Peltier e la nostra (in)sicurezza

di Andrea Appetito

“A pieno regime”. Il 14 dicembre per le strade di Roma si è disteso un lungo corteo che ha animato la città, dal piazzale del Verano a piazza del Popolo, con altre idee di sicurezza.

Le nuove traiettorie dei cortei autorizzati sono davvero singolari. Il luogo di incontro e di partenza è stato il Verano, un cimitero monumentale che ospita da venti secoli i morti di Roma e dove “convivono” mafiosi e stornellatori, politici e cardinali.

Ad accogliere le persone, che mano a mano arrivavano e gremivano la sponda sulla Tiburtina, c’era il camion di apertura e la musica che da lì ha accompagnato il corteo. La musica non è stata solo una pausa tra gli interventi che si sono succeduti per la durata del percorso, ma un amplificatore potente di emozioni condivise. Hanno parlato molte voci, generazioni e realtà diverse, apparentemente inconciliabili: partiti, sindacati, movimenti, associazioni, case occupate e centri sociali. Realtà istituzionali e altre evocate spesso come fantasmatiche minacce. Hanno mediato faticosamente (immagino) ma sono riusciti a realizzare l’alleanza che ha mosso i suoi passi. C’è stato un dialogo tra le parole e la musica, tra i suoni e la città che abbiamo attraversato. Il corteo era fatto di vite anonime che hanno camminato, a lungo, insieme. Anche questa è un’idea e una pratica di sicurezza. Ma il ritmo, lo stile, la determinazione erano quelli di una generazione che è nata e cresciuta in un tempo di emergenza senza soluzioni di continuità: la crisi economica, la crisi pandemica, la crisi della democrazia. Le loro voci non erano mai dimesse, erano chiare e lucide. Non ho sentito retorica nei loro interventi, c’erano ogni tanto slanci idealistici e qualche sussulto di onnipotenza, ma come si fa a non essere così quando si è giovani e ci si sente ristrette-ristretti. Non ho sentito slogan contro, quanto piuttosto molto desiderio. Proprio quello che è così assente dalle vite ordinarie, vellicate dai messaggi populistici, animate da passioni tristi, ossessionate da fantasmi minacciosi agitati da una propaganda di regime. Dietro il ddl Sicurezza si intravede un regime della paura e dell’intolleranza, della rassegnazione e del silenzio mortale: il futuro di una vita nascosta tra quattro mura. Una vita che è una cripta incrinata.

Ecco, ieri il giardino del potere è apparso in tutto il suo funereo splendore: un giardino monumentale che assomiglia al Verano, dove uno stuolo di prefiche cammina su specchi sbriciolati e dove le erme sono senza testa o senza naso e non possono più sentire il puzzo di morte.

Prima si è abbattuto sul ddl Sicurezza un tramonto infuocato, in una giornata in cui erano previste soltanto piogge, e poi la Luna ha acceso le statue bianche di Villa Borghese e i margini del corteo si sono distesi con le ragazze e i ragazzi a camminare sui giardini, tra gli alberi: si moltiplicavano, come le coppie che fanno l’amore nella Valle della Morte del film «Zabriskie point».

Ecco l’«Aprile profumato» dentro il nostro inverno, un’altra idea di sicurezza.

Poi l’ingresso in Piazza del popolo, attraverso la porta che conduce allo spazio aperto

e lì, sotto il grande albero di Natale illuminato, gli operai e le operaie della Gkn hanno esposto il loro striscione «Insorgiamo» che credo molto abbia a che vedere con i fuochi del desiderio.

 

Un piccolo salto nel tempo. Dopo aver letto nella “bottega” l’appello per Leonard Peltier (*) mi sono lasciato interrogare da quella storia così dura, annosa e per ora senza uscita.

Comincia il 2025. Ero giovane negli anni ’90 e già Leonard Peltier era in carcere. Sono invecchiato e lui è sempre lì.

Una certezza, una delle poche certezze rimaste: un uomo, un attivista del Movimento indiano americano, ingiustamente accusato e recluso dal 1975.

1975-2025.

Lui è sempre lì, invecchiato malato, ma è sempre lì. In un piccolo mondo di pochissimi metri quadrati. Dove potrebbe andare? Un uccellino in gabbia che ci canta il suo canto di libertà. E noi? Dove siamo noi? Si può misurare il raggio d’azione delle nostre vite normali? Perché, a ben vedere, anche una vita normale può stare dentro una bolla di pochi metri quadrati. E spesso dice di starci bene. Anzi, una vita normale ha una certezza nel piccolo raggio d’azione che si restringe sempre di più e che girando su sé stesso si annoda attorno al collo come un cordone ombelicale o come un cappio.

Tantissimi auguri, Leonard Peltier. Che almeno la tua fine assomigli al tuo inizio. Che tu possa invecchiare ancora un po’ e morire. Ma per questo è necessario che tu non viva in carcere per sempre.

(*) Libertà per Leonard Peltier: un nuovo appello

 

 

 

Redazione
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