Pasolini santo e Pasolini frocio – di Mark Adin

Dopo aver letto e riletto l’articolo di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, provo a ragionare sul tema: la morte di Pier Paolo Pasolini e la ricerca di verità sulla stessa. Che sul tragico episodio ci sia da scavare è indubbio. Del resto anche secondo l’estensore dell’articolo ci sono molte cose che non tornano: non è credibile che Pelosi fosse solo, tanto per dirne una.

Battista prende però le distanze da un atteggiamento che ritiene di ravvisare nei “sacerdoti del culto pasoliniano” (che chiama anche, nell’ordine, “custodi insaziabili del martirologio politico pasoliniano” e “officianti del culto pasoliniano”), atteggiamento che si può riassumere in una tendenza alla lettura “complottista” del massacro di Ostia.

Secondo il giornalista, i “devoti di San Pasolini” soffrirebbero di “ostinata demenza cerimoniale”. Da Walter Veltroni (sulla cui ostinata demenza par di cogliere qualche sfumatura) a Mario Martone, da Lucarelli a Gianni Borgna, c’è un fronte, composto soprattutto da intellettuali di sinistra, che vuole riaprire il processo.

Anche il critico letterario, nonché scrittore, Emanuele Trevi, nel suo romanzo dal titolo “Qualcosa di scritto”, pare sostenere la stessa tesi: il delitto, pur avendo ancora lati oscuri, non s’ha da ascrivere ad alcun complotto.

Secondo il giornalista e lo scrittore, dunque, sarebbe frutto della “ossessione” dietrologica pensare a un coinvolgimento di altri che non facciano parte del mondo di marchettari  e pederasti. Non esisterebbe liaison alcuna tra quella morte atroce e i fascisti, gli onnipresenti servizi segreti e la più sordida parte del potere economico del dopo-Mattei. Si tratterebbe soltanto del triste epilogo della  complicata esistenza di uno scrittore “sempre più prigioniero, negli ultimi anni di vita, delle sue notti irte di pericoli” (sic).

Se tentiamo di far luce nella elegante locuzione utilizzata da Pirluigi Battista, intravvediamo la parabola poco edificante di un uomo divorato dai suoi demoni, sempre più frocio, sempre più pervertito, che “rimorchia” trovando la morte nelle spire della sua ossessione, per mano della sua “marchetta” e di altri presumibili loschi compari.

Nella cornice di degrado, che non manca di rievocare con le parole nientepopodimenoche del mitico Gianfranco Contini, critico letterario di rango, tanto per rimanere nell’ambito di una certa essenzialità descrittiva e lessicale, «turpe brughiera suburbana gremita di sozzi relitti», si coglie la traccia che porta poi alla pista da seguire attraverso la descrizione meno sobria e più esplicita del critico letterario di raglio, Emanuele Trevi: «Una specie di discarica a cielo aperto, cosparsa di ferraglia arrugginita, preservativi, materassi putrescenti, siringhe abbandonate dai tossici, mucchi di piastrelle ed altri scarti di cantieri edili».

Non credo sia casuale che tali descrizioni siano contenute nell’apertura dell’articolo di Battista. Esse stanno lì, maliziosamente, a rappresentare l’ambito, il sozzo scenario, nel quale è maturato l’omicidio di cui si va a parlare. Inquadriamo il problema.

Il delitto, nella sua atrocità indiscussa, è dunque maturato soltanto nella cupa notte di sfogo bestiale omosessuale. Non facciamola tanto lunga. E’ così?

Emanuele Trevi, nella sua veste di scrittore, figlio di illustre padre, psicoanalista junghiano e scrittore saggista, e compagno di Chiara Gamberale, scrittrice, conduttrice radiofonica e televisiva nonché figlia del più noto Vito Gamberale, manager di primissimo piano del panorama italiano, ci riporterebbe dunque coi piedi per terra. Basta con la “ossessione” del complotto.

Qualcosa come: sì, è vero, non si può certo dire che nelle indagini non ci siano state lacune e manchevolezze, ma chiedere di riaprire il processo

Secondo Battista, che tiene bordone, è necessario superare un modo di pensare, appunto, ossessivo, per giungere a vedere le cose per quello che sono. Basta con la santificazione di Pasolini, basta con la sua supervalutazione, si plachino le furie dei suoi “sacerdoti”. Basta con i “misteri italiani”.

E’ dei giorni scorsi la sentenza del Tribunale di Brescia che manda tutti assolti gli imputati della strage di Piazza della Loggia, nel cui perimetro deflagrò la bomba che fece sette morti e decine di feriti, e condanna le parti lese al pagamento delle spese processuali. Si vedrà in Cassazione.

Voglio condividere anch’io, a proposito di questa ennesima sconfitta, l’inutilità di riaprire certi processi, partendo però da una motivazione diversa: purtroppo, le aule di giustizia non sono sempre il luogo adatto per fare emergere una verità.

Concordo anche sulla esistenza di maniaci dietrologi che vedono ovunque intrighi e macchinazioni, ma pensare che, soprattutto in quegli anni, non ci siano stati evidenze di depistaggi, interventi dei servizi, assassinii e ogni porcheria di Stato che ancor oggi vanificano le indagini su numerosi fatti di sangue, mi sembra difficile da sostenere.

Sono invece certo, e lo segnalo ai due, che, parlando con i congiunti delle vittime delle stragi e di tanti fatti di sangue che attendono giustizia, si possa ravvisare, in loro sì, una tipica, ostinatissima, pregiudiziale “ossessione”: quella per la verità.

Per questo, se anche fossi convinto, come Trevi e Battista, che sulla macellazione di Pier Paolo Pasolini non esista legame alcuno con “Petrolio”, Eugenio Cefis, l’omicidio di Mattei e di De Mauro, mi tratterrei dal ridurre la ricerca di verità possibili, anche se illusoriamente perseguita con la riapertura del processo, a una “ossessione” della solita sinistra.

 

Mark Adin

Redazione
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4 commenti

  • Marco Pacifici

    Come sempre GRANDE MARK…

  • Penso che potremo dire “basta con i misteri italiani” solo quando finiranno i misteri italiani, ma mi sembra che siamo ancora lontani da questa eventualità…

  • io invece mi limiterei a smettere di leggere questi autori inutili e prezzolati.

  • Marco Pacifici

    D’accordissimo Fabio…ma questi, che scrivo senza problemi, Infami e traditori del giornalismo, sono camerati di merende con paolo cucchiarelli e marcotullio giordana che fanno libri e film infami che beatificano calabresi…a quando un bel film sui grandi e splendidi giovanotti della repubblica di salo’? E sul nazisionismo che ha salvato dalla Cultura Araba e Palestinese la nostra meravigliosa democrazia bancaria comunione e liberazione? Mi fermo che sono ospite…

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