla anche buona parte della magistratura, lasciano presagire che i campesinos dovranno lottare con le unghie e con i denti per venir fuori da questa situazione. La piccola redazione di questo blog ha deciso di diffondere un appello di solidarietà con i contadini che sta riscuotendo un buon successo di adesioni:  invitiamo tutti a sottoscriverlo quanto prima. Nell’occasione, riportiamo qui sotto un articolo riassuntivo della situazione, tratto da Peacelink, e l’elenco delle adesioni pervenute finora all’appello.

 

Paraguay: arresti domiciliari per i cinque contadini del caso Curuguaty

 

di David Lifodi (*)

Hanno ottenuto gli arresti domiciliari, al termine di una durissima battaglia e di uno sciopero della fame iniziato lo scorso 14 febbraio che avrebbe potuto avere dei risvolti drammatici, i cinque campesinos paraguayani detenuti dal 15 giugno 2012 per il cosiddetto caso Curuguaty.

Quel giorno, la polizia fu inviata a Curuguaty, nella tenuta agricola di Marina Cué, dipartimento di Canindeyú, per restituire le terre a Blas Riquelme, senatore del Partido Colorado ed uno tra i latifondisti più ricchi del paese fin quando non è deceduto, nel settembre 2013. Per i campesinos, la terra di Marina Cué avrebbe dovuto essere restituita allo stato per l’attuazione della riforma agraria. I cinque, Arnaldo Quintana, Adalberto Castro, Felipe Benítez Balmori, Néstor Castro e Rubén Villalba, facevano parte del gruppo di cinquanta sin tierra aggrediti dalla polizia e dai franco tiratori a colpi di fucile: l’ordine era quello di sloggiarli a qualsiasi costo. Lo scontro si risolse con sei contadini e undici poliziotti morti, ma soprattutto fu il casus belli utilizzato dalla destra dei colorados per destituire l’allora presidente del paese Fernando Lugo, l’ex monsignore vicino alla Teologia della Liberazione che aveva portato per la prima volta alla vittoria la sinistra in

Paraguay, anche se grazie ad una coalizione assai eterogenea. Gli unici accusati per la strage furono i cinque campesinos: nessuna responsabilità fu attribuita alla polizia e alle guardie armate infiltrate nell’operazione di sgombero agli ordini di Blas Riquelme. I sin tierra avevano iniziato lo sciopero della fame come strumento di lotta politica: fin dal principio avevano dichiarato che non avevano scelto questa misura così estrema solo per tornare in libertà, ma per esigere che le terre di Marina Cué fossero restituite al campesinadoparaguayano. Già nelle settimane successive al massacro di Curuguaty i contadini avevano dato vita ad un altro sciopero della fame, riuscendo a far concedere gli arresti domiciliari ad alcune donne senza terra incinte o con bambini piccoli. Nel frattempo, la pur corrotta giustizia paraguayana, tuttora filostronista, aveva allontanato dal caso dei campesinos il giudice José Dolores Benítez per manifesta parzialità, ma, solo per far capire l’aria che tira ancora in Paraguay, nel dicembre del 2012 fu assassinato il dirigente dei sin tierra Vidal Vega, anch’esso impegnato in prima persona per il recupero delle terre di Marina Cué. La concessione degli arresti domiciliari ai cinque campesinos rappresenta una prima vittoria dei sin tierra paraguayani, anche se la strada in vista del giudizio del prossimo 26 giugno è ancora lunga. In isolamento nell’ospedale militare, sottoposti a pressioni psicologiche di ogni tipo e costretti a fare i conti con un paese che, nonostante la caduta di Stroessner e la breve parentesi di Lugo (che peraltro ha fatto molto poco, sotto il tiro delle destre e a causa di una coalizione che è andata progressivamente sbriciolandosi già alcuni mesi dopo il suo arrivo alla presidenza del paese), il Paraguay è rimasto un paese stronista fino al midollo che nega lo stato di diritto. Nel corso degli anni nel carcere di Tacumbú, che il Mecanismo Nacional de Prevención de la Tortura (Mnp) ha definito degradante della vita umana, come altre carceri del paese, per il sovraffollamento, i costanti maltrattamenti dei detenuti, la quasi totale assenza di medici e la pratica di discriminazione e tortura inflitta a contadini, donne e anziani, sono stati letteralmente sepolti vivi nel corso degli anni, con condanne pesantissime, campesinos e militanti sociali. Eppure, nel paese si respira un’aria effervescente. Il recente sciopero generale del 26 marzo contro il governo di Horacio Cartes e le sue privatizzazioni, che di fatto intendono svendere l’intero patrimonio del paese alle multinazionali, e la crescente militarizzazione imposta dall’elite colorada, evidenziano anche il rifiuto di una buona parte del paese delle politiche neoliberiste. I cinque campesinos, definiti come “terroristi e assassini” dal governo e dalla stampa vicina al Partido Colorado, per i movimenti sociali sono divenuti degli eroi che, grazie alla loro coerenza, sono riusciti a far passare le loro richieste nell’opinione pubblica: riforma agraria, libertà di associazione e organizzazione sindacale, rispetto dei diritti civili fondamentali. Anche una parte della chiesa paraguayana, quella non compromessa con i colorados, ha espresso il suo appoggio ai contadini arrestati. L’agenzia di notizia Misna ha sottolineato la solidarietà della Conferenza delle religiose e dei religiosi del Paraguay (Conferpar), che pochi giorni prima della concessione degli arresti domiciliari, decretata lo scorso 13 aprile, aveva espresso solidarietà ai campesinos tramite una manifestazione pubblica di fronte alla cattedrale di Asunción: “Loro non hanno ucciso nessuno. È stato un gruppo di banditi di grande potere che ha organizzato un massacro di poliziotti e contadini. È dimostrato che è stato fatto per annichilire un governo che cominciava a servire i poveri. La storia ci giudicherà”. Le terre di Marina Cué erano state concesse allo Stato, nel 1969, dall’Empresa Industrial Paraguaya e, successivamente, destinate all’esercito, fin quando, nel 2004, non passarono nelle mani dell’Istituto Nazionale di Sviluppo Rurale (Indert): fu allora che i campesinos cominciarono a sperare che l’intera zona fosse destinata alla riforma agraria, ma non avevano fatto i conti con Campos Morombí, l’impresa di Blas Riquelme che ne rivendicava la proprietà. Fernando Lugo aveva già avviato le pratiche affinché le terre di Marina Cué fossero destinate alla riforma agraria, ma ogni volta che icampesinos cercavano di entrane in possesso venivano respinti dalle guardia armate di Riquelme, che peraltro non era in grado di presentare ai contadini i titoli di proprietà della zona, che loro stessi chiedevano in occasione di ogni enfrentamiento.

Sembra difficile che la riserva di Marina Cué sia attribuita ai campesinos, la cui posizione, nonostante la concessione degli arresti domiciliari, rimane di difficile risoluzione, ma la solidarietà nazionale d internazionale nei confronti dei cinque helguistas ha sorpreso colorados, il presidente Cartes e i latifondisti: il piccolo Paraguay ha dimostrato, nelle piazze, che non vuol fare la fine dell’Honduras.

(*) tratto da www.peacelink.it del 16 aprile 2014

 

L’elenco delle adesioni all’appello per i cinque campesinos paraguayani

Hanno finora aderito alle iniziative a sostegno dei prigionieri politici accusati senza prove per il massacro di Curuguaty, in vista del processo del 26 giugno 2014:

 – Hugo Blanco Galdós, direttore di Lucha Indígena

– Jorge Agurto, direttore di Servindi

– Marcelo Martinessi, regista cinematografico paraguaiano

– Gigi Bettoli, cooperatore sociale

– Gaia Capogna

– Daniele Barbieri, giornalista

– Francesco Cecchini, scrittore

– David Lifodi, giornalista

– Alessandra Kersevan, storica

– Lidia Menapace, vicepresidente ANPI

– Avv. Francesco Tartini, Rete italiana di solidarietà Colombia Vive

– Avv. Giuseppe Coscione, Rete italiana di solidarietà Colombia Vive

– Carla Mariani, Rete italiana di solidarietà Colombia Vive

– Flora Scala, Rete italiana di solidarietà Colombia Vive

– Antonio Moscato, docente universitario

– Camilo Duque, veterinario

– Agatino Giuffré, pensionato ( vive in Perù)

– Aldo Zanchetta, scrittore

– Antonella Ricciardi, giornalista

– Antonio Giuffre, Sinistra in Rete

– Gianluca Valentini, regista e sceneggiatore,

– Carmela Plutino,

– Walter Valentini

– Anna Mezzani

– Mariella Gabrielli

– Franco Fuselli.  Associazione Italia-Nicaragua di Genova

–  Rodolfo Ricci, coordinatore nazionale FILEF (Federazione Italiana Emigranti e Famiglie)

– Stefano Zecchinelli, blogger antimperialista

– Prof. Francesco Calvanese ex parlamentare di Rifondazione Comunista

– Franco Ricci

– Ester Ferrara

– Attilio Folliero, politologo italiano residente a Caracas, Venezuela

– Cecylia Laya, economista venezuelana

– Milena Annecchiarico, antropologa e documentarista

– Daniele Rocchi

– Anita Sonego, capogruppo Federazione della Sinistra e Presidente Commissione Pari Opportunità, Comune di Milano,

–  Gennaro Carotenuto, storico

– Simone Oggionni portavoce nazionale Giovani Comunisti PRC

– Maria Rosaria Stabili, docente universitaria

– Redazione Contropiano,

– Gregorio Piccin, scrittore e giornalista

– Alberto Chicayban, musicista

– Arnaldo Nesti, direttore di “Religioni e Società”

– Giorgio Bongiovanni, presidente Associazione Culturale Il Sicomoro

– Mara Della Colletta, segreteria Associazione Culturale Il Sicomoro

–  Angelo D’Orsi, storico e docente universitario

–  Raffaele Morelli, Ristretti Orizzonti

–  ANPI Nicolai Bulgajov, Pietro Tigli.

–  ALBA Informazione, Ciro Brescia

–   Anna Arthur, publicista free lance

–  Unimondo (Piergiorgio Cattani, Alessandro Graziadei, Giorgio Beretta),

– Annalisa Melandri, attivista per la difesa dei diritti umani e giornalista indipendente

– Antonio Mazzeo, giornalista

– Miranda Vallero

 

Inoltre l’ appello è apparso oltre che sul blog di Daniele Barbieri, sui siti della Casa del Popolo di Torre di Pordenone, di Antonio Moscato, di Cambiailmondo,  su, blog Habla con Gian del regista e sceneggiatore Gianluca Valentini, sul blog del prof. Attilio Folliero, sul sito dell’ associazione culturale Il Sicomoro di Pordenone, su Alba informazione, su Contropiano, sul sito di ASFER, sul sito della sinistra ticinese, sul sito di Annalisa Melandri ed altri.

L’ azione di raccolta adesioni e diffusioni continuerà fino ai primi di giugno. Poi la pubblicazione dell’appello verrà proposta ad alcuni quotidiani, tra cui Pagina99, Il Fatto Quotidiano, il manifesto ed altri e quindi questo inviato in Paraguay a movimenti ed organizzazioni che sostengono i prigionieri politici di Curuguaty.

 

 

 

 

Redazione
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