Pena di morte: cattive notizie da Texas e Trump

Due notizie riprese dal «Foglio di collegamento» del comitato Paul Rougeau. A seguire la presentazione e il sommario del nuovo numero

IL TEXAS INTENDE ACCELERARE IL RITMO DELLE ESECUZIONI CAPITALI

Il Texas vuole accelerare il ritmo delle esecuzioni capitali. Potrebbe riuscirci nel clima creatosi negli Stati Uniti dopo l’avvento del presidente Donald Trump.

Il Texas ha chiesto di venire a far parte di una legge federale che gli permetterebbe di accelerare il ritmo con cui compie le esecuzioni capitali.

Secondo l’Attorney General del Texas Ken Paxton il cambiamento è teso a limitare i “ rinvii stressanti” delle esecuzioni e a diminuire “i costi eccessivi” che deve sostenere lo stato al fine di uccidere. Dal canto loro gli avvocati difensori temono che ciò porti ad una forte accelerazione delle esecuzioni, e all’esecuzione di innocenti.

L’entrata del Texas nella legge federale presuppone l’esistenza di una situazione ottimale in cui vi sia un’eccellente e ben retribuita difesa legale a tutti i livelli per ogni persona nel braccio della morte, ma nei fatti non è così,” ha dichiarato l’avvocatessa Kathryn Kase, direttrice del Texas Defender Services, una nota associazione senza fine di lucro che difende condannati a morte.

Anche se la possibilità di entrare in tale legge federale esiste da un ventennio, il Dipartimento di Giustizia federale fino ad ora non vi ha fatto entrare alcuno stato. Tuttavia il clima è ora cambiato per la politica forcaiola di Donald Trump.

Lo stesso Attorney General degli Stati Uniti Jeff Sessions nel novembre scorso ha consultato il Texas e l’Arizona, i due stati che in precedenza avevano manifestato interesse in materia, per sapere se sono ancora interessati alla cosa.

Dal momento che il Texas aveva richiesto la certificazione fin dal 1995 può darsi che tale stato venga autorizzato ad applicare retroattivamente la legge ai condannati che stanno ora presentando appelli a livello federale.

La legge è tesa a limitare:

– la possibilità dei giudici federali di concedere sospensioni delle esecuzioni,

– il tempo a disposizione per le corti federali per produrre le proprie decisioni,

– il tipo di contestazioni che i condannati possono sollevare durante i procedimenti federali e

– il tempo concesso agli avvocati difensori per presentare i propri appelli a livello federale.

Invece di un anno di tempo gli avvocati difensori avrebbero solo 6 mesi per sentire i testimoni, assumere investigatori e conoscere un iter processuale pregresso a volte dipanatosi per oltre un decennio, al fine di scoprire ogni possibile errore fatto in passato o prove di effettiva innocenza immerse in scatole e scatole di scartoffie.

Fare tutto ciò in un anno risulta già molto difficile, ogni ulteriore limitazione avrà come risultato solamente quello di aggravare i problemi già esistenti.” Ha dichiarato Emily Olson-Gault direttrice dalla Sezione Pena di Morte dell’Ordine degli Avvocati Americani. “Sappiamo che di errori ne vengono compiuti nei casi capitali… Tanto più il tempo a disposizione per prepararsi verrà limitato, tanto più grande sarà il rischio che gravi errori non vengano coretti.”

L’avvocato difensore Patrick McCann di Houston osserva che condannati a morte disabili mentali come Bobby Moore (1) o condannati a morte innocenti come Anthony Graves (2) sarebbero morti se fossero stati adottati in passato gli standard che si vogliono ora adottare.

McCann ritiene che il cambiamento prospettato – che renderebbe il Governatore del Texas Greg Abbott fiero di avere in Texas “una corsia preferenziale verso la morte” – abbia motivazioni politiche.

NOTA 1 – vedi numero 236

NOTA 2 – v. numeri 173 e 184; ma anche il “notiziario” nei numeri 189, 190 e 222.

 

TRUMP VUOLE LA PENA DI MORTE PER REATI DI DROGA

Sembrava impossibile ma ora l’amministrazione Trump potrebbe riuscire a far condannare a morte negli Stati Uniti d’America rei di gravi reati di droga non omicidi.

Le leggi che consentono di condannare a morte per reati di droga, incluse nella legislazione federale degli Stati Uniti, non sono mai state applicate. Fino ad ora sono state accolte con scetticismo e quasi con umorismo le uscite di Donald Trump in proposito. Sembrava che lo stesso Trump considerasse impossibile mettere in atto un simile proposito (1) L’amministrazione Trump a fine marzo si è mostrata invece determinata ad imporre un’inversione di rotta. E potrebbe anche riuscirci.

Il 21 marzo scorso, l’Attorney General degli Stati Uniti (2) Jeff Sessions ha inviato agli accusatori statunitensi un memorandum ricordando i casi in cui la pena di morte può essere inflitta per reati di droga. Sessions ha invitato gli accusatori ad utilizzare le leggi che prevedono la pena di morte, sia in casi di violenza sia in casi non violenti che accadono nel mondo della droga, precisando che la pena capitale è prevista in casi “che hanno a che fare con grandissime quantità di droga”, cioè per quantità pari ad almeno 600 volte la dose punibile con la detenzione da 5 a 40 anni.

Sessions ha scritto, tra le altre cose: “Incoraggio vivamente gli accusatori federali ad utilizzare queste leggi, quando appropriato, per contribuire alla nostra costante lotta contro il traffico di droga e la distruzione che essa provoca nella nostra nazione”.

Nel memorandum si propone di nominare un coordinatore in ogni distretto americano, che utilizzi gli strumenti di analisi dati dell’Opioid Fraud and Abuse Detection Unit (Unità di Individuazione degli Abusi e delle Frodi in materia di Oppiacei).

Appare ormai chiaro che il tentativo di far condannare a morte persone legate al traffico della droga è promosso e caldeggiato dal presidente Trump. Questi due giorni prima, il 19 marzo, aveva dichiarato, in un discorso tenuto nel New Hampshire: “Possiamo avere comitati di alto livello finché ci pare, ma se non diventiamo duri con gli spacciatori di droga sprechiamo il nostro tempo. E questa durezza include la pena di morte.” Ed aveva aggiunto: “Se non diventeremo duri con gli spacciatori, essi uccideranno migliaia di persone e distruggeranno la vita di tanta gente. Stiamo facendo le cose in modo sbagliato. Dobbiamo diventare duri. Non si tratta più di essere carini e gentili… si tratta di risolvere un problema molto, molto difficile. Se non diventiamo duri con questi spacciatori, non ce la faremo, gente.”

Sessions ha ricordato che il problema della droga è molto grave ed esteso facendo presente che i morti per overdose negli USA sono stati oltre 64.000 nel 2016 e che l’abuso di stupefacenti è la prima causa di morte degli Americani sotto i 50 anni.

Come sempre, però, non è certo invocando la pena di morte che si possono risolvere i problemi. Krisanne Murphy, direttrice esecutiva del Catholic Mobilizing Network, un’organizzazione che si batte contro la pena di morte e promuove la giustizia riparativa, ha dichiarato: “Suggerire l’utilizzo della pena di morte come metodo per affrontare la diffusione delle droghe, nasconde ciò che noi sappiamo essere la verità: la pena di morte è un sistema di giustizia guasto e fallimentare. La diffusione delle droghe è una disfunzione della sanità pubblica e come tale deve essere affrontata. Suggerire la pena di morte come soluzione alla diffusione delle droghe significa soltanto distogliere le energie dal vero problema”. La Murphy ha detto che sarebbe molto meglio utilizzare il denaro invece che per condannare a morte i trafficanti, per pagare i sanitari che potrebbero fornire sostegno e cure agli individui dediti dall’uso delle droghe: “I drogati, i loro familiari e le loro comunità hanno bisogno di cure e di riscatto… La soluzione deve essere di tipo riparativo e tendere al benessere di tutti. Dobbiamo cercare risorse per la prevenzione, la riabilitazione e la cura – non per la vendetta.”

Robert Dunham, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, ha dichiarato alla CNA: “La Corte Suprema degli Stati Uniti sostiene recisamente che la pena di morte è incostituzionale nei riguardi di individui che commettano crimini diversi dell’omicidio. Questa affermazione è inequivocabile. […] Gli avvocati dell’accusa dovranno guardare alla legge, che è la stessa di sempre, e proporsi di ottenere la pena di morte solo quando sarà appropriato farlo.”

Dunham ha inoltre sottolineato che il traffico di grosse quantità di droga avviene tipicamente a livello internazionale, e la maggior parte dei trattati e delle leggi internazionali vieta di estradare individui in paesi come gli USA dove potrebbero essere condannati a morte: “La pena di morte è chiaramente incostituzionale nei confronti di piccoli spacciatori, ed è inefficace nei confronti dei trafficanti di droga internazionali, perché nessun paese consegnerebbe un trafficante di droga agli Stati Uniti, dove potrebbe essere condannato a morte”.

Per di più da un sondaggio condotto a livello nazionale dalla Quinnipiac University, che ha interrogato telefonicamente 1.300 elettori americani tra il 16 e il 20 marzo, è emerso che la maggioranza dei cittadini è contraria all’applicazione della pena di morte per crimini di droga: 7 persone su 10 hanno risposto che non la vogliono. In particolare il 58% dei Repubblicani, l’87% dei democratici e il 69% degli indipendenti non è favorevole. Tim Malloy, vice direttore dell’organizzazione per i sondaggi della Quinnipac University, ha detto: “Nonostante ciò che afferma il presidente Donald Trump, né i Democratici né i Repubblicani hanno voglia di mettere a morte gli spacciatori”.

(1) vedi n. 246

(2) Così si chiama il ministro della Giustizia degli Stati Uniti

PRESENTAZIONE DEL «FOGLIO DI COLLEGAMENTO» 247 (e sotto il sommario).

Pur riservando come sempre molto spazio agli Stati Uniti – l’unico Paese occidentale che si ostina a mantenere la pena capitale e da cui ci giungono quotidianamente ampie informazioni – questo numero si allarga sull’Asia e sull’Africa. Questo numero si estende anche nel tempo arrivando a parlare di quel che è successo nel corso della “guerra fredda” quando la psicosi prodotta dalla corsa dell’Unione Sovietica verso la bomba atomica fece due famose vittime negli Stati Uniti: nel 1953 i coniugi Ethel e Julius Rosenberg, condannati a morte per spionaggio nucleare, finirono sulla sedia elettrica.

Torniamo sul progetto dell’amministrazione Trump di attivare la pena capitale per reati di droga. Ora sappiamo che si tratta di un argomento serio e non di un’amenità come sembrava un mese fa quando vi furono le prime uscite del presidente USA in proposito.

Il bianco Trump sulla strada della civiltà è molto più indietro del presidente dello Zimbabwe, il nero Emmerson Dambudzo Mnangagwa, abolizionista convinto che ha commutato decine di condanne a morte in essere nel suo Paese, appena salito al potere.

Per capire la forte, ottusa, crudele affezione per la pena di morte delle più alte autorità statunitensi, basta leggere l’articolo scritto dall’Attorney General (ministro della Giustizia) dell’Oklahoma Mike Hunter che ha deciso di asfissiare i condannati facendo loro respirare azoto puro.

Molti articoli parlano della crudeltà della pena di morte, delle torture inflitte nel corso delle ‘esecuzioni fallite’…

Prima di salutarvi scendo terra terra e vi raccomando: continuate a sostenere il comitato Paul Rougeau con la vostra quota sociale! Andate nel nostro sito www.comitatopaulrougeau.org per acquistate quadri e libri!

Giuseppe Lodoli per il Comitato Paul Rougeau

 

FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

sommario numero 247 – marzo 2018

Una normale esecuzione: messo a morte in Texas Rosendo Rodriguez                        

Il Governatore dell’Ohio concede una grazia!                          

Doyle Lee Hamm chiede di non ripetere la sua esecuzione                    

La mennonita Lindecrantz testimonierà, per non danneggiare Ray        

Calvert contesta l’uso della cintura elettrica                        

Il Texas intende accelerare il ritmo delle esecuzioni capitali        

Trump vuole la pena di morte per reati di droga                 

Ricordatevi delle vittime del crimine e uccidete con l’azoto !”      

Provate a respirare in un sacchetto di plastica                       

Per Asia Bibi ‘confortevole ospitalità’ nel braccio della morte       

Il presidente dello Zimbabwe è un abolizionista convinto        

Il papa lava i piedi ai detenuti e parla contro la pena di morte

Nel 1953 furono messi a morte i coniugi Rosenberg per spionaggio           

Notiziario: Arabia Saudita, Filippine, Iraq, Missouri, Ohio, Pakistan, USA, Unione Europea

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 4 aprile u. s.

Sito Web del Comitato Paul Rougeau: www.comitatopaulrougeau.org

Pagina Facebook: Amici e sostenitori comitato Paul Rougeau contro la pena di morte

Scriveteci all’indirizzo paulrougeau@tiscali.it per comunicarci il vostro parere su quanto scriviamo, per chiederci ulteriori informazioni riguardo ai temi trattati, per domandarci dell’andamento delle nostre campagne in corso, per comunicarci il vostro accordo o il vostro disaccordo sulle posizioni che assumiamo.

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È di vitale importanza per il Comitato Paul Rougeau potersi giovare dell’entusiasmo e delle risorse personali di nuovi aderenti. Pertanto facciamo affidamento sui nostri soci pregandoli di trovare altre persone sensibili alla problematica della pena di morte disposte ad iscriversi alla nostra associazione.

Se ogni socio riuscisse ad ottenere l’iscrizione di un’altra persona, l’efficacia della nostra azione aumenterebbe enormemente!

Chiunque può dare un contributo alle attività del Comitato se decide di dedicarvi un pò del proprio tempo. Chi ha mezzi o capacità particolari – per esempio un computer collegato a Internet e/o una qualche conoscenza dell’inglese – potrà fornire un aiuto più specifico.

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LA FOTOGRAFIA mostra i coniugi Rosenberg. LE DUE IMMAGINI (riprese dalla rete) SONO STATE SCELTE DALLA “BOTTEGA”

 

Redazione
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