Patacche: Arminio, Corona e noi

Centesimo appuntamento (possibile? già 100?) con l’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

Non sembra vero che uno come Mauro Corona sia ospite (quasi) fisso di un programma come Carta Bianca, come non sembra vero che uno come Franco Arminio sia pubblicato ed esaltato come è successo negli ultimi anni. Ma non sono loro il problema, due facce di una stessa patacca. Patacca è una moneta finta, anziché di metallo (durevole e forte) di plastica: è il nostro tempo, artificiale, ingannevole, “plasticoso” e ogni tempo ha le patacche che si merita!

Questo pezzo che decido di pubblicare come 100° lunedì dell’Angelo mi è stato suggerito da due concomitanti notizie legate ai due nomi in esame: l’uscita del nuovo libro di Corona e l’arrivo di Arminio a Perugia, città dove abito, prevista il 29 marzo, per una conferenza alla Sala dei Notari.

Come si vedrà nel testo qui sotto – uscì in “bottega” il 17 settembre 2018 – questa vorrebbe essere una bozza di studio su come ridare lucidità e dignità al nostro immaginario, offuscato negli ultimi anni da numerose patacche culturali: il modello potrebbe essere Nemici miei e Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura creativa di Gordiano Lupi o Le pop star della cultura: la resistibile ascesa di Beppe Grillo, Mauro Corona, Roberto Saviano, Carlo Petrini, Andrea Camilleri, Giovanni Allevi di Alessandro Trocino cioè la critica dell’attualità e di realtà considerate «buone e solidali». Una pecca della cultura italiana negli ultimi anni appunto; in Francia è molto più diffusa la critica a figure considerate “sacre” da una certa cultura di sinistra e cattocomunista (diversi anni fa uscì un libro che dissacrava il commercio equosolidale francese, per dirne solo uno).

Da un po’ di tempo rifletto su figure mediatiche e letterarie partendo da Mauro Corona, che ho rivisto intervistato a Carta bianca da Bianca Berlinguer. Poi ho letto un appunto su fb di Leando Janni, un architetto di Caltanissetta a cui sono legato affettuosamente per incontri che davano voce a disastri e a possibilità di resistenza in Sicilia e altrove. Leandro ha scritto una doverosa denuncia per la presenza indecente e inopportuna di Mauro Corona a trasmissioni come Carta bianca. Anni fa Alessandro Trocino aveva pubblicato il libro «Le pop star della cultura: la resistibile ascesa di Saviano, Camilleri, Beppe Grillo, Carlo Petrini, Allievi e Corona». Parlando con una coppia di persone che vende la porchetta in Umbria, dove abito, lei un po’ per provocarmi mi ha detto «Ma perché non vai al Maurizio Costanzo show?», poi si è corretta: «Ma forse uno come te lo manderebbe a fanculo al Costanzo, perché lì ti usano come animale da baraccone, ti fanno dire quello che vogliono loro» (oggi queste cose si applicano ai talent condotti spesso, guarda caso, dalla moglie di Costanzo!). Suo marito è stato più tranchant: «Io lo odio Maurizio Costanzo, ha rovinato l’Italia, ha fatto diventare importanti persone truffaldine e di basso livello culturale, ha lanciato personaggi come Valerio Mastandrea, e in più ha lasciato nell’oblìo e quindi non ha valorizzato persone che meritavano davvero visibilità e importanza». Sembrerà strano, ma oltre all’analisi lucida e impietosa di Fabio (così si chiama il porchettaro) che mi ha rallegrato – fino ad ora non mi è capitato spesso di sentire, parlando così per strada, una consapevolezza talmente lucida di certi meccanismi mediatici e delloshobiss” – , ho ritrovato parole simili proprio all’inizio del libro di Alessandro Trocino. Non so se Corona sia nato anche lui dalla “pancia” di Costanzo, non è questo l’importante. Quando ho risposto a Leandro con un post su fb, ho citato anche Franco Arminio come esempio di personaggio “patacca”, sebbene forse a un altro livello di Corona. Per inciso: Mauro Corona è uno scrittore che a sentirlo parlare ti viene il dubbio che negli ultimi trent’anni le grandi case editrici siano sempre più cloache pronte a pubblicare chiunque purché sia un personaggio che fa vendere (ho letto un libro di racconti di Corona: vomitevole soprattutto per il suo auto citarsi, quindi l’autoreferenzialità).

Di questo parla molto meglio di me Gordiano Lupi nei libri «Nemici miei» e un altro (mi sfugge il titolo) pubblicati da Stampalternativa. Corona è una espressione plateale di tutto ciò: la cosa più penosa e vergognosa è la mancanza di spina dorsale in personaggi come lui che interrogati sulla realtà politica di oggi non solo lasciano intendere di non avere nessuna consapevolezza ma poi fingono di capirci qualcosa, dicono e non dicono: insomma: buffoni patentati. Nel senso antico del termine buffone: narratori compiacenti e interpeti di testi altrui, che non assumono mai la responsabilità politica e individuale.

Poi c’è Franco Arminio, che ho avuto modo di conoscere direttamente, partecipando a un festival che lui organizza e quindi ho vissuto sulla mia pelle la “superficialità, i vagheggiamenti e la carenza di serietà” di questo personaggio. Leggendo una critica di un certo Valentini (che critica un libro di Arminio) vengo a sapere che è stato accostato – da Marco Belpoliti – a Sciascia e a Pasolini! Qua mi potrebbe aiutare Gordiano Lupi che nei suoi libri spiega come ci siano critici letterari prezzolati da case editrici, pronti a riempire di baggianate le pagine di certi giornali per far vendere i libri di alcuni scrittori. Non so se è il caso di Belpoliti ma la cosa più importante è che Valentini invece, criticando il libro Geografia commossa dell’Italia interna di Arminio, si sofferma con molta perplessità su due “vagheggiamenti” di Arminio che basterebbero per smontare gli “elogi” di Belpoliti, Il primo è la teoria di Arminio secondo il quale la “paesologia” (con la quale lui si identifica) sarebbe una “scienza arresa” o una “disciplina indisciplinata”. Il secondo è la “tesi” di Arminio secondo il quale “solo la poesia ci salva”. A parte il fascino di alcune parole (è bello e anche vero dire che la poesia ci salva, ma bisogna vedere cosa rischiamo di nascondere dietro certe tesi) la questione che solleva Valentini – e io con lui – è questa: uno scrittore serio, un intellettuale o uno da cui ti aspetti una certa elaborazione e consapevolezza delle cose che dice e fa, non può dire «io ho inventato la paesologia, che è una scienza arresa, una disciplina indisciplinata». Lo può dire e rimanere nel vago, quasi nel gioco, e quindi nel piano della poesia (e anche lì non dovremmo indulgere troppo nel “giocare con la poesia”) ma se parli di scienza devi chiarire le cose oppure sei un truffaldino, un paraculo, un ciarlatano.

Faccio un esempio pratico (ce ne sarebbero anche di più significativi e ne sono stato testimone direttamente): su youtube c’è un video in cui io ero presente, sul festival La luna e i calanchi 2014: «Arminio parla davanti a 500 persone e dice che i napoletani non hanno fatto l’esperienza dell’emigrazione ma hanno saputo commercializzare anche l’emigrazione scrivendo una canzone epica di cui si stava parlando in quel momento». Una signora ha provato a chiedere se questa era una cosa “documentata” (in codice stava dicendo: a Frà, ma ti rendi conto di che minchiata stai dicendo? I napoletani non hanno conosciuto l’esperienza dell’emigrazione?!). E lui, anziché dire – davanti a 500 persone, non quattro amici al bar! – “hai ragione, scusa, ho preso una cantonata” risponde: «Ma la realtà è relativa, posso dire una cosa e non pensarla». Insomma, come direbbero a Roma: “Ha fatto il vago, l’ha buttata in caciara”.

Io credo esistano responsabilità minime da assumersi. Credo che Corona e Arminio, abbiano in comune questa “debolezza teorica”, questo paraculismo indegno e inaccettabile per chi pubblica libri con case editrici di un certo livello ed è presente nella scena mediatica. Fino a un certo punto la “debolezza teorica” fa personaggio ma poi si diventa pagliacci. L’abisso tra Arminio e Cioran (qualcuno ha accostato i due) è che Cioran scriveva libri «pericolosi, che aprono o frugano nelle ferite». Poi ci sono le pratiche di vita: qualcuno ha accostato Arminio a Danilo Dolci. Ma sia Cioran che Dolci vivevano di stenti, come dovrebbe fare un vero artista o filosofo (o semplicemente una persona coerente con le idee che predica). Cioran si rifiutava di fare il professore; per quello che scriveva pagava a caro prezzo in termini di libertà e povertà, Danilo Dolci si faceva dare qualche soldo da comitati di amici perché lui viveva “da missionario laico”, Arminio insegna a scuola e prende finanziamenti per il festival che organizza e per altre piccole “testimonianze e letture”. La cosa più importante è che Arminio è stato capace di dirmi (con una sufficienza che neanche la persona più ottusa di un bar di provincia tirerebbe fuori): «ma lascia perder Maddalè, tanto non riesci a campare facendo l’artista». La beffa più insopportabile è che me lo disse dopo avemi fatto correre e penare per darmi i quattro soldi che mi aveva promesso. E meno male che io ci vivo dei miei spettacoli e quindi non ho mollato: altri artisti – che magari non ci vivono (o forse sì) ma comunque andavano rispettati e pagati – ancora dopo anni lo “inseguono” per farsi pagare.

Ecco: Arminio e Corona mi sembrano due interpreti della cultura del nostro tempo, o meglio, di una cultura di “regime”, come la chiamerebbe Marcello Baraghini, cioè che mantiene a un livello di «retorica dell’emozione» chi usufruisce di questo tipo di cultura, compiacente e conveniente a un sistema di Potere che gode di questa ambiguità, superficialità e “debolezza”.

https://quattrocentoquattro.com/2013/10/30/la-retorica-dellemozione-una-critica-a-geografia-commossa-dellitalia-interna/

Questo testo lo dedico anche alla redazione del quotidiano «il manifesto» che spesso regala pagine al «Festival della paesologia» o intervista Franco Arminio… [A. M.]

 

L’IMMAGINE – scelta dalla “bottega” – è di Roland Topor.

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Gian Marco Martignoni

    E’ la seconda volta che leggo una tirata di Maddalena contro Arminio, e questa è peggio della precedente. Belpoliti è una persona seria, e non fa marchette, così come è la Bianca Berlinguer che invita a ripetizione Corona, piuttosto che Arminio, dato che non farebbe il pagliaccio a pagamento. Si può discutere il narcisismo di Arminio, ma il solo fatto che sia riuscito ad emergere nella palude della cultura italiana, a partire da una zona remota del Sud, depone a mio avviso a suo favore, poichè non distribuisce quelle patacche che Angelo ingenerosamente gli attribuisce. Non ho mai visto in Tv Corona ( mi rifiuto intellettualmente ), anche se ho letto il libro intervista apparso a suo tempo per ChiareLettere, mentre Arminio lo sento dei nostri, ha delle idee , ed è capace di comunicarle, come alle volte accade su L’Espresso e a suo tempo su Il manifesto.Può piacere o meno, ma Arminio è un intellettuale a mio avviso da rispettare, alla stessa stregua di Roberto Saviano, che sta pagando un prezzo molto duro per il suo essersi schierato contro le mafie. Potrei proseguire, ma non avendo frequentato certi festival mi fermo qui.

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